Deconstructing il collaborazionismo sessista

decon20140127_2Lo so, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Quelle come l’articolo che state per leggere sono cose assolutamente di routine sulla stampa (anche online), di questi tempi. Sono facili articoli di costume fatti per avere un facile consenso, acchiappare clic, roba che serve per vendere gli spazi pubblicitari, lavoro di redazione necessario alla testata per campare, tirare avanti, tranquillizzare i finanziatori. Marieclaire è un nome molto noto, ha un target di lettrici molto definito, e quindi come tutte le redazioni storicamente consolidate produce contenuti di sicurezza, assolutamente convenzionali, che rassicurano chi legge circa la sua identità, i suoi valori, il suo status quo. C’è la crisi, bisogna sopravvivere.

Il prodotto editoriale che state per leggere – io non ce la faccio a chiamarlo articolo, e neanche post –  vale come esempio di un genere molto diffuso di scrittura, che io non esito a chiamare collaborazionista. E’ una scrittura che ratifica il potere patriarcale esistente, sostenendo una visione del mondo schiacciata sui luoghi comuni sessisti più ovvi e scontati, presentati però in maniera accattivante e “simpatica”. La maniera è quella di una donna che parrebbe stanca di quei meccanismi sociali sessisti di cui parla, e che invece li glorifica sollevando ipocrite risate circa la loro efficacia. Il risultato è quel pensiero non pensato, tipico di quell’esaminatore distratto che è l’ipocrita spettatore/lettore medio, sessista per abitudine più che per convinzione – ma comunque responsabile per quanto di sessista ancora succede. Un pensiero chiamabile tranquillamente pregiudizio.
Complimenti alla blogger, alla testata, al lavoro di redazione.

Capire gli uomini, cinque segreti [Tanto per cominciare, cinque parole e cinque sessismi: 1) capire gli uomini è il compito delle donne 2) servono i segreti, perché di solito le donne non ci arrivano da sole 3) questi segreti sono pochi, perché gli uomini non sono molto complessi come le donne 4) l’esperienza non serve, devi seguire delle regole che saranno infallibili con tutti gli uomini 5) sapute e applicate queste cinque norme, se ancora qualcosa non va il problema sei tu. Oppure è lui che non è un uomo normale.]

«Gestire un uomo è semplice perché ha solo due stimoli: la fame e l’eccitazione. Se vedi che non ha un’erezione, preparagli un panino». [Massima sessista paragonabile solo allo speculare, ma più sintetico, “cazzo e cazzotti” con il quale generazioni di maschioni si sono intesi circa il modo di risolvere i rapporti con l’altro sesso.] Cercando la fonte di questa (geniale) affermazione [non è ironica eh, la ritiene geniale sul serio, vedrete], ho googlato parole inglesi a caso e tra i risultati mi è comparso un titolo che prometteva di risolvere tutti i miei (nostri) problemi in un colpo solo:

Capire gli uomini, cinque segreti. [Dice che l’ha trovato googlando, ma il link non c’è. Sarà un file riservato, una roba da wikileaks? Oppure preferisce non assumersi la responsabilità di ciò che verrà detto? Mah.]

Fatima, fatti da parte. Eccoli.

1. Pensano al sesso in continuazione. [Frase talmente generica che va bene per tutte le ocacsioni. E poi, non sia mai lo faccia una donna, eh. Questo è il primo segreto per capire gli uomini: il moralismo quantitativo. Complimenti.]
Alla faccia del segreto. E lo mette anche al primo posto. C’è da dire, però, che ho sempre sottovalutato la cosa: uno studio del Journal of Sex sostiene che gli uomini abbiano pensieri a sfondo sessuale fino a 388 volte al giorno [un link all’articolo? Una spiegazione sui criteri di conteggio adottati? Ma in fondo siamo su Marieclaire, mica vorrai citare le fonti, no?], contro i dieci miseri pensieri della media femminile [sono solo dieci, quindi sono miseri. Magari lui pensa 388 volte al solito colpo d’inguine, lei s’immagina dieci orge con persone di una dozzina di generi e giocattoli fantasiosi, ma la misera è sempre lei perché 10 è minore di 388. Ma non erano gli uomini ad avere l’ossessione delle misure?]. Calcolatrice alla mano, vuol dire che pensano al sesso ogni due minuti, più o meno, se consideriamo le ore di veglia (e presumiamo di escludere i 90 minuti dedicati alle partite di calcio) [se esistesse un contatore Geiger sensibile alla densità di stereotipi, starebbe sfondando il fondo scala con la lancetta]. Ora mi è chiaro perché alle donne avanza tanto tempo per le pippe mentali – a sfondo sentimentale, e non erotico [eh, mi raccomando, a sfondo erotico mai per carità]. C’è da imparare [sempre perché debba rimanere assodato che le donne non pensano MAI al sesso come erotismo]. (Ma dimezziamogli lo stipendio, a ‘sti porci). [Capito? Se sei un uomo e pensi al sesso sei un porco – un po’ di specismo mettiamocelo, così facciamo tutti contenti – a prescindere dal resto. Quindi se sei una donna e pensi al sesso tante volte quanto un uomo sei una…]

2. Hanno bisogno di spazio.
Cito [da dove continueremo a non saperlo]: «Non è che non abbiano voglia di stare con voi, è che sentono la necessità – a volte (spesso) – di stare da soli. [Gli uomini, eh: le donne no. Le donne sempre in gruppo, mai da sole, le donne sole sono brutte, cattive, anormali.] Diciamo che hanno bisogno di ricaricarsi in solitudine per poter apprezzare la coppia [notate bene: ricaricarsi, perché la coppia li stanca tanto, poverini, è solo una dispersione di energie] (a cui comunque dedicano un sacco di tempo, vedi punto 1). A differenza delle donne, gli uomini non hanno l’impellenza di occupare le domeniche andando per mostre o per negozi: [quindi le donne hanno il gene dello shopping e/o dell’arte e gli uomini no – oh, gli stereotipi sessisti li sta veramente prendendo tutti] stanno bene sul divano, con la televisione accesa, una birra e l’attività fisica di Homer Simpson. [Donne che vi sbracate sul divano a riposare la domenica: siete indegne, siete delle donnacce, siete delle non-donne. In piedi! Allo shopping, al museo!] Questo non presuppone che ci sia alcun problema con voi» [specialmente se portate la birra fresca e non rompete, ndr]. Bòn: facciamo che io i miei spazi li prenderò a tempo debito nella scarpiera. [Eccola, la vendetta della shoppingara: comprarsi scarpe, e tutti i problemi di relazione vanno a posto. Io v’avevo avvertito che i luoghi comuni sessisti c’erano tutti.]

3. Sono ingenui. [Altro aggettivo che può voler dire qualunque cosa, e che serve come scusa per qualsiasi comportamento. E poi: tutti quegli uomini stronzi che ci sono in giro allora sono gay?]
«Se volete che qualcuno vi risponda di no, chiedetelo alla vostra amica se quel vestito vi ingrassa. [Le donne sono false e ipocrite. Altra tacca sulla cintura.] Noi risponderemo la verità, non quello che voi desiderate. Non per altro, ma non abbiamo idea di quale sia la risposta giusta» [Gli uomini sono così, c’hanno tutte le virtù, è semplice, che ci vuole a ricordarselo?].

4. Quello che dicono è quello che pensano. [Quindi quando ti senti presa in giro, donna, è un tuo problema ermeneutico.]
Questo punto va approfondito. A chi non è capitato (quotidianamente?) di cercare un significato diverso o nascosto in una frase detta o scritta da un uomo? [A me. Ah, già: io sono un uomo, io i miei simili li capisco perché ho il pisello. Mica perché mi sforzo di condividere un linguaggio.] Ecco, pare sia inutile. «Non siamo così profondi: quando diciamo qualcosa intendiamo proprio quello, che sia un sì, un no, un niente o un ok. [O per esempio uno “sta’ zitta”, oppure un “t’ammazzo di botte”. Non ci sono significati nascosti, chiaro? Intendiamo proprio quello] Solo e solamente quello, giuro». Mhm, sarà…

5. Non sono perfetti, ma nemmeno da buttare. [Leggi: te li devi tenere così, questo è il segreto. Non ci puoi fare niente, sono ineducabili geneticamente.]
«Se non volete essere paragonate alle bellezze irrealistiche delle riviste, piantatela di paragonarci con gli uomini perfetti che vedete al cinema. Non esistono. Quelle frasi dolci, le infinite attenzioni strappalacrime e i gesti eclatanti con cadenza settimanale sono atteggiamenti photoshoppati almeno quanto il culo delle vostre care modelle». [Già: peccato che entrambe le distorsioni giovino a un sesso solo. Capito il paragone? Una donna con un minimo di raziocinio non farebbe neanche terminare questa frase così violenta, ma qui “il (terribile) karma di una bionda” ha il potere di sdoganare qualunque stronzata. Attenti che adesso c’è la frase assolutoria a effetto.]

Sì, insomma, riassumendo potremmo dire che i grandi classici Disney stanno alle aspettative delle donne quanto i film porno a quelle degli uomini: occhèi. [MA occhèi COSA! Il porno commerciale è una componente fondamentale dell’immaginario medio maschile e ne plasma le aspettative, tanto quanto il classico Disney è una componente fondamentale dell’immaginario medio femminile, e ne plasma le aspettative: il problema è proprio qui. Sono pietre di paragone prodotte dallo stesso potere patriarcale! Vogliamo parlare di questo? Mentre in media le ragazze sono educate ad aspettarsi il virtuoso principe azzurro per il quale sacrificarsi, i ragazzi si aspettano delle ebeti robot ninfomani che non hanno alcuna pretesa. Questo anche grazie a un’industria editoriale che non fa niente per cambiare questo stato di cose.]

Ah, nel tutto non ho scoperto chi abbia detto quella cosa lì del panino. Se nessuno la reclama finirò per farla mia. [Te la meriti tutta, quella genialità.]

 

Perché l’industria dei giocattoli pensa che i bambini non cucinino?

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Traduciamo questo articolo dal sito “Let toys be toys“. Buona lettura.

Nel mondo degli adulti siamo abituati a vedere chef, parrucchieri e stilisti uomini. Perché, allora, l’industria del giocattolo commercializza giochi legati alla cucina, alla bellezza e alla moda rivolgendosi esclusivamente alle ragazze?

Sembra impossibile, al giorno d’oggi, accendere la TV senza vedere una programma di cucina condotto dagli omologhi di Michel Roux o Paul Hollywood, eppure i giochi di cucina per ragazzi sono talmente carenti che la teenager McKenna Pope ha indetto una petizione per convincere l’industria di giocattoli americana Hasbro a produrre una versione del loro forno Easy-Bake che non sia disegnata per e rivolta a un pubblico esclusivamente femminile.

La cecità lampante dell’industria di giocattoli, che non vede questa realtà, è sconcertante. Ancora più sconcertante, nonostante l’enorme successo di stilisti come Vidal Sassoon, Jeff Banks e Ralph Lauren, è ancora radicata nella società la credenza che un ragazzo in salute e psicologicamente sano, ben inserito nel tessuto sociale non intraprenda attività centrate sulla moda o sulla bellezza, mentre ci si aspetta che le ragazze mettano tali obiettivi al centro dei propri interessi.

 Il patriarcato fa male anche ai ragazzi

Ai vecchi tempi dei capelli lunghi e degli scaldamuscoli, un ragazzo coraggioso della mia scuola  chiese di essere spostato dalla classe di falegnameria a quella di economia domestica. Non appena inoltrò questa richiesta alle insegnanti, i suoi compagni di classe gli attribuirono inevitabilmente l’appellativo di “gay” e “femmina”. Alla fine ammorbidirono i toni quando seppero che lui voleva diventare chef professionista. A voi trarre le conclusioni.

Questo accadeva venticinque anni fa, e mi piacerebbe poter dire che le cose sono cambiate. Ma non è così. Ogni minuto passato nel parco di una scuola vi dirà che omofobia e misoginia sono ancora strettamente correlati e che un modo rapido ed efficace per umiliare un ragazzo è paragonarlo a una ragazza. Certo, il muro di Berlino è stato abbattuto e l’apartheid in Sud Africa è terminato, ma finché le divisioni arcaiche fra esseri umani saranno presenti, il sessismo verrà socialmente accettato.

Si potrebbe argomentare che per le ragazze c’è stato qualche progresso in termini di abbattimento delle barriere di genere. Il grado di accettazione nelle industrie dominate dal maschio è variabile, ma è generalmente ben accetta l’idea che alle ragazze possano piacere le materie scientifiche e la matematica.

Per i ragazzi, tuttavia, le cose sono rimaste incredibilmente statiche. La camicia di forza che li ha mandati a morire in guerra e che li mantiene emotivamente abbottonati è oppressiva come non mai. I giocattoli specificamente indirizzati ai ragazzi glorificano e rendono normale la violenza, mentre le espressioni artistiche e appassionate sono viste come dominio femminile. Povero ragazzo quello a cui non piace il calcio o che si diverte a sfogliare un libro di moda: imparerà presto che deve conformarsi alle rigide aspettative del comportamento “da ragazzo”, o affronterà le conseguenze del bullismo, dell’emarginazione e del ridicolo.

Di cosa ha paura la gente?

Ma perché persiste quest’attitudine? Perché l’etichetta di “maschiaccio” ha perso  la sua capacità insultante (ed è visto addirittura come qualcosa a cui aspirare) e “femminuccia” no? Perché la visione di un bambino che gioca con una bambola dà la stura a una gamma di indignate proteste sul genere “è andato ai matti il politicamente corretto!”? e perché, da madre single di un ragazzo,  sento il bisogno, di sottolineare a sconosciuti di ampie vedute che può effettivamente trovare un modello maschile positivo nella figura di mio padre? O è giusto che a Natale riceva una casa per bambole perché ha già avuto il modellino di Guerre Stellari?

E dunque, cosa ci spaventa davvero? A giudicare dai commenti che inondano Internet ogni volta che un genitore di ampie vedute mette un tutù al proprio figlio, appare chiaro che ciò che temiamo è che ogni ragazzo a cui sia permesso di perseguire obiettivi tipicamente femminili diventi, indovinate un po’, omosessuale. Al di là delle ovvie repliche “e allora?” o “cortesemente porta altrove la tua omofobia!” vien da fare un’osservazione, ovvero che, se la mascolinità eterosessuale può essere così facilmente fuorviata da un po’ di rossetto e da un vestito, allora dopotutto non è così innata. In altre parole, se essere un ragazzo è così naturale, allora smettetela di dire a mio figlio come fare ad esserlo.

Ma, a parte l’omofobia, l’idea che un ragazzo che spinge un passeggini sia destinato a essere omosessuale è palesemente assurda. Se a vostro figlio piace cullare una bambola per farla addormentare, ciò significa che diventerà gay? O può semplicemente voler dire che un giorno sarà un padre amorevole, indipendentemente dall’orientamento sessuale? Se vostro figlio vi gira intorno con un aspirapolvere giocattolo e si diverte a servirvi il tè, non vuol dire che diventerà un marito premuroso e che statisticamente vi sono meno probabilità di divorzio.

Anziché  dissuadere i nostri figlio dal toccare oggetti “da ragazza”, dovremmo incoraggiarli a sviluppare quelle abilità nell’allevare e nel provare empatia che la società ha stabilito essere “solo per ragazze”. Non solo è un bene per il mondo in senso lato, ma preparerà i nostri ragazzi alla realtà che affronteranno quando lasceranno la propria casa. Viviamo in un mondo mezzo cambiato, in cui agli uomini mai quanto prima si chiedono responsabilità domestiche e cura dei bambini, eppure i corsi di marketing continuano a spacciare l’idea, sia per ragazzi sia per uomini, che la vita domestica sia cura esclusiva del sesso femminile. Non è proprio la ricetta per una relazioni armoniosa tra i sessi, vero?

Sfidare i prepotenti

Come madre a cui non interessa se suo figlio sia gay o no, si trucchi o voglia passare il resto della sua vita a preparare dolcetti rosa decorati di farfalle, sono ben consapevole della separazione tra ciò che i genitori più liberali permettono felicemente nel privato delle proprie case e la paura che provano quando mandano il proprio figlio in un campo di gioco crudele in cui ogni deviazione dalla norma lo rende bersaglio per i bulli.

Ho vissuto personalmente questa situazione, lo scorso Natale, quando mio padre si è rifugiato nel vecchio stato a seguito della richiesta di mio figlio di una casa per bambole. Si è preoccupato terribilmente che suo nipote potesse essere diventare oggetto di scherno, nonostante il fatto che anche lui da piccolo avesse chiesto in regalo una casa per bambole. Allo stesso modo, conosco molti uomini che da bambini amavano lavorare a maglia, ma che non lo ammetterebbero mai davanti ad altri uomini per paura di rendersi ridicoli.

È un caso grave dei “Vestiti nuovi dell’Imperatore”, e dovremmo insegnare ai nostri ragazzi ad alzarsi in piedi, mostrarsi e dire “Che importanza ha?” Perché un ragazzo che gioca con le bambole resta un ragazzo – allo stesso modo in cui una ragazza che si arrampica su un albero resta una ragazza. Non un ragazzaccio , ma proprio una ragazza che, guarda un po’, ama arrampicarsi sugli alberi! Sono solo dei ragazzini, che giocano con i giocattoli che vogliono, e la civiltà occidentale non crollerà se un ragazzo spingerà un passeggino per la strada.

C’è di più: dobbiamo fronteggiare la campagna pubblicitaria di massa che dice ai nostri ragazzi che essere un uomo significa essere aggressivo, non sviluppato dal lato emotivo e una merda nelle pulizie di casa. Perché finché lo faremo i dipartimenti di marketing e i commercianti delle industrie che si rivolgono ai nostri figli continueranno a sfruttare le nostre paure e offriranno ai nostri figli definizioni sempre più ristrette di cosa vuol dire essere un ragazzo. Non so cosa ne dite voi, ma so che non voglio questo per mio figlio. Voglio che lui abbia esperienza di tutti gli interessi e le possibilità che la vita può offrirgli, non solo di quelle che l’industria dei giocattoli ha stabilito appropriate al genere.

(Grazie ai nostri adorati ragazzi e ai loro genitori per le loro foto, e a Chris Hallbeck per l’uso dei fumetti di Maximumble. Se avete foto dei vostri ragazzi che cucinano, fanno lavori manuali o giocano a “fare i papà” saremmo felici se le voleste condividere. Twittate su o inviatecele per email per la nostra galleria fotografica online.)

 

Traduzione di Nicoletta Capozza.