Chi ha paura dell’asterisco?

asterisco

Non raramente capita, negli ultimi tempi, di sentire messa in discussione l’opportunità e l’importanza dell’uso dell’asterisco o dell’@, al posto delle declinazioni di genere nella scrittura; abbiamo così deciso di esplicitare i motivi per i quali noi,  invece, ne promuoviamo e incoraggiamo l’uso. 

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“Incatenare le sillabe e frustare il vento sono entrambi peccati d’orgoglio”,  dalla prefazione al Dizionario di S. Johnson, 1755.

Cos’è un asterisco? Una stella che luccica in fondo ad una parola, il piccolo scoppio che segue una detonazione di vocali, un’anomalia agrammaticale che punta le sue piccole dita all’omissione consapevole di tutt* coloro che non sono compres* nell’ideologico “neutro universale”, ovvero il privilegio del maschile.

Un asterisco moltiplica le possibilità, invece di frazionarle come fa una barretta (i/e) – esplicita la variabile alla norma duale, sottolinea l’obbligatorietà di fermarsi a riflettere: perché salutando un gruppo di donne in cui è presente un solo uomo, si dice “ciao a tutti”   – e questo è ‘normale’ – ma se si dice allo stesso gruppo “ciao a tutte” l’uomo in questione terrà a rimarcare la sua estraneità alla desinenza femminile? E che dire di tutte le favolosità che non sentono di rientrare nelle i e nelle e? O di rientrare in entrambe? L’asterisco non fa distinzioni, abbraccia tutt* con lo stesso entusiasmo, e da tutt* può essere abbracciato!

Un asterisco non è leggibile, obiettano poi molt*, e allora che si fa? Già, che si fa? E perché mai l’asterisco dovrebbe essere la soluzione al problema? L’asterisco evidenzia il problema, e nella forma scritta è inclusivo di qualsivoglia soggettività, perciò dal canto suo ha già fatto tanto sporco lavoro.  E quando poi ci si trova a doverlo pronunciare, ci si sente spiazzat*: si comincia a farfugliare, a mescolare maschile e femminile, ad evitare le desinenze.

Ben venga il turbamento causato dall’asterisco, e fintantoché non si palesi anche nella lingua parlata una svolta davvero antisessista, ogni regola vale: i maschili universali allora saranno affiancati ai femminili universali senza che nessun* debba risentirsi! Potremo decidere di usare la -u, che non ha connotazioni di genere (fa strano dire “Ciao a tuttu?” Solo perchè nessunu ci è abituatu!), di passare fluidamente da un genere all’altro senza considerarlo un errore grammaticale.

La lingua è plastica per definizione, è uno strumento di descrizione della realtà e in sé non ha forma perché la sua forma è dettata dalla sua sostanza in perenne evoluzione; e proprio per questo il mutamento linguistico non è questione di poco conto, poiché la lingua dialoga con la realtà: ciò che non può essere nominato, non esiste, e il successo di una lingua o di determinate forme linguistiche hanno tutto a che vedere con il potere di chi la parla. A questo punto occorre domandarsi: chi esiste e chi non esiste nell’italiano con la I maiuscola? Chi detiene il potere prescrittivo, regolamentare e sanzionatorio delle desinenze?

La lingua deve fare gli interessi di coloro che la parlano,  e chi la parla è una vasta gamma di soggettività che hanno tutte egualmente diritto ad esistere, nel mondo come nelle sue parole;  non certo gli interessi culturali e politici di chi per malcelato conservatorismo, di destra o di sinistra, vorrebbe proteggere e coccolare l’idea, estremamente elitaria, di una lingua italiana ufficiale e perfetta elevata a divinità – etichettando di conseguenza qualsiasi sua variante meticcia e plebea  come peggiore dei mali possibili.

Il concetto di prescrittivismo grammaticale è innatamente reazionario, visto che predica il ritorno a uno ‘stato precedente’ di presunta correttezza grammaticale universale di fronte al trasformarsi (o, secondo la prospettiva dei suoi sostenitori, all’imbastardirsi) di una lingua. Riesce difficile pensare come chiunque si posizioni genuinamente contro lo stato di cose presenti possa voler sostenere una visione simile, senza contare che – non esistendo un modo oggettivo di stabilire cosa suoni bene e cosa no – le critiche, quand’anche presentate come puramente fonetiche, sono critiche politiche. Se una lingua è allora riformata sempre in senso ideologico, che sia l’ideologia di chi costruisce la libertà, non quella di chi la nega.

L’asterisco è una modifica grammaticale accettabile e coerente nel paradigma corrente di approccio normativo al linguaggio? Probabilmente no. Il problema è proprio questo, non l’uso atipico della punteggiatura e men che meno altre proposte di riforma linguistica in direzione antisessista. A chi è più cruschista della Crusca, la quale circa l’utilizzo di forme linguistiche più aperte e rispettose dei passi in avanti li sta compiendo, non rimane che accaparrarsi la tessera di Forza Nuova.

frantic & feminoska

* l’immagine usata nell’articolo (addizionata di immancabile asterisco) è di Araki, Tokyo Lucky Hole.

Depilarsi le gambe non è femminista (ma puoi comunque essere femminista e depilarti)

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Articolo originale qui, traduzione di feminoska.

Ho pubblicato questo disegno (di Natalya Lobanova) sulla mia pagina facebook ieri, e le reazioni sono state molto varie. Alcune persone l’hanno apprezzata. Molte l’hanno condivisa. Ma altre l’hanno trovata insultante e giudicante, e l’hanno considerata una critica rivolta alle donne che si depilano. Si sono sentite offese dalla parola “mutilare”, la quale, sebbene attenuata da quel “leggermente”, sembrava loro comunque troppo forte. Come ogni volta che qualcosa scatena una accesa discussione, mi ha incuriosito molto la reazione delle persone e le loro motivazioni. In verità a me quest’immagine piace molto, e mi ha sorpreso l’offesa che  ha causato ad alcune persone. Ritengo che parlare delle cose assurde che facciamo per sentirci belle sia molto importante, anche se a volte ci fa sentire a disagio.

Per essere chiara, una volta per tutte: io mi depilo le gambe. Mi depilo anche le ascelle, la zona bikini, e la bizzarra scia di peluria scura che parte dall’ombelico e arriva ai peli pubici. A otto anni mi sono fatta bucare le orecchie perché morivo dalla voglia di indossare orecchini veri. Mi trucco quasi sempre prima di uscire di casa. E sappiatelo, mi piace fare tutte queste cose, perchè mi fanno sentire carina e più a mio agio nella mia pelle. Ma sono anche consapevole di essere cresciuta in una cultura che mi ha insegnato, dal primo giorno, ad associare a queste piccole modifiche arbitrarie a cui mi sottopongo il concetto di bellezza.

Ho sentito diverse persone affermare che il femminismo è basato sulla libertà di scelta, e che pertanto l’idea di fondo è che le donne dovrebbero essere messe in condizione di scegliere per le proprie vite. Per la cronaca, sono completamente d’accordo con quest’idea. Ma penso comunque che sia importante parlare del fatto che le scelte non avvengono a caso, e che alcune scelte non sono femministe. Depilarsi, ad esempio, non è un gesto particolarmente femminista. E non sto dicendo che non ci si possa depilare le gambe ed essere comunque femminista, ma penso che sia comunque importante poter parlar di aspetti come questo senza saltare immediatamente alla conclusione “bè, ma il femminismo riguarda la scelta, io la mia scelta l’ho fatta, e questo è quanto”.

Prima di tutto, non sono per niente sicura che la maggior parte delle donne sentano davvero di avere una scelta quando si parla di depilazione. Voglio dire: certo, tecnicamente, possono scegliere cosa fare dei propri corpi, ma è abbastanza difficile sentirsi libere e non influenzate nelle proprie scelte quando le opzioni si riducono a: 1) depilarsi e godere dell’approvazione generale 2) non depilarsi e diventare il bersaglio di scherzi idioti, insulti e persino molestie a causa di questa scelta. E’ decisamente difficile definire questa una “scelta” quando la società approva senza riserve una delle opzioni e punisce sistematicamente l’altra. Dobbiamo essere consapevoli di giocare con dadi truccati.

La verità è che mi adeguo a standard di bellezza patriarcali ogni giorno. Indosso vestitini graziosi e mi spalmo robe appiccicose in faccia per “evidenziare i miei tratti” e rendere il colore della mia pelle “più uniforme”. Indosso scarpe con i tacchi perché mi fanno sembrare più alta e le mie gambe appaiono più snelle. Infilo sottili barrette di metallo attraverso buchi creati nei lobi delle mie orecchie perché penso che mettermi orecchini mi renda più gradevole. Rimuovo con cura dal mio corpo ogni pelo potenzialmente visibile quando indosso solo l’intimo.  Ed è tutto accettabile, e non mi rende meno femminista ma allo stesso tempo queste sono tutte scelte anti-femministe. Perché sono scelte che non avvengono a caso. Non avvengono perché un giorno mi sono svegliata e ho pensato “mmmh, ho davvero voglia di prendere un rasoio e depilare tutte le parti più sensibili del mio corpo e sopportare l’irritazione da rasoio nei prossimi giorni, mi pare una roba proprio divertente!” Non avvengono perché mi sono trovata a sperimentare vari colori sulle mie labbra, e ho deciso che rosso e rosa erano i miei colori preferiti. Avvengono perchè sono cresciuta in una cultura tossica che mi ha insegnato che per essere bella devo modificare il mio corpo, e ogni volta che mi adeguo a quell’idea di bellezza, sto rinforzando e avallando quella cultura tossica. Ogni volta che indosso i tacchi e una bella minigonna, sto rendendo le cose molto più dure per tutte le donne che vorrebbero lasciarsi alle spalle questo fottuto ideale nel quale siamo costrette. E anche se non vorrei, devo essere consapevole della mia responsabilità.

E’ uno schifo che le donne debbano modificare il proprio aspetto per essere considerate belle, o persino solamente accettabili. Abbiamo i peli – durante la pubertà ci crescono naturalmente. Ce li abbiamo tutt@. Dunque perché devono essere qualcosa di disgustoso?  Perché in generale l’intimo e i costumi da bagno sui manichini sono normali, ma questi di American Apparel sono considerati spassosamente osceni?

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Voglio dire, questo è letteralmente il mio aspetto quando non mi depilo. Forse sono ancora più pelosa di così. Questo è l’aspetto del mio corpo. Perché è così disgustoso per così tante persone?

Noi tutte facciamo delle scelte circa il nostro aspetto, e nessuna di queste scelte ci faranno requisire la tessera di femministe dalla polizia femminista. Ma a volte queste scelte rafforzano lo status quo e contribuiscono quindi alla difficoltà che altre donne sperimentano quando il loro aspetto non si adegua alle rigide norme dettate dalla società. E questo non significa che non dovremmo mai indossare vestiti o trucco o gioielli, ma piuttosto che dobbiamo parlare del perché facciamo queste cose. E abbiamo bisogno di smetterla di fingere che questo e quello sia una scelta femminista, perché il femminismo è libertà di scelta e se io sono femminista, allora tutto quello che faccio è automaticamente femminista. No. Non è così che funziona. Indossa vestitini se ti va. Indossa belle scarpe e orecchini e rossetto rosso brillante. Depila tutti i peli del tuo corpo, se questo è ciò che ti fa stare bene. Ma per favore, ammetti che non fai nessuna di queste cose perché casualmente ti piace farle. Per favore, ammetti che la tua scelta è stata fortemente influenzata dalla fottuta cultura misogina in cui viviamo. Accetta il fatto che a volte le tue scelte sono anti-femministe, non perché sei una cattiva femminista, ma perché questo è il mondo in cui viviamo oggi. E una volta che hai fatto tutto questo, cerca di trovare un modo per cambiare le cose, di modo che le ragazze giovani non debbano più essere convinte che i loro corpi non vanno bene così come sono.