Antifascismo e antispecismo: dipaniamo la matassa

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Noto con tristezza che un sacco di vegan e/o antispecist@ adottano la politica del ‘se non si palesano come fascisti, allora non lo sono, oppure me ne fotto’. Quello che intendo fare è esprimere delle perplessità circa questa politica, che mi risulta essere totalmente fallimentare in materia di prevenzione del fascismo nel milieu antispecista. Piccola nota sul termine: quando uso questo termine non sto escludendo a prescindere la presenza di fascisti/razzisti/sessisti/eccetera, perché, per l’appunto, se ‘in teoria’ così dovrebbe essere, nella pratica così non è. E il primo passo per risolvere un problema è ammetterne l’esistenza.

A volte vengono promossi concetti reazionari proprio da coloro che non lo sono, o che non vorrebbero esserlo. Si pensi ad esempio a quante volte le argomentazioni antispeciste vertono sull’agire secondo natura o quantomeno in rispetto della natura.  In realtà il concetto stesso di natura appartiene alla cultura ed è usato dal dominio per naturalizzare l’oppressione, cioè renderla naturale, normale (e da normalità a normatività, il passo è davvero breve): in tutto questo, non dovrebbe meravigliare che un sacco di organizzazioni ecofasciste bazzichino il filone dell’ecologia profonda, che purtroppo condivide i presupposti di un biocentrismo troppo spesso declinato in termini non difformi da quelli in cui lo declina il dominio; vedasi la loro definizione di natura e di vita (hanno spesso anche posizioni antiabortiste; il che la dice lunga su quanto ci tengano alle vite che già esistono). Con questo non sto affermando che non può esistere una declinazione di natura che non sia ecofascista, beninteso; soltanto che quello attuale è tale – proprio perché la natura è (anche) cultura, è possibile immaginare una ‘cultura della natura’ non ecofascista. Si pensi infine all’interclassismo insito nel concetto, in odor di estinzionismo, per cui davanti agli animali saremmo tutti nazisti: davvero nel sistema la mia vicina di casa, donna immigrata, ricopre la stessa posizione di un borghese, bianco, a capo di una multinazionale leader nel mercato dei derivati animali? L’evidenza dimostra il contrario, a prescindere dall’eventualità che la mia vicina di casa possa essere o meno vegana.

Il fascismo non bussa mai alla porta presentandosi come tale. Si presenta ‘oltre destra a sinistra’, come ‘apolitico’ (c’è differenza tra apartitico e apolitico), come ‘alternativa’, come ‘terza via’. Codesti individui non si palesano in nessun caso come fascisti, se non in rarissimi casi, ovvero quelli in cui non riescono a camuffarsi con successo. Sicché questa è la storia delle infiltrazioni neofasciste in qualsiasi ambito non esplicitamente politicizzato, come ad esempio quello associazionista, bisogna stare attenti. Il purismo militante è fuffa; la coerenza fra mezzi e fini, invece, è fondamentale.

Si dice spesso che agli animali non importa se a liberarli è un fascista, ma se è per questo, agli animali non importa nemmeno se a liberarli è qualcuno che non è né vegetariano, né vegano e tantomeno animalista e antispecista. Cosa si penserebbe di un’associazione antispecista i cui membri finanziano in maniera attiva uno dei capisaldi della prassi specista? Si può supporre che se ne pensi tutto il male possibile. Perché agire differentemente con i fascisti, allora, mi chiedo; e nel caso in cui questi si dichiarino non fascisti o addirittura antifascisti ma aiutino organizzazioni che diffondono fascismo, che differenza c’è? nessuna. Non si danno giudizi politici in base all’autoidentificazione di una persona, ma in base agli esiti del suo agire politico.

Un’altra accusa punta il dito sul dibattito fascismo/antifascismo dipingendolo come antropocentrico, ma non è possibile ottenere la liberazione animale a fianco di gente che nei secoli dei secoli ha oppresso e ammazzato animali umani al soldo di quello stesso sistema economico che sfrutta e uccide gli animali non umani; coloro che parlano di etica dicendosi apolitici, non sanno lo ‘stato etico’ è proprio del fascismo. Si parla di antispecismo debole (o di animalismo) come se l’etica non fosse pertinente ad un antispecismo politico; ma l’etica non è avulsa né al personale né al sociale, e pertanto al politico.

Sarebbe opportuno quindi incominciare fare i nomi. A quelli pronti ad accusarmi di caccia all’uomo, chiedo di riflettere su questo: voi un macellaio che fa un’associazione (dove vi sono anche persone genuinamente vegane/antispeciste) per raccogliere fondi (destinati anche, ma non soltanto, alla sua macelleria) presso attivisti “all’acqua di rose” e inconsapevoli vari, lo tollerereste in virtù di quel poco che fa per la causa? (quale  causa, soprattutto, verrebbe da aggiungere). E che non mi si chieda cosa fare con i casi ambigui, perché chiunque possiede un minimo di cultura, di capacità e di esperienza sa distinguere le ambiguità fortuite da quelle intenzionali.

Una risposta a “Antifascismo e antispecismo: dipaniamo la matassa”

  1. Aggiungo inoltre queste pochissime altre righe.
    Il problema non è che uno si definisca ‘animalista’ o ‘antispecista debole’ piuttosto che ‘antispecista’ o ‘antispecista politico’ – il problema è che in moltissimi casi suddetti animalisti/antispecisti deboli/antispecisti generici pur non essendo attivi sostenitori di organizzazioni fasciste, spesso hanno idee o atteggiamenti accomodanti nei confronti dei fascisti. In poche parole, l’antifascismo di codesti individui diventa una boutade e il fascismo, contestato solo se palese (peccato che sia assodata pratica fascista quella del palesarsi solo ad infiltrazione avvenuta, come faccio presente nell’articolo), diventa magicamente – con abile mossa di delegittimazione – lo spauracchio agitato dagli ‘antispecisti’/’antispecisti politici’. E con questo, ho detto tutto quello che avevo da dire.

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