Costanza Miriano, nomen omen, continua col suo punto di vista, ed è giusto così: se parliamo di fede, ragionare è inutile. Non ha alcun senso voler “dimostrare” ragionando una fede. Vale per le religioni come per la maggica Roma: io credo ogni anno che possiamo vincere lo scudetto. Io però non sono mica così scemo da pensare di avere perciò ragioni per convincere gli altri, neanche se lo vincessi sempre. Lei invece sì.
Qualunque fede professi, se non sei un fanatico la prima cosa che fai è rispettare le fedi altrui, o anche l’assenza di fede. Se invece la tua la vuoi imporre, o la ritieni superiore alle altre, professi violenza – come tanti tifosi ai quali, in fondo, la fede serve solo per poter esercitare un potere sugli altri, tranquilli di avere ragione a prescindere. E giù botte e retorica della vittima, come tanti fascisti, ultras, e altri noti professatori di fedi.
L’originale è questo.
C’è sottomessa e sottomessa
di Costanza Miriano
Pensa che c’ero caduta anche io. Col fatto che da un mesetto rispondo a giornalisti stranieri che mi chiedono “perché sottomessa?” (in molteplici varianti tra cui “cos’è la sottomissione?” e, la più stupida, “chi lava i piatti a casa sua?”), e lo faccio in varie lingue (itagnolo, inglano) con abnegazione e grande padronanza di me, cercando di evitare alterazioni isteriche del tono di voce, mi ero ingenuamente convinta che fosse la parola sottomessa a disturbare nel titolo del mio libro. [Quindi, se qualcuno fa domande a Miriano sulle cose che scrive è perché è disturbato da quello che lei scrive. Un normale o professionale interesse è escluso. Retorica della vittima mode on.]
A far scomodare addirittura la ministra della sanità e delle pari opportunità, Ana Mato, che ha chiesto il ritiro in Spagna del mio libro “Cásate y se sumisa” dal commercio. [Credo che non sia una sola parola, Miriano: è proprio tutto il libro che fa una certa impressione.] A far parlare l’intero parlamento spagnolo (sono contenta di sapere che tutti i problemi più urgenti del paese siano stati finalmente risolti, tanto da poter mettere all’ordine del giorno il libro di una sconosciuta moglie e mamma italiana che scrive lettere alle sue amiche per convincerle a sposarsi: pare che il prossimo tema di discussione sarà la sfumatura delle casacche di Topolino nei fumetti degli anni ’50). [Non sia così modesta, Miriano. A parte che ciascun parlamento è sovrano e parla di quello che vuole, lo deve fare a prescindere dall’urgenza, altrimenti non sarebbe un parlamento. E comunque le casacche di Topolino non hanno lo stesso impatto sociale di una teoria cattolica sul miglior comportamento sociale delle donne.] A farmi finire in vari programmi della BBC (strano, in Italia nessuno si è accorto che un governo stava chiedendo la censura di un’italiana, ma in Inghilterra si sono scandalizzati) [se le interessassero davvero le donne, Miriano, saprebbe che qui in Italia le donne non c’è proprio bisogno di censurarle: le si elimina sistematicamente dall’agone sociale ben prima, non ci arrivano proprio all’onore della censura], tra cui le News Night, in cui mi sono buttata a spregio del pericolo col mio inglese da lesson number two (the book is on the table), tanto per la soddisfazione di citare John Paul the second sul programma di punta della terra anglicana. [So’ le sue soddisfazioni, beata lei.]
Pensavo anche, in un ingenuo attacco di comprensione, che la parola sottomissione potesse avere evocato, in qualche donna più grande e più insicura di me, lo spettro di antichi ricordi di tempi in cui si doveva lottare per affermare la pari dignità tra uomo e donna, [antichi ricordi, certo, adesso è tutto a posto] dignità che oggi nessuna ragazza europea normale sente realmente messa in discussione. [No, nessuna ragazza europea normale a parte le 170 milioni di donne europee che subiscono violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita, come dice quel rapporto Estrela che certo per lei non esiste. E poi Miriano, mi scusi ma glielo devo dire: che schifo quel “normale”.]
Poi ho fatto la scoperta. Ci sono diversi libri in vendita in Spagna con la parola sumisa nel titolo. Per esempio Aprendiendo a ser sumisa, o La formaciòn de la mentalidad sumisa, e molti altri ben più espliciti. [Espliciti, come se la parola ‘sumisa’ in italiano fosse ‘fregna’. Perché usare quell’espliciti, a parte solleticare gli scrupoli dei bigotti in ascolto?] Occhieggiano tranquillamente dagli scaffali delle librerie – e ci mancherebbe – senza che nessuno abbia trovato nulla da ridire. [Embè? Non ha idea di quanti ‘cazzo’ occhieggiano tranquillamente qui in Italia, nella stessa indifferenza generale. IBS mi dà ventuno titoli ancora in commercio, tra cui il recentissimo “Verrà la morte (e avrà il tuo cazzo)”. I titoli sono scelti dal marketing editoriale, non dicono niente. Come anche il suo, Miriano.]
Allora il problema, mi dico, non è quello. Gridano tutti che il mio titolo è offensivo. [Te lo spiego io, Costà: vogliono dire “il tuo libro è offensivo”, si tratta di una figura retorica. Non è solo il titolo, sono pure tutte le altre parole.] Deve essere dunque per forza la parola Casate, sposati. [Certo, come no. E già altre venti righe per fare la vittima.] Strano, perché il ministro che ne chiede la messa al bando per incitazione alla violenza sulle donne è del PPE, partito che una volta fu cattolico, anche se la signora [fare la vittima e fare la carnefice: che classe questo signora una riga sotto il ministro, complimenti] non avverte la contraddizione di essere titolare di un ministero responsabile di centinaia di migliaia di aborti all’anno [no, non l’avverte, perché è una sua responsabilità solo nella tua visione delle cose] (uccisioni [anche considerarle uccisioni è una tua opinione, discutibile come tutte] almeno presumibilmente anche di bambine: ma quella pare non sia violenza sulle donne [infatti non lo è. Ma adesso s’è capito a che serve gigioneggiare sul titolo: serve a dire le tue cose come fossero verità, senza doverle argomentare]).
Dunque va bene sottomettersi, ma sia ben chiaro, solo sessualmente [a parte che nessuno l’ha detto che è solo sesso, ma a te fa tanto comodo pensarla così che lo dai per scontato, come fosse un gran peccato. Poi ci sarebbe da dire: fosse sesso o altro, l’importante a proposito di censure, cara Miriano, è il consenso, non cosa fai], a un amante [mai a un marito eh, chi sottomette sessualmente è solo un amante, mi raccomando], sottomettersi in cinquanta sfumature a un passante, a chiunque, anche all’idraulico che viene a controllare la caldaia [complimenti anche per l’immaginario erotico da porno commerciale anni ’90]. Libri così non vengono avvertiti come offensivi della dignità della donna [no, perché stiamo parlando – dato che citi le arcinote cinquanta sfumature – di racconti di finzione, non di saggi che vorrebbero insegnare la verità vera]. Proporre invece un atteggiamento interiore [appunto: tu discetti sulla morale, la psicologia e la vita altrui, i romanzi non lo fanno] (per la seicentesima volta: sì, le donne possono lavorare, e no, non sono una casalinga, ma una giornalista tv), una disposizione spirituale di dolcezza, di accoglienza, di obbedienza a un solo marito, sempre allo stesso, a un uomo che sarà pronto a morire, cioè a dare tutto alla sposa senza risparmiare niente [botte comprese?], questo invece viene percepito come offensivo per la dignità femminile [che strano, cosa ci sarà mai di offensivo nel decidere spontaneamente di rendersi schiave di uno pronto a morire? E’ così bello!], ma talmente offensivo da far ravvisare addirittura la possibilità di un reato: istigazione alla violenza sulle donne [sai com’è: sottomettere, dice Treccani, significa “Mettere sotto… far coprire la femmina dal maschio, farla accoppiare… Ridurre all’obbedienza, piegare ai proprî voleri”. Che dici, se c’intitoli un saggio e non un romanzo, chi se la prende con te è troppo permaloso? Secondo me no] (dove? In quale frase, parola, virgola, o retropensiero la violenza viene vagamente incoraggiata, giustificata, scusata, o anche solo nominata, nel mio libro? Dove? [Ovunque, te l’ho detto poco fa, a partire dal titolo. Ma tranquilla, non è reato, non ti preoccupare, è solo collaborazionismo col patriarcato]). Il punto è che la dolcezza femminile disinnesca la parte peggiore dell’uomo, e lo rende nobile [uh, come no. Quindi il femminicidio di media ogni tre giorni è dovuto a una mancanza di dolcezza. Aspetta che me lo segno]. Non ha nulla a che vedere con la violenza, anzi, al contrario. [Notate bene: secondo lei chi contesta il suo libro sostiene che la dolcezza femminile come stile di vita matrimoniale è violenza. “O sei con me o sei contro di me”, non esistono alternative. Tutto chiaro Costà, stai bene così.]
Parliamoci chiaro: è il matrimonio il vero obiettivo della polemica, che continua con sorprendente tenacia da settimane, sulle prime pagine dei giornali e sulla rete, in televisione e in radio. [“Come porto il discorso su quello che me pare a me”, lezione uno. Piaciuta?] E lo scandalo si allarga: i giornalisti ormai chiamano dalla Colombia, dall’Argentina, dal Messico, dalla Francia, dal Belgio, dall’Inghilterra, dalla Russia… [uh come mi piace vantarmi, signora mia…]
Cosa esattamente sconvolge nell’idea del matrimonio? Del matrimonio cristiano, precisamente? [Cristiano? Certo, se ci si vuole difendere è meglio stare dalla parte della maggioranza. Allora dico che la posizione che mi si contesta non è cattolica, ma cristiana. Così se tu la contesti sei per forza non cristiano, oppure un senzadio e senzagesù. Insomma una brutta persona.]
Fondamentalmente l’uomo contemporaneo può accettare tutto tranne l’idea di ascoltare una voce che non provenga da se stesso. [Lei le sue profonde analisi sulla psicologia di massa le spara così, per scienza infusa.] Non può accettare la possibilità che non sia sempre bene seguire le proprie emozioni, inclinazioni – i pensieri quando è già a uno stadio più progredito [grazie del complimento, è molto cristiano dividere le persone in più o meno deficienti] – la propria idea di bene e di male. È tutto lì il punto del cuore dell’uomo, dalla Genesi in giù: sono io che decido cosa è Bene e Male? [E voi che invece pensavate fosse la banca, il vostro capo o la casta: invece no, sei tu che decidi cosa è Bene e Male.]
Il vero nodo della questione è che noi cristiani siamo contenti di obbedire perché sappiamo a chi obbediamo [abbiamo imparato a fare a meno della libertà, capito il trucco? “Dàje, zompa de qua, Serena!” (cit.)]: abbiamo conosciuto, davvero, personalmente, un pastore buono, un pastore che pasce gli agnelli e non i lupi [poveri lupi, sempre ‘na brutta fine fanno, mannaggia a Walt Disney]. È per questo che ci piace ascoltare la voce del pastore [non fate i maliziosi, c’è scritto pastore e non padrone], non perché siamo repressi, ma perché siamo furbi [che bello: Miriano ci insegna come essere furbi. Molto cristiano anche questo, sì]. Abbiamo capito che quello è il meglio, che ci conviene seguirlo, perché lui è l’autore dell’universo, del dna, della fisica, dei movimenti degli astri. [Mi sa che avevate ragione, allora: è proprio il padrone.] Figuriamoci se non sa come funzioniamo noi, suoi figli (che invece non solo non abbiamo idea di come funzioni l’universo, ma abbiamo problemi anche col tostapane. E con l’uomo, mistero a se stesso). [L’uomo anche nel senso della donna eh, come nelle migliori tradizioni cristiane: e che stiamo a sprecare due parole? Quando dico uomo intendo pure la donna, ovvio. Lei viene da ‘na costola di lui, ma sono uguali.] Io capisco dunque l’odio che suscitiamo noi cristiani, [a me fai solo ridere, non so se vale lo stesso] stoltezza di fronte al mondo: è un mondo che non sa quanto è buono il Padre, e quindi lo vuole uccidere (lo ha idealmente accoppato già da tempo). Se togli l’amore di Dio, obbedire, sottomettersi, la croce, nulla di tutto questo ha senso. [Non dire se togli come se fosse assodato che già ci sia, e io lo debba togliere. E’ assodato – non ci sono solo i cristiani al mondo, eh, né ci sono stati da sempre – che ‘sto amore di Dio ce l’ha messo qualcuno e in un momento preciso, e non è che prima l’uomo il senso della vita non ce l’avesse. Ma no, certe cose meglio fare finta che non esistano, o che siano frutto di odio. Molto comodo, così.]
Qualsiasi cosa, anche morire (il mio secondo libro, Sposala e muori per lei, non ha fatto fremere di sdegno mezzo labbro) [e ti credo, erano tutt* impegnat* a fare scongiuri – a parte gli scherzi, è molto utile un libro che ratifica l’immagine di uomo monogamico fedele fino alla morte; chissà chi sono i nove milioni di clienti italiani della prostituzione?] può essere accettata. Ma obbedire a qualcuno che non sia me stesso, quello no. Non si può tollerare. [Ormai ha preso il via, adesso il problema sono quelli che non vogliono obbedire al suo stesso dio. Che in sostanza è pure vero eh, ma allora scrivi su questo e non menartela col tuo libro, Miriano, su.]
Eppure per noi quello è il primo comandamento: ascolta, Israele. Non fidarti di te. Ascolta una voce che non provenga da te stesso. [Ma non era “Io sono il Signore… non avrai altro dio…”, no? Boh] Sappi che il tuo cuore, ferito dal peccato originale, a volte è inaffidabile. Ascolta uno che ti ama e che spinge dalla tua parte più ancora di te stesso [EH?], che ti ama come un figlio unico. [Ma non dovevo amare il prossimo come me stesso? Ma non eravamo tutt* fratelli e sorelle? Adesso siamo figli unici? “Poi dice che uno si butta a sinistra” (cit.)]
Per questo la Chiesa propone agli uomini impegni definitivi che lo custodiscano da se stesso. [Capisco l’emozione, ma se come impegno definitivo intanto prendiamo quello di rispettare la grammatica?] “Il matrimonio cristiano – scrive per esempio papa Francesco nella Evangelii gaudium – supera il livello dell’emotività. Il matrimonio non nasce dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto”. Per noi cristiani il matrimonio è una via di conversione, un laboratorio in cui l’uomo e la donna affrontano i loro peccati – o, laicamente, i difetti – principali: il desiderio di controllo femminile e l’egoismo maschile, esattamente ciò di cui parla san Paolo. [Aspetta, ferm* tutt*: il matrimonio quindi è la promessa reciproca di un uomo e una donna che, al di là dei sentimenti (che non gliene frega niente a nessuno), dicono lei “prometto di non controllarlo” e lui “prometto di interessarmi anche a lei”, entrambi per sempre. E uno dovrebbe prenderli sul serio.]
Ma l’uomo contemporaneo, che ha dimenticato la visione giudaico cristiana della storia come lineare e non ciclica [EH?], è un bambino tutto emotività, assolutizza il comfort [questo sembra lo slogan di una casa automobilistica], il soddisfacimento dei propri bisogni immediati e superficiali, impedendosi di capire quelli più profondi. [Altra tesi che lei sa perché la sa, punto.] Impedendo per esempio alle donne di riconoscere che quello che le realizza profondamente è dare la vita per qualcuno, e darla facendo spazio, mettendo da parte la mania di controllo per affidarsi a un uomo solido e sicuro [Capito? Quello che realizza le donne è abdicare dalla propria autodeterminazione per affidarla a un uomo – no, non è istigazione alla violenza di genere, no, è proprio la rinuncia a vivere decentemente, tutto qui], riconoscendone la bellezza, rivelandola anche a lui stesso. [L’uomo cioè è bello ma non lo sa, finché una donna non gli dice: comandami in tutto e per tutto e lo scoprirai. Fichissimo, se sei un uomo.] L’uomo viene così restituito a se stesso – Dio affida l’umanità alla donna, scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem – e può così scoprire la bellezza di dare la sua vita per la sposa, morendo per lei, [ecco, lo sapevo che c’era la fregatura] seppur giorno dopo giorno, a fettine, [a dadini no? Per forza a fettine? E invece tutto intero, nella retina, tipo arrosto?] salvando il mondo una pratica alla volta. [Una pratica alla volta, da bravo impiegato. Cioè, questa sarebbe la narrazione che ha dato tanto scandalo? In effetti la censura è eccessiva. Questa roba va letta ad alta voce, tutt* insieme, in una serata spensierata con gli amici, per farsi quattro risate.]
La cultura dominante [che non è quella cristiana, quella patriarcale, no no, viviamo in un mondo dominato dai gay, e dalla loro ideologia totalitaria, sappiatelo] tenta in tutti i modi di abbattere il recinto del tempio della trasmissione della vita, [niente male la metafora, eh? Il recinto del tempio della trasmissione della vita, e tanti saluti alla retorica] e di tagliare tutti i vincoli che appunto legano il sesso all’unione indissolubile tra due anime che cercano per tutta una vita di diventare una sola carne (in unam carnem, moto a luogo) [tiè, pure l’analisi logica ci regala Miriano, pur di convincervi che il sesso per divertirsi non si fa, no no no]. È questo che dicono i loro corpi e questo dicono – con i loro corpi fatti di geni e cellule impastati inscindibilmente – i figli che nascono da quell’unione. Dicono che l’intimità sessuale è sacra, ed è ciò a cui Dio ha affidato la trasmissione della vita: una visione magnifica e sconvolgente [certo, più la fai strana e meglio è, tanto non dev’essere capita, dev’essere un mistero divino, quindi meglio farlo fitto e incomprensibile]. Può essere sublime o terribile, ma non potrà mai essere neutra, né per l’uomo né per la donna. Mai il sesso potrà dunque essere normalizzato, banalizzato, [ma chi ci pensava? Ma stai sempre a pensare a quello, Miriano? Il problema non era la violenza di genere?] ma avrà sempre a che fare con qualcosa di sconvolgente, con una dedizione che un giorno potrà anche sembrare non corrisponderci più, ma che ha toccato la nostra più profonda essenza.
Un uomo e una donna così sono reciprocamente sottomessi solo al loro cammino di conversione a Dio, e sono liberi dal pensiero dominante [sì sì, proprio liberi… ma non erano quelli contenti di obbedire? Proprio la definizione dei liberi], dal totem della laicità, [ah, adesso è la laicità a essere un totem, interessante] sono liberi e non manipolabili, e questo non è tollerabile dal pensiero unico. [Pensiero unico che non sarebbe il sostenere “noi cristiani siamo contenti di obbedire perché sappiamo a chi obbediamo mentre tutt* gli/le altr* non accettano l’idea di ascoltare una voce che non provenga da se stessi”. Questa sarebbe tolleranza. Ma vaffanculo va’. ]
È per questo che noi cristiani veniamo censurati [ma da chi? Ma dove? L’hanno fatto? No, mai]. È per questo che in Francia ogni giorno decine di ragazzi finiscono in carcere nel silenzio generale, perché hanno indossato una maglietta con l’immagine di una famiglia, o perché hanno recitato il rosario fuori da una clinica dove si uccidono i bambini nel posto più sicuro del mondo, sotto al cuore della loro mamma. [Complimenti per il tollerante trattamento della questione aborto.] È per questo che le persecuzioni e le uccisioni dei cristiani nel mondo vengono sistematicamente taciute. [Non è vero che vengono taciute, e poi non stavamo parlando di censura, di libri, di idee? Abbiamo bisogno di tirare fuori i morti, Miriano? Ancora complimenti.] È per questo che chi si oppone alle teorie del gender in alcuni paesi rischia il posto di lavoro, [AHAHAHAHAHAHAHAH, questa è la migliore] (forse leggendo l’incredibile decalogo che l’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità vorrebbe imporre ai giornalisti, anche noi: esempio, dire “utero in affitto” sarà discriminatorio, occorrerà dire “gestazione di sostegno”) anche se le teorie di genere sono appunto teorie, e quindi andrebbero dimostrate, e comunque non imposte con la forza [nessuno le impone con la forza, Miriano, non faccia della retorica inutile non suffragata da fatti. I fatti sono che le teorie antirazziste sono state dimostrate da parecchio, quindi cosa vuole? Un teorema che le dimostri che non si deve discriminare? Forse non è un precetto cristiano? Un comandamento? Per non discriminare lei ha bisogno della dimostrazione geometrica? Ancora e sempre complimenti, e meno male che gli egoisti sono gli altri]. È per questo che una giornalista norvegese, neanche particolarmente fervente, è stata rimossa dalla conduzione del tg perché indossava una croce di due centimetri al collo. [Sa, ci sono dei paesi dove il rispetto per le altre religioni e per la libertà e la laicità dell’informazione sono cose serie.]
Noi cristiani invece non censuriamo. [Adesso, forse; ma fino a ieri sì. L’indice dei libri proibiti l’ha creato la chiesa cattolica, e dal 1558 al 1966 fanno 408 anni di censure. Per poi sostiutirlo con qualcosa di più “politically correct”, no? Lo stesso atteggiamento che imputate all’UNAR, che è un pochino più recente e meno potente.] Noi viviamo in una casa bella, pulita, divertente, libera, dove si respira una buona aria. [Noi cristiani, gli altri no. Ma noi non censuriamo, discriminiamo direttamente.] Dove tutto, persino il dolore, ha un senso. Noi se vediamo qualcuno che abita in un posto brutto sporco e triste [tutt* gli/le altr* che non sono cristiani, ndr] non è che ci arrabbiamo, casomai ci dispiace per lui. [Però, che carini.] Al limite [ma al limite, eh] lo invitiamo a casa nostra, per fargli vedere come si sta bene vivendo senza idoli, [quelli degli altri sono idoli, ma noi non censuriamo, no no] quando tutto sta al proprio posto. E se proprio siamo parecchio avanti nel cammino, ci offriamo anche di andare a casa dell’amico, a mettere a posto insieme a lui [noi cristiani non censuriamo, andiamo a casa altrui a mettere le cose a posto. Ricordate le Crociate?] (non guardate me, io ho già i miei, di calzini da raccogliere, con dodici piedi in giro per casa). [Lei c’ha da fare, è sottomessa.]
Prometto che qui non scriverò più nulla riguardo Costanza Miriano e il suo blog. Mi pare più che sufficiente quanto detto finora, nei secoli dei secoli. Amen.
(grazie a Feminoska)