Wild, il film

Wild
Wild

Le due parole che immediatamente si associano a un film come Wild sono “redenzione” e “rinascita”, ma quella raccontata è anche la storia di due donne, madre e figlia, che si parlano attraverso percorsi di emancipazione diversi e contigui.
Il testo che segue anticipa trama e finale.
Diretto da Jean-Marc Vallée e sceneggiato da Nick Hornby, il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Cheryl Strayed, e racconta la “parentesi” che una giovane donna, Cheryl interpretata da Reese Witherspoon (anche produttrice del film), si ritaglia dalla sua vita, per elaborare il lutto che l’ha portata a un passo dal distruggere sé stessa. Il percorso di rinascita segue le vie del Pacific Crest Trail, un sentiero che attraversa in verticale gli Stati Uniti, dal confine con il Messico in California, attraverso l’Oregon, a Washington, fino al Canada.

Il piano della memoria è continuamente intrecciato al presente, in un costante rimando tra strappi e ferite, naturali ed emotive, a ciò che è stato e a ciò che è. Un po’ alla volta scopriamo una madre, Bobbi interpretata da Laura Dern, che pur partendo da una condizione di fragilità economica e culturale, libera sé stessa e i figli dalla violenza. Bobbi, infatti, sottraendosi al marito e padre dei suoi figli, alcolizzato e violento, costruisce secondo le possibilità di una cameriera di caffetteria senza diploma, un ambiente in cui regnano l’amore e la curiosità verso la vita. Si iscrive al college con Cheryl e con lei discute continuamente di musica e libri, piena di voglia di vivere e di crescere una figlia che sia una donna forte e migliore di quanto pensa di essere stata lei. Lo strappo violento della sua morte, a soli 45 anni, spinge Cheryl in un vortice di autodistruzione, che comporta anche la fine del proprio matrimonio, tra sesso vuoto ed eroina. A 24 anni Cheryl si ritrova senza legami, perduto anche quello con suo fratello minore, e senza speranze.
Nell’estate del 1995 decide di mettersi alla prova con il durissimo PCT, pur non avendo esperienza di trekking, con uno zaino troppo pesante, scarponi troppo stretti, dormendo in tenda nei boschi e nel deserto, esposta alle intemperie e a qualsiasi tipo di incontro casuale. Ma gli incontri sul cammino non sembrano essere particolarmente importanti, perché il cammino reale di Cheryl è dentro sé stessa.

aLa realtà sfuma in una dimensione onirica, i flashback invadono il presente, fino alla conquista di un nuovo significato della vita.
Il finale del film ha un sapore un po’ retorico e certamente conciliante. L’autrice del libro è oggi una scrittrice e saggista che, dopo alcuni anni dal PCT, si è sposata e ha avuto dei figli. Non ho letto il libro e non posso dire quante e quali differenze ci siano, ma il film vale la pena. Wild vale la pena non solo per le spettacolari immagini della natura, vale la pena proprio per la messa in scena di quella dinamica d’amore tra madre e figlia che permette alla donna più giovane di rispondere con semplicità, a un inetto giornalista che la scambia per una senza tetto, “certo, sono una femminista“.

Il femminismo non è un aspetto di secondo piano, né nel film né nella vita di Cheryl Strayed, che fin da giovane è stata un’attivista. Oggi secondo Strayed il femminismo, pur essendo ancora oggetto di denigrazione e tentativi di marginalizzazione, viaggia in ogni direzione, anche grazie ai social media e ai personaggi pubblici.

Sono felice che finalmente più e più persone – cantanti, attrici e celebrità – dicano pubblicamente “Sai cosa? anche io sono femminista”. Ce ne sono sempre stat*, ma oggi il numero è in crescita. Penso che i social media aiutino, creando un senso di comunità, così non ti senti come una persona sola nel vento.

Non so dire quanto fossi felice del fatto che Nick [Hornby] avesse incluso lo scambio tra Charyl, cioè io, e il reporter, in cui dico che sono femminista. Lo adoro.

(…)

“Trendy” sembra sempre essere un termine sminuente. Implica che si tratti di qualcosa alla moda e passeggero, di persone che ora sono sul carro [del femminismo n.d.t.] e dopo non ci saranno più. Ma non credo che sia così. Penso che stia accadendo qualcosa di simile agli anni ’70, quando un’intera generazione di donne ha avuto una specie di presa di coscienza. Penso che oggi stia accadendo questo. Molte donne che in passato hanno detto “Oh, no. Non mi sento discriminata. Oh, no. Il sessismo è una cosa del passato”, cominciano a capire che non è così, che ci sono dei chiari indicatori che il sessismo è vivo e vegeto, e ne sono affetti. Molte persone cresciute pensando che il femminismo non fosse necessario, adesso si rendono conto che lo è. Una volta che hai preso coscienza, questa non è più una “moda”, diventa un modo diverso di pensare al mondo.

Charyl racconta dei timori che aveva all’idea che il film fosse realizzato a Hollywood, uno dei luoghi più sessisti del pianeta.

Abbiamo avuto un lungo colloquio e lei [Reese Witherspoon n.d.t.] era irremovibile sul fatto di essere fedele al libro e onorare sia il libro che la mia vita, così ho sentito che potevo fidarmi di lei. Poi, subito dopo, ho incontrato Bruna Papandrea, socia di produzione di Reese, e abbiamo fatto una lunga colazione. Sono delle donne fantastiche ed eravamo così in sintonia che ho subito capito che non avrebbero fatto accadere cose brutte.

(…)

Wilde è un film indipendente. Molte persone non lo immaginano perché vedono Reese Witherspoon sul cartellone, e pensano “Og è un filmone di Hollywood”, ma in realtà si tratta di un film indipendente realizzato con un budget molto modesto, proprio per proteggerlo. (…) Ho letto la sceneggiatura prima che fosse tutto pronto, ho dato dei feedback, ho espresso le mie opinioni e il film è stato realizzato molto bene. Nick Hornby e Jean-Marc Vallee sono entrambi uomini intelligenti e sensibili con una coscienza femminista.

Tra vita, scrittura, cinema e racconto, Wild sembra proprio un film adatto al nutrimento di un immaginario, femminista, che prendendo spunto dalla realtà, ritorna a essa rafforzato.
Le parti tradotte e adattate all’italiano sono tratte dall’intervista rilasciata a Bitch Magazine.