Scopiamo fino a innamorarci

Dal nuovo libro di Ana Elena Pena, Vamos a follar hasta que nos enamoremos

Autoprodotto, curato fin nei minimi dettagli, pieno di rabbia, emozione, passione e poesia.

La prima cosa che penso leggendo questo libro, riflettendo sulla mia iniziale diffidenza, è che usare la parola “amore” non deve essere facile, un termine contenitore svuotato di un valore proprio, quasi sicuramente fraintendibile. Eppure sono proprio queste premesse caotiche a renderlo perfetto per esperimenti di risignificazione. Ana Elena Pena non si formalizza troppo nel farlo e lo riempie di se stessa.

Lancia invettive contro l’ideale di amore romantico che rende marionette e in cui si perdono le forme, i colori, il desiderio. Si schiera contro la ricerca di perfezione emozionale che si trasforma in superficialità, contro quell’ideale che rappresenta l’amore come una esperienza che non sporca, non macchia, non ferisce e che soprattutto non trasforma il nostro modo di vivere nuove relazioni.

Una condivisione di metafore e vissuto in cui ritrovare qualche pezzetto del proprio, per ricordare dove abbiamo fatto proprio l’opposto di quello che era prendersi cura di sé, non lasciando spazio ad alternative.

Riflessione sfaccettata sulle ansie e le delusioni di vivere il sesso come antitesi della complicità, attraverso schemi altrettanto predefiniti che mettiamo in atto come fossimo sconosciut*, lontan*, barricat* con le nostre paure o insoddisfazioni dietro maschere di indifferenza. Sesso che indebolisce e mutila i corpi.

Spunti poetici per risvegliarci dall’apatia individualista o dall’autolesionismo e per ricordarci che scopando si costruiscono affetti liberi o amore, che dir si voglia.

Il libro, insieme alle precedenti pubblicazioni (tutte in spagnolo) lo trovate qui. La versione originale di Vamos a hacerlo è invece pubblicata sul blog.

follar-b

 

Facciamolo lentamente
senza urgenza né pause,
senza rabbia e senza paura.
Facciamolo di fretta, con furia e con forza,
scricchiolando le ossa.
Spensierati e increduli, a colpi e a baci, senza scuse né pretesti,
sul cofano di un’auto, nel letto, sul pavimento,
tra grida laceranti, ma anche in silenzio. Come bambini che giocano, come
pazzi, come malati, con vizio e con lascivia, come animali in calore,
con piacere e godimento.
In un modo selvaggio,
delicato, sporco, lento, e fino all’agonia.
Vieni, andiamo a farlo…
Andiamo a scopare fino a innamorarci.

Ana Elena Pena, traduzione di lafra

Se la mia fica fosse un’arma

heim2Pubblichiamo la traduzione della poesia di Katie Heim “If My Vagina was A Gun“, composta ai tempi delle proteste del Giugno scorso verso il Senato del Texas – ricordate Wendy Davis?

Tradurre una poesia è un compito arduo… ma nell’attesa di una versione più puntuale, oggi lo facciamo noi: Feminoska, Pantafika e Lorenzo Gasparrini.

Perchè a volte una poesia fa riflettere meglio di tanti discorsi.

Leggi tutto “Se la mia fica fosse un’arma”

Deconstructing le poesie?

Nuyorican

Capita anche di dover decostruire un commento a un altro testo – come la vogliamo chiamare? Decostruzione di secondo grado? Boh, fate voi – ma è bene sfruttare l’occasione per chiarire alcune questioni di fondo che non è giusto lasciare al pensiero privato. E’ bene che emergano.

Una premessa è necessaria. Se un artista fa un’opera per uno scopo preciso, storicamente determinato e identificabile, non sta facendo nulla di artistico. Fa solo comunicazione. “Guernica” – tanto per fare esempi noti – non rientra in questo caso: mi dice qualcosa prima di tutto sugli esseri umani, non sulla guerra, infatti quello che disse Picasso al tedesco fu: “questo l’avete fatto voi” – più o meno, vuole la leggenda. L’arte, da sempre, è così: se parla “di qualcosa”, si condanna a dire solo quello. L’importante è ciò che mostra, non ciò che dice.

Questa poesia ha un valore – ancora, a vent’anni di distanza – perché il “mettersi nei panni altrui” continua ad essere una cosa che i maschi eterosessuali in genere non fanno, perché politicamente non gli fa comodo; né tentano la loro immaginazione con questa fantastica possibilità. Tutto qui. Non si tratta di empatia: l’empatia, come dice il vocabolario e qualche secolo di storia dell’estetica, è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui; il “mettersi nei panni degli altri” non significa comprendere lo stato d’animo, ma immaginare di avere il corpo dell’altro. E’ una cosa ben diversa – quella poesia prova a far capire questo.

In questo post di un altro blog si commenta in maniera – secondo me, eh – assurda la poesia di Carol Diehl. Per forza di cose dovrò intercalare i miei commenti a delle questioni di metodo – necessarie per comprendere meglio anche l’attività del deconstructing. Cominciamo.

Sue santità le vittimiste del terzo millennio [già nel titolo un simpaticissimo accostamento tra le vittimiste e “i fascisti del terzo millennio”, unite in una crasi che è tutto un programma critico]

Jinny mi scrive: “Oggi la pagina fb Gender Anarchy ha postato una poesia di Carol Diehl, pittrice e poeta americana. Si intitola: “For the Men Who Still Don’t Get It”, “Per gli uomini che ancora non ci arrivano”. Il testo è stato scritto vent’anni fa, quando non era diffusa internet – ma ultimamente sta circolando in rete in maniera “virale”, postato da giovani ragazze americane e del mondo anglofono. Vedrai che è incentrato sul rovesciamento di ruoli (con soluzioni a volte divertenti secondo me), ma ovviamente non come se questo fosse auspicabile, solo per rendere l’idea – credo – e far sì che gli uomini si immedesimino nei ruoli imposti alle donne dalla società. Però l’operazione è problematica secondo me, e sarebbe interessante da discutere. Infatti ha sollevato molte polemiche. Alcun* dicono che questo testo sia datato e superato. Ma perché sta avendo tanto successo tra le giovani? Da tenere presente, anche, che fa riferimento alla cultura americana. L’ho tradotto in italiano. Have a good day. Jinny”

[La lettera è molto interessante: il tono è quello di una richiesta critica, per niente polemica. Tiene anche conto, giustamente, che si lavora su una traduzione, che il testo ha molti anni, che si riferisce a un ambito culturale specifico. Ci sarebbe da fare un ottimo lavoro critico. Ma perché farlo, quando invece si può sparare a zero?]

Leggo la poesia e in effetti ci trovo molti anacronismi anch’io. [Bene; adesso andrebbe spiegato perché un anacronismo è una colpa. Non sempre è così. Ma non succederà, questa spiegazione non ci sarà] Se è vero che sovvertire le immagini può rendere evidenti stereotipi e sessismi: in questo caso, secondo me, la questione però proprio non funziona.

Commento la poesia, che trovate intera in basso, colpo su colpo [colpo su colpo? E da quando le poesie sparano? Manco Terragni oserebbe tanto] per capire assieme a voi cos’è che mi stona.

“E se / tutte le donne fossero più grandi e grosse di voi / e pensassero di essere più intelligenti”

Sul grandi e grosse, non so. Magari in termini fisici la fragilità di certe donne è ancora un fatto accertato, ma sul fatto che pensino di essere più intelligenti… se fate un giro per i tanti articoli al “femminile” che raccontano della meraviglia del cervello delle donne, della marcia in più, di come sappiamo fare bene tutto, incluso salvare il mondo, della necessità di mettere a capo di tutto una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, del fatto che le donne abbiano neuroni da sprecare e invece gli uomini sono degli imbecilli, beh, allora se verifico certa supponenza, anche in contesti antisessisti in cui si parte dalle lotte per non discriminare le donne e si finisce per raccontare di un maschile pessimo e irrecuperabile, da rieducare all’umano e civilizzare, quasi che fossimo diventate colonizzatrici dell’umana specie, dico che questa frase loro posso capirla eccome. Però istigherebbe la loro rabbia e istigherebbe un minimo di misoginia. Non so se ci conviene divulgarla [è una poesia, non una ricerca di sociologia. Non deve affrontare la completezza dei discorsi di genere dati alla mano – è una poesia. Non ha senso paragonarla a tanti articoli al “femminile” perché non è un articolo. E’ una poesia. Non va giudicata per ciò che descrive, né interpretata alla lettera. E’ una poesia. Scritta in una certa epoca, in una certa lingua, in un dato contesto culturale. Metterci dentro salvare il mondo, una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, gli uomini sono imbecilli, e così via, è una lettura piena di pregiudizi – e inutile. E’ una poesia: metterci quello che non dice è ingiusto e palesemente scorretto – è una poesia, non ha pretese di completezza. E poi: ci conviene? Stai parlando in rappresentanza di qualcuno? E di chi? E grazie a quale potere?].

“E se / le donne fossero quelle che fanno le guerre”

Le fanno, infatti. Dalle Segretarie di Stato che coccolano strategie guerrafondaie alle soldatesse e alle torturatrici di Abu Ghraib credo che le donne abbiano ampiamente dimostrato che la guerra non sta all’uomo come la pace non sta alla donna. Guerre e diserzioni riguardano ogni genere di persona, salvo il fatto che c’è chi dice oggi – paradosso nel paradosso – che accedere alla guerra, per soldatesse o soldati gay, sia un fatto di pari opportunità mentre prima tanti disertori di sesso maschile, di qualunque orientamento sessuale, si facevano la galera per non essere obbligati a indossare le divise. [Complimenti, abbiamo incastrato la poetessa inchiodandola al significato letterale delle parole – proprio quello che si richiede a una poesia: usare le parole per etichettare le cose, per descriverle precisamente. Il riferimento ad Abu Grahib poi è eccezionale – la poesia è di vent’anni fa, pre-web e pre tante altre cose, come cercava di dire la lettera, ma perché tenerne conto? Anche le donne sparano e ammazzano, ed è tipico del loro modo di vedere il mondo, da sempre, si sa – ‘sta poesia è proprio falsa. Notoriamente, le poesie possono essere false, no? Come i teoremi, come le prove indiziarie, come i giuramenti. Vabbè.]

“E se troppi dei vostri amici fossero stati violentati da donne con vibratori giganti / e senza lubrificante”

E qui bisogna capirsi [no, perché magari avevate pensato che le poesie non potessero essere metaforiche, allusive, provocatorie; qui bisogna capirsi, finora era tutto chiaro]. Lo stupro è stupro [e la guerra è guerra, l’arte è arte, la vita è vita, l’amore è amore, la maggica è la maggica]. Dopodiché loro possono rispondervi che ci sono altre forme di violenza che hanno subìto e che nessuno se li fila [loro chi? Boh, meglio lasciare sul vago. Infatti la poesia, com’è noto, serve a fare paragoni – ma attenzione che il meglio sta per arrivare]. Pesare l’entità delle violenze non è mai un ottimo stimolo comunicativo per suscitare empatia [EH? Le poesie sono atti lirici, assolutamente soggettivi – se ne fregano di pesare e di suscitare empatia. Le poesie sono espressioni di sé, fine. Come tutte le manifestazioni artistiche, rischiano l’incomprensione, l’inutilità, la retorica – ma non fanno analisi né hanno uno scopo, come invece fa la comunicazione. Confondere le due cose è sintomo di una profonda ignoranza – o di una grave malafede. Le si rifiuta, le si commenta, ma non si decostruiscono, è inutile. Perché a una poesia, se la smonti, le fai dire quello che vuoi – e non è onesto]. Semmai vengono fuori banalizzazioni e negazionismi dove non si riesce a dire in altro modo che il fatto che tu e lei e lei e lei siate state stuprate è un fatto increscioso, orribile, ma che non si può farne un’arma per vittimizzare un genere e criminalizzare l’altro [e infatti questa poesia non è un’arma, come non lo è nessuna poesia. E’ l’intenzione di chi la adopera con uno scopo a farne un’arma di offesa a qualcuno. Siamo ancora a queste cose? Dopo secoli di poesia usata a scopi politici?].

“E se il poliziotto / che vi ferma allo svincolo dell’autostrada / fosse una donna / e avesse una pistola”

Ricordo solo che tra i poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Aldrovandi c’è una donna [ricordo a chi legge che interpretare alla lettera una poesia è da ipocriti – usare celebri casi di cronaca per farlo aggiunge un tocco di cinismo molto alla moda].

“E se / la capacità di mestruare / fosse il requisito per i posti di lavoro / più remunerativi”

Si, ma a parte che la precarietà oramai ammazza tutti/e [la poesia è scritta nei primi anni ’90 negli USA, che la precarietà oramai ammazza tutti/e è l’ennesimo ipocrita modo di svilire una poesia con l’attualità. Allora smettiamo di leggere Dante perché è roba del Trecento, no?], in questo non serve empatia unilaterale per farci recuperare spazio ma serve empatia reciproca per cedere spazio per affettività e cura anche a loro, agli uomini, che lo chiedono [questa poesia è appunto quella richiesta, basterebbe leggerla come una poesia, e non come un articolo di Travaglio, per rendersene conto]. Perché, tra l’altro, il mondo non è più diviso in due generi [è una poesia, non un trattato di sociologia, è parziale e soggettiva come tutte le poesie] e questa visione dei limiti nel lavoro va vista a 360° gradi prima di rivendicare conciliazione famiglia/lavoro e status coccolati per il materno [non sta rivendicando nulla, è una poesia, non un decreto legge di Fornero o simili]. Ricordiamoci che il peggiore nemico di tante donne per aiutare quelle che non trovavano lavoro e non lo trovano tuttora sono altre donne che propagandano il valore del “materno” chiedendone tutela come se la madre fosse una incapace di intendere e volere, una malata sociale [cosa vera, peccato che con questa poesia non c’azzecchi niente, perché questa è una poesia, non una bozza di contratto collettivo].

“E se / il vostro essere attraenti per le donne dipendesse / dalla grandezza del vostro pene”

Accade anche questo. La retorica machista sulle misure del pene sono ampiamente avallate e veicolate anche dalle donne [è una poesia, non è un’inchiesta sull’immaginario erotico, non avalla nessuna visione, cerca solo di stimolare un immaginario].

“E se / ogni volta che le donne vi vedono / suonassero il clacson e facessero segni con le mani come per masturbarsi”

Si, ok, dunque? E se ogni volta che le donne vedono uno stronzo che fa così tirassero fuori un dito medio? Perché questo canto vittimista di chi non sa tirare fuori la grinta neppure davanti un deficiente che si fa una sega al volante? [la poesia è espressione di sé, è essa stessa un dito medio – lo si capirebbe se non la si volesse leggere a tutti i costi come un elenco di prescrizioni. Infatti sta avendo tanto successo tra le giovani proprio perché loro hanno bisogno soprattutto di espressioni come questa poesia, e non di cinismo analitico. In più questo passaggio presta molto i fianchi a chi dice che se subisci violenza e poi non reagisci allora te la sei cercata. Visto? So fare il cinico anche io. Uh che bello.]

“E se / le donne facessero sempre battute / su quanto sono brutti i peni / e che brutto sapore ha lo sperma”

Io ne ho sentite. Il pene non è più argomento tabù e perfino io mi permetto di satireggiarci sopra [e chissenefrega. E’ una poesia, non è un manuale di linguistica, né di psicologia. Da quando i gusti personali sono metro di paragone? E’ una poesia, non vuole avere ragione né tantomeno proibire la satira. Sta descrivendo una possibile immaginazione, non vietando altre espressioni].

“E se / doveste spiegare cos’è che non va con la vostra auto / a delle grosse donne sudate con le mani sporche di grasso / che ti fissano il pacco / in un garage dove siete circondati / da poster di uomini nudi con l’erezione”

I calendari di uomini nudi oramai esistono pure quelli e se guardi il porno ci sono migliaia di corpi al maschile che sono lì a dimostrare che o sei virile o muori. E’ una analisi anche questa vittimista circa i corpi oggetto e conseguenti stereotipizzazioni e sessismi perché tutto ciò riguarda tutti/e noi [NON E’ UN’ANALISI VITTIMISTA, E’ UNA POESIA! Come si fa a essere ignoranti o in malafede fino a questo punto? Carol Diehl è un’artista, può scegliere il mezzo espressivo che vuole, e ha spiegato tutto quello che serve su questa poesia. Altrove ha fatto le sua analisi, ma questa è una poesia! Non va letta come altro che come UNA POESIA!].

“E se / le riviste maschili avessero copertine / con foto di ragazzini 14enni / con calzini infilati sul davanti dei jeans / e articoli del tipo: / ‘Come capire se vostra moglie è infedele’ o / ‘Quello che il dottore non vi dice sulla prostata’ / o / ‘La verità sull’impotenza’ ”

Ci sono riviste così e articoli del genere, purtroppo [e ci sono pure persone più realiste del re, purtroppo].

“E se il dottore che vi esamina la prostata / fosse una donna / e vi chiamasse ‘gioia’ ”

Non so di donne che molestano i pazienti ma di uomini che molestano ragazzini ho sentito dire [attenzione, ho sentito dire, adesso abbiamo la riedizione di Erodoto contro Tucidide intorno a una poesia. Ma cosa c’entra l’aderenza ai fatti, è una poesia!] Però questo è un punto rispetto al quale l’empatia arriva se si smette, forse, di raccontarla dichiarando che tu sei più vittima tra le vittime [premesso che, come detto sopra, l’empatia non c’entra nulla e poi non si capisce perché l’empatia dovrebbe bastare a far “arrivare” le cose, questo testo non ha messo nessuno prima di un altro. E’ una poesia, non “racconta” un bel niente se non i sentimenti di un solo soggetto. Non c’è alcun paragone] e che in quanto vittima vivi santificata da una cornice di innocenza grazie alla quale tutto ti è perdonato e concesso [chi santifica sono altri, non la vittima – quella ha altro a cui pensare. Chi santifica la vittima ha lo stesso atteggiamento di chi pensa di smascherarla col cinismo: se ne frega di quello che le è successo, e la strumentalizza. Per esempio, tratta una poesia come un saggio di filosofia di genere, e la critica cinicamente].

“E se / doveste respirare l’alito pesante del sigaro della vostra boss / mentre insiste che dormire con lei fa parte del lavoro”

Succede pure questo [e chissenefrega due, è una poesia di vent’anni fa, non puoi chiederle di essere una descrizione della realtà!]. Non esattamente così ma di donne capo che sono di una stronzitudine assurda e che trattano i dipendenti in modi diversi a seconda se gli piacciono o meno io ne ho conosciute [aspetta, chi è che fa la vittima adesso?]. Perché ‘a carnuzza è carnuzza, in generale, anche se non ho sentito di molestie fatte da donne/capo [e informati allora! O il match è solo tra quello che sai te e quello che dice la poesia? E se così fosse, chissenefrega tre!].

“E se / non poteste scappare / perché il regolamento della ditta / richiede che portiate scarpe / concepite per impedirvi di correre”

Ecchèdduepalle, ‘sto piagnisteo [non è un piagnisteo, è una poesia]. #OccupyDitta e imponi un regolamento diverso [oh, meno male che ci sei tu con una soluzione per tutto, invece de ‘ste poetesse fancazziste]. Se perfino io, che dovevo stare sui trampoli per lavoro, sono riuscita a far considerare sexy i piedi scalzi, può farlo chiunque [e senza scrivere poesie sull’adeguarsi al modello sexy!].

“E se / dopo tutto questo / le donne volessero ancora / che voi le amaste?”

Dunque la soluzione sarebbe odiarli? Cioè: si sta spiegando l’avversione? [No, è una poesia, non sta spiegando niente! Tenta di creare un immaginario nuovo, o di sconvolgere quello esistente. Ma a te non interessa.]

Ora io spero che questa poesia non sia utilizzata come biglietto di presentazione per far passare l’esame all’uomo che volete approcciare, con cui volete stare, con il quale volete trombare, perché fossi in lui direi che potreste andare a quel paese [e chissenefrega quattro, dei tuoi sistemi di seduzione. La poesia non parla di questo, ovviamente, ma ormai siamo a ruota libera].

Ma in quale mondo autodeterminato e femminista io mi presento con questa password vittimista e normativa per presentarmi da martire a qualcuno con il quale vorrei avere una relazione paritaria? [Infatti succede solo nel mondo di fantasia che stai creando per potertela menare come ti pare, dato che nella poesia che hai commentato non c’è niente del genere. E’ una poesia, non un biglietto da visita né un manuale di savoir-faire.] Perché se mi presento in questo modo non voglio parità ma costruisco le basi per determinare sostanziali ragioni culturali per esprimere e manifestare superiorità morale [non si capisce perché un* dovrebbe usare questa poesia per presentarsi – mi parrebbe un comportamento paranoico a prescindere dalla poesia e dal sesso di chi la usa. Ma continuiamo pure]. Io sono vittima. Io martire [faccio notare che la poesia non dice nulla del genere – grammaticalmente è una sequenza di frasi ipotetiche]. Dunque io superiore [non c’è questa deduzione]. Tu non puoi toccarmi [neanche questa]. Puoi solo adorarmi [neppure questa]. E se ti chiedo un cunnilingus e non ce la fai perché mi vedi come se io fossi la Madonna sarà anche un po’ colpa tua [ipotesi interessante, ma che c’entra con la poesia? Niente, come tutto il resto].

Questa poesia desessualizza le donne e inibisce gli uomini [però, hai capito che forza. Stai a vedere che allora le canzoni di Jovanotti e Bono potrebbero convincere il FMI a cancellare il debito]. E se l’obiettivo è fare abortire erezioni maschili perché a noi ci piacciono mosci, flagellati, ad espiare e fare mea culpa, direi che ci sono tutte le possibilità di farcela [è una poesia, e a parte che non mi pare proprio scritta per ottenere debarzottamenti, fa diretto riferimento al gusto personale di chi legge. Se qualcun* mi confessasse che questa poesia l’ingrifa di brutto, non avrei proprio nulla da opporre, sono i suoi gusti].

Non sto dicendo in chiave maschilista che le femministe suscitano impotenza perché apriti cielo se i misogini (e loro, pro-forma, testosteronicamente e più virilmente, avversari patriarchi del terzo millennio e tutori della vulva) non stanno lì a cercare ragioni per evitare di analizzare la propria sessualità [tutto questo in una poesia? Mi sono perso qualcosa, aspetta che rileggo. Ma anche no]. Dove sessualità sta per reciprocità e consensualità e la consensualità non la costruisci né tracciando l’inaccessibilità del mio corpo [la poesia non ne parla affatto] – in quanto sant@ [la poesia non dice di santificare nessuno] – né sul pentimento e sulle colpe [altre cose che nella poesia non ci sono].

Non do via la fika come premio a chi si pente dopo che ha recitato le mille Ave Marie femministe che gli impongo [grazie dell’informazione, “adesso me lo segno” (cit.)].

E c’è un motivo, secondo me, perché questa retorica [la retorica l’hai messa tu, quella è una poesia], che a mio avviso è anti-femminista [a tuo avviso ‘sta poesia dice tante di quelle cose…], ché non mi responsabilizza, non mi reputa in grado di autodeterminarmi, di essere presente a me stessa e alle mie scelte, come se io fossi perennemente lì a subire e basta, torna prepotentemente oggi in pieno backlash gender, quando essere femministe per certune significa essere più o meno delle sante [che in sé è pure una critica giustissima ma… che c’azzecca con questa poesia? NIENTE].

Giusto oggi che il moralismo arriva dappertutto, che le battaglie femministe sono diventate la maniera revisionista di autorizzare neocolonialismi, razzismi, mammismi, donnismi, ché fondamentalmente sono fascismi, l’unico femminismo che va’ di moda è tanto lontano dall’essenza stessa del femminismo quanto lo sono le sante dalle puttane autodeterminate [il motivo per cui questa cosa la si debba dire in coda a una poesia che non parla di nessuna delle cose elencate rimane un mistero].

Io sono femminista e sono sporca, sono sessuata, sto all’inferno, sento le fiamme di roghi e inquisizioni sotto il culo, non trovo solidarietà sociale né legittimazione morale da parte di patriarchi e tutori, ché sono io a difendermi, io a decidere cosa e come fare, io a restituire il mio personal/politico scommettendo sull’umano, con la fiducia per la capacità di disobbedienza e il senso critico di ciascuno [guarda che le poesie servono anche a dire questo. Questa non lo fa, secondo te? E chissenefrega cinque – rimane il fatto che non hai alcun diritto di argomentare che la poesia non rappresenta tutto lo spettro dei femminismi possibili, perché nessuna poesia è tenuta a farlo – non è un articolo di dominio pubblico, non è un saggio di sociologia, non è una legge, non è un regolamento. E’ una poesia].

Io faccio investimenti di intelligenza e se voglio fare capire a qualcun@ quanto la mia condizione sia discriminata non percorro le stesse vie cristiane [la poesia non lo fa], non mi metto in croce, non perdo la mia umanità perché in terra io resto, tra peccatori e peccatrici e non veicolo dicotomie [la poesia non veicola dicotomie, cerca di sollecitare un immaginario], volgari riferimenti alla mia fragilità carnale perché la mia carnalità vuole essere presa, afferrata, sensualmente graffiata, cullata, appassionatamente scopata [e c’era bisogno di scomodare Carol Diehl per dirlo?].

La mia umanità non sta nel fatto che io possa essere percepita come angelica, creatura indifesa da rispettare [cosa che nella poesia non viene minimamente accennata]. Sta invece nel fatto che io riesca a definirmi come difettosa e umana senza che ciò diventi la giustificazione per potermi prevaricare e opprimere, anima (laica) e corpo, nelle mie decisioni [che è quello che dice la poesia, se l’avessi letta come tale e non come l’ultimo articolo di Camillo Langone].

Perciò invece di tutti quei “Se” vittimisti, cui seguono auspici di tutela e d’autoritarismo vario [che siano vittimisti è una tua interpretazione, libera come tutte le altre interpretazioni, essendo quella una poesia; dove sono questi auspici però non si capisce, dato che la poesia è fatta solo di se], io avrei detto totalmente altro [e fallo allora: fai una bella poesia e vediamo quanto la condividono in giro. Poi ci chiediamo il perché, ok?]. Sennò prima o poi finiremo per realizzare un vero e proprio rovesciamento per nulla sovversivo: se siamo martiri… gli uomini sarebbero stregoni, gli stregoni sono diavoli e i diavoli vanno bruciati al rogo [e se mio nonno c’aveva tre palle era un flipper]. Se volevamo dare vita ad un’altra inquisizione [tipo questa sulle poesie? Ma dove l’hai vista questa inquisizione? E’ una poesia che chiede solo “se”] bastava tenerci quella che c’era ed esigerne i posti di comando e le possibilità di giudizio. Però mi è davvero nuova quella dello sconfiggere i sessismi, gli integralismi, i fascismi, replicandoli con un cambio di sesso. Davvero nuova… [non è nuova. È la tipica retorica di chi non sa leggere poesie se non come opposizione insanabile tra il pensiero giusto e quello sbagliato. Incurante di ogni altra espressione libera – come sono le poesie.]

Non si decostruiscono le poesie. Qui c’è scritto da un pezzo il perché. Dovrebbe bastare saper leggere.