Se l’unico aborto legale è quello accidentale, allora procurarsi un accidente è l’unico modo che una donna ha per terminare una gravidanza, che sia indesiderata o pericolosa per la sua vita e quella del feto.
Questo è il provocatorio, ma non nuovo, concetto di fondo della campagna per la depenalizzazione dell’aborto promossa da Miles, un’organizzazione non governativa che si occupa dei diritti sessuali e riproduttivi in Cile, dal 2010.
L’organizzazione si fa promotrice di una proposta di legge, che si può leggere qui, nel quale si chiede la depenalizzazione dell’aborto terapeutico e volontario in caso pericolo di vita per sé e per il feto (o grave malformazione strutturale di quest’ultimo), con la predisposizione degli strumenti atti all’accertamento di questi pericoli, e in caso di stupro, ponendo l’attenzione anche alle minori di 14 anni. Nel quadro di riferimento del diritto alla salute e a una vita degna, puntualizzando i dati del ricorso all’aborto clandestino e della mortalità materna e neonatale.
L’obiettivo è quindi parziale, non si chiede la depenalizzazione completa dell’aborto volontario. Nel progetto di legge si contempla anche l’obiezione di coscienza per quei medici che non vogliono praticare l’intervento abortivo, previa dichiarazione scritta. Pratica alla quale non possono però sottrarsi in caso di immediato pericolo per la paziente.
Sono stati prodotti tre tutorial che spiegano come provocarsi un aborto accidentale, in tutti e tre la donna rischia la vita per mettere fine alla gravidanza. Se rischio di morire a causa della gravidanza, perché non rischiare di morire a causa dell’aborto?
Una logica che, in fondo, è condivisa da tutte le donne che rischiano la vita con un aborto clandestino.
I video sono semplici, diretti e agghiaccianti.
Nel primo viene spiegato come abortire, lanciandosi nel traffico di un incrocio.
Nel secondo si spiega come procurarsi un aborto rompendo il tacco di una scarpa e sbattendo contro un idrante.
Nel terzo la protagonista spiega come provocarsi un aborto cadendo dalle scale.
Non è la prima campagna provocatoria realizzata in Cile, alcuni anni fa un’altra associazione, rintracciabile presso questo sito internet donaporunabortoilegal.wordpress.com, aveva promosso una campagna di donazione per consentire alle donne un aborto illegale.
Pubblichiamo la traduzione di un articolo apparso su la-critica.org che tratta di rapper e cantautrici che si dichiarano apertamente femministe, sono artiste in lingua spagnola che mescolano senza timore ma, anzi, con fierezza e poesia, musica e militanza. Traduzione di Serbilla.
Le cantanti dichiaratamente femministe fanno tendenza
Di L Herrera
Negli ultimi anni, sono comparse voci nuove e diverse nelle regioni dell’America Latina e di altre parti del mondo, che utilizzando vari generi musicali cantano rivolte ad altre donne le modalità di resistenza a differenti oppressioni. Di seguito alcune di quelle che, senza timore di definirsi femministe, alzano la voce con ritmo.
1. Rebeca Lane. E’ una rapper guatemalteca che nel 2013 ha lanciato il suo primo album intitolato “Canto”. Le sue canzoni si caratterizzano, tra gli altri temi sociali trattati, per l’analisi dei dettami di genere e per la denuncia del genocidio guatemalteco. Ha partecipato a eventi femministi e calcato i palcoscenici in El Salvador, Nicaragua, Mexico e Guetemala.
Nell’intervista con la rivista “Casi literal“, ha dichiarato: “ll fatto che sono femminista e anarchica, certamente è qualcosa che viene fuori dai testi e che io anche voglio trasmettere e spiegare, pertanto le persone alle quali non interessano questi temi li interpretano sistematicamente come caos, lotta non necessaria o cose inutili per il sistema”.
2. Mare Advertencia Lirika. Rapper nata nello stato messicano di Oaxaca e di origini zapoteche, nei suoi testi canta contro il maschilismo, a favore dell’indipendenza delle donne e denuncia le disuguaglianze sociali che si vivono in Messico. Ha partecipato a eventi in Guatemala, negli Stati Uniti d’America del Nord e Messico.
E’ la protagonista del documentario “Cuando Una Mujer Avanza” e fondatrice del gruppo Advertencia Lirika.
Il 12 agosto di quest’anno ha scritto sulla propria pagina facebook: “Solo quando ho capito tutto ciò che il patriarcato mi ha tolto, solo allora, ho potuto rivendicarmi come femminista…non mi sorprende quindi che tant* non capiscano neppure minimamente di cosa si tratta”.
3. Las Conchudas. Gruppo argentino cumbiachero diventato famoso tra le femministe latinoamericane nel 2014. In due mesi hanno accumulato quasi ventunomila visite al video del loro singolo “Las pibas chongas”, un manifesto lesbofemminista con un mix di cumbia e rap. “Antipatriarcale, femminista, lesbica, caraibica, latinoamericana, mi connetto con la Madre Terra, rivoluzionando la strada e il letto.
Ed essere una frocia non è solo parlare di sesso, questo è parte di tutto un manifesto, la mia politica ha molto peso, inciampando, mi rialzo e ti bacio”.
4. Furia Soprano. Rapper spagnola nella cui biografia su Twitter non manca di definirsi femminista radicale: “Rap feminazi, pattini, gomma rosa, se mi tocchi ti rompo”. Il suo album si chiama “No hay clemencia”, le canzoni di Furia si scagliano contro il capitalismo eteropatriarcale e riflettono sulle differenze e similitudini delle oppressioni che vivono le donne.
Nella sua canzone “No hai clemencia”, del disco omonimo, Furia canta con forza: “Streghe dell’inferno, il nostro motto è la difesa, femminismo attivo, nemmeno un’aggressione senza risposta, facciamo sentire la protesta quando il grosso del sistema lo alimenta e lo sostenta, fine, macete alla mano…non venimmo come carne né per piacerti, non siamo perfette, non siamo bambole, non siamo umili, delicate né piccole..né dio né padrone, né marito né partito, non c’è clemenza”.
5. Lua. E’ una cantante spagnola anarchica e apertamente femminista. Nelle sue canzoni tratta differenti tematiche che accompagna con la sua chitarra, vanno dalla critica al patriarcato, agli spazi di sinistra, all’amore romantico. Le sue composizioni sono state molto condivise attraverso internet e le reti sociali.
Di fronte alla domanda se si riconosce come femminista, nel sito El Hombre Percha, Lua risponde: “Apertamente, anche se questo comporta le facce sorprese e indignate di alcun*. Di fatto, e per meglio specificare, femminista autonoma, libertaria: non voglio governare né essere governata. Il femminismo deve essere orizzontale e autogestito.
Nasce da noi e per noi ed è dalla base che deve prendere forma. Il femminismo è emancipazione e noi siamo le prime che dobbiamo avere chiaro questo (ma non le uniche)”.
6. Gaby Baca. Cantautrice femminista e lesbica del Nicaragua. “La Boca Loca”, come anche si è fatta chiamare, ha sperimentato diversi generi musicali, è considerata una rocker alternativa e sperimentale. Nel 2011 ha registrato il brano “Todas juntas, todas libres”, e nel 2012 ha lanciato il singolo “Con la misma moneda”, che
è stato ben accolto dal pubblico femminista.
Quando le si è chiesto riguardo al femminismo, nel sito Puntos.org, Beca ha risposto: “Forse non ci rendiamo conto che le donne sono la maggioranza? Politicamente siamo una forza enorme, il nostro voto unito può buttare già qualsiasi stronzo al potere. Io mi dichiaro femminista perché è fantastico essere donna e voglio che si
rappresentino i miei diritti, è una questione di equità”.
7. Caye Cayejera. E’ una rapper dell’Ecuador. Dal 2009 canta rap transfemminista, si è presentata soprattutto sulla scena musicale di Quito. Collaborando con collettivi partecipa come attivista alle piattaforme: Acción Arte, Intervenciones Trans Cayejeras y Artikulación Esporádika.
il suo video “Puro Estereotipo” è un breve tutorial di autodifesa femminista, che accompagna con un testo potente: “Generi rigidi, perfetto meccanismo, desideri e piaceri fissi, puri stereotipi. Al margine si trova l’essenza selvaggia, il ricatto, il boicottaggio, il sabotaggio del patriarcato…”.
Le due parole che immediatamente si associano a un film come Wild sono “redenzione” e “rinascita”, ma quella raccontata è anche la storia di due donne, madre e figlia, che si parlano attraverso percorsi di emancipazione diversi e contigui. Il testo che segue anticipa trama e finale.
Diretto da Jean-Marc Vallée e sceneggiato da Nick Hornby, il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Cheryl Strayed, e racconta la “parentesi” che una giovane donna, Cheryl interpretata da Reese Witherspoon (anche produttrice del film), si ritaglia dalla sua vita, per elaborare il lutto che l’ha portata a un passo dal distruggere sé stessa. Il percorso di rinascita segue le vie del Pacific Crest Trail, un sentiero che attraversa in verticale gli Stati Uniti, dal confine con il Messico in California, attraverso l’Oregon, a Washington, fino al Canada.
Il piano della memoria è continuamente intrecciato al presente, in un costante rimando tra strappi e ferite, naturali ed emotive, a ciò che è stato e a ciò che è. Un po’ alla volta scopriamo una madre, Bobbi interpretata da Laura Dern, che pur partendo da una condizione di fragilità economica e culturale, libera sé stessa e i figli dalla violenza. Bobbi, infatti, sottraendosi al marito e padre dei suoi figli, alcolizzato e violento, costruisce secondo le possibilità di una cameriera di caffetteria senza diploma, un ambiente in cui regnano l’amore e la curiosità verso la vita. Si iscrive al college con Cheryl e con lei discute continuamente di musica e libri, piena di voglia di vivere e di crescere una figlia che sia una donna forte e migliore di quanto pensa di essere stata lei. Lo strappo violento della sua morte, a soli 45 anni, spinge Cheryl in un vortice di autodistruzione, che comporta anche la fine del proprio matrimonio, tra sesso vuoto ed eroina. A 24 anni Cheryl si ritrova senza legami, perduto anche quello con suo fratello minore, e senza speranze.
Nell’estate del 1995 decide di mettersi alla prova con il durissimo PCT, pur non avendo esperienza di trekking, con uno zaino troppo pesante, scarponi troppo stretti, dormendo in tenda nei boschi e nel deserto, esposta alle intemperie e a qualsiasi tipo di incontro casuale. Ma gli incontri sul cammino non sembrano essere particolarmente importanti, perché il cammino reale di Cheryl è dentro sé stessa.
La realtà sfuma in una dimensione onirica, i flashback invadono il presente, fino alla conquista di un nuovo significato della vita.
Il finale del film ha un sapore un po’ retorico e certamente conciliante. L’autrice del libro è oggi una scrittrice e saggista che, dopo alcuni anni dal PCT, si è sposata e ha avuto dei figli. Non ho letto il libro e non posso dire quante e quali differenze ci siano, ma il film vale la pena. Wild vale la pena non solo per le spettacolari immagini della natura, vale la pena proprio per la messa in scena di quella dinamica d’amore tra madre e figlia che permette alla donna più giovane di rispondere con semplicità, a un inetto giornalista che la scambia per una senza tetto, “certo, sono una femminista“.
Il femminismo non è un aspetto di secondo piano, né nel film né nella vita di Cheryl Strayed, che fin da giovane è stata un’attivista. Oggi secondo Strayed il femminismo, pur essendo ancora oggetto di denigrazione e tentativi di marginalizzazione, viaggia in ogni direzione, anche grazie ai social media e ai personaggi pubblici.
Sono felice che finalmente più e più persone – cantanti, attrici e celebrità – dicano pubblicamente “Sai cosa? anche io sono femminista”. Ce ne sono sempre stat*, ma oggi il numero è in crescita. Penso che i social media aiutino, creando un senso di comunità, così non ti senti come una persona sola nel vento.
Non so dire quanto fossi felice del fatto che Nick [Hornby] avesse incluso lo scambio tra Charyl, cioè io, e il reporter, in cui dico che sono femminista. Lo adoro.
(…)
“Trendy” sembra sempre essere un termine sminuente. Implica che si tratti di qualcosa alla moda e passeggero, di persone che ora sono sul carro [del femminismo n.d.t.] e dopo non ci saranno più. Ma non credo che sia così. Penso che stia accadendo qualcosa di simile agli anni ’70, quando un’intera generazione di donne ha avuto una specie di presa di coscienza. Penso che oggi stia accadendo questo. Molte donne che in passato hanno detto “Oh, no. Non mi sento discriminata. Oh, no. Il sessismo è una cosa del passato”, cominciano a capire che non è così, che ci sono dei chiari indicatori che il sessismo è vivo e vegeto, e ne sono affetti. Molte persone cresciute pensando che il femminismo non fosse necessario, adesso si rendono conto che lo è. Una volta che hai preso coscienza, questa non è più una “moda”, diventa un modo diverso di pensare al mondo.
Charyl racconta dei timori che aveva all’idea che il film fosse realizzato a Hollywood, uno dei luoghi più sessisti del pianeta.
Abbiamo avuto un lungo colloquio e lei [Reese Witherspoon n.d.t.] era irremovibile sul fatto di essere fedele al libro e onorare sia il libro che la mia vita, così ho sentito che potevo fidarmi di lei. Poi, subito dopo, ho incontrato Bruna Papandrea, socia di produzione di Reese, e abbiamo fatto una lunga colazione. Sono delle donne fantastiche ed eravamo così in sintonia che ho subito capito che non avrebbero fatto accadere cose brutte.
(…)
Wilde è un film indipendente. Molte persone non lo immaginano perché vedono Reese Witherspoon sul cartellone, e pensano “Og è un filmone di Hollywood”, ma in realtà si tratta di un film indipendente realizzato con un budget molto modesto, proprio per proteggerlo. (…) Ho letto la sceneggiatura prima che fosse tutto pronto, ho dato dei feedback, ho espresso le mie opinioni e il film è stato realizzato molto bene. Nick Hornby e Jean-Marc Vallee sono entrambi uomini intelligenti e sensibili con una coscienza femminista.
Tra vita, scrittura, cinema e racconto, Wild sembra proprio un film adatto al nutrimento di un immaginario, femminista, che prendendo spunto dalla realtà, ritorna a essa rafforzato.
Le parti tradotte e adattate all’italiano sono tratte dall’intervista rilasciata a Bitch Magazine.
Al sistema di produzione non importa se sei ubriaca d’amore, arrapata, triste o in lutto. Il capitalismo ci ingabbia, vuole che dedichiamo il nostro tempo al lavoro o al consumo: l’amore è improduttivo. I femminismi reclamano la conciliazione della vita lavorativa e del lavoro riproduttivo, ma abbiamo ancor più bisogno di un modello (di esistenza) compatibile con il piacere e gli affetti.
Se la giornata lavorativa media,
preparazione e trasporto inclusi, è di dieci
ore, e se le esigenze biologiche di dormire e alimentarsi
richiedono altre dieci ore, il tempo libero sarà di quattro
ore ogni ventiquattro per la maggior parte della
vita di un individuo. Questo tempo libero sarà potenzialmente
disponibile per il piacere.
Herbert Marcuse, Eros e Civilizzazione
Quante ore dedichi all’amore? Non a immaginarlo, sognarlo o consumarlo nei film o romanzi, ma a viverlo. Da quanto tempo non passi ore facendo l’amore con il/la tu@ compagn@ di anni, come avveniva in principio? Quanto tempo hai per conoscere gente nuova e incontrare qualcuno che ti piace davvero? Quanto tempo hai a disposizione per avere una storia di quelle che ti sconvolgono la vita e ti sfascia gli orari?
Ne abbiamo poco. C’è poco tempo per l’amore. Per conoscersi, innamorarsi, approfondire, restare delusi, lasciarsi, ritrovarsi, tornare a innamorarsi.
Viviamo in una società molto “amorosa”: alla radio passano canzoni d’amore strappalacrime, al cinema in tutti i film c’è una storia d’amore sullo sfondo o in primo piano, le stelle dello spettacolo escono allo scoperto al telegiornale e ci presentano i/le compagn@, nelle riviste circolano gossip e pettegolezzi sulle/i personaggi famos@ che si innamorano o si separano, i social network sono pieni di gente in cerca dell’amore della vita, su Facebook veniamo a conoscenza dei matrimoni dei conoscenti, in televisione trionfano i drammi sentimentali, e con la pubblicità ci regalano paradisi romantici per venderci case, auto, mobili o deodoranti.
Tuttavia, c’è poco tempo per l’amore, Marcuse ci ha visto giusto: i minuti che dedichiamo al piacere sono molto pochi. La maggior parte del giorno lavoriamo in cambio di un salario, il tempo che ci resta è destinato al sonno e a risolvere le questioni basilari dell’igiene e della nutrizione (e altri mille obblighi della vita urbana postmoderna). Facciamo l’amore alla fine del giorno, prima di dormire, con addosso la stanchezza accumulata di un’intera giornata, e bisogna fare in fretta per finire in fretta e poter dormire sette, otto ore.
Potremmo godere di più se potessimo dedicare giorni interi a chiacchierare, a giocare, a fare l’amore, a mangiare bene, ad ascoltare buona musica in intimità con i/le nostr@ compagn@. Ma gli orari che abbiamo non sono fatti per rilassarci e per godere pienamente dell’amore.
Le nostre agende sono sempre piene di cose da fare, dopo aver lavorato otto ore e averne perse almeno altre due per tornare a casa o spostarsi in qualsiasi altro luogo: andare in palestra, al corso di yoga, portare a spasso il cane, seguire l’assemblea del proprio collettivo, incontrarsi con le amiche dell’università, portare il gatto dal veterinario, lavare la pila di piatti e padelle sudicie, andare dal dentista, rispondere alle mail, fare la spesa settimanale, bagnare le piante, portare ad aggiustare dei pantaloni, andare dallo psicologo, fare la lavatrice, riordinare e pulire, fare la cena o da mangiare per il giorno dopo, parlare su skype con tua sorella che vive all’estero, rispondere alle telefonate o ai whatsapp, depilarti le gambe e i baffetti, controllare la pagella delle/i figli@, partecipare alla riunione di condominio, passare alla posta, andare in banca, portare la bambina a informatica e dopo a inglese, portare ad aggiustare gli occhiali del bambino dall’ottico, portare il computer dal tecnico per farlo aggiustare, fare i conti e sistemare le fatture, studiare qualcosa che ci permetta di crescere o migliorarci professionalmente…
Sì, i nostri obblighi quotidiani sono estenuanti e alla fine del giorno crolliamo sul divano per leggere, vedere la tv o navigare in internet e dimenticarci un po’ le nostre preoccupazioni. In questi momenti forse ci resta solo un’ora utile di vita prima di cadere tra le braccia di Morfeo, e la stanchezza non ci bendispone alle acrobazie in camera da letto con la nostra compagna o il nostro compagno. Secondo la maggior parte delle statistiche, i giorni nei quali le persone si dedicano al sesso sono i fine settimana che, come tutti sappiamo, sono troppo corti per fare tutto quello che una desidererebbe fare: vivere la vita.
Il tempo ci sfugge dalle mani. E lo malediciamo quando ci accorgiamo che sono passati millenni senza vedere la tale amica o senza andare a far visita alla nonna, o senza incontrare la compagnia dell’università. O quando assistiamo a un funerale e ci diciamo: “Cerchiamo di vederci di più, dobbiamo incontrarci anche nelle occasioni allegre”.
La tirannia del tempo che ci sfugge si stempera quando ci innamoriamo selvaggiamente. Ci liberiamo quando l’euforia dell’innamoramento confonde la nostra percezione e relazione con il tempo, come accade con le droghe. Smettiamo di guardare l’orologio, le intense notti d’amore si fanno corte, gli istanti sublimi congelano il tempo e ci fanno etern@.
Sì, l’amore ci fa dee del tempo: sotto l’influsso della passione siamo capaci di assaporare ogni secondo d’amore, acciuffare il presente con le nostre mani, vivere l’ora con una intensità brutale. Il tempo non scorre più allora inesorabile, secondo per secondo verso il futuro, a un ritmo monotono e implacabile. I secondi sembrano ore, le ore minuti: il tempo rallenta (quando aspettiamo una telefonata o il giorno del prossimo appuntamento) o si accelera (quando siamo immerse in momenti d’amor folle), e la vita è più emozionante perché la nostra percezione della realtà si confonde.
Anche il nostro organismo si sconvolge e acquisisce dei superpoteri. La chimica dell’amore è così forte che siamo capaci di passare notti intere senza dormire unit@ alla persona amata, e giorno dopo giorno lavorare e portare a termine i propri impegni come se niente fosse: solo ti tradisce un sorriso permanente sulla faccia, le orecchie arrossate, la pelle luminosa e i capelli lucidi. Di notte ti aspetta un’altra sorpresa, e ti senti capace di tutto: ci riempiamo di energie cosmiche per vivere il presente intensamente.
Quando passa l’ubrichezza dell’amore e torniamo alla vita reale, perdiamo i superpoteri che ci facevano fare l’amore per ore e il corpo risponde male alla mancanza di sonno. Con l’andare dei mesi e degli anni, le coppie si orientano più alle attività sociali che all’intimità, ed è difficile per molti ricostruire questi spazi intimi pieni di magia che fermano il tempo. Sicché, c’è gente che si lamenta che scopiamo di fretta, che scopiamo senza voglia, che scopiamo stanche, che scopiamo poco o non scopiamo affatto.
Se già è difficile ritagliare tempo e spazio da condividere con il/la partner, si immaginino le persone che hanno amanti, o quelle che hanno più compagn@: durante la giornata è quasi impossibile trovare momenti da dedicare all’amore senza guardare l’orologio. Le coppie di adulti possono godere di appena un’ora o due (non c’è tempo per nulla di più), ma anche la gente poliamorosa si trova in difficoltà, perché manca il tempo per avere più compagn@ contemporaneamente: il fine settimana ha solo due notti e tre giorni che volano. Sì, è difficile essere poliamorosa con i tempi che corrono, se vuoi dedicare a tutte le relazioni tempo di qualità, se vuoi godere intensamente della tua vita sociale (la tua comunità, la tua tribù, il tuo vicinato, la tua famiglia), e se hai anche necessità di tempo e spazio da goderti in solitudine.
Viviamo in un sistema produttivo che ci incatena 40 ore settimanali a un lavoro che ci dà un salario generalmente precario (sono molte le persone che fanno 50 o 60 ore settimanali sottraendo ore di sonno o di vita in cambio di niente o di molto poco). Alle imprese non solo diamo molto tempo della nostra vita, ma anche le nostre energie fisiche, mentali ed emozionali. Quant@ di voi hanno dovuto trascinarsi dolorosamente fuori dal letto per andare a lavoro, sentendo che stavate lasciando un po’ di vita nel letto d’amore? Quante persone hanno mai saltato il lavoro perché innamorate o innamorati? Quante volte hai desiderato startene tra le lenzuola a giocare, mentre guardi fuori dalla finestra e conti le ore che ti restano per andartene dal tuo luogo di lavoro? Quante volte hai perduto la concentrazione a lavoro a causa di un amore che ti sta aspettando a casa sua, mentre ti prepara la cena, non riuscendo a finire il tuo lavoro?
Il capitalismo ci ingabbia, anche se non siamo produttive. Al capitalismo non importa se sei ubriaca d’amore, felice, euforica, esultante, arrapata, preoccupata, angustiata, disperata, triste, ansiosa, arrabbiata. Al capitalismo non importa se la tua compagna è in ospedale e tu vuoi accompagnarla e starle accanto. Non importa se devi fare un discorso serio con il/a tu@ compagn@, se soffri per una rottura sentimentale, se vuoi fare compagnia a un’amica o un amico nei momenti difficili. Non gli importa e tu devi andare a lavorare, anche se tua nonna sta morendo. Non gli importa se non hai dormito quella notte a causa dell’influenza di tua figlia o se hai passato la notte godendo lussuriosamente. Tu devi stare lì, adempiere al tuo dovere, anche se non sei produttiva e non rendi niente quel giorno. Se te ne stai per i fatti tuoi è lo stesso. Non puoi permetterti il lusso, in generale, di prenderti alcuni giorni per le tue faccende emozionali, perché allora questo mese non mangi. La catena di produzione non può fermarsi a causa dei tuoi sentimenti e al capitalismo conviene che non si sia troppo felici: la nostra insoddisfazione permanente e il nostro dolore ci rendono più vulnerabili. Cosicché lo sfruttamento delle nostre energie e del nostro tempo è brutale, perché va oltre la questione produttiva. Viviamo in una società repressiva alla quale conviene limitare l’accesso al piacere, all’amore, al gioco e al divertimento. E’ preferibile che ci si diverta consumando, o che si dedichi il proprio tempo al lavoro: l’amore è improduttivo. Poco redditizio.
C’è poco tempo per l’amore, e a volte poche energie. L’innamoramento passionale non è eterno: il nostro cervello e il cuore non possono stare innamorati per anni: è estenuante produrre questo livello di endorfine e anfetamine tutto il tempo. Inoltre il romanticismo resta sempre schiacciato dala tirannia degli orari, della routine, degli obblighi. Molte coppie si disinnamorano perché passano poco tempo assieme: tempo di qualità, tempo senza limiti, tempo per l’amore e l’erotismo.
Oltre a non aver tempo per vivere storie d’amore, non ne abbiamo nemmeno per goderci le nostre figlie e i nostri figli, le persone che amiamo, gli animali domestici: passiamo la maggior parte del giorno fuori casa, producendo per arricchire altre persone che in realtà non avrebbero bisogno di tenerci tante ore lì.
I femminismi reclamano la conciliazione di vita lavorativa e familiare: le otto ore di lavoro quotidiano sono incompatibili con la cura dei bambini, dei malati o degli anziani. E risulta che il 90% delle persone che si dedicano a ruoli di cura nel mondo siano donne. Alcune devono rinunciare all’autonomia economica e al mercato del lavoro, altre si fanno carico di una doppia giornata di lavoro.
Ci sono paesi in cui i lavoratori non hanno diritto alle vacanze pagate (al massimo due settimane all’anno, non pagate), ma ce ne sono altri come l’Islanda o la Svezia che sperimentano nuove misure per migliorare la qualità della vita dei propri abitanti. Nel caso della Svezia, si pensa che non sia il tempo a determinare il livello dell’efficienza lavorativa, ma la motivazione e il benessere delle e dei lavoratori.
E’ stato deciso di introdurre una giornata lavorativa di sei ore senza riduzione di salario, la qual cosa sembra aumentare il livello di soddisfazione, rispetto al lavoro, degli svedesi e delle svedesi; inoltre, migliora la produttività, aumenta il risparmio statale e permette di creare più posti di lavoro. Posso immaginare quanto siano felici le lavoratrici municipali nel conquistare un’ora di vita per amici e amiche, per la famiglia, per la comunità, per gli hobby, per sé stesse, per il proprio tempo di riposo e ozio.
Il tempo è oro: le nostre vite sono molto brevi e abbiamo bisogno di un sistema produttivo più vicino alle nostre necessità vitali, individuali e collettive. Il capitalismo romantico ci regala molti finali felici mentre ci ruba ore di vita: abbiamo bisogno di recuperare il nostro tempo e le energie per goderci la vita.
Necessitiamo di tempo per amare, per godere del piacere in tutta la sua ricchezza. Tempo per ascoltare, per viaggiare, per conoscere, per condividere, per costruire comunità con gli altri. Tempo per aiutare, creare reti, celebrare, apprendere, creare. Tempo per coltivare e nutrire l’unica cosa che sembra dare un po’ di senso alla vita: gli affetti.
Solo pochi mesi fa, a ottobre 2014, un ragazzino partenopeo è stato stuprato con un tubo ad aria compressa, da alcuni “amici” più grandi di lui, di cui uno già padre. “Guarda come sei grasso, ora ti gonfio ancora un po’” ha detto lo stupratore più che maggiorenne. E’ stato stuprato perché a una persona grassa si può dire e fare qualsiasi cosa, come a tutti i soggetti stigmatizzati. Salvatore, al quale la violenza ha causato gravissimi danni fisici e psicologici, mettendo in pericolo la sua stessa vita, aveva 14 anni, pochi di più di quelli che sembra avere il ragazzino che ieri sera, durante il festival di Sanremo, Alessandro Siani ha bullizzato in mondo visione.
Chissà quante volte quel ragazzino l’hanno preso in giro per il suo aspetto, chissà se ha pianto, se ha urlato, se ha scalciato, se ha pensato di non valere niente perché sovrappeso. Adesso, grazie a Siani, che dopo lo ha anche usato per schermirsi dalle immediate critiche, facendosi fotografare con lui sorridente (capirai, un bambino sorride se un adulto famoso e “simpatico” gli dice: “Facciamo una foto assieme”); adesso grazie a Siani, nessuno potrà dire: lascia stare questo ragazzino, non permetterti di sfotterlo! Lui stesso come si difenderà dai bulli?
Se lo ha fatto Alessandro Siani in televisione, se lo ha fatto uno dei “comici” sicuramente più noti tra i compagni di quel ragazzino, perché qualcuno dovrebbe trattenersi? E quindi Siani gli ha regalato una pioggia di “chiattone” e “pall’e ladr'”,”ci entri nella poltrona?”, in coro a scuola, a calcetto e in spiaggia, senza provare nemmeno un poco di ritegno. “Te l’ha detto pure Siani che pari una comitiva“. E tra sfottere, spintonare, calare i pantaloni e infilare un tubo nell’ano, quanti passi ci sono? Siani se l’è chiesto mentre bullizzava un bambino?
Scusarsi dopo, dopo una battuta sessista, razzista o grassofobica/ponderalista, non serve a niente, perché la forza della situazione derisoria resta tutta lì, nella cultura di riferimento, nelle menti di chi ascolta e sul corpo della persona presa di mira. Quello che Siani prova per i grassi è odio allo stato puro, li odia e li usa nei suoi spettacoli e nei suoi film, come nota chi li guarda. Oh sì, possiamo dire: almeno si è scusato, ma gradiremmo avere a che fare con persone all’altezza di un palco, qualsiasi palco, televisivo, cinematografico, radiofonico o giornalistico che sia.
E i ponderalisti che sputano dignosi sullo stato di salute di una persona grassa adulta o bambina, dovrebbero chiedersi se, nel caso in cui si trattasse di un problema di salute, troverebbero normale e corretto dire a una persona, un bambino, con un tumore all’occhio “guagliò tiene na patana ‘nfront” (“ragazzo hai una patata sulla fronte”) oppure “te trasene e lent’?” (“riesci a infilarti gli occhiali?”).
Il movimento sex-positive e quello porno-femminista promuovono una forma responsabile e inclusiva di fare e commercializzare porno, e si definiscono per le seguenti caratteristiche:
♥ A differenza dell’industria del porno mainstream tengono in conto le donne come spettatrici, produttrici e registe. Per questo hanno un punto di vista diverso sul desiderio, il corpo e il piacere.
♥ E’ un’industria che si comporta responsabilmente con le proprie ‘star’, non sfrutta e non obbliga nessuna persona a realizzare atti sessuali, le/gli attor@ ele altre persone coinvolte hanno il controllo su ciò che desiderano fare, per questo motivo il sesso che si vede in questi film è reale.
♥ Il piacere è multiforme e promuove la libertà, includendo diversi tipi di corpo, etnie e preferenze sessuali.
Militancia erótica si è dichiarata contraria al porno mainstream:
“Odiamo il porno mainstream perché è sessista, misogino e falso. Odiamo guardare corpi deformati dalla chirurgia estetica che fingono orgasmi. Vogliamo vedere produzioni pornografiche con contenuti artistici forti”.
Per questa ragione abbiamo voluto pubblicare una guida relativa ad alcune delle maggiori produzioni di porno indipendente legate alle suddette caratteristiche:
♥ Trouble Films: è una società di produzione di film per adulti guidata da Courtney Trouble, incredibile pornografa e attrice che ha rivoluzionato la scena del porno indipendente. Vincitrice di premi quali il Feminist Porn Award, il Trans Awards e il BBW Fan Fest Awards tra gli altri, Courtney è la nostra eroina per aver diretto e appoggiato numerosi progetti che ci rendono felici, dando l’avvio a quella che lei definisce “la nuova epoca del porno”.
♥ Lesbian Curves: una serie di film che hanno per protagoniste ragazze voluttuose che vivono romantiche storie lesbiche, le situazioni variano in un ampio gioco di fantasie, ovvero è possibile spaziare dalla relazione intima all’interno del tipico dormitorio con elementi molto femminili ad un complesso gioco BDSM in uno scenario fantastico. Le ragazze rappresentate sono molto diverse tra loro, alcune molto femminili e altre molto maschili. Anche Lesbian Curves è un progetto di Courtney Trouble.
♥ Indie Porn Revolution: è probabilmente la casa di produzione pornografica più variegata e famosa di porno Queer, fondata da Courtney Trouble nel 2002 come NoFauxxx.Com, un progetto personale che ha finito col coinvolgere molte persone in un ulteriore sforzo per la rivoluzione sessuale. Indie Porn Revolution è un progetto che definisce con maggiore chiarezza gli ideali del movimento Sex-positive nell’industria del porno. Di nuovo grazie alla ragazza “problematica” (n.d.T.:gioco di parole con il nome Courtney Trouble).
♥ QUEERPORN.TV: nel 2011 ha vinto il premio attribuito dai Feminist Porn Awards come miglior sito web. Questo progetto riunisce molte delle stelle del porno undergound, è un sito davvero adorabile perché condivide pubblicamente produzioni di ottima qualità, si può anche diventare membri e trovare una vasta collezione di documentari, interviste, film e fotografie.
♥ A Four Chambered Heart: è uno studio cinematografico dedicato alla produzione di cortometraggi pornografici non convenzionali. I suoi video integrano elementi naturali e fantasie sessuali, con edizioni digitali, effetti sonori e un accurato lavoro di ripresa e scenografia. Questo collettivo inglese esplora le nuove forme della sessualità, dell’arte e della pornografia, attraverso una proposta differente che combatte la banalità del porno commerciale.
♥ Comstock Films: questi film integrano interviste documentali con sesso reale e intimo. Non si tratta di coppie di attori, ma di persone che realmente si amano e celebrano la propria sessualità. E’ bello, elegante, eccitante, erotico e sexy, le coppie sono di tutti i tipi: eterosessuali e omosessuali, di età e culture diverse. Amiamo questo progetto del regista Tony Comstock, perché è una potente fonte di ispirazione, dato che non separa l’erotismo dalla pornografia.
♥ Pink & White Productions: diretta da Shine Louise Houston, un’altra delle sorprendenti donne registe e produttrici di porno che ci piacciono. I suoi film sono sexy e ben prodotti, cioé, i suoi film integrano la bellezza del cinema, fatta di effetti sonori e di ripresa, con il sesso reale ed esplicito. Oltre a ciò questa produttrice si preoccupa di insegnare “come fare un buon porno” – con tutta la parte tecnica e i suoi segreti – come commercializzarlo e distribuirlo responsabilmente. Legati a questa produttrice potrete trovare prodotti come: Crash Pad Series, Heavenly Spire y Pink Label.
♥ Bleu Productions di Maria Beatty: continuando sulla scia del buon cinema porno incontriamo questa regista newyorchese, i suoi film sono eleganti, con scene surrealiste, oniriche e affascinanti, alcune in bianco e nero e con musiche di grandi artisti del jazz come John Zorn. Maria Beatty ha esplorato la sessualità femminile nel cinema come nessun’altra donna fino a ora. Il suo film icona è The Black Glove filmato nel 1997, un bel film che pare una fotografia di Helmut Newton che prende vita propria per animare la sua fantasia, le sue protagoniste sono donne incredibilmente belle e fatali.
♥ Dirty Diaries: è una collezione di 12 corti di porno femminista prodotti nel 2009 da Mia Engberg. E’ uno dei prodotti più rilevanti del movimento Sex-Positive e Porno femminista, poiché si tratta sia di un progetto artistico che politico. Dirty Diaries aspirava a stabilire delle regole per la creazione di pornografia che rispondesse a le necessità delle donne. Dobbiamo confessare che questo progetto è stato davvero la miccia per la creazione di Militancia Erótica. Potete vedere qui uno dei 12 corti (completo) intitolato Skin.
E per finire, come un orgasmo molto forte, presentiamo con un rombo di tamburi, ta!ta!taaaa! la bellissima, incredibile e spettacolare ♥Annie Sprinkle♥
♥ Annie Sprinkle: questa artista newyorchese è una sacerdotessa dell’erotismo, una conoscitrice dei sacri segreti del sesso. Lei è la grande promotrice del movimento Sex-Positive dagli anni ’80. Attraverso bellissime performance ci ha illustrato il potere che hanno i nostri corpi e la magia del sesso. E’ un’attivista per la libertà di espressione, per i/le lavorator@ sessuali e a favore di un sesso sano e forte. Annie Sprinkle ha anche diretto ed è stata protagonista di film pornografici legati ai movimenti Post-Porno, Sex-Positive, Porno Femministi, Eco-Porno e altre correnti: lei è la regina della rivoluzione sessuale.
Riportiamo di seguito la replica delle Malmaritate alle critiche che abbiamo mosso loro in questo post. Di questa replica vi ringraziamo. Da parte nostra vogliamo rispondere con una decostruzione del testo, al fine di chiarire punto per punto la nostra posizione. In corsivo le parole di Serbilla [tra parentesi quelle di Lorenzo].
Facciamo seguito ad alcune critiche che ci sono state rivolte negli ultimi giorni.
Questa la nostra replica.
“Carissime amiche contrariate,
Neanche noi abbiamo mai avuto intenzioni belligeranti. Abbiamo mosso una critica politica a delle pubbliche affermazioni, riguardanti un lavoro pubblicato che ricade, per intenzione delle artiste, in questioni politiche di cui ci occupiamo. Di questo si tratta. Preciso che il mio articolo appartiene al collettivo e al collettivo appartengono più generi. Soprattutto, non sono contrariata, non dovete certo corrispondere a delle mie aspettative; le vostre dichiarazioni sono sconfortanti, preoccupano perché si inseriscono nel solco della retorica istituzionale che usa la vittimizzazione delle donne per opprimere e reprimere. La vostra azione – come quella di tanti soggetti che quotidianamente usano il brand “violenza contro le donne” – svuota di significato la lotta, che è una lotta politica. Politica, di impegno politico, di chi abita la polis per intenderci. Voi la abitate? se la abitate non potete sottrarvi dall’agire politico. Potete dichiararvi non femministe, ma questo è un posizionamento politico.
[«Amiche», perché se sei uomo non ti può neanche dare fastidio che qualcuna usi le parole a casaccio e te lo venga a dire, quando lo fai. Cominciamo bene.]
non essere femministe (sostantivo)
sostantivo…
– non vuol dire ignorare, o peggio, disprezzare il femminismo (di cui tutte conosciamo i valorosi ed encomiabili trascorsi);
Non essere femminista significa non riconoscersi in nessun femminismo (diamo per scontato che attribuiamo a questa parola lo stesso significato), quindi non riconoscerli come validi strumenti di analisi e azione.Dunque come fate a parlare di encomiabili trascorsi? Ma, poi, trascorsi? Ora, adesso, in questo momento, ci sono nel mondo milioni di femminist@ che agiscono da femminist@ anche per voi.Chiaramente non essere femminista è una posizione legittima, che andrebbe però argomentata, data la volontà espressa di volersi impegnare nella lotta alla violenza contro le donne, cosa femminista.
– non vuol dire esimersi dal compiere azioni femministe (aggettivo)
..e aggettivo. Questa è un’arrampicata sugli specchi spaventosa. Non siete femministe ma fate cose femministe. E’ come dire: compio azioni antirazziste, ma non sono antirazzista. Oppure: compio azioni antifasciste, ma non sono antifascista. Ti dissoci dall’antifascismo ma, allora, perché compi azioni antifasciste? Potete anche esimervi dal compiere azioni femministe, se non vi riconoscete nel femminismo.
Va be’ io ho capito però, la traduzione sarebbe: noi siamo contrarie alla violenza contro le donne, però non ne capiamo niente ed è meglio che diciamo di non essere femministe. Sbaglio?
[Il duck test è un metodo di ragionamento molto semplice: se parli come una femminista, fai cose femministe e agisci per lotte femministe, sei femminista. Però le Malmaritate vogliono sovvertire anche la logica più elementare. Perché?]
– non vuol dire fare SCIACALLAGGIO sulle disgrazie altrui.
Parlate di violenza contro le donne e lo fate il 25 novembre, due cose femministe che non riconoscete come tali. E’ un’azione di marketing come lo sconto dal parrucchiere l’otto marzo. La musica nutre l’animo e l’intelletto, il taglio di capelli nuovo ti fa sentire più carina. Approfittare della festa della donna e del 25 novembre per vendersi alle donne è marketing, il marketing non è filantropico.
Immagino a questo punto che non abbiate nessuna consapevolezza di ciò che fate, sempre parlando di dichiarazioni e tempistica.
[Come detto sopra, se fai una cosa “per le donne” il 25 novembre, fai marketing. Che si può chiamare sciacallaggio anche se il vostro CD costa “solo” dieci euro.]
Detto ciò, dire di essere femministe, dal nostro punto di vista, significherebbe appropriarsi indebitamente di un ruolo che non svolgiamo al 100%, sminuendo e strumentalizzando di conseguenza il lavoro quotidiano di chi in questo “dignitosissimo movimento” impiega infinite risorse ed energie.
Avete presente quella volta in cui qualcuno vi ha fatto sentire a disagio, perché dedicavate troppo tempo allo studio del vostro strumento musicale e non abbastanza alle pulizie di casa? Avete presente quel senso di frustrazione? Quella rabbia perché voi volevate seguire la vostra passione e, maledizione, i piatti nella vaschetta possono pure aspettare! E se proprio nonno, papà, zio, li vogliono puliti, possono anche lavarseli da soli, che non ce le avetele mani?! Avete presente? Ecco, quella è rabbia femminista. Se avete pensato una sola volta “non è giusto che debba fare io questa cosa/debba rinunciare a questo, solo perché sono nata con la vagina” complimenti, dentro di voi siete femministe – ma non ve ne eravate accorte, a tutt@ capita così in principio, anche a chi non è nat@ con la vagina, ma è femminista lo stesso. Essere femministe non è un “ruolo”, non c’è una patente che qualcuno vi dà dopo aver superato delle prove. Non c’è un partito, non c’è una chiesa. Si è femminista quando ci si comporta da femminista. Un’azione può essere oggetto di critica, ma nessuno può dirvi “non sei femminista”, perché la regola numero uno è: siete voi che vi dite femministe. Voi invece vi siete dette non femministe, per rispetto. Se vi dico che sapevo già che avreste risposto così, mi credete?
Il lavoro quotidiano di cui parlate, forse, è quello delle operatrici dei centri antiviolenza. Per quello ci vuole una formazione, ovviamente, ma essere femminista non si conclude in quello. I centri antiviolenza sono una delle espressioni del femminismo. Il femminismo non è un lavoro, è un modo di essere, questo modo di essere lo si porta in ogni azione quotidiana.
[Solo io noto che «appropriarsi di un ruolo» è una espressione molto “economically correct”? No, non solo io. E ci sarebbe sempre quell’anatra da sistemare: quel ruolo lo state svolgendo, se proponete qualcosa che andrebbe contro la violenza di genere.]
Ma forse questo è semplicemente un rispettoso scrupolo linguistico che ci siamo poste sin dall’inizio e che umilmente ci siamo adoperate a sottolineare in seguito.
Il nostro impegno si traduce
– nella lotta contro ogni tipo di violenza sugli esseri umani (e non)
Sì siete buone, anche se in questo momento non vi sembra così, pure noi lo siamo. Davvero!
– nel sostegno che, con non trascurabili sacrifici, offriamo incondizionatamente.
Mi fa sapere Jinny Dalloway che Thamaia, l’unico Centro Antiviolenza di Catania, è a rischio chiusura, potete devolvere il ricavato del cd a loro, questo sarebbe un gesto di sostegno concreto.
Forse ci sentiamo più genericamente FEMMINE UMANISTE, simpatizzanti femministe, irriducibili animaliste, inguaribili musiciste.
Io mi auguro che ci stiate perculando. Perché “simpatizzante femminista” non si può sentire. Io simpatizzo blandamente per il Napoli perché sono napoletana, anche se non seguo molto il calcio. E sono antispecista, sempre perché mi posiziono. La mia non è una critica alla vostra musica, non mi permetterei. Da femmine+umaniste si genera facilmente femministe, state attente, non sia mai!
[Ciao, io sono molto trendy uscendomene il 25 di novembre con un CD e un progetto contro la violenza sulle donne, ma siccome c’è chi se ne occupa da qualche decennio e potrebbe vagamente sentirsi presa in giro, allora mi metto un bel nome nuovo che non significa niente così faccio vedere la mia unicità – delimitando perbene il territorio che non voglio spartire con nessun altr@: femmine umaniste. Che vuol dire? Niente! «Femmine» lo siete per forza, «umaniste» pure – e che volete essere “disumane”? “Non umaniste”? L’importante è che “femministe” no, mai, per carità.]
Con molta sorpresa e sgomento constatiamo un accanimento, forse un po’ esagerato, verso ciò che facciamo col cuore.
Due articoli non sono accanimento, sono niente rispetto all’eco delle vostre parole. Parole che viaggiano molto di più e molto più velocemente, accostate al nome di Carmen Consoli. Vi pare troppo severa la critica? voi fate le cose con il cuore, nessuno lo mette in dubbio, ma non basta.
Sottolineare più e più volte che non si ha niente a che fare col femminismo quando si tratta di violenza contro le donne produce l’effetto di delegittimare quelle persone che di antiviolenza si occupano da sempre, anche qunando il 25 novembre finisce. E questo crea un’onda di ritorno devastante, laddove è unicamente il femminismo che può fare qualcosa di concreto per risolvere definitivamente la questione.
[Le Malmaritate di femminismo forse sanno poco, ma di tattica politica sì: gli fai notare che stanno usando un linguaggio insensato, e loro chiamano le tue critiche «accanimento». A me pare lo stesso giochetto di certe sentinelle che, mentre vogliono soffocare i diritti altrui, gridano di essere in grande pericolo.]
Vi invitiamo a capire ed approfondire in maniera più appropriata la natura del nostro progetto e del nostro impegno prima di giungere (pubblicamente) a conclusioni affrettate e denigratorie.
Appare chiaro che non siamo noi a dover approfondire e riflettere. Nel momento in cui dite qualcosa pubblicamente, il pubblico che ascolta si fa un’idea ed esprime la propria opinione. Dato che qui ci occupiamo proprio di quello su cui vi siete espresse, noi abbiamo sentito il dovere di puntualizzare che depoliticizzare la tematica e fare marketing sulla violenza (anche involontario o “suggerito”), crea un danno. Dalla vostra risposta troviamo solo conferme.
[Ah, voi v’inventate definizioni e noi dovremmo «capire e(d) approfondire»? E come lo si dovrebbe fare poi, se non valutando quello che dite in pubblico? Complimenti. A proposito, c’è uno che sostiene che la d eufonica si mette solo tra due vocali identiche. Forse pure lui dovrebbe capire e approfondire?]
Vi aspettiamo, dunque, numerose al nostro fianco per continuare, ognuno con i propri mezzi e capacità, a camminare insieme come è giusto che sia.”
Malmaritate
Anche noi vi aspettiamo, gli strumenti sono a disposizione di tutt@. Ci auguriamo di trovarvi più consapevoli al prossimo giro.
[Numerose perché noi gli uomini proprio non ce li vogliamo, non siamo femministe, solo femmine umaniste e i maschi no, non possono continuare a camminare insieme.]
Qualche settimana fa mi sono trovata a parlare con l’ennesima donna che si è dichiarata “non femminista”, perché lei è “per tutte le persone”.
Sono sicura che a tant@ è capitato di sentirsi dire dalla propria interlocutrice, spesso una laureata, a volte addirittura una persona “di sinistra”, che lei non è femminista perché …il femminismo è un estremismo/è roba vecchia/non odio gli uomini.
Ho cercato di spiegarle che il femminismo è un movimento a favore di quella parte di persone che subisce una discriminazione (violenza fisica, psicologica, economica) in base al genere. Che il femminismo, oggi, è per molte persone transfemminismo intersezionale. Non era convinta. Ho cercato di dire che prima del femminismo noi due non avremmo potuto fare tante delle cose che facciamo e diamo per scontate e, spesso, ci vengono ancora negate. Mi ha detto che il femminismo è una cosa del passato e non ha più senso. Ho pensato ai femminicidi, agli abusi sessuali e psicologici, alla femminilizzazione del lavoro, alla disparità economica, allo slutshaming, alla legge 194 distrutta, al mammismo senza diritti dell’Italia, all’impossibilità di dirsi serenamente felici di non essere madri, alla difficoltà che le donne continuano a incontrare in ambiti “tradizionalmente” occupati dagli uomini – rubati da molti di essi (mi ha anche detto che lei è per la meritocrazia). “Capisco – le ho detto – Forse tu non hai mai subito nessun tipo di violenza, forse non sei mai stata discriminata”. Si è colorata e ha risposto: “Certo che sono stata discriminata!”. E allora?
Soprattutto dopo il bailamme creato da Women against feminism, il tentativo di capire dov’è che si è sbagliato nella trasmissione dell’idea di lotta femminista ha condotto a numerosissime riflessioni sui movimenti femministi. In Italia, c’è chi dice che è colpa del femminismo della differenza, c’è chi dice che è colpa di SNOQ, c’è chi dice che è colpa del patriarcato, c’è chi accusa la mancata trasmissione generazionale o la scarsa attenzione istituzionale, anche l’eccessiva attenzione istituzionale che tutto ingloba o strumentalizza. La scuola, i media soprattutto. C’è stato anche il tentativo di accogliere ed ascoltare alcune delle critiche mosse. Personalmente non so di chi sia la responsabilità ultima, probabilmente è frammentata. Di certo c’è stato un fraintendimento colossale, derivante spesso dall’ignoranza o dall’adesione a una visione del femminismo figlia delle politiche di delegittimazione delle lotte sociali, specialmente quelle delle donne. Per alcun@ si tratta del rifiuto globale, più o meno consapevole, del più originale e fruttuoso schema di interpretazione della realtà storica passata e contemporanea, che ha messo in discussione una cultura basata su più forme di discriminazione ed esclusione. E’ complesso, indubbiamente, ma il femminismo ha il pregio di essere una forma di lotta che può generarsi anche dove una libro di storia del femminismo non è mai stato aperto. Anche in quel caso, però, è un atto politico, di messa in discussione radicale.
Molte di quelle persone che si dichiarano “non femministe”, poi si dichiarano contrarie a ogni forma di discriminazione.
Ma può esistere un femminismo non pensato e vissuto come tale? Può esistere antiviolenza senza biasimare la violenza? Può esistere antirazzismo senza il rifiuto del razzismo? Per alcune persone sembrerebbe di sì. Alcune persone riescono addirittura a dirsi dalla parte delle donne, a parlare di violenza contro le donne, dichiarandosi assolutamente “non femministe”. Onestamente non credo che possa esistere una lotta contro la discriminazione che non tenga conto della storia di quella lotta, dei suoi strumenti concettuali, a meno di non essere ingrat@ e di usare le questioni di genere per farsi pubblicità.
Per alcune persone si tratta di scarsa consapevolezza, la quale cosa atteaversa la nostra società, abita soggetti di varia estrazione sociale e formazione culturale e professionale. Questa scarsa consapevolezza è molto comoda per chi non ha nessuna intenzione di accogliere le richieste dei femminismi, richieste di diritti fondamentali, richieste economiche e di legittima libertà personale. E’ per questo motivo che ogni personaggio pubblico portatrice o portatore di questa scarsa consapevolezza danneggia tutta la società e, nello specifico, le persone che della discriminazione di genere sono vittime.
Per altre persone si tratta, invece, di depoliticizzare le questioni di genere, per non urtare la sensibilità di nessuno e poter vendere al meglio il proprio prodotto, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Anche qui, quindi, non dobbiamo confondere le ipocrite con le ignoranti.
Questo sembra essere proprio il caso, decisamente grave, delle dichiarazioni di un gruppo di musiciste che porta avanti un progetto musicale “a favore delle donne vittime di violenza”, dichiarando a destra e manca che non si tratta di femminismo.
Il progetto si chiama “Le Malmaritate” e, nato in seno all’etichetta discografica di Carmen Consoli, ne fanno parte Gabriella Grasso (voce e chitarra), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburi), Emilia Belfiore (violino) e Concetta Sapienza (clarinetto). Un progetto che si pone, addirittura, come luogo di ascolto per donne vittime di violenza. Dichiara Valentina Ferraiuolo, indicata come curatrice di progetti sociali:”Non c’è femminismo in questo (…) ma una grande autostima, reale; dei valori che abbiamo il dovere morale di divulgare”.
Vorrei chiedere alla cantante e tamburellista cosa significa “autostima reale”. Esiste un’autostima irreale? come si configurano e differenziano? Vorrei anche sapere quali sono questi valori, dei quali il femminismo (quale femminismo?) non è portatore, ma che lei sente di dover divulgare, in contrasto con esso.
Ancora, in questo articolo, Gabriella Grasso dichiara che il loro è “Un viaggio nell’universo femminile (…) non uno spettacolo femminista”.
Quando la stessa Grasso fa riferimento ai matrimoni di interesse, ha presente che può mettere in discussione il contratto di matrimonio e il modello di famiglia sul quale si fonda, esclusivamente grazie al femminismo?
Rilasciato il 25 Novembre, la giornata mondiale in cui si celebrano i volti tumefatti e le false soluzioni a problemi purtroppo reali, appare come un’azione di marketing in rosa, in linea con le politiche “femminili” (appunto, non femministe, non radicali, non volte alla soluzione dei problemi) degli ultimi anni.
Il colpo di grazia viene dalla copertina. Una donna velata messa dietro un recinto, una di quelle in nome delle quali si imprigiona, tortura e bombarda secondo politiche di sovradeterminazione proprie della destra e sinistra islamofoba e neocolonialista, politiche che mai e poi mai metteranno in discussione la radice della violenza sulle donne, perché è proprio sulla discriminazione che fondano il proprio potere. Quando vi dichiarate “non femministe”, delegittimando il movimento politico che ha portato in luce la lotta alla violenza contro le donne, rendetevi conto che danneggiate la società intera, prima di tutto le donne alle quali vi rivolgete.
Grazie a Jinny Dalloway per aver condiviso e discusso l’articolo che tratta del disco sulla propria bacheca Facebook.
Questa è una cosa inverosimile che è stata scritta davvero. Ieri mi trovavo a navigare il sito del Comune di Napoli, nella sezione eventi, e la mia attenzione è stata richiamata dalla pubblicità di un evento intitolato “Mondo Donna”, promosso dalla Clinica Mediterranea, un centro polispecialistico privato, convenzionato con il SSN.
Come persona di sesso femminile, come napoletana e come femminista, ho cliccato per saperne di più. Mentre leggevo, ho notato la cosa inverosimile. Vi incollo qui sotto il testo che pubblicizza l’evento, quello che suppongo essere un comunicato stampa della clinica stessa, eccolo qui:
La Clinica Mediterranea il 27 ottobre, per il terzo anno consecutivo, avvia il percorso di sensibilizzazione MONDO DONNA che vuole far crescere la consapevolezza delle donne sui temi della modernità per renderle protagoniste di ideali e valori.
Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista, ma chiacchierate con le associazioni del territorio e con coloro che tutti i giorni sono a contatto con questi temi.
L’obiettivo è quello di fare in modo che sempre più e sempre meglio si sappia stimolare la motivazione e la capacità di fare scelte di benessere, specialmente dove sono in causa comportamenti (alimentazione, attività fisica, consumo di alcol e tabacco, malattie a trasmissione sessuale, abuso di farmaci, ecc.) che possono difenderlo, prevenire le malattie e migliorare la qualità della vita.
Noi vogliamo andare lontano sulla strada della consapevolezza con tutti VOI e per questo vi consideriamo invitati d’onore al nostro percorso MONDO DONNA.
L’avete notato pure voi?
“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
E’ il terzo anno, si dice, che la clinica promuove questo percorso di sensibilizzazione rivolto alle donne.
“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Per “far crescere la consapevolezza delle donne sui temi della modernità per renderle protagoniste di ideali e valori“.
“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Questi temi e questi valori sarebbero legati alla salute, al benessere; vogliono andare “lontano sulla strada della consapevolezza“.
E però tra una cosa e l’altra si sono persi la consapevolezza della lotta e dell’impegno proprio di quelle persone che, notando una disparità tra i generi, hanno creduto di doverla colmare, modificare, aggiustare, perché ingiusta. Le persone, appunto, femministe, mediche anche.
“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Avete notato il refuso? come se qualcuno avesse tagliato un pezzo e avesse incollato il pezzo successivo a un punto. Chissà cosa c’era dopo quella virgola e prima della seconda maiuscola. All’editor interessava che restasse un solo concetto, ossia che durante questa giornata dedicata alla salute e al benessere delle donne, non ci sarà “Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”.
Cosa?
Uno stare totalmente al di fuori del mondo contemporaneo, dai pop discorsi di Emma Watson al Gender Gap e i femminicidi. Ma voi dove vivete?
Una completa delegittimazione della lotte femministe e la totale cecità sul panorama contemporaneo dei femminismi che si occupano di medicina di genere e biopolitica.
Il corpo rigurgita ciò che gli fa male. Noi rigurgitiamo la vostra misoginia.
Quanto vi fanno paura le donne come soggetti attivi dei cambiamenti che le riguardano? quanto avete paura del femminismo come agente di cambiamento sociale?
Loro vogliono andare lontano “con tutti VOI e per questo vi consideriamo invitati d’onore” ma non con le femministe che sono roba vecchia. Cos’è questo reflusso d’altri tempi?! Non ve le riproponiamo come i peperoni di ieri, tranquilli VOI.
Ma voi partecipereste a un evento organizzato da tali ignoranti? Persone che della modernità e della contemporaneità non hanno capito assolutamente niente?
Tutti siamo Teresa, tutti siamo Javier, tutti siamo Excalibur
La lettera che chiedeva di non uccidere il cane di Teresa, ma di metterlo sotto osservazione, ha raccolto in 12 ore 400.000 firme. Sono molti anni che lotto in questo paese per gli animali, e vi assicuro che, purtroppo, non ci sono 400.000 persone così tanto animaliste come quelle mobilitatesi con tanta rapidità.
Penso che quelli che successivamente hanno ripetuto il mantra “tanta preoccupazione per il cane e nessuna per i 4.000 morti in Africa” (mi chiedo quanto avranno fatto loro per gli africani) non abbiano capito cosa è accaduto. E’ stato proprio Javier, il marito, ad aver lanciato una petizione straziante chiedendo che di aiutarli a salvare Excalibur, che consideravano parte della propria famiglia.
E molti, anche senza avere familiarità con i cani, hanno empatizzato con il dolore di quest’uomo e questa donna; con la loro condizione di vittime inermi di una situazione spaventosamente mal gestita. Lo diceva un Twit di Toni García Ramón: “Prendi l’ebola che loro hanno portato. Ti danno la colpa, abbattono la porta della tua casa, ammazzano il tuo cane”. Gli esperti chiedevano di risparmiare l’animale per tenerlo in ossevazione, e nel rifiuto senza nemmeno pensarci in molt* abbiamo visto la prova dell’incapacità del governo di fronte la crisi e la sua mancanza di sensibilità.
Avrebbero dovuto confessarlo molto prima (lo ha fatto dopo un veterinario) che non avevano le risorse per isolare il cane. E in effetti è stato un disastro completo: abiti inadeguati, ignoranza rispetto alle modalità del loro uso, falle nei controlli e, peggio ancora, la suprema indecenza di colpevolizzare la vittima, come ha fatto questo deprecabile consigliere che non è stato ancora destituito. Piove sul bagnato: di nuovo l’incapacità criminale di questo governo, la sua mancanza di autocritica, la vergogna di colpevolizzare le vittime dei suoi propri eccessi. Per questo firmiamo. Tutti siamo Teresa, tutti siamo Javier, tutti siamo Excalibur.