Gomorra: la visibilità transessuale dove non te l’aspetti

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[ATTENZIONE! ATTENZIONE! ATTENZIONE! SPOILER! SPOILER OVUNQUE! ATTENZIONE, SPOILER!]

Prima ancora di iniziare, metto in chiaro che non prenderò sul serio nessuna considerazione di carattere meramente legalitarista che non tenga conto del fatto che stiamo parlando di una serie TV. Non sto sponsorizzando con questo apprezzamento le mafie, almeno non più di quanto non lo faccia il PD promuovendo le grandi opere: fatevene una ragione. Detto questo, è qualche tempo che seguo Gomorra – e devo dire che se il libro non mi è parsa cosa eccezionale, la fiction incontra decisamente il mio gusto. Oggi una novità: nella settima puntata di questa prima serie, c’è un ragazzo FTM.

Il padre di questo ragazzo ha un negozio di vestiti da sposa ed è nei pasticci perché deve dei soldi a uno strozzino. Va da questo  strozzino e gli chiede una proroga di un mese, ma si sente dare picche e di conseguenza, pressato dalla richiesta molto prossima di una ingente cifra, il padre si suicida. Questo ragazzo va a chiedere aiuto a Donna Imma – la capa mafiosa, per intenderci – e le chiede aiuto. Lei va dallo strozzino per fargli capire che deve smetterla, e gli chiede del padre del ragazzo: lo strozzino gli risponde che il ragazzo è una lesbica di merda e che suo padre è un poveraccio; il giorno dopo, per tutta risposta, fa pestare il ragazzo dai suoi scagnozzi. Donna Imma lo incontra e vedendolo con la faccia piena di sangue pesto decide di far ammazzare lo strozzino, che verrà liquidato con un paio di proiettili proprio di fronte a lui (non nascondo di aver provato estrema goduria nel vederlo crepare, alla luce della sua precedente affermazione omofoba, lesbofoba e transfobica). Con Donna Imma si recano poi a visitare il negozio del padre. Lei sottintende che lui potrebbe ereditare l’attività; lui risponde qualcosa di non troppo comprensibile ma che mirava a sottintendere che no, non è cosa per lui. Questo ragazzo insieme ad altri spaccia nel quartiere: in una sequenza successiva, lui porta il borsone di soldi da spartire con tutti coloro coinvolti nello spaccio. Qui succede una cosa interessante: gli altri gli chiedono se è maschio o femmina, come si chiama, e via dicendo. Lui risponde: Luca. Gli altri ridacchiano: tu Luca? ma non farmi ridere, ce l’hai il pesce? e Luca gli risponde: è sicuramente più piccolo il tuo, e subito dopo: …e comunque essere uomini è una cosa che hai nella testa, non è una questione di pesce. Più tardi ancora segue un’altra scena in cui vediamo Luca denudarsi (mostrando le fasce con cui si comprime il seno) e provarsi uno dei vestiti da sposa. Luca muore poco dopo, inseguito e poi ammazzato da alcuni malavitosi che non appartengono al giro di Donna Imma. Peccato.

Imma, peraltro, è un personaggio che mi ha colpito molto: suo figlio Gennaro, secondo le regole dell’ambito camorristico, dovrebbe tenere in salute, proseguendola, l’attività del padre che è costretto in carcere dal 41bis: ma almeno per quanto riguarda gli inizi della serie (più tardi non saprei) sembra evidente che Gennaro sia troppo immaturo per poter gestire in maniera ottimale gli affari dell’impero economico di famiglia. Così Imma prende de facto le redini, contro la volontà del marito, e di certo il suo eccezionale carisma e il suo polso la rendono adattissima al lavoro in questione. Gli occhiali viola che mi fanno vedere la realtà attraverso un’ottica irrimediabilmente femminista si sono ricoperti di brillantini per la gioia, devo dire.

Sono così stupito – è letteralmente la prima volta che vedo una rappresentazione in fiction di un ragazzo transessuale, almeno nel contesto specificatamente italiano. Spero soltanto che la serie continui su questi toni, continuando a mostrarci pezzi di realtà spesso ignorati (quella trans, non certo quella degli spacciatori trans!), continuando a dare un ruolo di spicco a Imma, e magari introducendo anche altre donne che abbiano un certo peso nello svolgersi della narrazione. La mia attesa sarà costellata di pop corn.

Non sono un uomo o una donna, sono transessuale

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“Non sono un uomo o una donna, sono transessuale” – discorso di Jamrat Mason al Pride di Hackney, settembre 2010, traduzione di feminoska, revisione di H2O.

(Trascrizione del discorso tenuto al Pride di Hackney nel 2010. Uomo trans e comunista anarchico, Jamrat Mason parla di genere, sessualità e sessismo e degli aspetti sociali più ampi delle questioni transgender).

Mi chiamo Jamrat Mason e ho una vagina. Sono coinvolto nell’attivismo comunitario di East London, ma oggi sono qui per parlare “da persona trans” di questioni transgender. Il termine “transgender” è un termine ampio che si riferisce a uno spettro molto vasto di persone che in qualche modo ‘cambiano rotta’ rispetto al genere che sta scritto sul loro certificato di nascita. Quindi non posso, in alcun modo, rappresentare tutte le persone transgender. Posso solo parlare del mondo per come lo vedo io, da dove mi trovo, nella mia posizione di transessuale.

Sono un transessuale fortunato. Prima di tutto perché sono vivo. E in secondo luogo perché ho una famiglia che mi ama. Queste due caratteristiche non dovrebbero essere questione di fortuna, ma al momento le cose stanno così. La mia esperienza è abbastanza unica, così ho pensato di farvene un breve resoconto: a 3 anni la mia prima frase è stata: “Sono un bambino”, a 7 anni, quando ero ancora convinto che questo fosse vero, i miei genitori mi portarono da uno psicologo. Lo psicologo disse che probabilmente soffrivo di “disforia di genere”. I miei genitori ne discussero a scuola, e mi permisero di portare i capelli corti e indossare la divisa da ragazzo. A 8 anni sono entrato in cura da uno specialista di Londra (a carico dell‘NHS, il sistema sanitario nazionale) che mi ha seguito fino ai 18 anni. A 12 anni mia nonna ha finanziato il mio cambio di nome sui documenti. Ho vissuto come un maschio da quando avevo 7 o 8 anni. Ho attraversato completamente la pubertà femminile e, raggiunti i 21, anni ho cominciato ad assumere testosterone. Mi sono operato a 22 anni. Ora ne ho 24 perciò sono come mi vedete da circa 2 anni.

Non è mia intenzione chiedere semplicemente un’accettazione compiacente delle persone trans o invocare la fine degli insulti e delle legnate … voglio parlare di transfobia come di una questione che ci riguarda tutt* e che possiamo tutt* contribuire a combattere in qualche modo. Come società dobbiamo applicarci meglio alle questioni di genere.

Nel grembo materno tutt* cominciamo il nostro sviluppo come femmine. Le persone che nascono come maschietti cambiano durante la gravidanza, all’introduzione del testosterone. Il clitoride cresce e diventa il pene, e le labbra diventano lo scroto. A prima vista la parola woman sembrerebbe indicare che le donne sono uomini con l’utero (wo-man, come in womb-man). Ma in realtà, sono gli uomini ad essere donne con grossi clitoridi. La maggior parte delle persone alla nascita ha una vagina o un pene, ma alcune persone stanno in qualche modo a metà – queste persone sono ‘intersessuali’. Non appena nasciamo veniamo trattat* in modo molto diverso: ai bambini maschi vengono dati i lego, alle femmine le bambole (e poi ci si interroga sulla mancanza di ingegneri di sesso femminile); le ragazze sono incoraggiate a prendersi cura degli altri e a parlare dei propri sentimenti, mentre ai ragazzi viene detto di dimostrarsi virili. Ogni ragazzo e ogni ragazza, in una certa misura, devono fare i conti con la differenza che c’è tra essere chi si è, e quello che ci si aspetta da un Vero uomo. O da una Vera donna. Ogni corpo soffre per l’invenzione dell’Uomo e della Donna. E io mi considero una vittima estrema di questo meccanismo – in realtà non mi considero un Uomo – ma so, violentemente, di non essere una donna. Penso che le persone trans in genere siano le vittime estreme di questa rigidità.

La società è divisa in uomini e donne, e io non rientro in nessuna delle due categorie. Se dovessi andare in prigione, potrei essere un uomo in un carcere femminile, o un uomo con la vagina in un carcere maschile dove la privacy non è esattamente una delle priorità. Se dovessero arrestarmi, potrei scegliere se essere perquisito da un agente di polizia maschio o femmina. Ma non sono un uomo, non sono di sesso maschile, sono transessuale. Esiste un Certificato di riconoscimento del genere grazie al quale posso essere riconosciuto come uomo o donna da parte dello Stato. Ma non sono un uomo o una donna, sono transessuale. Potrei essere trattato come uomo, andare in un carcere maschile, essere perquisito da un poliziotto uomo, sposarmi con una donna. Ma non voglio sposarmi, non voglio vivere in una società in cui le persone vengono mandate in prigione e perquisite dalla polizia. Non credo in una lotta in cui chiediamo al governo di aver a che fare con noi in modo più efficiente, per opprimerci meglio. Non voglio integrarmi meglio in un sistema marcio, voglio qualcosa di completamente diverso. Voglio partecipare alla creazione di un mondo migliore.

Il pregiudizio contro gli uomini trans, come me, è basato sull’idea che stiamo cercando di farci largo per ottenere il privilegio di essere maschi – privilegio che non meritiamo, perché siamo inadeguati, non abbiamo peni e, se li abbiamo, sono strani, piccoli o fanno schifo. Siamo uomini inadeguati, col culo grosso  e un pisellino ridicolo.

Il pregiudizio contro le donne trans si basa sull’idea che si stiano auto-degradando, che siano ridicole, una caricatura, perché mai vogliono essere donna? Come se stessero cercando un modo per scendere di livello nella scala sociale.

Quindi la transfobia è radicata nel sessismo. Alcune persone credono che le donne trans non possano sapere cosa si prova a essere donna perché non hanno vissuto il sessismo in prima persona. Ma la transfobia che la donna trans deve affrontare è sessismo — moltiplicato per cento!

Secondo alcun*, gli uomini trans cercano di sfuggire al sessismo trasformandosi in uomini. Lasciate che ve lo dica: quando sei transessuale, non sfuggi al sessismo… vieni completamente scaraventato in un‘enorme palude di sessismo. Quando vivi entrambe le condizioni e anche di più, cominci a vedere il sessismo, lo noti quando gli altri non lo percepiscono. Quando tiri in ballo il genere si scatenano le forze della natura.

Il sessismo, e più in particolare, questa forma di sessismo che è una reazione alla devianza dal genere assegnato (non essere un uomo vero, o una donna vera) sembra essere veramente poco riconosciuta. E svolge un ruolo enorme nell’omofobia. Un ragazzino gay dall’aspetto molto maschile e che sa fare a pugni non rischia di diventare vittima di bullismo a scuola. I bambini di solito non giudicano i gusti sessuali dei loro compagni di scuola, ma giudicano come si comportano. I ragazzi effeminati sono vittime di bullismo in quanto effeminati, e vengono apostrofati come omosessuali e finocchi. Ma vengono presi di mira perché non agiscono come veri uomini: e questo è sessismo, ma noi lo chiamiamo omofobia. E quando lo si chiama omofobia, che organizzazioni ci sono per aiutare il ragazzo etero effeminato? Gli si dice che non c’è niente di male a essere omosessuale, ma non c’è nessuno che gli dica che va bene essere un po’ effeminato. Questa è la stessa prepotenza che le persone transessuali vivono elevata a potenza, ma non è in alcun modo riservata a noi.

L’esperienza delle persone transgender è al limite estremo – ed è un estremo letale, il sito Transgender Day of Remembrance mostra che, nel 2009, 130 persone transgender sono state uccise, ma questo è un problema universale, radicato nel sessismo, che colpisce tutt* noi e contro il quale tutt* possiamo lottare.

[L’invenzione del vero uomo e della vera donna è sancita dall’economia. Fino a quando qualcun* dovrà lavorare tutta la settimana per ottenere un salario, per sopravvivere, e fino a quando avremo bambini da accudire, qualcun altr* dovrà lavorare in casa, e occuparsi dei bambini gratis. Al momento, il più delle volte, l’uomo lavora a tempo pieno e la donna lavora gratis in casa. È il lavoro non retribuito che sostiene l’intero sistema. Se venisse meno, tutto crollerebbe. Ma questo non si può cambiare riallineando le questioni di genere oppure scambiando i ruoli e trasformando il patriarcato in un matriarcato, o mescolando tutto, o facendo una volta per uno … o pagando un’altra donna il minimo sindacale per fare il lavoro al proprio posto. Fino a quando questo sistema continuerà a stare in piedi, qualcuno dovrà lavorare gratuitamente in casa. E questa è una delle ingiustizie fondamentali alla base della nostra economia. Per quanto le persone transgender possano evidenziare che questi non sono due ruoli naturali immutabili, non è certamente un appello liberale alla tolleranza che trascinerà il sistema al collasso.]

Voglio ritornare a questa idea che dobbiamo, come società, come comunità, applicarci meglio alle questioni di genere. La transizione da un ruolo di genere a un altro non si limita alla chirurgia, anzi la chirurgia riveste un ruolo veramente minore nella transizione. La transizione è principalmente sociale, perché i ruoli di genere sono sociali. Come ho detto prima, ho vissuto per 12 anni come maschio, senza alcun intervento chirurgico o ormoni di sorta. Ora rientro nella categoria dei maschi, perché le persone mi chiamano ‘lui’ e mi vedono di sesso maschile. Il fatto che la transizione sia di tipo sociale sembra non essere riconosciuto dalla maggior parte delle persone e quando qualcuno si manifesta come trans, gli altri si limitano ad attendere che quella persona diventi abbastanza virile o femminile da convincerli. L’onere ricade sulla persona trans che deve “comportarsi come un uomo” o “comportarsi come una donna” per poter vedere rispettata la propria identità. Questo spesso significa che vengono ricompensati gli uomini trans che si comportano come degli idioti esagerando gli aspetti macho, perché solo allora la gente ne rispetta l’identità. Dovrebbe essere responsabilità di tutti rispettare l’identità di chi ci sta davanti, fare la propria parte nel cammino che si fa per sentirsi a proprio agio nella propria pelle.

Che cosa vogliamo, con le nostre marce dell’orgoglio e il nostro attivismo?

La libertà di camminare per strada, vestiti come ci piace, baciando chi ci piace, in un paio di aree da vip in centro Londra? Perché non baciarsi a Clapton? A Stratford? A East Ham? Essere liber* nelle comunità operaie nelle quali effettivamente viviamo? Sentirci liber* di esprimere il nostro amore, il nostro genere, il nostro corpo, senza temere di essere linciat* da bande di teppistelli? E che dire dei ragazzi adolescenti? Dei nostri vicini di casa? Quand’è che quel ragazzo adolescente si sentirà libero di fare un pompino al suo compagno, o di indossare un abitino, senza la paura di venire completamente rifiutato o senza pensare che questo potrebbe fare di lui una persona completamente diversa?

La tentazione potrebbe essere forte, per quegli omosessuali benestanti che hanno raggiunto la propria libertà, che camminano felicemente mano nella mano nella stradina di casa ad Hampstead, di prendere le distanze e non essere associati con i transgender, con noi devianti, o con noi queer di origine proletaria che viviamo in zone come Hackney, circondat* da omofobia, transfobia, sessismo. La vediamo eccome, quella tentazione, quando vediamo come è diventato il Pride di Londra. Ed è per questo che è importante che esistano eventi come questo, per mantenere il nostro attivismo di base, e non accontentarci di niente che non sia la libertà completa e assoluta.