Noia, noia totale. (cit. Frantic)
In una realtà nella quale si fatica ad esprimere un pensiero compiuto in più di 150 caratteri – e in cui ogni occasione è buona per finirla in una caciara inutile, dove cane mangia cane – la diarrea verbale e gli schieramenti monolitici delle ultime ore causati dal selfie di tal Paola Bacchiddu meritano qualche riga di commento.
Dico ‘tal’ perchè, prima di questo ‘cataclisma’, della protagonista della vicenda io non conoscevo nemmeno il nome: sarà che non seguo da tempo la politica istituzionale, che al sentire la parola ‘lista’ subito mi sale una irrefrenabile nausea, che la democrazia rappresentativa è per me un fossile del passato che dovrebbe trovare degna sepoltura nel dimenticatoio degli esperimenti falliti, e che in definitiva privilegio altre modalità di far politica, che non passino dal delegare a sconosciuti una rappresentanza farlocca… fatto sta che nel mio mondo rotondo Bacchiddu contava meno di un paramecio.
Nelle ultime ore ho dovuto fare ammenda di questa mia terribile mancanza, approfondendo la conoscenza di lei medesima: prima del suo lato b, poi del suo ruolo ‘istituzionale’, infine delle intenzioni recondite celate nel suo criptico gesto – di sovversione comunicativa o di conformismo comunicativo, a seconda delle campane. Sopitosi l’interesse mediatico mainstream, della durata di un battito di ciglia, è a livello della politica di base femminista che la bomba sganciata non ha ancora perso in virulenza, anzi.
Ma che noia però! Davvero ci stiamo lambiccando sulla foto di un culo? A me non importa un fico secco di arrivare ad una verità condivisa che determini inequivocabilmente se il culo mostrato sia eteronormato/normativo o se strizzi le chiappe al sessismo patriarcale. Certo, se mi si domandasse in merito alla foto posso dire che non è esattamente un’immagine sovversiva, o che il messaggio in 150 parole allegato poteva perlomeno sforzarsi di piegarla ad altri significati – magari non dichiaratamente sovversivi, ci si sarebbe accontentat@ di un pò di ironia/problematizzazione – ma così non è stato; questa è però soltanto una mia opinione personale su di un argomento che ritengo poco interessante, considerato per di più che tanta parte della comunicazione online si basa sulle ambiguità, sui non detti, e via discorrendo… chi ha pubblicato la foto, quei meccanismi che tirano un colpo al cerchio e uno alla botte li conosce bene. E’ chiaro che, volendo, questo culo autoreferenziale si presta a scrivere interi trattati: de culibus non disputandum est, dei delitti e dei culi, psicopatologia dei culi quotidiani, ecc… ma è ciò che vogliamo?
La politica dei selfie (ah, en passant, questa mania di ritrarsi in ogni posa, se umanamente è vagamente egotistico, politicamente è davvero penoso!) dimostra invece, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’unico gesto sensato ancora non portato a compimento sarebbe l’astensione in massa dalle urne. Vorrei, con queste poche righe, invitare le femministe, tutte, a ritrovare la lucidità: non sarà questo culo a fare la rivoluzione, a prescindere dai suoi buoni – o meno – propositi, perché come sosteneva Audre Lorde, “Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”. Ma intendiamoci, attrezzo del padrone è la politica istituzionale, non il culo in questione: quello lascia il tempo che trova, e a breve non ne resterà traccia.