Ipocrisia alta a Venezia – Deconstructing Brugnaro

sidivertono La vicenda dei libri per bambini e del sindaco di Venezia immagino che la sappiate già:

«L’avevo promesso in campagna elettorale e l’ho fatto», ha spiegato Brugnaro, «ho dato ordine agli uffici che vengano ritirati tutti i libri con genitore 1 e genitore 2 dalle scuole, ma non dalle biblioteche, dove c’è libertà di scelta». Per Brugnaro sono «i genitori a doversi occupare di educare i figli su queste cose, non la scuola. Noi non vogliamo discriminare i bambini, a casa i genitori possono farsi chiamare papà 1 e papà 2 ma io devo pensare a quella maggioranza di famiglie dove ci sono una mamma e un papà».

Queste le alate parole del sindaco. Nei fatti è andata ancora peggio, perché la lista dei libri ritirati è parecchio grande.

Non staremo a fermarci troppo sulla figura del sindaco, che come tutti quelli che dicono di essere né di destra né di sinistra, nei fatti è di destra. Non ci soffermeremo sulla totale incompetenza in merito di chi decide una cosa del genere – non è solo lui, immagino i fior di professionisti della formazione interrogati in proposito – né sulla banale osservazione che tutto ciò s’inserisce perfettamente nel quadro della propaganda cattolica contro la sua stessa invenzione, la teoria del gender. Ci faremo invece due risate amare sul comunicato che il sindaco ha voluto fare “in risposta” alle polemiche sollevate dalla sua decisione. Ecco il link e il testo.

http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/84108

Denunciamo la polemica inerente quelli che sono stati definiti i libri sulla teoria gender. Ne è nata una speculazione culturale che non ci intimorisce.

Ah, la speculazione culturale la farebbe chi protesta, e non chi ritira i libri dalle scuole? Per rispondere alla domanda “cos’è una speculazione culturale” basterebbe andare a vedere chi li ha definiti libri sulla teoria gender. Libri scelti poi, si suppone, da professionisti dell’insegnamento: i quali vengono così deliberatamente accusati di non saper fare il loro lavoro. Ma sì, tanto agli insegnanti in Italia si può fare tutto, chissenefrega: c’hanno tre mesi di vacanza all’anno, ci manca pure che possano capire qualcosa. E poi il sindaco non si fa intimorire – notate come lui, come tutti i sostenitori della fuffa gender, si pone subito dalla parte di chi subisce qualcosa, di chi si deve difendere, di chi tutela una libertà violata. Quale? Non si sa.

Non potendo avere una visione completa ed esaustiva della questione, si è preferito ritirare tutti i libri distribuiti dalla precedente Amministrazione in modo da poter verificare serenamente e con piena cognizione di causa quali siano, e soprattutto quali non siano, adatti a bambini in età prescolare.

Il sindaco ammette che né lui né la sua amministrazione sono in grado di avere una visione completa ed esaustiva della questione, quindi invece di fidarsi della professionalità altrui – chi ha scelto i libri – li ritirano tutti e via così. Non sappiamo quali medicine fanno davvero bene e quali male, chiudiamo le farmacie. Non sappiamo quale cibo sia più o meno avvelenato da porcherie chimiche, quindi chiudiamo i supermercati. Queste sono assurdità, mentre ritirare i libri no. Chi è che farebbe, allora, una speculazione culturale? E poi, oh: solo quelli distribuiti dalla precedente amministrazione. Questa non sarebbe, invece, una speculazione politica? Allora perché non tutti? Cosa assicura che due amministrazioni fa i libri distribuiti non parlino di zozzerie che fanno piangere Gesù?

Il vizio di fondo è stata l’arroganza culturale con cui una visione personalistica della società è stata introdotta nei nidi e nelle scuole per l’infanzia unilateralmente, in forma scritta e senza chiedere niente a nessuno, in particolar modo alle famiglie.

Notate la scelta lessicale: vizio. Non errore, né sbaglio, né abuso: vizio. Cosa ricorda in un paese cattolico la parola vizio? Il vizio sarebbe stato introdurre ai bambini discorsi sulla diversità, che notoriamente è una visione personalistica della società. Quindi secondo Brugnaro più difendo la diversità di genere più sono egoista. Ma sì, contraddiciamoci pure, chi vuoi che se ne accorga? Io non sono né di destra né di sinistra e ho vinto le elezioni, quindi IO posso fare le cose senza chiedere niente a nessuno. Qualcuno ha idea della burocrazia necessaria a far adottare un libro a scuola? Di questa decisione ne devono essere a conoscenza un esercito di persone e c’è da imbrattare un sacco di carta. Invece secondo il sindaco ci sono egoisti in paillettes e boa di piume che entrano nottetempo negli asili a piazzare libri peccaminosi all’insaputa dei genitori – tra l’altro, se fosse così, come avrebbe potuto il sindaco produrre una lista tanto precisa? Evidentemente, la cosa era nota e approvata da tempo dall’amministrazione, e quei libri erano nelle scuole da un pezzo. Perché adesso è un problema e prima no?  Dov’erano i genitori all’insaputa, prima?

I genitori dei piccoli devono, invece, avere voce in capitolo su aspetti determinanti che riguardano l’educazione dei loro figli e non esserne aprioristicamente esclusi.

Aprioristicamente esclusi? Ma questo non è il paese dove per far venire i genitori alle riunioni non si sa più che inventarsi? Questo non è il paese dove fare il rappresentante di classe è considerato una rottura di scatole seconda solo a una ispezione di Equitalia? Questo non è il paese dove i genitori temono come la peste i messaggi del gruppo Wazzup con gli altri genitori di classe e la maestra, per paura che ci sia un lavoro da fare o qualche euro da dare per i servizi primari della scuola? Questo sarebbe il paese che esclude i genitori dalla vita della scuola?

E’ quindi nostra intenzione esaminare con cura e obiettività i testi, non distribuendo quelli inopportuni per i più piccoli, che pure restano liberamente consultabili da parte degli adulti nelle biblioteche.

E chi li esaminerebbe? Con quali criteri smentire la distribuzione già fatta? Inopportuni perché, dato che rimangono nelle biblioteche? E perché consultabili da parte degli adulti, dato che sono libri per bambini e anche loro vanno in biblioteca? Ma qualcuno che ha una minima preparazione in queste questioni lo ha riletto questo comunicato?

Molti libri, che trattano i temi legati alla discriminazione fisica, religiosa e razziale, sono notoriamente straordinari e verranno certamente ridistribuiti, come ad esempio le opere di Leo Lionni “Piccolo blu e piccolo giallo” e “Guizzino”. Le riserve riguardano, invece, alcuni testi come “Piccolo uovo” di Francesca Pardi o “Jean a deux mamans” di Ophelie Texier.

Sì, qualcuno che ci capisce lo ha letto, evidentemente, dato che alcuni nomi sembrerebbero esclusi – anche se per ora sono ritirati come tutti gli altri, la cui pericolosità è stata ben individuata. Allora i criteri li hai o no? Perché dire ancora che c’è da valutare? La lista l’hai fatta, sindaco, ormai quelli li ho buttati! Adesso mi dici che qualcuno invece andava bene? Attenzione: vanno bene quelli che trattano i temi legati alla discriminazione fisica, religiosa e razziale. Della discriminazione sessuale, del sessismo, del maschilismo, dei diritti LGBTQI, non si deve far sapere niente soprattutto ai bambini. E’ su questo che genitori e sindaco sono all’erta. Solo su questo.

Sarà un lavoro di analisi fatto con cura e attenzione, anche approfittando del periodo estivo e delle vacanze scolastiche, valutando quali siano le persone più adatte a questa selezione ed evitando, così, ulteriori diatribe e strumentalizzazioni di un argomento che, ad oggi, ha fatto anche troppo parlare di sé.

Facciamo le cose d’estate, che nessuno ne ne accorge, e poi di questo argomento si è anche parlato troppo – però che politica nuova che fa il sindaco della lista civica, davvero un rivoluzionario. Come farebbe poi una amministrazione che sulla lista dei libri da ritirare ci ripensa in pochi giorni a saper valutare quali siano le persone più adatte rimane un mistero. Ma mica tanto misterioso: basterà scegliere tra genitori all’insaputa e dottissimi sostenitori della fuffa gender. Non vedo l’ora di sapere. Intanto gira tra estremisti cattolici e cattolici in divisa questo simpatico modulo da usare per il prossimo anno scolastico:

DichiarazioneGender

Questo lo firmeranno quei genitori che per riparare il loro impianto idraulico esigono professionalità; per la loro salute esigono trasparenza; per la gestione dei loro risparmi esigono trasparenza e convenienza; per i loro acquisti esigono la qualità e il risparmio. Per decidere dell’istruzione dei loro figli no, bastano loro.

Complimenti.

Deconstructing ProVita

sir-john-cc-LGBT-History-monthDi quello che sta combinando ProVita, sedicente iniziativa che “vuole promuovere i valori della Vita, dal concepimento fino alla morte naturale, e della Famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna” (il link ve lo trovate, hanno fin troppa pubblicità) hanno scritto benissimo su Narrazioni Differenti. Per quanto riguarda la propaganda dell’invenzione chiamata “teoria del gender”, ho scritto già a lungo qui.

Dunque, che altro dire di fronte a questo incredibile spot, nato per combattere qualche cosa che non esiste? Ci vengono in aiuto gli stessi di ProVita, che del loro video scrivono quanto segue. Divertiamoci con loro e con altri. Vi chiedo la pazienza di cliccare su ogni link proposto, ricordandovi che sono solo alcuni degli esempi che è possibile scegliere in rete.

Il video di ProVita sul gender impazza sul web

Il breve e incisivo spot, creato da ProVita per sensibilizzare sul problema del gender nelle scuole e diffondere la petizione sull’educazione sessuale e affettiva, diventa virale e in poco più di 24 ore raggiunge le 300 mila visualizzazioni e oltre 2000 condivisioni. [Si comincia con un po’ di empowerment. I numeri dicono una cosa chiara: noi ce l’abbiamo grosso. La retorica è quella.]

Naturalmente ciò non poteva che far infuriare il mondo LGBT che ha scatenato un attacco su vasta scala, dimostrando così che alla teoria gender ci tiene per davvero. [Il mondo LGBT, notoriamente compatto e con una struttura decisionale solida e unita, dimostra che la teoria del gender esiste perché reagisce a una mera invenzione calunniatoria. A ProVita piacerebbe molto che non si rispondesse niente, lasciando il campo libero a loro; invece esistono questi brutti ceffi organizzatissimi che rispondono pure.] Il video, anche grazie ai duri attacchi di cui è stato oggetto, ha avuto una risonanza enorme e ha ottenuto il suo scopo: far parlare del problema del gender nelle scuole, aprire gli occhi ad alcuni, stimolare il dibattito. [Nelle scuole non si parla del problema del gender, perché il problema del gender non esiste. Si parla da parecchio di educazione sessuale; adesso che la si sta unendo intersezionalmente alla lotta all’omofobia e al bullismo, allora SOLO ADESSO ProVita e simili passano – loro – all’offensiva. Hanno capito che sotto silenzio non si può più far passare niente, quindi provano a fare la parte delle vittime. Adinolfi, Miriano e sentinelle fanno lo stesso.] Non possiamo che ringraziare i nostri “oppositori” per tutta la visibilità e l’attenzione che ci stanno dando. [Vero: ci contavano, ed è arrivata. Solo, non la chiamerei attenzione, userei una parola più marrone.] Gayburg parla di “spot omofobo” e di “istigazione all’odio” omofobico: l’accusa è un po’ ridicola ma non ci sorprende per nulla visto che, come abbiamo recentemente spiegato, quasi tutto può essere considerato “omofobia”. [Tattica numero uno: chi ci dà contro esagera, non è possibile che tutto quello che diciamo sia omofobia. Qualcosa, anche per sbaglio, sarà giusto, no? Proprio il tipico atteggiamento di chi sa di avere ragione… il loro sito si trova facilmente, andate e vedete.] Gay.it ci accusa di “terrorizzare i genitori” [Vero: andate a rileggervi il famigerato decalogo. Articolo sei: “Date l’allarme!”], di scagliarci contro l’”inesistente teoria del gender” (ma allora, se ci battiamo contro qualcosa che non esiste, perché alcuni gruppi si sentono così chiamati in causa e offesi?) [Capito la finezza? Se la comunità LGBT reagisce alle calunnie, per esempio “insegnate ai bambini a essere gay”, allora la “teoria del gender” esiste. Se io dico che sei un ladro e un truffatore e tu reagisci, allora è vero. Complimenti per il vostro concetto di “accusa fondata”.], di promuovere una “campagna di disinformazione” [come vuoi chiamare uno spot nel quale sono messe in bocca a serie organizzazioni educative frasi che non ha mai detto nessuno? Infatti, per farle dire, ProVita ha dovuto usarle lei. Volantini, pubblicazioni, registrazioni fatte con quelle parole da parte di questi “educatori al gender” non ne esistono. Ovviamente.], ecc.

L‘Espresso parla di “lavaggio del cervello” e fa un po’ di confusione riferendo tutte le immagini forti del video ai “gay” (la normalizzazione della transessualità e di identità di genere “indefinite” è cosa ben diversa). [Altro vecchio trucco retorico: prima generalizzo io, e quando mi si risponde con analoghe generalizzazioni allora entro nello specifico e dò dell’ignorante a chi mi contesta.] Altri gruppi LGBT hanno pensato di chiedere a Facebook di togliere il video per “oscenità/nudità”, in riferimento ad una immagine in cui, per una frazione di secondo, si vede un uomo, di schiena, “nudo”. [Com’è noto a chi usa Facebook, tutto ciò è indimostrabile oggettivamente proprio per la politica di FB.] Per fortuna, Facebook non ha ritenuto valide le segnalazioni e il video rimane. Ma il fatto è quantomeno paradossale: l’immagine infatti, a parere nostro, mostra effettivamente una cosa oscena. [Fate pace col cervello, e non scaricate agli altri le vostre evidenti contraddizioni.] Peccato che la maggior parte delle immagini (tra cui quella dell’uomo “nudo”) siano state prese da un “gay pride” piuttosto importante. [Le immagini di un gay pride prese a esempio di quello che si direbbe a scuola. Se non è la costruzione di una calunnia questa, cosa lo è?] Questo per soddisfare la curiosità di chi accenna ad immagini prese “chissà dove”. Insomma gli LGBT permettono le “oscenità” nelle loro parate, [non le permettono affatto: sono libertà, è ben diverso] ma poi si lamentano accusando di “oscenità” chi osa mostrare cosa succede durante i gay pride. [Sì, se lo si mostra per definire ciò che verrebbe detto nelle scuole. Si chiama, appunto, calunnia.] Quanto all’immagine di “bambini che inseriscono profilattici su paletti di legno”, anche questa non ce la siamo inventati: si tratta di una lezione di educazione sessuale in un “civilissimo” paese europeo. [Mai svolta da nessuno, in Italia, né presente nei programmi di nessuna associazione che lavora con i bambini. Quindi? Questo non è terrorizzare le famiglie?]280px-Rainbow_Dash

La rabbia arcobaleno [vi dirò, questa espressione non mi dispiace, mi fa pensare a Rainbow Dash] è però andata oltre, non accontentandosi di esprimere accuse infondate: [ovviamente, quelle infondate sono quelle dell’avversario] il nostro sito è stato oggetto di continui e ripetuti attacchi di hacker (non è la prima volta) che hanno cercato di mettere in ginocchio i nostri sistemi informatici. [I famosi hacker LGBT, che invece del mouse usano joystick fallici e hanno le tastiere in pelle nera.] Questo non può che stimolarci a andare avanti, per la Vita, per la famiglia e per i bambini! Intanto le visualizzazioni continuano ad aumentare rapidamente, essendo ormai più di 350 mila le persone raggiunte, [cinquantamila si sono aggiunti mentre avete letto: che siano tutti hacker?] così come crescono velocemente le sottoscrizioni alla nostra petizione contro la teoria gender nelle scuole. Un successo insomma, grazie anche ai nostri amici LGBT.

Ecco, così “se la cantano e se la suonano”. Ed evidentemente fanno bene, se poi certa gente riempie i cinema di folle acclamanti, mentre chi lavora seriamente come Scosse no. Ma l’ideologia al potere sarebbe quella LGBT. Ricordiamoci che stiamo parlando di persone così abituate a inventare cose che non si accorgono di chi gli propina statistiche fantasiose per prenderli in giro, e ad esempio ritwitta tutto senza controllarne la coerenza (qui sotto una bufala suggerita da due mie amiche su twitter e che loro si sono bevuta senza battere ciglio):

Lola_ProVita

E’ gente che pur di mettersi in una posizione politica inattaccabile, è pronta a sostenere – approfittando di un generale clima di “contestazione” – che è lo stato a voler propagandare la teoria che loro stessi si sono inventati, perciò ad esempio invitano insegnanti a un convegno di chiaro stampo omofobo. Omofobia che viene fomentata anche spiegando il “corretto” uso del lessico e imponendo la lettura di alcuni messaggi e discorsi in chiave omofoba, come se il variegato e spesso inconciliabile mondo non eterosessuale avesse ordito un complotto linguistico organizzato su tutti i media mondiali.

E tutto questo concerto di fuffa sarebbe ciò che è “naturale”.
E lasciare chiunque libero di decidere del suo corpo, invece, no.

Una risata li seppellirà.

Deconstructing il Queer Bilderberg

muccassassina_672-458_resizeEbbene sì: c’è in atto un complotto internazionale che vuole il mondo abitato da poche persone che non si riproducono e che sono facilmente influenzabili soprattutto nei loro costumi sessuali. Vi lascerà stupiti tutto ciò, eppure è così, ci dicono: è in atto una Rivoluzione sessuale globale e noi siamo ancora qui, seduti davanti a un gelido schermo luminoso invece di copulare a volontà con partners neanche mai lontanamente immaginati. Che imbecilli.

Prima di addentrarci nell’esame del testo rivelatore di questo nefando disegno internazionale, che ci vuole tutti sterili e insensatamente dissoluti, una piccola nota e una raccomandazione squisitamente filosofiche – perdonatemi per qualche riga, poi capirete perché.

Nota: Ratzinger soprattutto ha sostenuto praticamente un giorno sì e l’altro pure della sua carriera anche precedente il soglio papale qual è il male del secolo, ovverosia: altro che AIDS, cancro e guerre sostenute dal capitalismo, ciò che fa tanto male al genere umano è il dispregio di ogni verità assoluta – tipo diopadre, Cristo e altre di queste cose. Il relativismo (questo è il nome del male supremo tra i supremi) è quell’atteggiamento filosofico – non è una dottrina, o si contraddirebbe – che ritiene inesistenti le verità assolute, oppure che non siano conoscibili o esprimibili, o che comunque lo possono essere solo in parte, cioè relativamente a circostanze storiche. A questo modo di intendere e interpretare il rapporto dell’uomo col mondo la chiesa cattolica – ma non solo lei – si oppone, sostenendo ovviamente che invece gli assoluti esistono (sarebbero quelli che dice lei) e dimenticandosi a bella posta che essa stessa è nata in un particolare periodo storico, e che tantissima altra umanità, altrove, ne fa a meno senza farsi problemi.
Raccomandazione: non credete a nulla di quello che “si dice” su Nietzsche. Vi prego.

Ma adesso addentriamoci nel complotto più relativista di tutti.

Rivoluzione sessuale globale

di Antonio Malo (Professore Ordinario di Antropologia nella Pontificia Università della Santa Croce) [Capito? Mica pizza e fichi – qui una spiegazione per gli esterni al G.R.A.]

L’autrice del libro La rivoluzione sessuale globale (Die globale sexuelle Revolution), la sociologa e pubblicista tedesca Gabriele Kuby, è una delle poche voci che con autorità riconosciuta si levano per criticare il relativismo occidentale odierno. [Eccoci qui; la nostra eroina Gabriele, nota al mondo per accusare di relativismo nientepopodimenoche Harry Potter, ha davvero una storia personale interessante e per niente relativista, no no.] A lei si deve, ad esempio, che il ministro federale della famiglia in Germania, Ursula von der Leyen, sia stata obbligata a togliere dalla circolazione il libro di educazione sessuale Corpo, amore, il gioco del dottore, in cui fra altre aberrazioni si invita ai genitori a giocare sessualmente con i loro bambini. [Non voglio mettere link appositamente: se anche voi credete davvero che in Germania sia stata mai autorizzata la stampa e la vendita di un libro di educazione sessuale apertamente pedofilo, siete nel blog sbagliato.]

Il saggio di cui mi occupo riprende alcuni temi di due delle sue opere precedenti [scusate il prof. Malo per il suo italiano, è molto emozionato]: Gender Revolution. Il relativismo in azione (Cantagalli 2008) e Statalizzazione dell’educazione. Sulla via per diventare uomini nuovi (2007). Adesso però la sua denuncia acquista una portata universale. [Prima ce l’aveva solo con Harry Potter, che infatti è noto solo nel suo paese, no?] Da qui il titolo del libro La rivoluzione sessuale globale; una rivoluzione che, come indica il sottotitolo (Distruzione della libertà nel nome della libertà), pretende di cambiare radicalmente le persone e la società facendo leva su una volontà di potenza, di chiara ispirazione nietzschiana. [Notate che non s’è capito né di che rivoluzione si tratti, né cosa c’entra la libertà e soprattutto perché ci deve andare di mezzo sempre il povero Federico.] A partire da questa chiave interpretativa [quale? E soprattutto, chiave interpretativa di che cosa?], Kuby riesce a raccontare la storia, i metodi e le conseguenze di un’agenda globale potentissima [la storia di un’agenda globale, ditemi che ho letto male, vi prego] che cerca di modificare le costituzioni dei paesi, le istituzioni educative e le consuetudini dei cittadini [oh mamma, la SP.E.C.T.R.E.!] con un solo scopo: la costruzione di una società globale in cui le persone siano poche e completamente manipolabili. [Ricapitoliamo: un professore ordinario di antropologia ci dice che trova importante il saggio di una sociologa che prima ha scritto contro le posizioni relativiste sostenute dalla saga di Harry Potter, poi adesso ha individuato un complotto internazionale per decimare la popolazione del globo e renderla idiota. E secondo loro ancora dovremmo starli a sentire.]

A qualcuno potrebbe venire in mente il pensiero: “Ecco, un altro libro sui complotti”. [Antò, guarda, a questo punto di pensieri me ne sono venuti già di ben peggiori.] Basta, però, guardare alla quantità di documenti analizzati, ai fatti e alle statistiche raccolte per capire di trovarci di fronte a un libro rigoroso e oggettivo. [Documenti, fatti e statistiche che qui non vengono citati manco di striscio, purtroppo. Si va a fiducia, che com’è noto non è affatto relativa.] Nonostante la mole di materiale, la lettura del libro, lungi dall’essere noiosa, diventa pagina dopo pagina piena di suspense e di rivelazioni sorprendenti. [Ah, noioso il libro non lo è di sicuro: già solo questa recensione mi sta facendo schiattare dalle risate!] Il lettore viene informato del retroscena, i mezzi e la ragnatela di organizzazioni governative e non governative implicate nella messa in pratica di questa agenda globale. [Che culo, eh? Noi sappiamo tutto – grazie Kuby! – mentre il mondo, ancora ignaro, vive tranquillo.] Nel contempo gli si offrono le categorie antropologiche e sociologiche necessarie perché questi possa fare le valutazioni pertinenti con cui prendere decisioni.[Non bastavano documenti, fatti e statistiche, c’è anche un compendio di antropologia e sociologia che permette a tutti di raggiungere il grado di preparazione necessario a fare le valutazioni pertinenti – senza, le vostre valutazioni non sarebbero pertinenti, eh – e anche a prendere decisioni. Tipo buttare via il libro, per esempio.]

Nella prima parte del libro (capitoli 1-4), l’autrice presenta brevemente l’origine storica dell’attuale rivoluzione sessuale. [NO! Ce la siamo persa! Ecco, succede una cosa interessante e tocca venirla a sapere da un libro di una in odore di beatificazione. Però la rivoluzione sessuale è attuale, se ci diamo una mossa forse facciamo in tempo per l’afterhour.] Dopo aver segnalato la rivoluzione francese come punto di inizio storico della lotta per raggiungere l’uguaglianza, indica il movimento femminista del 68 come tappa precedente all’ideologia di genere, [FERMI TUTTI, un momento. A casa mia, 1968 meno 1789 fa 179 anni. Non è successo niente, in questi quasi due secoli? E poi, che sarebbe l’ideologia di genere? Ah, già, ne abbiamo parlato qui.] secondo cui l’umanità non è fatta di uomini e donne, bensì di un’informe massa di uguali [EH?] che hanno il diritto di costruirsi la propria identità sessuale. [Scusi la critica, prof. Malo, ma la vedo parecchio confusa nel muoversi tra i concetti di sesso e genere. Senza offesa, eh.] Il filo rosso che collega il ‘68 e l’ideologia di genere è, secondo l’autrice, il maltusianismo, cioè il tentativo di diminuire la popolazione mondiale, soprattutto i poveri di Occidente e dei paesi in via di sviluppo. [Premesso che quello cui si riferisce Malo è il neomaltusianismo, non si capisce come questa teoria sia collegata alle questioni di genere: la teoria dice che dovremmo controllare le nascite, non che l’eterosessualità deve scomparire dalla faccia della terra. Questo, casomai, è roba di Kuby.] Da questo punto di vista sono molto interessanti i ritratti intellettuali di alcune figure di spicco, come Margret Sanger, Alexandra Kollonti, Wilhelm Reich, Eddie Bernays, Simone de Beauvoir, John Money, Judith Butler, ecc. [Sì, sono interessanti, ma non hai detto che cosa c’entrano e perché. Poteva essere pure la formazione dello Stade de Reims del ’59.] L’impulso globale della rivoluzione sessuale non procede, però, solo dalle idee, ma soprattutto dalle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite (Pechino, Il Cairo, ecc.) con cui si è tentato di decostruire i diritti umani, la sessualità, la famiglia.[Quindi l’ONU fa parte di – o forse è, sotto mentite spoglie – la SP.E.C.T.R.E.: sono loro che decostruiscono i diritti umani, la sessualità, la famiglia. Cose delle quali, malgrado ci fossero apposite conferenze internazionali pubbliche, s’è accorta solo la Kuby.] Da lì sono partiti alcuni degli slogan che hanno fatto il giro del mondo, come l’aborto è un diritto della donna, il “genere” non va imposto ma scelto. [Ah, ecco, questi sarebbero slogan. E il relativista sarei io.] Nonostante i secoli trascorsi, i metodi della rivoluzione sessuale globale sono gli stessi della vecchia rivoluzione francese: il terrore. [EH? COSA? Il terrore? L’ONU sta imponendo al mondo di cambiare genere sessuale con il terrore? Antò, sei proprio sicuro? Non è che ti sei entusiasmato un po’ troppo?] Oggi, però, la ghigliottina non taglia le teste degli oppositori, ma “solo” il posto di lavoro, la carriera accademica o politica. [Quindi chi si oppone alla rivoluzione sessuale globale viene licenziato, perde il posto, il prestigio sociale e il suo peso politico? MA MAGARI!!! A quest’ora Vladimir Luxuria sarebbe segretaria generale della NATO!]

Nella seconda parte (capitoli 5-10), Kuby continua la sua analisi degli organismi e dei documenti con cui si tenta di introdurre l’ideologia di genere. Fra questi ultimi concede particolare valore ai 29 principi di Yogiakarta, che furono formulati nel 2007 da un gruppo di “famosi esperti” senza autorizzazione né legittimazione in un incontro privato nella capitale indonesiana. [Stiamo parlando di questo segretissimo e inquietante documento che qui vi presentiamo in esclusiva galattica.] Nel marzo dello stesso anno, questi principi furono presentati all’opinione pubblica nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. [Neanche Totò sarebbe riuscito a mistificare le cose come sta facendo Malo.] L’Unione Europea li accolse subito e incominciò a imporli alle istituzioni, ospedali, tribunali… e anche agli asili e alle scuole. [Incominciò a imporli! E da noi quando arrivano?No, perché siamo stufi di vedere ambienti LGBTQI ovunque tranne che in Italia, eh?] Perché, come spiega l’autrice in un altro capitolo, per distruggere il fondamento della famiglia si deve minare l’unione eterosessuale, [che bella novità cattolica, meno male che lo spiega l’autrice] il che non è facile fra adulti nella stragrande maggioranza eterosessuali. [E certo, adesso ad avere un problema di resistenza al sistema sono gli eterosessuali, vero?] Invece i bambini e gli adolescenti possono essere facilmente plasmati, soprattutto se chi occupa il ministero delle politiche familiari condivide quest’ideologia. [Infatti, com’è noto, i ministri delle politiche familiari sono i veri potenti nei governi, mica quelli degli Interni, degli Esteri o dell’Economia che invece non plasmano nessuno con le loro politiche, con la loro comunicazione.] Come documenta Kuby, sempre più spesso nella scuola e nel giardino d’infanzia i bambini vengono sessualizzati con giochi, fiabe, rappresentazioni teatrali. [Sì, ma di rosa e celeste, mica queer!] Essi vengono così derubati dell’innocenza tipica dell’infanzia. Si presenta ai bambini ogni sorta di pratica sessuale deviante come scelta equivalente incoraggiandoli a esperimentarla. [Ci siete ancora? Il professor Malo, supportato dai documenti, fatti e statistiche di Kuby, sostiene che i ministri delle politiche familiari presentano nelle scuole pubbliche ogni sorta di pratica sessuale deviante. E il relativista sono sempre io eh, loro stanno bene così.] Con ciò la loro personalità può subire cambiamenti irreversibili. [Invece Kuby sta a posto, dopo la conversione?] Inoltre, le istanze statali creano strutture per minare attraverso l’educazione sessuale generalizzata e obbligatoria a partire dalla scuola materna il diritto e l’autorità dei genitori. [Siamo allo Stato Queer contro i genitori eterosessuali. Come se Platone e Platinette si fossero coalizzati. Ma dove le prende Malo ‘ste fantasie? Che fumetti legge?] Nell’implementazione dell’ideologia di genere gioca anche un ruolo decisivo la violenza linguistica e la pornografia, definita dall’autrice la nuova piaga globale. [Nuova? La pornografia?] Mediante la creazione di neologismi come “gender”, la sostituzione di parole, come genitore A (padre) e genitore B (madre) e l’attacco al linguaggio non solo si corrompono le parole, ma si dà origine a “nuove realtà”, poiché — come hanno sempre pensato gli ideologi di ogni tempo – “non è la verità a farci liberi, ma la libertà a fare la verità”. [A parte che “gender” non è un neologismo ma casomai un prestito, l’ONU sarebbe anche la responsabile del nostro linguaggio ormai del tutto corrotto verso l’ideologia di genere? E come mai siamo ancora pieni di insulti, stereotipi e luoghi comuni sessisti, allora? E quella cretinata tra virgolette, chi l’avrebbe detta? Chi sono gli ideologi di ogni tempo? Non si sa. E’ un complotto, dopotutto, mica possiamo fare i nomi, bisogna fidarsi, senza relativismi.]

Nell’ultima parte del libro (capitoli 11-15), Kuby analizza le armi che il nuovo totalitarismo usa per combattere i ribelli: l’intolleranza e la discriminazione. [Notate il linguaggio militare, tipico dell’antropologia e della sociologia, si sa.] In questo modo l’autrice sottolinea il paradosso, già accennato nel sottotitolo, di cercar di togliere la libertà nel nome della libertà. [I diritti LGBTQI sarebbero un “togliere la libertà” agli eterosessuali. Certo, come no. Allora Rosa Parks voleva i bianchi tutti in piedi sull’autobus, ‘sta stronza.] Di fronte a questa dittatura relativista che strumentalizza la sessualità per imporre una nuova concezione della persona, l’autrice consiglia di formare la propria coscienza sulla scia della verità. [E indovinate quale verità? Ma quella non relativa, no? LA NOSTRA.] Come antidoto alle derive dell’ideologia di genere, propone di educare non alla sessualità, ma all’amore [aaaaaaah l’amooore / questo folle sentimento che / aaaaaaah l’amooore / più lo fuggo e più ritorna da meeee].

Come scrive Spaemann nella prefazione, [ma sì, buttiamo là un cognome] si deve ringraziare l’autrice per il coraggio di andare controcorrente [uh, guarda, un sacco controcorrente] offrendoci un saggio che illumina ciò che si nasconde sotto i cambiamenti linguistici, le mode pedagogiche e accademiche che ad un primo sguardo sembrerebbero solo una bizzarria, quando in realtà sono strumenti di una volontà di potenza [perdonalo, Federico, perdonalo] impegnata alla costruzione di una nuova umanità [e che è, l’Internazionale socialista?]. Penso perciò che questo libro meriterebbe di essere tradotto nelle principali lingue. [Eh, su questo l’ONU è in vantaggio, bisogna ammetterlo.] A questo scopo, mi permetto di dare due suggerimenti all’autrice. [Malo è partito per la tangente, adesso propone suggerimenti per migliorare il testo di Kuby, sai com’è tra eterosessuali, l’uomo comunque ha un po’ più di ragione rispetto alla donna.] In primo luogo, di rivedere i capitoli dell’ultima parte per darle più unità togliendo ripetizioni [eh eh, Kuby, ti sei ripetuta, eh? Forse Harry Potter, il tuo acerrimo nemico, t’ha fatto l’incantesimo dell’eco]; in secondo luogo, di distinguere fra almeno due tipi di femminismo [ecco, adesso ce lo dice Malo cos’è il femminismo]: quello che ha lottato e continua a farlo per il riconoscimento dei diritti politici e sociali delle donne, cioè per l’uguaglianza della donna come persona [brrr], e quello, invece, radicale, che scimmiotta una sessualità maschile degenere [scusi?] per la quale il sesso si riduce ad un uso della genitalità senza responsabilità. [“genitalità” invece non è un neologismo, no no, non è sostituzione di parole o attacco al linguaggio. E il relativista sono sempre io.] In questo modo apparirà con più chiarezza ciò che costituisce il genio femminile, la donazione, [donna = producifigli, questo sì che è femminismo!] la cui rivendicazione, lungi dall’essere un ostacolo all’amore, ne è la premessa.

Allora? Siete pronti per la rivoluzione sessuale globale? Mi raccomando portate l’amore, lasciate a casa il relativismo e attenzione all’ONU! Non fate tardi eh!

(Ringrazio Chiara per i documenti, i fatti e le statistiche 😀 )

Pride: piume sì, piume no?

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Frequenze Lesbiche è un giovanissimo blog (siamo quasi coetanee) nato in seno ad ArciLesbica con “l’obiettivo di creare uno spazio di condivisione politica, sociale e culturale dove possano dibattere tra loro voci diverse sui temi della comunità LGBTIQ”.

Riportiamo alcune interessanti riflessioni sul pride di una delle voci di questo blog, Carlotta, sul ricorrente dibattito sulla rappresentazione che questo evento deve dare della comunità LGBTIQ.

Buona lettura!

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PIUME O CRAVATTE? ECCO A VOI IL PRIDE

Tempo di Pride, tempo di polemiche. Come tutti gli anni inizia la solita sterile manfrina: piume sì, piume no, meglio la cravatta, la rispettabilità, la famiglia o meglio i lustrini, il divertimento e la poliaffettività?
Meglio l’autodeterminazione.

 

È frustrante leggere accorati appelli a un Pride sobrio, per una normalizzazione della parata, come questo (interessante il passaggio su noi e loro, come specie antropologiche differenti) e questo.
Sulla pulciosa diatriba estiva pre-Pride si gioca ogni anno una sorta di dibattito attinente alla meritocrazia dei diritti: ai froci buoni, integrati, che ambiscono al matrimonio e ai figli i diritti (e la dolce Euchessina)…e a quelli cattivi, che vanno in giro con le paillettes? Che spingano, avrebbe detto Marcello Marchesi.

Sarcasmo a parte, cosa permea questi discorsi?
Intanto, la presunzione di conoscere a fondo chi è il soggetto LGBTIQ normale, come se ci fosse un ben definito tipo LGBTIQ, di lombrosiana memoria, con la differenza che al soggetto LGBTIQ matur* si attribuiscono caratteristiche quali il desiderio di famiglia e figliolanza, mentre la radicalità, il gioco con il corpo ed il sesso sono proprietà del soggetto immaturo e imbrattato di rossetto. Poco importa se poi esistano soggetti che appartengono a entrambe o nessuna di queste categorie.

Beninteso, non ho nulla contro il mettere su famiglia e sposarsi, penso anzi che sia un diritto che deve essere riconosciuto, nella sua pienezza, anche alle persone LGBTIQ che lo vogliano per sé, per le loro vite, ma non credo che tutt* abbiano questi desideri: penso che ci siano modelli relazionali differenti, affettività non riassorbibili unicamente nel concetto di coppia, famiglie di scelta che si discostano dalla famiglia tradizionale mononucleare, identità più ampie che quelle comprese nella narrazione dominante.
Penso che ci siano tante storie differenti e tracciati di vita diversi, che hanno uguale diritto di essere.
Quest’impianto teorico, dicotomico, mi rimanda invece al concetto di morale vigente, di cosa sia considerato perbene e cosa permale.
Il punto è, quindi, da un lato la cristallizzazione che esce da questa dicotomia: o sei padre/madre di famiglia, a modo, con la cravatta (o la t-shirt), un lavoro rispettabile e buon*, oppure sei cattiv*, indecente, vestit* da checca o da puttana, con le macchie di leopardo e il rossetto sbavato; dall’altro è la normalizzazione, cioè l’impossibilità di autodefinirsi secondo altri parametri che non siano quelli identificati come giusti e decenti, di fatto arrivando a bandire la radicalità, la possibilità di critica e di dissacrazione.
In questo modo si costruisce anche un immaginario povero, in cui la libertà di azione di ognun* è minima e in cui la differenza spaventa meno, perché viene ricompresa, ridotta a qualcosa di noto e meno destabilizzante.
Dove finisce allora la mia possibilità di scelta, la mia libertà di azione, nel momento in cui posso essere soltanto in un certo modo?

In seconda battuta, trovo che sia puro marketing -e nemmeno troppo efficace- quello di far sfilare la “normalità”. La normalità ha a che fare più con il concetto di normazione che con il concetto di realtà. Chi è normale? Il soggetto che in una valutazione di frequenze sta al centro di una curva gaussiana, o poco distante, con un massimo di due deviazioni standard dalla media? Chi rimane tagliato fuori da questo discorso che tutto disciplina? Chi è la coda esclusa? Chi sono, in altre parole, i soggetti fuoriusciti, diventati un discorso marginale? Quali relazioni sono promosse e quali punite?
Penso che sia marketing perché si parte dall’assunzione che, in una società dove l’educazione alle differenze è ancora difficile, mostrarci come simili, come uguali, contribuisca a renderci più accettabili, venda bene il prodotto, truccato ad hoc per il pubblico che lo apprezzerà facilmente (fosse poi vero). Con una definizione della normalità edulcorata, tutta sorrisi e famiglie felici, come se quella fosse la rappresentazione più veritiera e desiderabile della società attuale. Come se quella, per giunta, fosse la fotografia della famiglia eterosessuale a cui essere simili, che, a ben vedere, è comunque molto più sfaccettata di così.
Via libera allora al «panettiere, che ogni giorno ci regala un sorriso al bancone, o l’insegnante di nostro figlio, che stimiamo per la sua cultura», ma che ne sarà della vicina di casa lesbica ma antipatica e avvezza a intrattenere numerosi rapporti sessuali con più e differenti partners? Chi si ricorderà della transgender brasiliana, che si prostituisce per mantenersi (e questo non è per il facile e sbagliato accostamento transgenderismo/prostituzione, ma per calcare la mano su chi si prenderà cura dei soggetti non conformi)?

Nella retorica delle narrazioni, credo che il discorso sulla rispettabilità e la decenza sia pericoloso, perché nega che il diritto di esistenza e di relazione sia universale e debba essere garantito a priori a qualunque essere umano- in quanto fa parte dei diritti umani poter esprimere liberamente il proprio orientamento, la propria identità ed espressione di genere- ma fa del diritto una concessione dall’alto, esclusiva del soggetto conforme alla società e socialità.
Introducendo implicitamente la meritocrazia del diritto: i diritti come appannaggio di chi se li merita.
Nell’invocare sobrietà e cravatte ai Pride, leggo tra le righe il desiderio -che è ben più ampio del Pride stesso- di disciplinare corpi e sanzionare comportamenti: sorvegliare e punire, in un meccanismo di controllo sociale, reciproco, che spacca la stessa comunità che rivendica il proprio diritto ad esistere.
In una riduzione asfittica dell’agibilità politica e della possibilità di contrattazione.

Reuters/Jim Urquhart, dal sito www.charismanews.com

L’assimilazionismo e l’omofilia hanno attraversato la storia del movimento omosessuale di rivendicazione: negli anni ’50 il movimento omofilo guardava con sospetto, nel più benevolo dei casi, e con sdegno e livore più di frequente, alla liberazione e al culto del corpo, ai locali di intrattenimento, al divertimento, opponendo a questo tipo di subcultura che stava prendendo piede un netto rifiuto in nome della rispettabilità. Secondo il movimento omofilo era infatti colpa dell’ostentazione se c’era una stigmatizzazione e un accanimento così forte nei confronti della popolazione LGBTIQ. Poi vennero il Gay Liberation Front, l’epoca della liberazione, il ’68, momento dal quale, si sperava, non si sarebbe tornat* indietro.
Corsi e ricorsi.

Penso però che si possa superare un ragionamento di così vecchio stampo, al grido di Pride libera tutt*, rinfrescando la memoria, come primo atto dovuto di quella che di fatto si chiama Marcia di Christopher Street.
Cos’era Stonewall, il 28 giugno 1969?
Era un moto di insurrezione, un momento di insubordinazione e lotta, era il grido ora basta, una bottiglia lanciata, con rabbia e con esasperazione, da Sylvia Rivera, una transgender, contro un poliziotto, dopo l’ennesima retata nel bar Stonewall Inn, in Christopher Street, a New York.
Erano scontri di migliaia di gay, lesbiche e transessuali contro le forze dell’ordine in assetto antisommossa, in un’intifada di bottiglie e pietre. Ma era anche la provocazione irridente di dire:

«Siamo le ragazze dello Stonewall
abbiamo i capelli a boccoli
non indossiamo mutande
mostriamo il pelo pubico
e portiamo i nostri jeans
sopra i nostri ginocchi da checche!»

[coro di drag-queen in fila contro i poliziotti, riportato in PIONTEK, T., 2006. Queering Gay and Lesbian studies. Champaign: University of Illinois Press. Pag. 7]

Il Pride si è arricchito successivamente, di altri significati.
Oltre alla marcia per i diritti, si porta così in strada, in una festa collettiva, alla luce del sole e ben visibile, una cultura variegata, che tiene dentro molti contenuti e soggettività diverse: la cultura LGBTIQ. Che non è certo univoca e unitaria, ma frammentaria, come si addice a una comunità molteplice come quella LGBTIQ, accomunata dalla volontà di liberazione, ma spesso differente nella sua composizione per ceto, provenienza, etnia, istruzione, genere ed identità di genere, orientamento sessuale.

Dunque, come scendere in piazza?
Come si vuole, ognun* con la propria identità, storia ed individualità. Con i propri desideri e il proprio corpo, con gli abiti che ci stanno meglio o peggio addosso, con le relazioni che abbiamo, se le abbiamo. Con le cravatte e le sciarpe, con i boa di struzzo e i capezzoli in nastro adesivo nero.
Con le famiglie e le figlie, ma anche con le amiche e sorelle o da sole.
E in due, e in tre. Con i mariti, le mogli, le compagne, le amanti.
Marciando e gridando slogan ma anche ballando, cantando, spogliandoci e celebrando la bellezza dei nostri corpi.
Favolosamente.
Con la sola regola di sentirci a nostro agio, perché il Pride è un momento in cui essere orgoglios* di ciò che siamo e l’orgoglio porta con sé tanta felicità.

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