Una cultura dello stupro, una cultura del raptus

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Lo sappiamo da tempo, e l’ultimo fatto di cronaca non fa che ribadirlo: il raptus è tanto usato perché fa comodo, perché impedisce a un discorso non svolto dalla parte dell’oppressore di genere di svilupparsi. Tutto qui. Quando è lo stupratore a dirsi “vittima” di un raptus, è ovvio che il cerchio patriarcale si è chiuso da un pezzo, per tenere ben chiuso dentro il suo abbraccio dispotico qualunque tentativo di evaderne.

Che il raptus fosse sostanzialmente la parola assolutoria nei casi di violenza lo sappiamo da un pezzo, e a conferma dell’ultimo caso di cronaca ci sono anche le parole della madre del reo confesso, che non giustifica ma spiega – così dice lei – la non mostruosità del figlio: con una serie di abbandoni da parte di donne. Altra vecchia storia: anche se subisce violenza, la donna non è mai innocente; almeno è complice, o in persona o come genere.

Per quanto si voglia spiegare, per quanto si voglia ricostruire, una cultura non si cambia neanche con l’evidenza, perché l’utilità di un costrutto sociale vincerà sempre anche sulla più evidente realtà: finché fa comodo al potere vigente, il raptus continuerà a esistere. Le competenze non contano. Chiunque sia minimamente impegnato professionalmente in questioni psicologiche sa che il raptus è anche questo: «impulso improvviso e incontrollato che, in conseguenza di un grave stato di tensione, spinge a comportamenti parossistici, per lo più violenti», come dice Treccani. Dico anche perché chiunque, come detto, ha un approccio professionale a questi problemi sa che è una definizione insufficiente, perché il comportamento è iscritto, anche quando appare improvviso, in una rete di pensieri sentimenti e questioni consce e inconsce che ne rende ragione, e perché si arriva a commettere un atto, anche non programmato e improvviso, dopo una serie di eventi psichici collegati tra loro.

Questo vuol dire che l’elemento mediaticamente interessante – e socialmente reazionario – del raptus è proprio quello più discutibile: la sorpresa, la sua parte improvvisa e inopinabile. Il patriarcato imperante tiene soprattutto a questo elemento imprevedibile, e per due ragioni: comunica efficacemente l’impossibilità di fermare la violenza (sulle donne, di genere), e ne comunica quindi anche la supposta “naturalezza”, il suo far parte di una inevitabile “animalità” dell’uomo – generalmente negata, ma poi tirata fuori esclusivamente nella accezione negativa di “bestialità”.

Queste due caratteristiche rendono il raptus spendibile in tanti argomenti della comunicazione di massa. Tutto un mondo si muove per raptus, anche se non è nominato ma solo descritto. È un raptus quello dello sportivo che perde la testa in campo; è un raptus quello del politico che in aula si avventa contro l’oppositore; sono raptus quelli sui quali si costruiscono talk show politici, spacciandoli per approfondimenti; è il raptus a permettere di non avere il minimo senso del ridicolo, arrivando a scrivere per un plurimoicidio-suicidio che «per capire come mai lui possa avere all’improvviso premuto il grilletto, potrebbe rivelarsi determinante il fatto che l’uomo da tempo soffrisse di una grave patologia intestinale»; sono descritti come raptus quei commenti sui social che augurano uno stupro a chi scrive qualcosa di antirazzista. Parentesi assolutoria e spettacolare, il raptus è breve, efficace, scioccante e intimidatorio: insomma, perfetto per tutti i media commerciali.

Per chi prova a riflettere e a far riflettere, per affrontare la complessità dei problemi sociali, non c’è speranza, perché il raptus è troppo allettante per un suo uso strumentale. Non a caso per il raptus di Kabobo non ci si è spesi tanto, ma per Simone Borgese – italiano trentenne e belloccio – la madre sostanzialmente lo scusa e nessuno ha da dire nulla, anzi, sui social si sprecano i commenti alla “povero ragazzo”. Quando una cultura intera lavora affinché i fenomeni siano sempre isolati tra loro, siano sempre episodi slegati e imprevedibili, alimentando sia il panico sociale sia il complottismo più becero (quest’ultimo degno contraltare di un potere sistematico), ecco che stupro e raptus sono felicemente alleati: l’uno è lo strumento e l’altro il comodo racconto per uno stesso odioso potere.

Alla cultura del raptus, cioè alla cultura dello stupro, ci si può opporre, ma non da soli. Altrimenti sembrerà un altro raptus.

A Gentleman’s Guide to Rape Culture

I maschi e la cultura dello stupro che avvelena tutti noi

Che cos’è la rape culture

Rape culture is when…

Deconstructing le avances

macchina da scrivere2 Questo articolo è stato decostruito “live” all’incontro tenuto alla Città dell’Utopia (Roma) martedì 18 Giugno, “Media vs Femminicidio”. Ci tengo a dire che l’ho scelto in maniera casuale tra i tanti raccolti da Bollettino di Guerra, e che s’è dimostrato perfettamente adatto a fare d’esempio per comprendere il titolo dato alla serata. Come volevasi dimostrare, non c’è bisogno di scegliere esempi di sessismo nei media: basta pescare a caso.

Bidello uccide la prof di religione a scuola perché era indifferente alla sua passione [la maggior parte delle persone che legge i quotidiani si ferma solo sui titoli. Il titolo dice, malgrado ciò che seguirà, che lei era indifferente e che lui aveva passione. Tenete a mente queste due parole]

RAGUSA – Scene da far west in una scuola elementare del Ragusano. Un bidello, Salvatore Lo Presti, 69 anni ha sparato cinque colpi di pistola contro Giovanna Nobile, insegnante di religione, di 53 anni, uccidendola. L’uomo è stato arrestato per omicidio volontario.

IL MOVENTE – Avrebbe ucciso l’insegnante perché se ne era invaghito [viene scelto non “se ne era innamorato”, “la desiderava”, ma se ne era invaghito, verbo che è anche un giudizio], ma lei si era sempre dimostrata indifferente alle assurde avances del bidello [attenzione a queste due parole: indifferente – è un atteggiamento ben preciso, significa che lei sapeva e che non voleva, e assurde, giudizio e qualifica delle avances che però non viene spiegata:perché assurde? Non ci verrà detto]. Questo il movente dichiarato da Lo Presti, padre di cinque figli. L’uomo ha confessato davanti al dirigente della Squadra mobile Francesco Marino. Sarebbe stato «colpito dalla sua indifferenza» per «sentimenti assolutamente non ricambiati» anche perchè mai espressi in maniera evidente e pubblica [COSA? Scusate, ma come si fa a essere indifferenti a qualcosa che non si è capito o conosciuto? Allora lei non era indifferente, semplicemente non sapeva. Perché questa frase non è tra virgolette? E’ una deduzione di chi scrive?]. È il delitto, quindi, per una «passione senza riscontro» [dagli con la passione] quello commesso dal bidello. Lo ha confessato lo stesso omicida spiegando di avere premeditato il delitto [reo confesso di omicidio premeditato, quindi]. Secondo gli investigatori è stata «una lucida follia» [EH? Ma come, avete appena detto che lui ha premeditato! La “lucida follia della premeditazione” non si può sentire, ma per favore], l’insegnante era all’oscuro dei sentimenti dell’uomo o ne aveva avuto solo un parziale accenno [e allora le avances non ci sono state! Non erano assurde, erano proprio inventate! Perché scriverlo allora?].

FAR WEST – La tragedia si è consumata nella scuola elementare «Pappalardo» di Vittoria. La sparatoria è avvenuta all’interno dell’istituto mentre era in corso una riunione del corpo docenti. È stata un’azione fulminea, quella messa in atto dal bidello, noto come «il poeta», a pochi giorni dalla pensione [cosa la cui importanza verrà fuori tra poco]. Cinque colpi di pistola hanno raggiunto la donna. Un sesto colpo è stato sparato in aria per l’intervento di un altro bidello, che ha alzato il braccio dell’uomo facendo cambiare la traiettoria al proiettile, che si è poi conficcato sul tetto. «Poteva fare una strage [perché? Ha scaricato la pistola contro la donna, non voleva fare una strage, è evidente che volesse colpire solo una persona – perché permettere a un testimone di fare illazioni, e riportarle senza il minimo commento?], l’ho bloccato d’istinto, ma non ditemi come ho fatto perchè non lo so neanche io. Sono stanco e provato da questa assurda giornata», dice Salvatore Gallo, 56 anni,

COLPO AL FEGATO FATALE – I sanitari hanno fatto il possibile per salvare la vita all’insegnante . «Quando è arrivata in pronto soccorso trasportata dall’autoambulanza – dice il medico Giuseppe Marino – le sue condizioni erano disperate perché due colpi di arma da fuoco le avevano provocato una forte emorragia addominale. Un colpo aveva raggiunto il fegato. Siamo riusciti a rianimarla ma non ha superato l’intervento chirurgico».

INCONTRO DI FINE ANNO – L’insegnante si era recata a scuola per un incontro di fine anno scolastico. Dopo aver firmato delle pratiche in segreteria stava lasciando l’istituto, quando l’uomo l’ha raggiunta sulle scale, armato di pistola, sparandole contro. L’aggressore è uscito dalla scuola, ma è stato fermato poco dopo dalla polizia in strada.

MOMENTI DI TERRORE – È sconvolta Giovannella Mallia, preside vicaria dell’istituto. «Mi trovavo nella stanza accanto alla segreteria e dopo aver sentito i colpi mi sono precipitata per vedere cosa fosse accaduto», racconta. «Ho visto Giovanna Nobile a terra che già non dava segnali di vita, ho provato a rianimarla ma ho capito subito che la stavamo perdendo e quando è arrivata l’autoambulanza aveva perso già i sensi». «Stavo sistemando i registri – aggiunge l’insegnante – e i colpi di arma di fuoco che ho sentito sono stati uno dietro l’altro. La segretaria Concetta Insaudo e altri due applicati di segreteria gridavano perchè avevano assistito in diretta al ferimento della collega e non si davano pace. Ho avuto paura e non riesco ancora a razionalizzare come sia potuto accadere. Tra il bidello e la docente di religione – sottolinea Mallia – c’era stato in passato qualche discussione ma cose normali in un istituto. Che la cosa potesse degenerare non era ipotizzabile [un bell’aiuto, neanche troppo implicito, alla tesi della lucida follia]».

IL DIRIGENTE: «SONO SCONVOLTO» – Arriva sconvolto il dirigente scolastico dell’istituto, Sebastiano Lima. «Stavo facendo esami in una scuola di Acate – dice – quando mi hanno telefonato. Stentavo a crederci. Non so cosa sia scattato nella sua mente [altro aiuto alla tesi della follia –  eppure la premeditazione l’ha confessata l’assassino!]. Il primo caldo, la rabbia per dovere andare in pensione anticipatamente [IL CALDO? LA RABBIA? Con quale autorità il dirigente scolastico fa queste ipotesi? Perché sono semplicemente accostate, nell’articolo, a tutte le altre parole, senza una spiegazione, una parentesi esplicativa?] perchè poteva ancora rimanere ancora in servizio». «Ecco, questo era un suo chiodo fisso, ma da qui a sparare ce ne vuole [altra illazione, altro collegamento logico tutto da verificare. Intanto però è messo lì, come fosse plausibile malgrado le stesse parole dell’assassino]… Questa tragedia – conclude Lima – mi sconvolge, non ce la faccio proprio a sostenere il peso di questo dramma».

SCUOLA SOTTO CHOC: ARRIVA SQUADRA PSICOLOGI – Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha chiamato la preside vicaria Giovannella Mallia a cui ha voluto testimoniare la sua vicinanza e le ha annunciato l’invio di una squadra di psicologi a sostegno dei ragazzi e degli insegnanti.

SOSPESO FESTIVAL JAZZ – In segno di lutto per l’omicidio, a distanza di un mese dalla tragedia del muratore Salvatore Guarascio che si era dato fuoco perché la sua casa era stata messa all’asta [perché citare un evento che, con tutto il rispetto, non c’entra nulla? Un suicidio poi], il sindaco della città Giuseppe Nicosia, di concerto con gli organizzatori, ha deciso di sospendere il concerto in programma per sabato sera del Vittoria Jazz Festival.

IL PM: «TROPPE ARMI DETENUTE LEGALMENTE» – «Ancora un femminicidio [la parola importante c’è una sola volta, contro le due di passione di cui una nel titolo] con un movente oscuro [OSCURO? Ma se lui ha parlato di premeditazione, di sentimenti non ricambiati, e il testo ha parlato di avances – perché le parole finali del PM smentiscono tutto? Ma chi legge, che idea si fa?]». Così il procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia, interviene sul dramma di Vittoria. Il magistrato invita poi a riflettere su un dato: «Ci sono troppe armi detenute legalmente senza una precisa ragione, occorre un loro censimento [ah, alla fine di tutto la colpa è delle troppe armi in giro? Quindi se non avesse avuto la pistola, Lo Presti non avrebbe premeditato? Che cosa fa dire al PM che senza pistola lui non l’avrebbe strozzata, picchiata a morte, investita, accoltellata? Niente, non lo sapremo, l’ultima di tante altre cose che quest’articolo non dice o non fa capire chiaramente.]».