Finisce il 2013, inizia il 2014 e si sa: è tempo di calendari. Quello per la violenza sulle donne “va un casino quest’anno” (cit.). Oh, finalmente si spendono tempo, energie e risorse per mettere in casa di tante persone qualcosa che, per tutto l’anno, ricorderà un’emergenza sociale così importante come la violenza di genere. Ma come si fa a ricordare un tema tanto spinoso per tutto un anno? Vediamo qualche esempio, tra i tantissimi.
Bruno Oliviero fotografa Kyra Kole
Antonio Oddi fotografa Giorgia Giannandrea
“Il calendario delle studentesse” di Arakne Communication
Ecco come! Con la fica! D’altronde, si sa: i vecchi metodi sono sempre i migliori.
Divertitevi a cercare altri esempi. Le rappresentazioni, al di là delle parole di circostanza di tutti i professionisti interessati, sono del tutto aderenti ai consueti schemi visivi della fotografia di moda più conformista. Simboli e frasi svuotate di senso, patinature, trucchi ed effetti stancanti, pose e scatti già visti migliaia di volte. In tutti i casi, corpi di donna nelle posizioni e negli abiti preferiti dal machismo pornocommerciale: intimo variopinto, qualche sguardo torvo, strappi e tagli, aderenze, magrezze, frasi a effetto, sorrisi di purezza sotto il fard.
Il motivo di tutto questo è ormai noto, a chi si occupa di questioni di genere: la violenza sulle donne è un brand, e se ne sono accorti tutti, grandi aziende e piccole realtà, fotografi noti e “creativi” in cerca di visibilità. “There is nothing more alluring than a dead girl“, e il risultato lo vedete in quei tre esempi: parole ricopiate e messe in bocca – o sulla foto – senza alcuna cognizione di causa, tanto per decorare la solita posa softpornomainstream che placa la coscienza – e gonfia i corpi cavernosi – del maschio che assiste. A posto così.
A questa meravigliosa convergenza estetica tra softporno commerciale, ipocrisia politica, incoscienza sociale, ignoranza crassa viene dato il nome di “per la violenza sulle donne”; ed è dovuta, ovviamente, al gioco al ribasso tipico del marketing spietato. L’argomento trendy fa abbassare il prezzo e raccoglie i volontari, ed ecco che tutti fanno a gara per intitolare il loro (solito) spaccio di carne umana in lingerie alla “violenza sulle donne”. E’ il prezzo basso a decidere vicinanze ed equivalenze, passando sopra alle più evidenti assurdità.
La tristezza di queste operazioni commerciali è aumentata dal fatto che nessuno dei poteri in gioco viene minimamente messo in questione; in fondo è l’etimologia a ricordarci quel legame originario tra donne, sesso, denaro e potere (il potere di chi l’ha inventato, questo legame) che ormai si esprime nella vita politica, sociale e nel linguaggio di gran parte della nostra bella società. Pensare che la pornografia commerciale sia fatta solo di cazzo, fica, urla finte e grugniti macho è ormai davvero riduttivo, quando non difensivo e forse nostalgico di una felice era dell’incoscienza maschile. E purtroppo oggetti come questi calendari moralizzano ancora di più l’immaginario, evitando, tra le altre cose, di impegnarsi a stravolgere quel porno commerciale che ne avrebbe tanto bisogno.
Invece non c’è alcuna necessità di nascondere questo sfacciato potere maschilista e il suo continuo desiderio di macinare immagini e rappresentazioni di corpi femminili: fa vendere, quindi ben venga. E’ lavoro, occupazione, reddito, visibilità, di che vi lamentate? Zitti tutti e tutte, zerbini e femministe: è il mercato, baby. E il mercato lo sa bene cosa serve per vendere; fatelo il giochino online “Fashion or Porn“, è molto istruttivo. Attenzione, potreste vedere del sesso, mica come nelle immagini dei calendari degli esempi qui sopra. Quelle sono “per la violenza sulle donne”.
Rubo a feminoska:
Questi calendari sono normativi per i corpi, eterodiretti, il ‘mondo donna’ (così viene chiamato da molti addetti ai lavori) fa tendenza, per questo i soliti misogini e misogine lo sfruttano, utilizzando claim che reputano di richiamo, svuotandoli di contenuto, e legandoli al solito bieco sfruttamento dell’immagine femminile eteronormata e machopornizzata. L’operazione è scrivere nuove parole d’ordine sullo stesso vecchio immaginario, ed è fatto in maniera talmente idiota che non ci si chiede nemmeno quali siano le nuove parole d’ordine.
Altre parole, altre immagini e altre fantasie ci sono, eh. Basterebbe informarsi, non farsi prendere in giro e smettere di dare ragione a chi fa soldi speculando sull’immaginario sessista.