Smettetela di chiamarla vagina!

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Articolo originale qui, traduzione di feminoska, revisione di jinny dalloway… buona lettura!

L’altro giorno ero ad un corso universitario su Genere, Queer, eccetera eccetera, e il giovane professore ha detto: ” Il pene e i … [pausa di precauzione] genitali femminili “. Un mio compagno di classe ha subito replicato: “Hanno un nome”, ma non ha avuto il coraggio di dirlo. Più tardi, nel corso di una conversazione privata, il mio professore, che ha un dottorato di ricerca e tiene diversi insegnamenti su femminismo e sessualità, ha fatto ciò che fa la maggior parte della gente. Ha usato il termine improprio “vagina” invece di “vulva”. Ma una vagina non fa una vulva.

L’ apertura vaginale è solo una parte della vulva. La vulva costituisce tutto ciò che si vede all’esterno: la parte visibile della clitoride (che è solo la punta dell’iceberg clitoride, la parte più grande della clitoride si trova all’interno del corpo), le labbra (piccole e grandi), l’apertura uretrale (per la minzione o l’eiaculazione) e il punto di ingresso/uscita della vagina.
Il termine “vagina” viene usato così spesso in modo scorretto che non deve sorprendere che il mio coltissimo professore abbia usato il termine sbagliato. Anche testi e opere d’arte femministe, come I monologhi della vagina e Il grande muro della Vagina, cadono nella stessa trappola. Praticamente ogni volta che leggi/senti “vagina” nei media, viene usato in maniera errata al posto di vulva.

L’anatomia sessuale femminile, considerata un dato di fatto naturale, è in realtà socialmente costruita. Alcuni studi hanno dimostrato come la clitoride sia entrata e uscita dall’anatomia medica nel corso della storia occidentale. Le illustrazioni dell’anatomista danese Casper Bartholin degli “organi della lussuria” femminili nel 17° secolo mostravano il tessuto erettile della clitoride e delle crura in modo simile a come sono rappresentate oggi. Negli anni ’40 dell’Ottocento, l’anatomista tedesco Georg Ludwig Kobelt disegnò un ingrandimento della radice della clitoride simile a un pene, come la si conosce oggi. Nell’edizione del 1901 dell’Anatomia di Gray, la clitoride viene classificata e figura con una certa prominenza. Poi, nell’edizione del 1948: PUF! La clitoride scompare sia come organo classificato che nell’illustrazione. L’organo primario di eccitazione sessuale e orgasmo delle donne è stato eliminato dal testo principe dell’anatomia umana. Poiché la clitoride e l’orgasmo femminile non sono necessari per la riproduzione, sono stati ampiamente ignorati dalla scienza, in netto contrasto con quanto avvenuto col pene.

Quando diciamo ‘vagina’, stiamo ignorando collettivamente l’aspetto visibile dell’anatomia femminile, la clitoride e le labbra, attraverso il linguaggio. La vagina è il modo attraverso il quale i ragazzi che fanno sesso con le ragazze vengono. Dalla pubblicazione, nel 1953, di quella pietra miliare che è il libro di Kinsey dal titolo Il comportamento sessuale della femmina umana, sappiamo che la maggior parte delle donne ha bisogno della stimolazione diretta della clitoride (con la mano, la bocca o attraverso l’uso di altri oggetti) per avere un orgasmo. Eppure, quante volte vediamo ancora, nei film o alla televisione, la rappresentazione dell’orgasmo di una donna come risultato della sola penetrazione di un cazzo? Che noi chiamiamo i genitali femminili “vagina” la dice lunga sulle politiche del sesso. “Vagina” focalizza l’attenzione sul piacere maschile etero.

La dott.ssa Mithu Sanyal, autrice di ‘VULVA – una storia culturale della vulva’, è convinta che le idee sul corpo siano imposte attraverso le parole. “Il linguaggio è collegato alla nostra percezione del mondo. Non possiamo parlare di ciò che non possiamo nominare, e in ultima analisi, non possiamo pensarlo”, scrive. La psicologa clinica dott.ssa Harriet Lerner definisce questo fenomeno per cui si ignorano la clitoride e le labbra “mutilazione genitale psichica.” Secondo lei, “La lingua può essere potente e veloce come il bisturi del chirurgo. Ciò che non ha nome non esiste.”

Oggi, molte donne e persino ragazzine di 16 anni, si stanno spingendo ancora oltre in questa direzione, rendendo davvero invisibili i propri genitali. La labioplastica (che consiste nell’asportare parte delle piccole labbra per renderle più piccole) è uno degli interventi di chirurgia cosmetica in più rapida crescita nel Regno Unito e negli Stati Uniti. La mutilazione genitale femminile è l’atto rituale di rimuovere una parte o la totalità dei genitali femminili esterni. E’ eseguita in molti paesi africani e di solito non è considerata paragonabile alla chirurgia estetica genitale praticata in Occidente. È interessante notare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la MGF come “tutte le procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni non mediche.” Sia il ringiovanimento vaginale che la labioplastica rientrano nelle definizioni di mutilazione fornite dalle Nazioni Unite.

A Berlino, città famosa per i valori sessuali progressisti e una storia di campagne per i diritti omosessuali, alcune persone cercano di contrastare questa tendenza. La dott.ssa Laura Meritt, proprietaria di Sexclusivitäten, il più longevo sex shop femminista della capitale tedesca, sta attualmente raccogliendo “ritratti di fiche” per illustrare la diversità delle vulve e dimostrare che non vi è alcuna norma generale. Si può contribuire compilando il sondaggio online o di persona. “Qualsiasi università sarebbe invidiosa del risultato! Abbiamo avuto oltre 2.000 partecipanti e quello che abbiamo scoperto è incredibile”, ha detto Meritt.

I risultati saranno pubblicati nel mese di marzo come parte della Mösenmonat (“mese della fica”), una celebrazione annuale in cui la vulva è onorata in mostre d’arte, spettacoli, film e workshop a Sexclusivitäten. Il tema di quest’anno è “la verità clitoridea.” Meritt ha anche curato la versione tedesca del classico testo di anatomia femminista, Una nuova visione del corpo di donna. Le fotografie di questo libro rendono chiaro che le vulve variano notevolmente in forma, colore, consistenza e dimensioni.

Forse, tutto sommato, la parola “vulva” è troppo clinica per voi. Nessun problema. Che ne dite di “fica”, “yoni,” o una sfilza di altre parole? Personalmente, ho sempre scelto la via della della rivendicazione. Dico “fica” [cunt]. La parola cunt ha la stessa radice etimologica di queen, kin e country [regina, parente e paese]. Fica non dovrebbe essere la parola più offensiva in lingua inglese. Le fiche sono fantastiche! Dovrebbero essere celebrate, non denigrate. Non usate la parola “vagina”, a meno che non stiate parlando della vagina. Usare la parola “vagina” in maniera scorretta oscura erroneamente il piacere sessuale delle donne e perpetua il mito del mistero della sessualità femminile. Il misticismo non deve essere confuso con l’ignoranza o con la censura. Viva la vulva!

I’ll show you mine, ovvero chi ha paura della vulva?

I’ll Show You Mine è un libro realizzato da Wrenna Robertson – attivista, accademica e stripper – e dalla fotografa Katie Huisman, insieme a tutte le donne rappresentate nel libro.

Il libro è una risorsa educativa creata allo scopo di decostruire le norme artificiali e irrealistiche della società riguardo alla normalità e bellezza della vulva, aiutare le persone ad avere un’idea realistica dei diversi aspetti di una vulva, e soprattutto delle diverse percezioni che le donne stesse ne hanno. Wrenna ha deciso di realizzare questo libro provocatorio, originale e toccante allo scopo di celebrare la bellezza insita nelle diverse vulve, dopo aver notato che sempre più donne prendono in considerazione la chirurgia estetica o la labioplastica allo scopo di correggere quelle che considerano vulve ‘anormali’ o poco attraenti.

Nel libro vengono quindi rappresentate 60 donne, di etnie ed età diverse, ognuna attraverso due foto della propria vulva accompagnate dal racconto, fatto dalle stesse protagoniste, delle proprie esperienze – tragiche o celebrative, rabbiose o sensuali – in merito alla propria sessualità. Le donne rappresentate appartengono ai percorsi esistenziali più disparati, sono studentesse, dottore, artiste, accademiche, sex worker, madri, nonne, casalinghe, imprenditrici, ecc.

Nelle prossime settimane, proporremo le immagini di alcune delle protagoniste del libro, insieme alla loro storia: cominciamo oggi con Diana. Buona lettura!

Mi chiamo Diana.

Quando ero molto piccola, amavo così tanto la mia vagina. Il suo odore e il suo aspetto mi facevano sentire così bene e a mio agio, ed esprimevo in maniera molto esplicita l’orgoglio che provavo nell’essere una bambina.

Quando ero ancora abbastanza piccola e carina da essere percepita, da occhi adulti, come innocente e innocua, mi vantavo lungamente dei miei genitali, descrivendone nel dettaglio la struttura – considerandoli addirittura di molto migliori rispetto a quelli dei ragazzini che conoscevo.

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Non ricordo esattamente quando, come, o chi mi ha contagiato con la paura e la vergogna che ho sviluppato in merito alla mia vagina, ma dai 6 o 7 anni ho cominciato ad augurarmi che non esistesse. Intorno ai 10 anni, ero praticamente riuscita a nasconderla completamente, anche a me stessa. Le perdite occasionali di fluidi e il terrore mestruale erano le sole cose capaci di ricordarmi di quello spazio che avevo tra le gambe. L’arrivo delle mestruazioni mi fece sentire solamente sporca e consapevole, e cominciai a impacchettare la mia vergogna nella carta igienica e nel cotone, avvolgendo gli assorbenti usati in strati su strati di carta igienica, sperando che la mia famiglia non avrebbe mai scoperto il mio sanguinare.

Non sono cresciuta in un ambiente nel quale alle donne fosse consentito di essere orgogliose di essere donne.

Quando iniziai ad avere rapporti sessuali, avevo già collezionato oltre un decennio di vergogna sessuale. Mi ci è voluto quasi un anno per imparare a sentire, a respirare attraverso il disagio, l’imbarazzo e la colpa, ad accorgermi del fatto che potevo, davvero, sperimentare il piacere.

Ci vuole ancora un sacco di fatica e di incoraggiamento, personale e da parte di altr*, per sentirmi a mio agio nell’esprimere la gioia e la felicità che un tempo provavo per la mia vagina. Partecipare a questo progetto mi ha consentito di provare un nuovo sentimento di amore nei confronti di questa parte del mio corpo – sentire che la mia vulva è desiderata, e può essere amata, e che questo amore è meritato.

 

Su depressione, sperma e sesso orale – la ricerca

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ph spiderspaw (farsela leccare non cura la depressione, ma fa comunque piacere)

Avrei voluto intitolare questo post: “Donne, la depressione si può curare facendo sesso orale: fatevela leccare!”, sarebbe stato di impatto, ma dato che la depressione è un disturbo serio nessun@ è autorizzat@ a scrivere stupidaggini in merito.

Solo un@ specialista (medic@ di medicina generale, psicolog@ o psichiatra) può diagnosticare il disturbo depressivo e aiutarvi a guarire con il metodo a voi più congeniale, metodo che nulla ha a che vedere con l’ingestione di sperma. Non solo fare pompini non fa guarire dalla depressione, ma farli senza protezione ci espone al rischio di contrarre ogni tipo di malattia sessualmente trasmissibile. Oltre a continuare ad essere depresse rischiamo seriamente di contrarre AIDS, HpV, Erpes, epatiti e altre malattie non mortali, ma che ci costringono a lunghe cure mediche (le quali, piuttosto, favoriscono il calo d’umore).
Comunque farvela leccare non vi deprimerà, se vi dovesse deprimere provate a spiegare come vi piace, se proprio non funziona potete sempre cambiare lingua. Un post divertente e intelligente sulle proprietà rallegranti del cunnilinguo è già stato scritto qui.

Questo post nasce per fare chiarezza sulle tesi riguardanti le  proprietà antidepressive del pompino con ingoio – di questo si tratta – portate avanti da questo articolo (opportunisticamente linkato e fatto rimblazare da quanti non riescono ad ottenere questa pratica da mogli e compagne). Il pezzo blatera di depressione e sperma, ossia di me, voi, noi che guariamo dalla depressione spremendo cazzi con la bocca, pura disinformazione medica di stampo goliardo-maschilista.

L’articolo che rimbalza qui e lì, ma vedremo nel prossimo post che si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di articoli che hanno funzionato da telefono senza fili, fa riferimento a una ricerca condotta nell’aprile del 2001 da una ricercatrice e due ricercatori della State University di New York, sita in Albany, N.Y., intitolata “Lo sperma ha proprietà antidepressive?”, recuperabile in pdf qui, pubblicata sulla rivista di sessuologia Archives of Sexual Behavior nel 2002. Ad esso sono giunta tramite questa chiave di ricerca su google: “State university New York+sperm and depressive disorder”, di non difficile combinazione.

La questione della reperibilità è molto importante, perché ci permette di vedere con chiarezza dove finisce la ricerca e dove iniziano maschilismo e disinformazione.
Le parti dall’inglese che seguono sono state tradotte da me.

Un po’ di luce sulla ricerca.

Dall’introduzione ricaviamo l’informazione che quando si tratta di disturbi depressivi la differenza tra maschi e femmine diventa consistente, perché “Le donne sono più inclini a sviluppare disturbi depressivi rispetto agli uomini”, che “L’incidenza della depressione clinica nelle donne supera quella indicata nei maschi di un fattore pari a tre su cinque volte” e “nelle donne, la depressione è spesso associata a differenti  esiti riproduttivi come la morte di un bambino, un aborto spontaneo e la menopausa.” Ney[1] nel 1986, “ipotizzò che lo sperma potesse avere un effetto sull’umore delle donne.” Questo effetto sarebbe dovuto agli ormoni nel plasma seminale, tra i quali “testosterone, gli estrogeni, l’ormone follicolo-stimolante e l’ormone luteinizzante, la prolattina, e un certo numero di differenti prostaglandine.” Questo perché “testosterone ed estrogeni sono assorbiti attraverso l’epitelio vaginale”, come gli altri ormoni, ma si sottolinea che “il testosterone viene assorbito più rapidamente attraverso la vagina che attraverso la pelle”.
La ricerca, per testare l’ipotesi di Ney, ha “misurato i sintomi depressivi nelle donne del college in funzione dell’attività sessuale e dell’uso del preservativo. La coerenza di uso del preservativo è stata utilizzata per indicizzare la presenza di sperma nel tratto riproduttivo femminile.”

Dunque al sesso orale non si fa alcun riferimento, perché l’ipotesi è che ad avere effetto sul comportamento delle donne siano gli ormoni contenuti nello sperma assorbiti attraverso l’epitelio vaginale.

Le donne che hanno partecipato alla ricerca sono 293, tutte volontarie anonime, che frequentavano lo stesso college in cui la ricerca è stata effettuata. Esse hanno accettato di compilare “un anonimo questionario progettato per misurare i vari aspetti del loro comportamento sessuale, inclusa la frequenza dei rapporti sessuali, il numero di giorni dopo il loro ultimo incontro sessuale, e tipi di contraccettivi usati.
Tra le donne sessualmente attive nel campione l’uso dei preservativi è stato presa come misura indiretta della presenza di sperma nel tratto riproduttivo. La frequenza dei rapporti sessuali è stata recepita nel numero di atti coitali all’anno. Ad ogni intervistata è stato anche chiesto di completare il Beck Depression Inventory, una misurazione di uso frequente per individuare le differenze individuali nei sintomi depressivi“.

L’87% delle donne campionate era sessualmente attiva, secondo i dati raccolti i sintomi della depressione variano rispetto all’utilizzo del preservativo, in pratica è emerso che la maggior parte delle donne che usavano i preservativi accusavano sintomi depressivi, di contro le donne che il preservativo non lo usavano presentavano minori sintomi depressivi, anche rispetto a quelle che si astenevano dal sesso.  E’ stata individuata una correlazione tra sintomi depressivi e distanza temporale dall’ultima relazione sessuale.

Rendiamoci però conto che: gli ipotetici benefici sull’umore, dell’assorbimento attraverso la vagina degli ormoni contenuti nello sperma, sono niente rispetto alla paura di una gravidanza o di contrarre malattie a trasmissione sessuale, entrambi eventi altamente probabili se non si usano i preservativi. Più giù è specificato che molte delle donne che non facevano uso di preservativi, assumevano comunque un contraccettivo orale (“oltre 7 su 10 delle donne sessualmente attive in questo campione che non ha mai usato i preservativi usavano contraccettivi orali”).

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