Nel numero 11 di Liberazioni, notevole rivista di critica antispecista, è stato pubblicato un articolo di Aldo Sottofattori dal titolo “Perché gli antispecisti non possono non dirsi comunisti“. Da antispecista sono stato subito colpito da questa affermazione, che mette un chiaro confine – per certi versi anche positivamente – su quale possa essere il pensiero politico antispecista.
Da subito Sottofattori mette le mani avanti, affermando che “Questo articolo non pretende di affermare una tesi assoluta che non richieda ulteriori revisioni. Esso consiste piuttosto in una riflessione offerta al movimento antispecista per iniziare a ragionare sulle condizioni necessarie perché si realizzi la liberazione animale dal giogo umano”.
Da subito vengono prese le distanze dalla possibilità di ottenere una liberazione animale in una società di libero mercato, seppure diversa da quella attuale. Un approccio “culturalista” e non “politico” della liberazione animale, quindi una modificazione dei costumi piuttosto che un cambiamento radicale della società liberista, non può che portare al fallimento.
Sottofattori nell’articolo descrive in modo molto chiaro che una società liberista è un sistema in continua espansione dove “il denaro è la “vera” merce compulsivamente perseguita dal capitalista. La merce, […] ossia la componente naturale tradotta in beni di vario genere mediante il lavoro umano, è solo il tramite con il quale il capitale iniziale promuove la propria valorizzazione.”
La società liberista pertanto, in questa sua reiterazione produttiva, non ha più il primario scopo di soddisfare i bisogni umani, ma quello di ripetere il ciclo all’infinito, fino all’esaurimento delle materie naturali. In uno scenario del genere risulta utopistico immaginare che la società rinunci ad una materia prima preziosa come gli animali non-umani, anzi. Sottofattori evidenzia che nel sistema capitalistico anche l’animale umano viene normalmente sfruttato, riducendosi a pura materia viva.
Fin qua, se non si arriva alla conclusione riportata nel titolo, sicuramente si può affermare che gli antispecisti non possono non dirsi anticapitalisti.
La lotta per la liberazione animale si è sviluppata principalmente nel Paesi occidentali e solo in alcune fasce sociali, escludendo per esempio chi è direttamente interessato allo sfruttamento animale, mentre non ha interessato il resto del mondo. Sottofattori afferma che tale scenario immancabilmente tenderà a regredire in caso di collasso della società attuale. In definitiva un “mondo disordinato, segnato dal conflitto, dalla cultura individualista, connotato dal perenne e crescente stato di incertezza e di insicurezza, rappresenta un ambito di elevata disattenzione verso il prossimo, umano e non umano.” E per mettere la ciliegina sulla torta, afferma che “L’antispecismo può realizzarsi solo nel momento in cui diventa una scelta planetaria” e che “In assenza di una nuova alleanza universale in un mondo di pace, l’antispecismo non ha alcuna possibilità di realizzarsi. Nell’attuale caos mondiale caratterizzato dalla scarsità di risorse, dalla militarizzazione delle economie, dal dominio incontrastato delle multinazionali, dallo sforzo bellico degli Stati per affrontare i conflitti che si svilupperanno per l’accaparramento delle materie prime, il risultato massimo conseguibile è quello di mantenere accesa la fiammella di una visione inedita delle relazioni universali che legano il vivente”.
Niente di più tragicamente condivisibile.
Nella seconda parte dell’articolo, Sottofattori cerca di argomentare perché “la società comunista può divenire antispecista”. Da subito mette le mani avanti, ammettendo una storica ostilità di molti animalisti verso il comunismo a causa dell’assenza di una propensione antispecista nelle società socialiste del XX secolo. D’altro canto, afferma che tali società socialiste non sono riuscite ad esprimere le caratteristiche basilari del comunismo essendo sorte e vissute in uno stato di eccezione dettato dall’esistenza nel “secolo breve”.
Come lui stesso ci chiede, mettiamo quindi da parte il passato, sono solo “compagni che hanno sbagliato”.
Il ragionamento di Sottofattori inizia a stridere nel momento in cui, facendo riferimento alle scienze naturali e alla matematica, considera il comunismo necessario, anche se non sufficiente, per l’affermarsi dell’antispecismo (da qui il titolo dell’articolo). Sicuramente una affermazione forte, che cerca di sostenere nel resto del testo.
Sinteticamente emergono questi aspetti leggendo la seconda parte:
- In generale, la lotta antispecista che si spende nella società attuale capitalista, con tutte le contraddizioni descritte sopra, dovrebbe a maggior ragione essere aperta a una società potenzialmente più accogliente. [Il comunismo avrebbe intrinseche queste potenzialità, ma non esprime da subito in modo incontrovertibile un pensiero antispecista.]
- Le possibili società future rappresentano un mistero inafferrabile ed è utopico pensare di immaginarle adesso. Ora è necessario “individuare gli assi portanti di un nuovo modo di concepire le relazioni intraumane, la riproduzione sociale, il rapporto con l’ambiente di cui gli umani sono parte” [perchè, alla luce di questa necessità, e di questa incertezza dell’avvenire, releghiamo il nuovo ad un pensiero che solo potenzialmente può accogliere l’antispecismo?].
- Vengono identificati gli assi portanti dell’uscita dalla società borghese, unico superamento possibile e coerente delle attuali condizioni, quali:
- l’abolizione della proprietà privata e la socializzazione dei mezzi di produzione dei grandi complessi produttivi [perchè non immaginare una abolizione anche dei grandi complessi produttivi?].
- la “naturalizzazione” dell’economia in modo da relazionarla alle effettive possibilità offerte dalla natura.
- la funzione dello Stato di pianificazione e di controllo iniziale, che si riduce progressivamente con l’emergere di una società matura [per Sottofattori appare di scarsa importanza se alla fine lo Stato si estinguerà o meno, mentre risulta storicamente un elemento critico principe dell’applicazione del comunismo. Va bene far finta che non ci siano compagni che hanno sbagliato, ma riconoscere il concreto rischio di ricadere nello stesso errore è doveroso].
- Afferma che il marxismo, come concepito originariamente, tende a riproporre una visione antropocentrica, ma esso, riconoscendo l’insopprimibile componente naturale dell’umano, comporta potenzialità e implicazioni che potranno orientare i processi evolutivi della società quando il comunismo giungerà a maturazione. Di fatto identifica nel comunismo l’assenza di necessità sistemiche che ora portano all’uso e allo sfruttamento di altri animali, aprendo le porte ad un effettiva possibilità di una società antispecista, non senza battaglie [essendoci solo delle potenzialità].
- Evidenzia il carattere globale che avrebbe la società comunista, condizione necessaria per poter vedere il successo della battaglia antispecista.
Andando a rivedere quanto emerso, si potrebbe riassumere il pensiero di Sottofattori in questo modo:
– L’antispecismo nella società attuale è fallimentare.
– L’unica possibilità per poter realizzare una società antispecista passa necessariamente attraverso l’abbracciare il pensiero comunista.
Se gli assi portanti del pensiero comunista saranno applicabili alle Società future, adesso imperscrutabili;
Se le potenzialità antispeciste del comunismo verranno colte;
Se l’originale visione antropocentrica verrà superata attraverso la vittoria della battaglia antispecista;
Se lo Stato (comunista) rinuncerà a tempo debito alla sua funzione di pianificazione e controllo iniziale (autoritaria e repressiva);
E’ chiaro che pretendere – sulla base solo di potenzialità e con tutte le condizioni espresse sopra – di accettare la tesi che pone come condizione necessaria dell’antispecismo il comunismo, è difficilmente accettabile e suona come una forzatura ideologica. Una concatenazione di successi che non può che ridurre il comunismo-antispecista all’ennesima lista di sogni, utopie.
Sicuramente la ricerca degli assi portanti alla base delle future società è un passaggio fondamentale per poter immaginare un futuro antispecista, e partire dal pensiero che ha alimentato le lotte di liberazione del secolo scorso può aiutare nel porre alcune basi – pur correndo qualche rischio – per identificare tali principi.
La sfida più grande però è quella di riuscire a superare tali idee, in modo da arrivare ad un nuovo pensiero politico che non solo aspiri ad una società antispecista, ma che riesca ad immaginarne l’applicazione nello scenario attuale, di radicamento globale del capitalismo, di endemica sovrappopolazione, di scarsità di risorse e di sfilacciamento dei legami di solidarietà tra gli individui.