Depressione e suicidio tra anarchic@ e attivist@

hugsSM

Originale qui, traduzione di feminoska

“Prima di autodiagnosticarti depressione o bassa autostima, accertati di non essere, in realtà, semplicemente circondat@ da stronz@.” – William Gibson.

Il problema del suicidio: Non sei sol@

Sopravvissuto ad un problematico tentativo di suicidio, ho cominciato a riflettere su questo argomento un po’ più di quanto si faccia di solito. Nel corso degli anni ho visto amic@, familiari e persone amate togliersi la vita. Ogni volta che sento parlare dell’ennesimo suicidio mi viene in mente non solo il mio tentativo, ma anche quelli di coloro che ho conosciuto. Ad essere onesti… la mia reazione è probabilmente indicativa di una forma di disturbo da stress post-traumatico. Eppure, a più di un decennio dal mio episodio depressivo maggiore, sento di dover affrontare la questione della depressione e del suicidio.

Va subito evidenziato come il suicidio sia, attualmente, una delle principali cause di morte negli Stati Uniti. Tra i giovani adulti si classifica come la seconda o la terza causa di morte (a seconda della fascia di età esaminata). E’ anche una delle cause principali di morte in altre fasce di popolazione, in tutto il mondo. I fattori economici appaiono chiaramente connessi con il suicidio in molte nazioni. Alcune professioni hanno un più alto tasso di suicidi rispetto ad altre. E, per i soldati americani, il suicidio ha dimostrato di essere più letale dei combattimenti. Il suicidio potrebbe essere accuratamente descritto come emergenza di salute pubblica o epidemia.

Anche se tutta una serie di fattori contribuiscono ai singoli casi e al tasso generale di suicidi, sono convinto che progressist@, anarchic@ e attivist@ per la giustizia sociale abbiano l’aggravante di peculiari fattori psicologici. Anche se probabilmente hanno le stesse probabilità  di chiunque altr@ di soffrire di problemi quali isolamento sociale o tossicodipendenza, essendo maggiormente consapevoli delle miriadi di crisi che l’umanità attualmente si trova ad affrontare, hanno ulteriori ragioni per sentirsi sopraffatt@.  In aggiunta a tutti i propri problemi personali, sono anche consapevoli del fatto che il mondo stia davvero andando rapidamente a rotoli. E anche se mi pare una descrizione abbastanza puntuale dello stato delle cose, non ritengo il suicidio una risposta adeguata a questo dato di fatto.

La vita sotto assedio

Penso che, in particolare le/gli attivist@ più giovani così come i giovani in generale, non credano più all’idea che le cose possano improvvisamente e radicalmente cambiare. Dal momento che non hanno vissuto granché della vita, potrebbe non essere loro così evidente che le situazioni possono mutare – e che anzi, succede spesso. Il mondo non è statico e, per quanto terribili le cose possano apparire a livello generale – o personale – sono destinate a cambiare, anche se a volte si tratta, semplicemente, di assumere una diversa prospettiva sulle cose. Siamo tutt@ destinat@ a nuove esperienze, nuove intuizioni e nuovi modi di guardare alle cose. E, nell’ora più buia, bisognerebbe ricordarsi che l’ora successiva potrebbe casualmente essere quella più brillante. La vita senza dubbio può essere – e spesso è – una lotta. Tuttavia, in quanto attivista, in quanto persona che ha una coscienza ed è consapevole, conviene a tutt@ se continui a lottare.

In un apparente paradosso, la vita nei paesi sotto assedio effettivamente vede crollare i tassi di suicidio (la Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale ne è un esempio).  Se può essere d’aiuto, bisognerebbe considerare la totalità del mondo di oggi sotto assedio per qualche motivo. Non voglio entrare nei dettagli dei numerosi problemi che l’umanità affronta a livello globale – basti dire che esistono gravissimi problemi a questo mondo, e ognun@ di noi ha la propria opinione su ciò che va cambiato e di come questo possa accadere. La vita, la verità e la bellezza sono costantemente sotto attacco, e queste sono cose per le quali vale la pena combattere – e vivere.

Un@ attivista che si suicida è l’equivalente di  un’altra tacca sul fucile di un fascista. E’ la macchina da guerra che schiaccia sotto ai suoi cingoli un altr@ combattente per la libertà. Questi, spero, sono per molt@ motivi sufficienti ad evitare una morte autoinflitta.

Non lasciare che i bastardi ti annientino

Le/gli attivist@ sono persone spesso soggette  a scherno e derisione. L’esprimere preoccupazione per lo stato delle cose nel mondo, spesso viene apertamente ridicolizzato. Lo scherno e il disprezzo possono provenire da ogni dove – amic@, estrane@, familiari o media. E questo scherno può essere, senza dubbio, deprimente. Ma mentre singoli  individui dovrebbero probabilmente essere ritenuti responsabili della propria insensibilità ignorante, vorrei sottolineare che questo fenomeno dell’ “ignoranza insensibile” è solo un aspetto minimo della guerra psicologica totale sferrata dal sistema – che ha luogo ogni giorno, su tutti i fronti.

La strategia di fondo del sistema è quella di ridurre l’empatia nella popolazione in generale, in modo da produrre più lavoratori e consumatori ignari (e ignavi, ndT.). E’ una strategia sottile, ma è ciò che permette alla società attuale di continuare a percorrere il sentiero di  insostenibilità su cui si trova. Questo è ciò che permette a psicopatici in buona fede di raggiungere le posizioni più importanti tra le più alte cariche del paese –  governative o aziendali. L’atteggiamento indolente di questo post-modernismo contorto si fa beffe delle preoccupazioni sincere riguardo al mondo e anzi rinforza la solita solfa.

E’ preoccupante che, sia pure per via del moltiplicarsi delle cause, vari test psicologici abbiano mostrato che i livelli di empatia negli Stati Uniti sono diminuiti drasticamente. Le/i giovani di oggi, in generale, sono in realtà meno empatic@ di quanto lo fossero una generazione fa. Si possono solo immaginare le difficoltà sociali e psicologiche che un@ giovane  e brillante attivista deve affrontare oggi, quando si trova ad affrontare un numero crescente di coetane@ sociopatic@! Ma quest@ giovani a posto devono essere consapevoli che il problema non è loro. Il problema non è nemmeno dei loro coetanei dal cuore di pietra – il problema è nel sistema che crea e premia sociopatic@. Questo è ciò che deve essere chiaro, e questo è il motivo per cui le persone di buon cuore non devono arrendersi. Persino l’esistenza stessa di persone profonde e intelligenti è un colpo dato al sistema – ed è per questo che dovrebbero persistere nello sforzo di minare questo sistema.

Per le/gli attivist@, però, il problema della persecuzione a livello psicologico va oltre le semplici interazioni quotidiane con coetanei indolenti o freddi. E’ risaputo che persino Martin Luther King ha ricevuto una lettera che lo invitava a suicidarsi. E anche se non so, nello specifico, quanto sia comune questo particolare tipo di tattica… per esperienza personale vi posso dire che queste cose accadono ancora. Quando ero un giovane e schietto attivista (con una coda vistosa) qualcun@ mi ha lasciato dei volantini sull’uscio di casa che caldeggiavano il mio suicidio “per il bene dell’ambiente.” E mentre non posso affermare con certezza se questo abbia avuto un ruolo diretto nel mio tentativo di suicidio… è possibile che io possa non essermi avveduto di altri simili attacchi psicologici diretti contro di me.

Ciò riguarda anche le infiltrazioni governative e la sorveglianza. E’ chiaro che l’infiltrazione nei contesti di attivismo continua ancora oggi (forse più spesso che mai). Ma quale sottile effetto psicologico hanno le infiltrazioni sulle persone? Immagina di cominciare a percepire un certo livello di insincerità tra le/i compagn@. Se si inizia a tollerare tale mancanza di sincerità, o a ignorarla, si può cominciare a considerarla qualcosa di relativo. O, al contrario, è possibile cominciare ad evitare situazioni sociali comuni in cui si dovranno affrontare  persone considerate non sincere. Nell’uno e nell’altro caso, tutto questo potrebbe avere facilmente un effetto negativo su di te. E considera che non sei la/il sol@ a subire tutto questo,  ma anche altre persone sincere subiranno la stessa situazione e magari reagiranno modificando la propria modalità, normalmente bonaria, di comportarsi in mezzo alla gente.

Negli anni ’60 alcune organizzazioni rivoluzionarie hanno visto le loro riunioni popolate per lo più da agenti sotto copertura. Ora, 50 anni dopo, non vedo motivo di dubitare che spesso sia ancora così. In realtà, il problema potrebbe essere ancora più grave. Le infiltrazioni e la sorveglianza funzionano come un attacco psicologico sulle/gli attivist@ progressisti. E’ una forma di guerra psicologica. Sono operazioni psicologiche. Ho preceduto questo articolo con una citazione da Willam Gibson, lo scrittore di fantascienza distopico, e credo che la sua citazione abbia particolare rilevanza per anarchic@ e altr@ sostenitor@ della giustizia sociale. Se si rientra in queste categorie, e se ci si sente depressi o si hanno pensieri suicidi, si deve considerare che potrebbe essere esattamente ciò che è stato pianificato… E perciò, dunque, bisognerebbe riconsiderare la propria posizione.

Se questo genere di cose ti fa sentire paranoic@, bè, meglio, se ti tiene in vita. Inoltre, essere paranoic@ in un mondo come questo può essere spesso l’atteggiamento più sano. Ma è davvero paranoia se ti vogliono mort@? E pensi davvero che il governo e gli interessi delle multinazionali non abbiano mai voluto la morte dei rivoluzionari o che non si siano impegnati a tale scopo?

Vivere e scegliere come vivere è un tuo diritto

Se la tua vita è in malora  e non sembra più degna di essere vissuta… ripensaci. Si può davvero essere parte di qualcosa di più grande e migliore. Puoi cambiare la tua vita personale (abitudini, dieta, “amic@”) e ci si può impegnare per essere più sani e vivere in  un mondo più sano in generale. Anche semplici cambiamenti nella tua vita possono modificare il tuo punto di vista e ti daranno ragioni per vivere. La tua depressione potrebbe persistere … ma non lasciare che domini e controlli la tua vita. Non è mia intenzione che questo scritto suoni come un banale cliché di auto-aiuto, ma se è ciò che serve per mantenere in vita un paio di attivist@ … Non mi importa se suona così. Esistono ovvietà che rimangono vere anche se sono ripetute un milione di volte. Non voglio che nessun altra persona sincera e di buon cuore si tolga la vita. E, alla velocità a cui le stiamo perdendo, e alla velocità  in cui si trovano in inferiorità numerica, il mondo non può permettersi di perderne altre. Se stai pensando di suicidio… usa la tua intelligenza per pensare ad altro. La tua vita, la tua mente e le tue azioni sono TUE – puoi fare la differenza in questo mondo rimanendo in vita. E anche se non le hai mai incontrate… ci sono persone a questo mondo che vogliono che tu sia felice, e vogliono che tu viva.

Elefanti nella stanza: la discussione politica su suicidio e disagio psichico che non c’è (ma dovrebbe esserci)

10616322_685643351511746_6206148047092011975_n

Ci sono diverse immagini di questi giorni: io che piango a dirotto per ore abbracciato da uno dei miei partner, io che sono nella mia stanza, in un angolino del mio letto raggomitolato e con le mani nei capelli, mentre fisso il vuoto con gli occhi spalancati, con mio padre che si sveglia e notandomi visibilmente stravolto mi fa una camomilla e chiacchieriamo un po’, poi ci sono io che chiamo il mio partner e la sua ragazza perché mi sento uno schifo e non me la sento di uscire e glielo rendo noto, per poi piangere ancora altre ore afflitto dal senso di colpa di questo cambio di programma, io che privo il mio corpo fisico di ulteriore acqua per spendere lacrime ulteriori per tutte le mie paure che usualmente mi porto in giro senza dar loro voce, io che riverso angoscia in una decina di conversazioni diverse su whatsapp con ogni amicizia e con ogni persona che fa parte della mia rete sentimentale, io che sono attraversato dal pensiero di ammazzarmi e scoppio a piangere (di nuovo) perché anche questa è una delle cose che mi spaventano. I miei genitori mi suggeriscono l’idea che forse ho diminuito le gocce di ansiolitico troppo in fretta, e mi trovo mio malgrado a dar loro ragione, perciò le ho prese di nuovo, e stavolta diminuirò con molta più lentezza. Insomma, dopo le montagne russe mi godo per la prima volta uno status di mediocre normalità, dove per normalità si intende assenza di ansie particolarmente opprimenti ed esagerate.

Leggo che è morto un compagno, e posso sentire un malessere crescermi dentro ogni volta che incontro un necrologio virtuale per lui. Non perché non dovrebbe esserci a priori, ci mancherebbe. Il disagio è suscitato dal fatto che in particolare si tratta di un suicidio. Parlare, pensare e soprattutto sentire il suicidio mi mette a disagio in una maniera che non è così facile verbalizzare – sì, mette a disagio me, lo stesso tizio che prova a criticare, analizzare, mettere in discussione qualsiasi cosa. E qualcosa mi dice che questo ha a che fare con l’opera di rimozione e negazione collettiva che si fa nei confronti di queste tematiche. Di morte non si parla, perché moriamo tutti e vogliamo che sia più tardi possibile, se la morte ce la vogliamo procurare da soli è ancora più tabù, e di ansia nemmeno, perché l’ansia ci pervade e riconoscerla significa ammettere l’esistenza di un problema (un problema non immediatamente rimovibile, quindi l’ansia aumenta).

Mi arriva una sensazione fortissima di inevitabilità; il malessere, che è un cattivissimo consigliere e uno stronzo bugiardo, mi suggerisce che quello è il fato di tutti noi. Mi fa un male cane. Davvero tutto questo è inevitabile? Davvero l’unica via alla sopportazione passa per l’integrazione nel sistema affogando nelle miserie proprie e in quelle altrui, ove percepite e non ovattate da un mondo che disimpara l’empatia? Molti compagni e compagne concepiscono il suicidio come fosse un atto estremo di libertà, quando tutto soffoca; l’unica uscita antincendio in un mondo dato alle fiamme. Non lo è, o meglio lo è nella psiche di chi  è investit* dai suoi demoni, cosa che mi rende comprensibile il gesto; vorrei tanto però che smettessimo di dare un’aura di romanticismo sovversivo a un gesto che rappresenta soltanto la tragedia di ciò che ci circonda e la voglia, anch’essa piuttosto comprensibile, di sfuggirvi. Mi arriva quindi addosso tutta la nostra debolezza; non solo quella individuale, la cui espressione non abbiamo ancora imparato a legittimare e che è quindi strizzata in una serie di gesti estremi e incontrollabili, ma quella collettiva, che mi fa paura.

Ho paura, perché questo significa che come movimento che dovrebbe sbriciolare lo stato di cose presenti non abbiamo una rete di solidarietà reale che faccia fronte davvero agli stati peggiori delle nostre menti, così ipersensibili allo schifo del presente.  Non c’è, cazzo, non c’è, dovremmo essere unit* e forti dell’essere solidali, ma non accade e sento in cuor mio la responsabilità di queste morti. Forse dovremmo incominciare a sentirla tutte e tutti, questa responsabilità. Forse sarebbe il caso che tutti la finissero di dire resisti, devi avere le palle/ovaie, non essere codard*, non preoccuparti/deprimerti troppo, e altre frasette di circostanza che non danno alcuna forza ma spingono verso il baratro. Finisce qui. La forza ci deriva dall’esistenza di reti, ascolto, supporto, mutualismo. Quando ci siamo preoccupat* di scrivere un’analisi politica su questo? Quando? Persino il movimento antipsichiatrico, che per definizione è qualcosa che ha a che fare con l’esperienza del trauma e del dolore, non trova molto spazio per la narrazione di questi ultimi. Anzi. Ciò che ci è rimasto è soltanto la critica borghese e individualista verso chi cerca di gestire i propri malesseri tramite psicofarmaci (a volte l’erboristeria non basta), ma non andiamo a urlare per ottenere psicologi gratuiti per tutt*, mentre cerchiamo di sradicare le fonti di ciò che ci fa male. Siamo vulnerabili ed è ora di ammetterlo, con azioni concrete. L’abbiamo fatta mai un assemblea per parlare di attacchi di panico, di disordini alimentari, di depressione clinica? È ora. Ci portiamo il maalox per spruzzarlo negli occhi irritati dai lacrimogeni, ma le irritazioni che sfuggono alla vista non sono meno dannose. Il disagio psichico è reale, e il femminismo ci offre uno spunto importante e fondamentale in seno al movimento femminista stesso ma anche per la costruzione di qualsiasi altra cosa di sensato del mondo: il personale è politico. Quindi, lo psicologico è politico.

L’ansia generalizzata che ho è la stessa che mi impedisce di andare a un corteo senza sentirmi un senso di fortissima preoccupazione e costrizione al petto quando passo di fronte ai celerini. Eppure, sono convinto che quest’ansia, che contiene anche ansia di cambiamenti (economici ed esistenziali) che non arrivano e che mi pizzica, valga almeno un sampietrino. E tanta autocoscienza.