Si avvertono i potenziali lettori che la lettura del seguente testo potrebbe causare rash cutanei ma soprattutto ideologici presso gli antirazzisti da bar che ammorbano l’etere con cacate retoriche sul fatto che abbiamo tutti il sangue rosso, salvo poi bollare come violent* coloro che si ribellano. Oh, io ve l’ho detto.
Facciamo finta che io sia un imprenditore di qualsivoglia dimensioni.
In seguito alle lotte sociali degli anni ’70 il costo del lavoro degli operai italiani è indubbiamente salito (anche se ora non si può più dire lo stesso, grazie ai miei deliri neoliberisti). Il sottoscritto è un taccagno schifoso col pallino dell’accumulazione di capitale (come qualsiasi altro capitalista, mini e non), senza un briciolo di cultura, che aspira all’ascesa sociale stile american dream e pretende di farlo attraverso lo sciacallaggio delle risorse altrui perché oggettivamente troppo coglione per riuscirvi con le proprie.
Le guerre nelle quali lo stato presso il quale risiedo ha partecipato, hanno saccheggiato altrove risorse e generato povertà e distruzione tale da far immigrare quantità considerevoli di esseri umani da queste parti. La mia preoccupazione è, però, arricchirmi; ne consegue che io desidero lavoratori con un costo del lavoro basso (siano essi italiani o di chissà dove). Questa è la logica per la quale sposto i luoghi di produzione lontano da qui e quella per la quale assumo principalmente persone immigrate, non certo per il poco impegno, sacrificio o bassa professionalità della classe operaia locale, anche se mi piace far credere che sia così (il popolino è davvero decerebrato, miseriaccia). Però, ogni notte prima di infilarmi sotto le coperte – oppure ogni mattina prima di infilare il maglioncino di cachemire e sproloquiare pseudomarxisticamente – mi cago in mano di fronte alla possibilità che anche il costo del lavoro migrante possa salire.
Che fare? colpo di genio: chiamo il mio amico giornalista e gli dico di pubblicare articoli a raffica su stupratori immigrati ignorando bellamente le statistiche istat sull’endemicità della violenza domestica (quella degli italiani). Dopodichè, faccio lobby con le pariopportuniste di turno per ottenere decreti e leggi varie in nome di uno ben specificato ideale di sicurezza irrimediabilmente violato. Dipingo i migranti come scansafatiche che vengono qui a rubarci il lavoro. Spingo la sinistra a promulgare la Turco-Napolitano e la destra a dare origine alla Bossi-Fini. Rendo la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno indissolubilmente legata al possesso di un contratto di lavoro. Concludo in bellezza con l’istituzione prima dei CPT e poi dei CIE: trattasi in ambo i casi di un vulnus nello stato di diritto (che è una barzelletta, ma a me fa comodo un popolino giustizialista che combatte minchioni insignificanti e osanna i magistrati), visto che si introducono concetti come detenzione amministrativa (traduco: vi incarcero come e quando vi pare, senza dovermi appellare a chicchessia) e di fatto si incarcerano persone non tanto per un reato, quanto per una condizione; degli effettivi lager. Risultato? Nessuno si ribellerà alle mie schifosissime condizioni lavorative imposte, grazie allo spauracchio del carcere-che-non-si-chiama-tale, e gli italiani bianchi se la prenderanno con le vittime della mia strategia e promuoveranno neofascismi a piene mani.
Domande?
“Io non sono razzista, ma…” (Joseph Arthur de Gobineau)