Deconstructing la frittata

320px-Frittata2La colpa è, probabilmente, dei numerosi programmi televisivi dedicati alla cucina, agli chef, all’assaggio e ai fornelli, ma è evidente che sempre più parti politiche hanno assimilato come tecnica di comunicazione politica il gesto che migliaia di cuoch@ e casalingh@ fanno in cucina: rivoltare la frittata.

Che lo facciano con l’aiuto di un piatto o del coperchio della padella, che lo facciano con un colpo di polso degno di Henri Leconte, rigirare la frittata è uno dei più straordinari casi in cui una innocente e necessaria pratica culinaria si è trasformata nella moda politico-retorica del momento. Il rivoltamento è usato ormai sia da poteri ben consolidati che da poveracci che non se li fila nessuno; o perché inefficaci i tradizionali metodi di oppressione, o per avere un po’ di visibilità tramite discorsi fantasiosi, entrambi tentano di colpire l’avversario politico facendolo passare per oppressore, maligno, insidioso, brutto&cattivo – mentre loro sono tranquilli paciosi a vogliono solo parlare.

Proveremo a fare un deconstructing un po’ diverso dal solito, tanto per capire di che stiamo parlando; anche senza occuparci nel dettaglio di tutti, è importante riportare qualche esempio, raggruppato per comodità in grandi categorie. Il resto starebbe a voi – “e mica posso fa’ tutto io!” (cit.)

1) Ai cattolici viene limitata la libertà d’espressione.

Questa splendida frittatona gira alla grande da quando Ivan Scalfarotto ha fatto la sua proposta di legge, per ora approvata dalla Camera, che introduce un’estensione alla cosiddetta “Legge Mancino“, estensione che a leggerla per intero è una pippa notevole ma che nella sostanza consta di queste due frasette due:

a. istigare a commettere o commettere atti di discriminazione per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
b. istigare a commettere atti di violenza per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni

Ci vedete qualche accenno alla libertà d’espressione, alla libertà d’opinione, e altre cose del genere? No, dovrebbe bastare saper leggere. Ma i nostri ipocricattolici son partiti armati di fede speranza e carità per l’ennesima crociata a difesa del loro(?) pensiero, minacciato dalle forze del male: gli omosessuali. Ed ecco che da quel giorno battono il tamburo della libertà minacciata, una colossale panzana che solo in un paese dove una suora vince un reality show musicale poteva attecchire così bene. Leggete qua (un esempio qualunque, preso a caso tra gli ultimi usciti) di che stronzate colossali sono capaci:

«È utile ricordare – affermano le Sentinelle in Piedi in una nota – che se tale proposta dovesse diventare legge chiunque affermi che un bambino per crescere ha bisogno di una mamma e un papà potrebbe essere accusato di omofobia e rischiare di essere condannato ad un anno e sei mesi di carcere. Lo scorso 15 marzo a Piacenza eravamo 350 Sentinelle in Piedi, un successo straordinario, ma è tempo di far sentire di nuovo il nostro silenzio, perché impedire a qualcuno di esprimere la propria opinione è il primo passo verso la dittatura. Diverse volte negli ultimi mesi, le veglie delle Sentinelle in Piedi sono state fortemente contestate e accusate di omofobia. Non è che la conferma di quanto sia urgente la nostra mobilitazione, infatti, se oggi solo stando in silenzio nelle piazze si viene additati come omofobi, cosa accadrà domani, se e quando la legge sarà approvata?»

Carissime sentinelle, ma che andate dicendo? E’ una vera e propria falsità, una balla, una sciocchezza, una stuipidaggine. Ma chissenefrega – e chi se n’è mai fregato – delle cose che pensate e andate dicendo: so’ problemi vostri. Quella legge, c’è scritto sopra, non serve per i pensieri né per le espressioni, serve proprio per tutt’altro, c’è scritto: atti di discriminazione o atti di violenza, e le vostre idee circa l’omosessualità, finché rimangono idee, non danno alcun problema – al massimo schifo o pena, tutto lì. Però fare le vittime fa comodo, e adesso vorreste passare per paladini della libertà invece che per ipocriti; i quali vorrebbero addirittura sentirsi chiedere scusa per aver anche solo paventato la possibilità di avere una legge che punisce gli atti omofobi. E attenzione, amici cattomofobi: se ne sono accorti anche personaggi molto preparati di questi trucchetti retorici sulle questioni di genere. Sarà sempre più difficile farci cadere la vostra amatissima “opinione pubblica”, in piedi o seduta che sia. Complimenti per la frittata, davvero.

2) Le vere vittime sono gli uomini, altro che “violenza sulle donne”.

Beh, questa invece è una specialità della casa (patriarcale) che va avanti da un pezzo, sempre in nuove versioni e fantasie elaborate dagli chef professionisti come dagli smaneggiatori di fornelli occasionali. Ce n’è per tutti: potete trovare il dotto maschione che legge tanti libroni e li studia e fonda gruppi chiamandosi con lettere greche (quello che ama presentarsi come corretto, forbito e gentile), del quale recentemente ho letto questa meraviglia, in un aggregatore:

Tutto ciò che gli uomini avrebbero fatto nel corso della storia, quindi anche le grandi rivoluzioni, le grandi lotte per l’emancipazione umana, i diritti, la libertà, la democrazia, l’eguaglianza, il socialismo che li hanno visti protagonisti, e poi il lavoro disumano, lo sfruttamento e le immense sofferenze a cui sono stati sottoposti, così come le scoperte scientifiche, la produzione filosofica e letteraria, l’arte (per non parlare delle religioni), sarebbe stato fatto con il proposito di opprimere le donne.
Questa è l’operazione filosofica/ideologica che sta alle fondamenta del femminismo in tutte le sue correnti e sottocorrenti, nessuna esclusa. La criminalizzazione del maschile è ciò che accomuna tutte le diverse determinazioni del femminismo, oggi declinato nella sua versione ancora più aggressiva, che è quella detta appunto del genderismo.

Fantastico, sublime, mirabile produttore di stronzate galatticohegelianmarxiste, il quale crea mostri a suo uso e consumo per parlare dei poveri ometti che non ce la fanno più a sopravvivere, sempre più angustiati dalle brutte donnacce (e da altri uomini che beneficiano della loro preziosissima arma, l’alphavulva). Questi girafrittate esistono anche nella versione statistico-sociale: certamente ricorderete il mitico avvocato “Tempesta” Mazzola (qui uno e due esempi dei suoi fallodeliri) il quale meno di due anni fa ci propinava paternalismi di questa levatura:

Ho perplessità sui numeri sparati a vanvera. Nessuno ad oggi mi ha difatti indicato una fonte ufficiale da cui trarli e la causa precisa delle morti e per mano di chi. Il “cianciare” era riferito al giornalismo pressapochista. Ho contrapposto numeri ufficiali che smentiscono l’allarme, anche se è giusto che vadano letti più nel profondo, dal generale al particolare. Un lettore ha ben citato la fonte del ministero dell’Interno che nega qualsivoglia allarme al riguardo. Dunque si stanno enfatizzando alcune morti per destare allarme e, come scritto prima, per imporre un femminismo d’assalto. Egemonizzante. Aggressivo come il tono usato nei commenti, vera cartina di tornasole del femminismo d’avanguardia (presunta).

Capito? Il problema è che non ci sono i numeri perché nessuno si occupa del fenomeno, ma il nostro fa finta di capire il problema e bea sé e il suo maschio cervellone dei “dati ufficiali”. Geniale, a modo suo. E tu, che ti sbatti per registrarli e diffonderli correttamente, quei numeri, tu sei il cattivo perché enfatizzi, strumentalizzi, aggredisci, imponi; sei brutt@ e cattiv@ femminist@, pussa via! Non c’è nessun allarme: com’è giusto per il loro virilissimo destino, muoiono sono i maschi per mano delle donne, eh.
Dite che è roba vecchia? Ma la frittata è sempre quella: quella dei poveri masculazzi ai quali sentirsi dire “puzzi forte, lavati almeno” significa che il femminismo gl’impedisce di scopare; quelli che le donne si approfittano della loro alphavulva per fare carriera e ottenere vantaggi, come se i vantaggi e le carriere venissero dati in cambio di sesso da un distributore automatico, non da un uomo come loro; quelli che le donne c’hanno tutti i vantaggi sociali ed economici, di che si lamentano? Però mai che facessero a cambio di vita, anche solo per un giorno (qui è riportato qualche discorso come esempio di tutto ciò, non vi aspettate link a quello schifo, basta usare Google); e poi i mitici articoli, che spopolano nei ghetti rosa, nei quali le conseguenze del sessismo – i pregiudizi sul “sesso forte” – vengono usate come prove che la società è più cattiva con i (tantissimi!) maschi che subiscono violenza.

Capito come funziona la frittata? A parte le letture ignoranti e mistificanti, il trucco è: quello che succede ai maschi lo descrivo come simmetrico di quello che succede alle donne, et voilà! la frittata è girata. L’avete sentita, questa frittata, anche nella versione più generalista “il femminismo è il contrario del maschilismo”: la considerazione del fatto che forse non si tratti di un rapporto simmetrico – perché quello tra oppressori e oppressi non è mai un rapporto simmetrico – non li sfiora proprio a ‘sti bei soggetti e soggette – guarda caso. E che quindi leggere i fenomeni di violenza di genere come fossero lo stesso fenomeno – solo con soggetti diversi – è manifestazione d’ignoranza quando non di malafede. Calda la padella, eh?

3) I genitori non possono decidere cosa studiano i figli.

Notoriamente della scuola pubblica non frega niente a nessuno (parlo della maggior parte dei politici di professione, stante ciò che ne hanno fatto dal dopoguerra a oggi) e la maggior parte dei genitori continua a pensare che la scuola debba fare qualunque cosa soprattutto perché maestri e professori sono una casta che si gode tre mesi di vacanze all’anno (stronzo luogo comune dal dopoguerra a oggi). Il risultato ce l’abbiamo davanti agli occhi: i genitori devo comprare pure la carta igienica e va bene così, ma se qualche docente illuminato – o qualche studente autorganizzato – porta dentro la scuola argomenti di genere, allora protestiamo! A scuola si porta di tutto da casa, compresi i pregiudizi.

Il caso degli studenti di Modena lo ricorderete, è un esempio perfetto. Ecco come si esprime l’associazione di genitori che lo ha contestato:

L’intervento di Luxuria al ‘Muratori’ non rispetta questa esigenza di pluralismo e rappresenta invece una vittoria del pensiero unico nella forma della cosiddetta ideologia del gender e una negazione della liberta’ di espressione e del contraddittorio.

Capito? Applicando il principio – stupido e distorto – divulgato da quella ridicola e ipocrita norma italiana della par condicio, “i genitori” (ma quali? Di chi? Indovina!) assumono che la sola presenza di una transgender a parlare sia la violazione di un supposto contraddittorio. E sì, perché lei è lì per fare propaganda politica, no? Lei è lì per trasformare tutti i virgulti italici in transgaypornozozzoni come lei, no? E così, salto mortale carpiato per la frittata: non c’è il contraddittorio – senza spiegare perché ci dovrebbe essere – e quindi quella è un’imposizione della potentissima lobby gaytransfrociazozza, che come sapete governa il mondo tramite il commercio dei boa di struzzo. Il contraddittorio, secondo questa gente ubriaca dei propri pregiudizi, dovrebbe esserci tra chi tenta di parlare di cose da sempre nascoste e marginalizzate con violenza, e tra chi tradizionalmente segue la mentalità oppressiva e distorcente che vige. Proprio un confronto alla pari, sì.

E giustamente l’attuale ministra dell’istruzione si accoda a questa propaganda meschina, e invece di ascoltare chi fa il lavoro di educatore da anni rispondendo a richieste di educazione sessuale che vengono dalle scuole stesse, pensa bene di aspettare ancora un po’ promettendo linee guida di concerto con le associazioni dei genitori, le quali infatti esultano. Esultano perché si tratta solo di alcuni e particolari genitori – voglio proprio vedere se e come Giannini sentirà in proposito il parere di Agedo, per esempio. Per ora, la frittata è girata: i genitori cattolici passano per quelli zittiti e messi in minoranza, ignorati e anzi ingannati da chi vuole sapere le cose senza contraddittorio. Complimenti.

La realtà, come sanno bene al di fuori da questo cattostivale, è che prima si comincia meglio è, perché i risultati, come spiegava ad esempio Lanfranco, sono a lungo termine:

Non si aspettano miracoli dal progetto educativo francese, perché ci vuole tempo, e molto lavoro, sulle persone adulte in primo luogo e poi sulle giovani generazioni affinché la mentalità, il linguaggio e la pratica quotidiana nelle relazioni tra i generi evolva in una direzione non sessista, paritaria e nonviolenta. Ma iniziare a farne anche una questione di come ci si esprime, come si gioca, come si vestono bambine e bambini è un buon inizio.

Qui, nel frattempo, gente sedicente di sinistra s’è vantata di essersi opposta al rapporto Estrela. Così, per dire, eh.

Oh, allora? Zucchine, porri, patate, spinaci… che ci mettiamo? L’importante è rivoltarla, ricordatevelo.

 

Femminismo: la prospettiva di un anarchico

Di seguito potete leggere un articolo di Pendleton Vandiver, “Feminism: a male anarchist’s perspective“, presente su The Anarchist Library e tradotto in lingua italiana da Su Macumeresu. Buona lettura!

 

“Io stessa non ho mai capito cosa sia il femminismo: so solo che mi chiamano femminista quando esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino”

Rebecca West, The Clarion 1913

Lawrence Textile Strike

La maggior parte delle persone nel mondo anarchico attuale – femmine o maschi – non condividerebbero, almeno in principio, molte delle seguenti affermazioni: ci sono due categorie immutabili e naturali sotto le quali gli umani sono classificati: maschio e femmina. Un umano maschio è un uomo, e un umana femmina è una donna. Le donne sono intrinsecamente inferiori agli uomini. Gli uomini sono più intelligenti e forti delle donne; le donne sono più emozionali e delicate. Le donne esistono per il beneficio dell’uomo. Se un uomo chiede del sesso a sua moglie, è suo dovere obbedire, volente o nolente. Un uomo può costringere una donna a fare sesso con lui, se ha una buona ragione per richiederlo. Gli umani devono essere concepiti, in senso universale, come maschi (“uomini”), e solo parlando di particolari individui come femmine. Le donne sono una forma di proprietà. Chiedere diritti per le donne è come chiedere diritti per gli animali ed è altrettanto assurdo.

Per quanto ridicole possano sembrare queste affermazioni, ognuna di loro è stata ovvia e naturale per buona parte dell’occidente in diversi momenti storici, e molte al giorno d’oggi sono più una regola che un’eccezione. Se molte di queste sembrano un po’ strane, stridenti o semplicemente sbagliate, non è perché contraddicano qualche vaga nozione di giustizia o senso comune con la quale siamo nati. Al contrario, il cambiamento di atteggiamento, che ci permette di affermare un punto di vista più illuminato e apparentemente naturale, è il risultato concreto di una continua lotta che ha visto sacrificarsi onorabilità e relazioni personali e vite umane negli ultimi 200 anni e che, come tutte le lotte di liberazione, è stata screditata, calunniata, e marginalizzata fin dal suo concepimento. Sebbene questa lotta sia stata, e ancora sia, strategicamente varia e concettualmente molteplice, e per questo difficile da definire, non è altrettanto difficile chiamarla col suo nome: mi riferisco, naturalmente, al femminismo.

Il femminismo ha cambiato la nostra cultura, se non altro rendendo di senso comune l’idea che le donne sono propriamente degli esseri umani. Se la maggior parte della gente condivide questa idea, non è perché la società sia diventata più buona, o stia evolvendo naturalmente verso una situazione più egalitaria. Chi ha il potere non decide semplicemente di concedere l’uguaglianza a quelli che non ce l’hanno; semmai, cede il potere solo quando vi è costretto. Le donne, come ogni altro gruppo oppresso, hanno dovuto prendere tutto ciò che hanno ottenuto, attraverso un duro percorso di lotta. Negare questa lotta è perpetuare un mito simile a quello dello schiavo felice. Ed è precisamente ciò che facciamo quando parliamo di femminismo come di un qualcosa che perpetua il divario di genere, o che ostacola il nostro progressivo abbandono delle politica identitaria. Il femminismo non ha creato il conflitto tra i generi; la società patriarcale lo ha creato. Ed è importante non dimenticare che l’idea che le donne siano esseri umani non è senso comune, ma in tutto e per tutto un concetto femminista. Appoggiare formalmente la liberazione delle donne, mentre si nega la loro lotta storica per ottenerla per sé stesse è paternalista e insultante.

Non solo la società occidentale ha apertamente relegato le donne a un ruolo subumano, ma, fino a poco tempo fa, molti movimenti di liberazione hanno fatto lo stesso. Spesso, è stato fatto in parte senza saperlo, come riflesso automatico dei costumi della cultura dominante. Altrettanto spesso, però, è stato in modo consapevole e intenzionale (come la famosa affermazione di Stokely Carmichael [leader studentesco statunitense e in seguito Black Panther, ndt], per cui l’unica posizione per le donne nel Comitato Coordinamento Studenti Nonviolenti fosse “in ginocchio”). Comunque sia, molti tra quelli che dicevano di lavorare per l’emancipazione di tutti gli umani stavano in realtà lavorando per l’emancipazione dell’uomo, e fino a poco tempo fa la definizione era proprio questa. Alle donne che si lamentavano di questo veniva (e viene tuttora) detto in modo accondiscendente di aspettare finché la battaglia più importante venga vinta, prima di chiedere la loro propria liberazione. Questo è stato per l’abolizionismo [della schiavitù], i diritti civili, il movimento contro la guerra, la Nuova Sinistra [americana], il movimento contro il nucleare, l’ambientalismo radicale e, ovviamente, l’anarchismo. Le donne sono state criticate per aver perseguito obiettivi femministi come se fossero nella direzione sbagliata, controrivoluzionari, o non importanti. Gli anarchici non si sono semplicemente svegliati una mattina con una visione più illuminata delle donne, e il patriarcato non si è rivelato improvvisamente come “un’altra forma di dominazione”. Sono state la teoria e la pratica femminista a portare alla luce l’oppressione delle donne, che l’hanno spesso manifestata in ambiti rivoluzionari differenti.

Questo non vuol dire che tutte le femministe fossero e siano anarchiche, o che tutti gli anarchici non fossero e non siano femministi. Ma il femminismo è spesso criticato nell’ambiente anarchico, da diversi punti di vista. Proverò a discutere le più comuni critiche che ho sentito fare, pubblicamente e privatamente, nei circoli anarchici. E’ stato detto che il femminismo è essenzialista. E’ stato anche detto che il femminismo, mantenendo le sue visioni essenzialiste, è una filosofia che afferma la superiorità, in un modo o nell’altro, delle donne sugli uomini. Infine, si accusa il femminismo di perpetuare le categorie di genere, mentre l’obiettivo rivoluzionario sarebbe andare oltre il genere. In altre parole, il femminismo è accusato di essere un’ideologia identitaria, di perpetuare ruoli sociali dolorosi ed escludenti che in ultima analisi opprimono tutti.

Ciò che queste accuse hanno in comune è che stabiliscono un’entità singola e più o meno univoca chiamata “femminismo”, mentre chiunque studia il femminismo impara subito che c’è sempre stata molta varietà nella teoria femminista, e che questo è vero soprattutto adesso. Nessun singolo insieme di idee sul sesso e sul genere rappresenta il femminismo; anzi, il femminismo è una categoria aperta, che comprende praticamente tutte le forme di pensiero e azione che riguardano esplicitamente la liberazione delle donne.

Sebbene il femminismo sia stato spesso accusato di essenzialismo, quest’ultimo è fortemente criticato all’interno del movimento femminista. L’essenzialismo è l’idea che ci sia una sostanza o essenza immutabile che costituisce la vera identità delle persone e delle cose. In questa visione, una donna sarebbe in qualche modo obiettivamente, profondamente identificabile come donna; essere una donna non sarebbe semplicemente il risultato di differenti attributi e comportamenti. Questa è spesso letta come un’affermazione politicamente arretrata, perché implicherebbe che le persone siano limitate da certe capacità e comportamenti dettati dalla natura.

Quando esaminiamo il campo delle idee emerse dalla seconda ondata del femminismo (più o meno post-1963), invece, viene fuori un’immagine diversa. La citazione forse più famosa del ‘Secondo sesso’, l’opera seminale di Simone de Beauvoir del 1940, è: “donne non si nasce, lo si diventa”. Il libro prosegue argomentando che il genere è una categoria sociale, che gli individui possono rifiutare. L’influenza del ‘Secondo sesso’ è stata enorme, e Beauvoir non fu l’unica femminista a mettere in dubbio la naturalità della categoria di genere. Molte scrittrici femministe iniziarono a tracciare una distinzione tra il sesso e il genere, asserendo che il primo descrive il corpo fisico, mentre il secondo è una categoria culturale. Per esempio, avere un pene appartiene al sesso, il modo in cui uno si veste, e il ruolo sociale che sceglie, appartiene al genere.

E’ una distinzione che alcune femministe ancora fanno, ma altre hanno messo direttamente in dubbio l’uso di categorie apparentemente pre-culturali come il sesso. Colette Guillamin ha suggerito che il sesso (come la razza) è un sistema arbitrario di “marchi” che non ha alcun fondamento in natura, ma serve semplicemente gli interessi di chi ha il potere. Sebbene varie differenze fisiche esistano tra le persone, è politicamente che si decide quali siano importanti per ‘definire’ una persona. Per quanto gli individui siano divisi in categorie ‘naturali’ sulla base di questi marchi, non c’è nulla di naturale nelle categorie: sono puramente concettuali.

Basandosi sul lavoro di de Beauvoir e Guillamin, tra le altre, Monique Wittig ha affermato che l’obiettivo del femminismo è eliminare il sesso e il genere come categorie. Come il proletariato nella filosofia marxista, le donne devono costituirsi in classe per rovesciare il sistema che permette l’esistenza delle classi. Non si nasce donna, se non nello stesso senso in cui si nasce proletari: essere donna denota una posizione sociale, e certe pratiche sociali, più che un essenza o un’identità ‘vera’. Il fine politico ultimo di una donna, per Wittig, è non esserlo. Più di recente, Judith Butler ha elaborato un’intera teoria di genere basata sulla radicale espulsione dell’essenza.

Naturalmente, ci sono state femministe che, disturbate da quella che vedevano come tendenza assimilazionista nel femminismo, hanno asserito una nozione di femminilità più positiva che è stata, a volte, indubbiamente essenzialista. Susan Brownmiller, nel suo importante libro ‘Contro le nostre volontà’, ha scritto che gli uomini possano essere geneticamente predisposti allo stupro, una nozione che è stata ripresa da Andrea Dworkin. Femministe marxiste come Shulamite Firestone cercarono la base materiale dell’oppressione di genere nel ruolo riproduttivo femminile, e molte teoriche femministe – Nancy Chodorow, Sherry Ortner, Juliet Mitchell tra le altre – hanno esaminato il ruolo della maternità nel creare ruoli di genere oppressivi. Femministe radicali come Mary Daly hanno abbracciato certe nozioni tradizionali di femminilità e hanno cercato di dar loro un senso positivo. Sebbene le radicali abbiano, a volte, preso posizioni essenzialiste, questo tipo di femminismo ha compensato alcuni degli squilibri di questo ambito del pensiero femminista che rifiutava la femminilità tout court come identità da schiava. La dicotomia che ha arrovellato le pensatrici femministe è sempre stata questa: asserire una forte identità femminile, e rischiare di legittimare i ruoli tradizionali e alimentare chi impiega l’idea di una differenza naturale per opprimere le donne, o rifiutare il ruolo e l’identità data alle donne, e rischiare di eliminare la base propria della critica femminista? L’obiettivo del femminismo contemporaneo è trovare un equilibrio tra punti di vista che rischiano, da una parte, l’essenzialismo, e dall’altra l’eliminazione delle donne come soggetto della lotta politica.

L’obiettivo del femminismo, quindi, è la liberazione della donna, ma cosa questo significhi esattamente è aperto a ogni discussione. Per alcune, questo significa che le donne e gli uomini debbano coesistere equamente; per altre, che non ci saranno più persone viste come donne e uomini. Il femminismo fornisce un ricco panorama di vedute sul problema di genere. Una cosa su cui possono accordarsi, comunque, è che i problemi di genere esistono. Sia come risultato di differenze naturali o di costruzioni culturali, le persone sono oppresse per motivi di genere. Per andare oltre al genere, questa situazione deve essere risolta; il genere non può semplicemente essere battezzato come sorpassato. Il femminismo può forse essere meglio definito come il tentativo di andare oltre la situazione in cui le persone sono oppresse in base al genere. Quindi, non è possibile andare oltre il genere senza il femminismo; l’accusa che il femminismo perpetui le categoria di genere è palesemente assurda.

Poiché l’anarchismo si oppone a tutte le forme di dominazione, l’anarchismo senza femminismo non è anarchismo. Poiché l’anarchismo si dichiara opposto a tutte le ‘archie’, tutti i governi, il vero anarchismo è per definizione opposto al patriarcato, quindi è, per definizione, femminista. Ma non è abbastanza dichiararsi contro tutte le dominazioni; si deve cercare di conoscere la dominazione per opporsi ad essa. Le autrici femministe dovrebbero essere lette da tutti gli anarchici che si considerano contro il patriarcato. Le critiche femministe sono sicuramente rilevanti quanto i libri contro l’oppressione governativa. L’eccellente ‘Agenti di repressione’ di Ward Churchill è considerato una lettura essenziale da molti anarchici, anche se Churchill anarchico non è. Molti lavori femministi, d’altra parte, sono snobbati anche da chi appoggia formalmente il femminismo. Se la repressione della polizia è una vera minaccia per gli anarchici, il modo in cui interpretiamo i nostri ruoli di genere deve essere considerato ogni giorno della nostra vita. Quindi, la letteratura femminista è più importante per la lotta quotidiana contro l’oppressione di molta della letteratura che gli anarchici leggono regolarmente.

Se l’anarchismo ha bisogno del femminismo, il femminismo ha sicuramente bisogno dell’anarchismo. Il fallimento di alcune teoriche femministe nel combattere il dominio oltre il ristretto frame delle donne vittimizzate dagli uomini ha impedito loro di sviluppare un’adeguata critica dell’oppressione. Come ha scritto un importante scrittore anarchico, un’agenda politica basata sul chiedere agli uomini di rinunciare ai loro privilegi (come se fosse davvero possibile) è assurdo. Femministe come Irigaray, MacKinnon e Dworkin sostengono riforme legislative, senza criticare la natura oppressiva dello Stato. Il separatismo femminista (specie quello di Marilyn Frye) è una strategia pratica, e forse necessaria, ma solo nella cornice di una società ampia che si assume stratificata sulla base del genere. Il femminismo è davvero radicale quando cerca di eliminare le condizioni che rendono inevitabile l’oppressione di genere.

Anarchismo e femminismo chiaramente hanno bisogno l’una dell’altro. E’ tanto bello dire che una volta che la fonte primaria di oppressione (qualunque essa sia) sarà eliminata, tutte le altre oppressioni saranno spazzate vie, ma che prove abbiamo che sia davvero così? E in che modo questo dovrebbe impedirci di opprimerci l’uno con l’altro, mentre aspettiamo questa grande rivoluzione? Allo stesso modo, è importante riconoscere che l’oppressione della donna non è l’unica oppressione. Discutere di quale sia quella più importante è sciocco e senza uscita. Il valore e la pericolosità dell’anarchismo sta proprio nel fatto che cerca di eliminare tutte le forme di dominazione. L’obiettivo ha valore perché non si distrae con battaglie riformiste dimenticando la sua traiettoria verso la liberazione totale. Ma, in un altro senso, è ‘pericoloso’ perché corre sempre il rischio di ignorare le situazioni concrete, sottovalutando o escludendo movimenti che lottano per obiettivi specifici.