Diciamocelo: la recente manifestazione reazionaria e razzista messa in scena in Piazza San Giovanni a Roma, ironicamente chiamata dai diabolici organizzatori Family day, ha avuto l’indiscusso merito di far venire alla luce – non ce n’era gran bisogno, ma pazienza – un nutrito gruppo di intellettualoni capaci di sparare ciclopiche sciocchezze. Su cosa? Ma sui grandi sconosciuti della cultura italiana: gli studi di genere.
Visto che non vogliamo far torto a nessun*, rispetto alla prima puntata di “Ignoranza di genere” stavolta saranno perlopiù gli amici maschietti a tenere la scena, e scelti dal fior fiore degli intellettuali. Prima però d’immergerci nel simpatico clima di quel giorno, permettetemi qualche riga su un gustoso prodromo – tra i tanti sceglibili.
Nei giorni precedenti il famigerato giorno della famiglia c’era stato – vale la pena ricordarlo – il mitico Pietro Citati a dargli di fuffa, sfornando un favoloso articolo a proposito (?) del referendum irlandese sul matrimonio gay. Il suo appello agli omosessuali a “non essere banali” se la batte con qualcuna delle sue tremende quarte di copertina, che hanno gettato nello sconforto più generazioni di lettori. Il talento è quello, perché passare da un’affermazione come
Mentre conquistano i propri diritti, gli omosessuali pretendono di essere come gli altri: ciò che certo non sono
confondendo l’avere (i diritti) con l’essere (gay), a una perla come
I grandi omosessuali hanno un profondo orgoglio del loro ego: talora un disprezzo dei cosiddetti esseri normali, e della loro vita comune.
ci vuole solo la forza visionaria di chi pensa che tutti i gay siano come l’immagine di sé che raccontava Oscar Wilde, non a caso messo in foto. Va bene, direte voi che siete più buoni di me: ma Citati sta sempre lì nei libri, non è che ci possiamo aspettare una grande capacità di conoscere la realtà più quotidiana, o quello che studi sociali raccontano da decenni. Lui si occupa di letteratura. Epperò, dico io, tra le altre amenità è capace di uscirsene con una bella fascistonata tipo questa:
Nel caso degli omosessuali si aggiunge la coscienza della violazione e delle violazioni che essi impongono ai costumi di quella che resta la maggioranza.
Niente male eh? Secondo Citati i gay impongono violazioni ai costumi della maggioranza, cioè sono una minoranza che impone cose ai più: Citati crede, in sostanza, alla “lobby gay” che governa il mondo. Oh: questo è il pensiero di uno chiamato a fare il commento autorevole alla cronaca sul più diffuso quotidiano italiano. E non a caso: un’ammiccamento agli amici del Vaticano lo vogliamo dare? Eccolo:
In quasi ogni omosessuale, c’è qualcosa di demoniaco; ed è la coscienza di quella che molti di loro considerano la propria orgogliosa altezza spirituale.
E via con i gay demoniaci tra fumi di zolfo e zampe caprine, ché se ne vantano pure. Complimenti per l’autorevolezza e la preparazione.
Ma veniamo al giorno fatidico del 21 Giugno. Apre le danze Guido Ceronetti, che non ha voluto far mancare il suo augusto giudizio su Samantha Cristoforetti, chiamando in causa nietepopodimeno che il vecchio Sigmund:
Per un’analisi freudiana si potrà interpretare una donna fluttuante fuori gravità come desiderio soddisfatto di un rapporto incestuoso col padre, senza nozze tragiche, senza esplicazione, irrorazione e amorosa redenzione scenica.
Incestuosa in quanto astronauta donna: però, che profondità di analisi. Tanto Ceronetti aveva già deciso che una così non è neanche donna, ormai:
Di fisiologia ginecologica la sfidante intrepida non avrà certamente avuto più nessuna traccia, fin, credo dalla base, come in un evento patologico.
E insomma questo poeta caricato a cultura misogina è l’intellettualone cui dà spazio Repubblica. E adesso che ci siamo scaldati con gay e donne, passiamo alla famiglia.
Il Fatto Quotidiano vuole sbaragliare la concorrenza in fatto d’ignoranza e intellettualmaschilismo, e molla un pezzo da novanta: Diego Fusaro. Il quale, da vero filosofo, ci tiene a dire che
Non è mio interesse parteggiare per l’uno o per l’altro dei movimenti. Mi interessa, piuttosto, comprendere un ben più profondo fenomeno, che è oggi in atto, e che – ho cercato di argomentarlo nel mio studio Il futuro è nostro (2014) – coincide con la distruzione capitalistica della famiglia.
Questo è il suo pallino, oltre a quello di farsi pubblicità: i movimenti LGBT sono servi del capitalismo, che vuole disfarsi di Hegel per ragioni di vile danaro. Senti qua che roba:
Così, se la “destra del denaro” decide che la famiglia deve essere rimossa in nome della creazione dell’atomistica delle solitudini consumatrici, la “sinistra del costume” giustifica ciò tramite la delegittimazione della famiglia come forma borghese degna di essere abbandonata, silenziando come “omofobo” chiunque osi dissentire.
Capito? Destra e sinistra (che non esistono, ma quando serve sì) collaborano a bollare come omofobo chiunque tenti di difendere – da cosa non è dato sapere – la famiglia come forma borghese. Se non bastasse questa ben ponderata e profonda visione delle cose, c’è a testimoniare la sua preparazione negli studi di genere questa bella frasetta esplicativa:
Chi, ad esempio, si ostini a pensare che vi siano naturalmente uomini e donne, che il genere umano esista nella sua unità tramite tale differenza e, ancora, che i figli abbiano secondo natura un padre e una madre è immediatamente ostracizzato con l’accusa di omofobia.
Ma infatti, perché documentarsi? Meglio seguire le orme storicamente reazionarie, e non ci si sbaglia mai. Segue ammonimento a suon di Orwell. Peccato, un passo di Hegel ci sarebbe stato meglio. Per esempio, che ne so, questo?
L’uomo, quindi, ha la sua vita effettiva, sostanziale nello Stato, nella scienza, ecc. e, in genere, nella lotta e nel travaglio col mondo esterno e con se stesso, sì che egli, soltanto dal suo scindersi, consegue, combattendo, la sua unità autonoma con sé, la cui calma intuizione e la cui eticità soggettiva sensitiva egli ha nella famiglia, nella quale la donna ha la sua destinazione sostanziale, e in questa pietà il suo carattere etico. (Lineamenti di una filosofia del diritto)
Eccola, la famiglia hegeliana tanto amata da Fusaro: l’uomo fa il cittadino e il filosofo, la donna bada alla casa. Eh sì, molto naturale e poco capitalistico. Oh, per inciso, non è che poi i detrattori di Fusaro siano tutti meglio di lui, eh: tal Raffaele Alberto Ventura, citato da Minima&Moralia da molti per perculare Fusaro, è uno che nel suo post più noto in proposito, spara ‘na cosa come
… su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing…
cioè chiama Judith Butler, filosofa coi fiocchi da qualche decennio, una moda intellettuale rilevante quanto una idiota moda giovanilistica, e chiama gli studi di genere col nome che gli danno i fanatici cattolici in vena di propaganda e fuffa: teoria del gender. Che sia facile smontare gli argomenti di Fusaro è noto, ma non ci si potrebbe documentare meglio sulle cose che evidentemente non si conoscono? A rifletterci ci sarebbe un problema, a tradurre spensieratamente l’inglese gender: cioè almeno cinquant’anni di studi seri che nel mondo anglosassone, com’è ovvio, hanno cambiato da un pezzo l’uso di quella parola. Se io la spendo qui in Italia senza minimamente avvertire chi legge, sto o no facendo una pessima operazione culturale? Sì, sto facendo una pessima figura – sempre supponendo la buona fede. Se no evidentemente mi fa comodo usare gender e “genere” come sinonimi, come se niente fosse.
Operazione che avrebbe dovuto fare Michela Marzano, la quale scrive con la volontà di fare chiarezza teorica sul problema. Prima di tutto non ci pensa nemmeno per un attimo a fare la cosa che andrebbe fatta sempre e subito cominciando discussioni o articoli su questi temi: dire che la “teoria del gender” non esiste, è un’invenzione fatta per motivi politici e propaganistici che ha autori precisi e noti come i suoi scopi – oppure dire che quella cattolica è una delle tante possibili gender ideology, e che la Chiesa la difende strenuamente spacciandola per verità naturale. Invece usa allegramente quell’espressione come fosse il solito sinonimo spendibile tranquillamente, e poi pensa bene di divulgare cose sostenendo che
C’è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della mascolinità, cercando di mostrare che è da bambini che si introiettano modelli e comportamenti […] (si pensi alle ricerche di Nicole-Claude Mathieu, di Françoise Collin e di Luce Irigaray)
le quali sarebbero le prime a sorprendersi di vedersi attribuiti quegli argomenti. Marzano procede poi nominando un tale Jonathan Katz che è o un comico o il director of the Maryland Cybersecurity Center at the University of Maryland. Probabilmente si voleva riferire a Jackson Katz – ma chi volete che lo conosca, in Italia? Appunto: nessuno e pochi altri. Dopo queste altre approssimazioni, la conclusione è che
Si capisce quindi bene come non esista una, e una sola, “ideologia gender” ma un insieme eterogeneo di posizioni. Alcune più radicali, altre meno. Alcune talvolta eccessive, come certe posizioni queer di Teresa de Lauretis.
Grazie Marzano! Finalmente abbiamo detto non che l’ideologia gender non esiste, pensando al pubblico italiano, ma anzi che ce ne sono tante, pensando a tutto il resto del mondo; e qual è quella eccessiva? Quella delle gerarchie cattoliche, attive fin dagli anni ’90 nella loro propaganda anti LGBTQ? No! L’eccessiva è quella «queer di Teresa de Lauretis» – eccessiva solo per Marzano ovviamente, e non ci viene detto perché, anche se è facile intuirlo dalla citazione evangelica che chiude il pezzo.
Infine il 23, last but not least, arriva Paolo Ercolani (ve lo ricordate? E’ quello che l’otto marzo ha scritto alle donne di «restare donne», annunciando un suo libro in proposito). Il nostro pensa bene, o lui o chi gli fa i titoli, di lanciare un richiamo alla Antonelli appena morta tra i commenti sessisti di moltissimi, chiamando il pezzo “Sesso matto”. I primi complimenti sono per questa scelta di gran gusto. Poi anche lui si lancia a criticare Fusaro, cosa poi non tanto difficile, proprio sulle fonti, sui tanto venerati maestri che i due hanno in comune. Cioè, sulla questione “famiglia” Ercolani pensa bene di difendere Hegel, così:
Nel caso di Hegel la famiglia deve essere superata da una «società civile» in cui si eserciti la piena libertà individuale, nonché da uno Stato che non si lascia regolare da dogmi ideologici e men che mai religiosi nell’esecuzione del proprio governo e nella promulgazione delle leggi.
La citazione riportata più sopra spiega bene chi sono per Hegel i membri della società civile: solo gli uomini e le donne no. Aggiungiamo un’altra citazione hegeliana che spiega il perché le donne non possono essere cittadine come gli uomini:
Le donne possono, certamente, esser colte, ma non sono fatte per le scienze più elevate, per la filosofia e per certe produzioni dell’arte, che esigono un universale. Le donne possono avere delle trovate, gusto, delicatezza; ma non hanno l’ideale. La differenza tra uomo e donna è quella dell’animale e della pianta; l’animale corrisponde più al carattere dell’uomo, la pianta più a quello della donna; poiché essa è più uno svolgimento quieto, che mantiene a suo principio l’unione indeterminata del sentimento. (Lineamenti di filosofia del diritto)
Tutto ribadito abbondantemente anche nella Fenomenologia dello spirito, come vedremo. Niente male eh? Difendere la famiglia in Hegel contro Fusaro è davvero un’idea geniale. Bravo Ercolani. Il quale poi passa a difendere il caro Marx:
Ma è lo stesso Marx che considerava la «famiglia» come un elemento fondativo di quello stesso sistema capitalistico, tanto da definirla un microcosmo in cui si replicavano gli stessi rapporti di forza e di sfruttamento (a danno della donna) tipici del macrocosmo della società capitalista.
dimenticandosi – lui e per un bel po’ un sacco di pensatori sedicenti marxisti – che due cosette in proposito le aveva scritte anche Engels, che non ci crederete ma era capace di scrivere anche senza l’amico Karl. E scriveva roba così, in un testo intitolato, guarda caso, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato:
Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l’unità economica della società. L’amministrazione domestica privata si trasforma in un’industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse; la società ha cura in egual modo di tutti i fanciulli, legittimi e illegittimi. E con ciò cade la preoccupazione delle “conseguenze”, la quale oggi costituisce il motivo sociale essenziale – sia morale che economico – che impedisce ad una fanciulla di abbandonarsi senza riserve all’uomo amato.
Niente male per un testo del 1884, no? E tenendo conto che lui lo aveva già scritto nei Principi del comunismo (1847), e che ovviamente «Aboliamo la famiglia!» era già nel Manifesto – no il giornale dove scrive Ercolani, quello vero del 1848. Peccato che non sia mai stata realizzata, ‘sta cosa, da nessuna rivoluzione; e peccato non esserselo ricordato, apparentemente, né Ercolani né Fusaro (e manco Marx, c’è da dire). Infatti si continua allegramente con cose tipo
I cittadini, ci insegnava quell’Hegel citato a sproposito da Fusaro, non possono essere riconosciuti, giudicati e quindi discriminati rispetto al loro essere peccatori agli occhi di una morale specifica.
Peccato essersi dimenticati pure che per Hegel “i cittadini” erano solo quelli di sesso maschile, perché le donne non ce la potevano proprio fare, poverine (oh, se non bastassero i passi citati, c’è la mitica Fenomenologia dello spirito, § A.a. “Il mondo etico, la legge umana e divina, l’uomo e la donna”, in particolare pagine 17 della traduzione di De Negri che trovate qui; l’argomentata critica di Carla Lonzi, invece, è qui). Mi sa che la morale specifica invece c’era, e c’è ancora – anche se gli si dà un nome in inglese.
Siccome così si divertono, i due continuano a duellare a colpi di letture di grandi maestri.
Allora, alla fine abbiamo, pescati a caso in una breve parentesi temporale: Citati, Ceronetti, Marzano, Fusaro, Ercolani. Più o meno titolati, più o meno noti, più o meno professori, critici, scrittori, poeti. Tutti con il loro spazio fisso sui giornali, tutti produttori di numerosi libri – evidentemente ben venduti, se no non glieli stamperebbero – tutti con un largo seguito di pubblico. E quasi tutti, ipocritamente, a parlare di un capitalismo brutto e cattivo. Tutti chiamati a parlare di questioni di genere, e tutti che dimostrano così di saperne solo ciò che gli fa comodo. Quasi nulla. E intanto giù a straparlare di uomini, donne, generi, famiglia, inquinando una cultura già di suo storicamente manchevole proprio di solide basi e capacità di aggiornarsi in questi cruciali argomenti sociali.
Per fortuna, altrove da queste e questi, qualcosa succede.