Guadagnarsi il diritto di essere vegan: Sull’intersezione tra privilegio abilista e potere specista

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Articolo originale qui, traduzione di feminoska.

Ultimamente, nel leggere il sempre provocatorio blog Vegans of color, ho provato sentimenti contrastanti. Riflettendo sui conflitti razziali, posso affermare in tutta onestà di essere stato molto più fortunato della maggior parte delle/i vegan di colore, a parte alcuni casi di rilievo. Il conflitto reale che ho dovuto affrontare nella mia esperienza di vita è un pò diverso da quello della maggior parte della gente di colore, perché sono cresciuto in mezzo ad altre persone di colore, in un ambiente autenticamente multiculturale. In quanto membro di una famiglia genuinamente multiculturale (e onnivora), ogni conflitto vegan/onnivor* è sorto quasi esclusivamente a causa di questioni relative all’abilismo.

L’ “alterità” che ricopre un ruolo importante nella mia Persona politico-sociale ha la forma della disabilità: “paralisi cerebrale” significa che mi è stata diagnosticata una disabilità di apprendimento e che sono parzialmente sordo a causa di un incidente di pattinaggio. Ora, prima di pensare: “Ecco, ora comincia la triste storia”, lasciatemi dire che l’unico scopo di questo post è quello di esaminare le interconnessioni di dominazione che tanto affliggono i rapporti umani; questo non è, in alcun modo, un concetto nuovo nell’ambito del discorso abolizionista animalista, né è necessariamente indicativo (spero) di un mio voler stimolare, attraverso speculazioni filosofiche, reazioni di pietà. Se si è vegan diversamente abili costrett* ad affrontare il problema concreto di dipendere da persone speciste (non importa quanto comprensive) per la sopravvivenza quotidiana (alimentare e non), si ha sicuramente voce in capitolo, anche solo per schiarirsi le idee.

Il paternalismo specista subito dalle persone diversamente abili tende ad essere molto più insidioso rispetto ad altre questioni di intersezionalità, semplicemente perché è apparentemente molto più logico di primo acchito. Chi può incolpare il genitore tormentato dal dover organizzare pasti differenti per chi è convintamente vegan, ma fisicamente e/o mentalmente mal equipaggiato per esserlo?

Il pregiudizio abilista può esprimersi anche attraverso forme più insidiose, in quell’attivismo per i diritti degli animali che presuppone un’intima familiarità con ogni singolo ‘argomento caldo’ del movimento, o per lo meno la possibilità di mostrarsi ben versati nelle svariate discipline che vanno dalla legge, alla sociologia, all’etica. Anche se ciascuna di queste discipline è senza dubbio attinente alla più ampia questione dei diritti degli animali – e può essere utilizzata con grande efficacia – sarebbe così strano se la persona vegana, che per qualsiasi ragione (ad esempio disabilità) non possa onestamente affrontare in maniera così approfondita questi problemi, leggesse questa richiesta come una porta sbattuta in faccia? Sono davvero stanco di vedere i miei problemi psicoeducativi /organizzativi usati per demolire la logica del’essere vegan. Il veganismo, con una condiscendente pacca sulle spalle, diventa non una posizione etica con la quale fare i conti, ma un favore benevolo concesso dall’onnivoro gentile e sensibile al petulante e ipersensibile “amante degli animali”.

L’infido assunto costantemente ripetuto è che dovrei “guadagnarmi il diritto di essere vegan” attraverso forme di indipendenza che mi permettano di raggiungere più rapidamente quel giorno felice nel quale le mie capacità organizzative, le mie disabilità di apprendimento e la mia memoria, tutte comincino a funzionare secondo un parametro oggettivo di riferimento esterno che mi conferirà il “diritto” di vivere come un non-specista. Capite perché nessun criterio esterno in materia di “liceità” del veganismo sia credibile? Non la cultura, non la tradizione religiosa, non la capacità, non una formazione costosa o specialistica. Non si finisce mai di imparare alla scuola di pensiero abolizionista animalista, e il costo del biglietto è scandalosamente basso.

Tutte le persone devono diventare vegan per gli animali, indipendentemente dalle loro abilità. L’attivismo di ognun* è importante, e non nella modalità condiscendente in stile “siamo tutt* vincenti”, ma, come ho detto più volte su questo blog, perché ognun* di noi è l’unica persona che può raggiungere tutte le altre. Non riesco a fare ciò che fai tu, tu non puoi fare ciò che faccio io. Peter Singer non è davvero, in ogni caso, il modello per qualsiasi tipo di movimento per i diritti degli animali, ma è interessante che il supposto “padrino” del movimento sposi punti di vista che potrebbero essere definiti quasi-eugenisti. Siamo davvero così ansios* di essere parte di un movimento composto solo da coloro ai quali è concesso valore in base a certi criteri predefiniti, quando stiamo combattendo proprio la validità dell’esistenza di criteri predefiniti?

Dobbiamo rifiutare di impegnarci nell’ “utilitarismo pratico” nel nostro attivismo. Abbiamo un disperato bisogno di una rielaborazione radicale del significato del veganismo nel discorso sociale, al di fuori di un paradigma di privilegio alla moda. In realtà, il correttivo di tutto questo è abbastanza semplice. L’idea che io abbia il “diritto” (guadagnato o meno) di essere vegan è al suo interno alimentato dallo specismo. Invece, è vero il contrario: Non ho il diritto di non essere vegan. Il veganismo non è una scelta, di per sé. Lo “scelgo” solo nel senso in cui mi rendo conto che vivendo in un mondo specista, sono moralmente obbligato a vivere l’abolizionismo nella mia vita.

Né il veganismo è una montagna russa filosofica attraverso la quale mostrare le proprie incredibili capacità logiche. Si tratta di un imperativo assoluto che tutt*, indipendentemente dalla propria eloquenza, istruzione e capacità di mettere in pratica decisioni personali dovrebbero abbracciare. Poco importa agli animali non-umani che la vostra posizione possa essere sostenuta con riferimenti incrociati ad ogni brano di letteratura attinente, o anche che non cuciniate tanto bene. Gli unici che hanno a cuore tali banalità sono specist* o vegan con qualcos’altro da dimostrare.

Compagn* attivist* vegan, io umilmente domando una rinnovata consapevolezza delle esperienze vissute da altr* vegan; il veganismo è semplice; lasciamo che sia semplice, e usiamo tale semplicità per attirare tutte le persone possibili. Ricordate che non stiamo combattendo la stupidità, ma l’ignoranza; sosteniamo non la conoscenza riservata a pochi, ma il comune senso morale. Il veganismo è semplice, così spesso affermiamo, e così è, in linea generale; ma alcun* di noi stanno compiendo questo viaggio con un passo meno leggero e un pò più zoppicante.

* Se sei un* giovane che vive da abolizionista animalista sotto la tutela di genitori onnivori, sappi di avere il mio più profondo rispetto. Continua la tua buona battaglia – non sei sol*.

Prima froci, ora anche vegan: Satana è fra noi?

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Articolo originariamente apparso su Liberazioni e Antispecismo, ripubblicato per gentil concessione di Grazia Didio.

La pubblicazione in Italia del Manifesto Queer Vegan di Rasmus Rahbek Simonsen rappresenta, credo, un piccolo sforzo utile ad avviare riflessioni con ripercussioni sia teoriche che a livello di attivismo politico. Ma l’aspetto più sintomatico del fatto che Simonsen qualche cosa di significativo l’abbia effettivamente detto è rappresentato, paradossalmente, da una recensione firmata da tale Lupo Glori, alias Rodolfo De Mattei (un vero anti-identitario!), pubblicata di recente su un sito di ispirazione cattolica tradizionalista, diretto nientepopodimeno che da un ex vice-Presidente del CNR, Roberto De Mattei.

Lupo Glori sembra sinceramente spaventato dalla pubblicazione di questo librettino rosa. In effetti, l’”ideologia del gender” è già abbastanza destabilizzante di per sè per chi parla di famiglia “naturale”; l’antispecismo è già di per sè una “delirante visione”, “finalizzata a mettere sullo stesso piano gli uomini e le bestie” (sic). Figuriamoci se provano a dialogare fra loro…

“Cosa hanno in comune la teoria queer e l’animalismo vegano”? chiede Lupo. Molto semplice rispondere: sono entrambi fumo negli occhi per l’ortodossia cattolica. Ma se fosse solo questo non sarebbe molto interessante accostare le due parole, queer e vegan, in un saggio, come fa Simonsen. Per fortuna, qualche idea in più su cosa abbiano in comune questi due termini, Simonsen sembra averla.

De Mattei mostra di aver compreso bene quali siano questi elementi sottolineati dall’autore del Manifesto. Veganismo e femminismo queer condividono un’“orgogliosa rivendicazione della devianza, intesa come comportamento antisociale e antinormativo”, una critica radicale all’identitarismo, una “resistenza metaforica e materiale all’ordine sociale dominante”. Entrambi attaccano le istanze essenzializzanti condensate nell’idea di “contronatura”, un’idea non a caso applicata sia all’omosessualità che al veganismo. Entrambi sono oggetti di pratiche di discriminazione (De Mattei denuncia – pardon, cita – l’omofobia e la vegefobia).

Insomma, Satana è fra noi… vegetariano e frocio. Un vero finocchio.

E non poteva certo lasciare indifferente un giornale diretto da un vice-Presidente del CNR contestato perchè ha detto che il terremoto in Giappone è stato un segno della bontà di Dio o che la caduta dell’Impero Romano è stata causata dagli omosessuali.

A dare retta a gente come Simonsen, dice Glori, non si sa dove si va a finire. Si comincia con la dissoluzione della famiglia tradizionale, per arrivare alla morte della società e della specie umana, passando per un’allegra orgia interspecifica. Eh sì, perchè alla fine della sua invettiva, il Nostro evoca lo spettro della zoorastia: umani che sodomizzano animali e – orrore ancor più grande – animali che sodomizzano umani. In effetti, su un sito di De Mattei (Roberto…) l’allarme era già stato lanciato da tempo: i rapporti sessuali con animali dilagano ed è “davvero sorprendente la faccia tosta degli animalisti che anziché sdegnarsi per il fatto in sé rivendicano ancora una volta i pseudo diritti degli animali e ne denunciano la violazione”.

Insomma, Glori-De Mattei-Lupo-Rodolfo è davvero terrorizzato. Anche se, a leggere la sua fedele descrizione degli spunti di Simonsen, il suo appassionato riassunto dei temi più originali del libro, la sua padronanza delle tesi più ardite di Lee Edelman, sembra quasi che ne sia affascinato. Forse, questo “queer vegan” sotto sotto attrae anche gente insospettabile…

 

Grazia Didio