Se qualcosa salta all’occhio di tutto il bailamme di mosse, contromosse, proclami, interessi economici e politici, nonché di casta* che si agitano intorno alla sperimentazione animale – anche alla luce della tremenda Direttiva 2010/63/UE (qui si può avere un’idea delle torture che continueranno a subire milioni di animali non umani) – è sicuramente il fatto che la lobby che ruota intorno a certa ricerca, quella smaccatamente pro sperimentazione animale, è “scesa in campo”, in maniera aggressiva e senza esclusione di colpi, per difendere il proprio diritto a disporre dei corpi e delle vite altrui a proprio piacimento. Questo è un buon segno: quantomeno a livello politico, significa che qualcosa si sta muovendo. E’ un segnale piccolo e ancora insufficiente, ma inequivocabile: chi ha grossi interessi da perdere ha deciso di giocare qualsiasi carta possibile per riguadagnare il consenso popolare, e così ad ogni piè sospinto fa la voce grossa con il sostegno di tutti i media mainstream, golosamente alla ricerca del titolo più altisonante.
Il titolo di oggi, uno dei tanti, è questo (ma c’è anche questo, o questo): Difende test su animali. Giovane malata riceve auguri di morte su Facebook.
Ecco, questo fa schifo, ma veramente tanto.
Usare l’immagine iconica di una ragazza malata, occhi dolci contornati dall’ingombrante e tragica presenza del respiratore, per di più vegetariana e che studia veterinaria (ma ciononostante favorevole alla sperimentazione animale) per sponsorizzare la ricerca che utilizza gli animali non umani è veramente una tra le mosse più becere di qualsiasi campagna di marketing emozionale mai inventata sinora.
Mi spiace molto per Caterina, che credo in buona fede: e non nego in alcun modo la sua sofferenza, né quello che reputa essere il proprio genuino amore per gli animali, ma immagino non si sia resa conto che la sua iniziativa sarebbe stata cavalcata per sostenere ben altri interessi, sull’onda dell’emozione (come politici vari hanno subito fatto, allo scopo di ottenere un pò di promozione gratuita).
Per inciso, è interessante notare come il punto di vista estremamente situato di una malata grave (che non è di certo neutro rispetto alla propria malattia e sofferenza) viene accolto, proprio in virtù della carica emotiva che porta con sé, in maniera totalmente acritica da migliaia di persone. Insomma, se una ragazza giovane, dolce e amante degli animali, afflitta da malattie invalidanti e orribili, pur tuttavia reputa legittima la sperimentazione animale, perché non dovrebbero farlo tutte le altre persone?
Il punto però è un altro: il punto non è la generica quanto vaga affermazione di ‘amare gli animali’, il punto è semplicemente ammettere che possiamo fare loro quello che facciamo (dalla sperimentazione, agli allevamenti, ecc.ecc.) perché ne abbiamo la forza, e con forza intendo la forza bruta, ovvero attraverso l’uso della violenza.
Caterina di certo soffre, come è destino di molti, se non tutti gli animali, umani e non. Caterina desidera vivere, e anche gli animali, umani e non, sottoposti ad atroci torture o sofferenze lo desidererebbero. E non è neanche importante sottolineare che gli altri animali non sono ‘solo’ topi, ma anche cani, uguali a quelli che Caterina stringe a sé e che ama, riamata, o scimmie antropomorfe, gatti, e qualsiasi essere ritenuto candidato ideale alla tortura.
Quello che non va, in questo ragionamento, è che non può esistere alcuna scusa ‘morale’, per usare violenza, per dominare altri esseri viventi, per imporre sofferenza fisica e psicologica intollerabile e morte. Non auguro a nessuno la morte, ancor meno la sofferenza (e quell* che lo fanno, e lo hanno fatto in questa situazione, sono persone deprecabili a cui va tutta la mia pena). Non la auguro a Caterina, ma nemmeno agli animali che la stanno subendo ora, chiusi in qualche asettico laboratorio. E non sono qui a dire che chi soffre non dovrebbe curarsi con farmaci sperimentati su animali, come potrei? Ad oggi nemmeno esistono! Ma che errore fa Caterina nell’affermare “sono viva grazie alla sperimentazione animale”.
L’errore si manifesta in due modi: primo, perché lei – come tutt* noi – non può sapere a che punto sarebbe oggi la ricerca scientifica se lo sviluppo etico fosse progredito alla velocità di quello tecnologico, e se avessimo rinunciato da tempo ad usare gli animali non umani per scoprire come combattere la malattia e l’inevitabile sofferenza. Chi può dire se oggi la scienza sarebbe più o meno progredita rispetto allo stato attuale? Inoltre vale la pena notare che al momento una persona come lei, volendosi curare – e di persone affette da svariate patologie ne esistono tante, anche tra le/gli antispecist*! – non avrebbe comunque, anche desiderandolo, altra possibilità.
Le alternative non vengono quasi mai presa seriamente in considerazione, e alla ricerca senza animali vanno sempre le briciole di quei fondi così prodigalmente raccolti da Telethon et similia. Da quando la sperimentazione sugli animali ha preso piede, è stato l’unico paradigma considerato valido, un mantra ripetuto a generazioni di studenti, una prassi imposta che ha tarpato le ali alla possibilità di una scienza etica, che non definisca arbitrariamente quali siano i soggetti degni di essere curati e quelli che possono essere sacrificati.
La ‘scienza’ che invece conosciamo ha ritenuto possibile, citando casi nemmeno così lontani nel tempo, compiere esperimenti anche su neri, ebrei, comunità povere (qui una efficace disamina delle intersezioni tra sperimentazione animale umana e non umana di Breeze Harper), animalizzando questi individui, reificandoli, approfittando della loro debolezza esattamente come avviene per gli animali non umani. E questo chiaramente esplicita come, fino a quando esisteranno categorie di valore tra individui (umani e non), davvero nessun* potrà essere sicur* di ricadere nell’insieme dei privilegiati.
La realtà è che viviamo in un mondo specista – oltreché razzista e sessista – fatto di distinzioni arbitrarie di valore e privilegio sostenute con l’uso della forza – anche quando è “legittimata”, è sempre forza – e della sopraffazione. L’ottica antispecista richiede invece di lasciare indietro le dicotomie degli opposti tanto care a chi sostiene la sperimentazione, e al posto di scegliere ‘tra il cane e il bambino’ è tesa a trovare il modo di salvaguardare gli interessi di entrambi. Questo è quello che andrebbe fatto, questo è quello che ci sforziamo di mettere in pratica, e la consapevolezza del fatto che ciò non è sempre possibile nella situazione attuale (o che la coerenza assoluta tra principi e prassi, per quanto auspicabile, è spesso difficilmente realizzabile) non può rendere lo sfruttamento degli altri individui una regola, anziché una eccezione.
Ed ecco svelato anche perché ‘l’icona Caterina’, trasformata in martire votata alla sperimentazione – in parte anche contro la sua volontà – ha avuto, solo sul sito di Repubblica.it, migliaia di condivisioni, mentre le dichiarazioni di Susanna Penco, ricercatrice e biologa dell’Università di Genova contraria alla sperimentazione animale, oltreché malata di sclerosi multipla (qui un suo video di qualche tempo fa, dove con calma e precisione circostanzia, da addetta i lavori, la sua scelta e la difficoltà ad andare controcorrente pestando i piedi di chi ha grossi interessi da difendere) vengono prese blandamente in considerazione.
Le dinamiche di potere in mano alla politica e a chi ha grossi interessi economici e di prestigio in ballo, ricevono euforicamente l’appoggio della malafede specista, tanto cara a tutte le persone che volentieri tacitano le voci in disaccordo, trovando un buon motivo per continuare a dominare, sopraffare, seviziare e uccidere nell’approvazione generale. Sono d’accordo con Caterina quando dice che bisognerebbe rinunciare alla carne, rinunciare alla caccia, rinunciare alle pellicce… ma non basta, e queste sue affermazioni sono passate sicuramente inascoltate, come tutte quelle che invece di guardare al quadro globale, instaurano la teoria delle priorità (prima gli umani, poi tutti gli altri) per non cambiare di una virgola il sistema.
Non basta, dicevo, perché bisogna rinunciare anche alla sperimentazione animale: non certo per far morire gli ammalati, ma per curarli senza sporcarsi le mani del sangue e della sofferenza di altri individui.
Si può scegliere di essere malati? Certo che no. Si può chiedere di voler essere curati senza far soffrire altr* e perciò sostenere una ricerca senza l’uso di animali? Sicuramente sì. Si deve per questo rinunciare alle cure? Io credo di no, ma anzi bisogna farsi ambasciatrici e ambasciatori, in quanto malat* e perciò persone con una conoscenza profonda della sofferenza, della necessità di una scienza finalmente senza crudeltà.
*definizione di ‘scienziati’: moderni e, a loro dire, infallibili profeti della legge divina del nuovo millennio, quella Scienza con la esse maiuscola che richiede sacrifici, umani e non umani, e la fede cieca del volgo al pari di vecchie e nuove religioni.