Deconstructing Don Riccardo

doncamillo

Pochi giorni fa Loredana Lipperini, sulla sua bacheca Facebook, mette questo link nel quale Costanza Miriano, correttamente, non risponde a quanto Lipperini e Murgia hanno scritto su di lei. Correttamente perché non ha letto il libro L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!; e lascia la parola a “Don Riccardo Mensuali, del Pontificio Consiglio per la Famiglia – in pratica gli esperti del Vaticano sul tema”. Don Riccardo, come vedremo, non è esperto solo di famiglia, ma pure di un certo modo di comunicare, che – tipico, a mio parere, degli esponenti in divisa di un qualunque culto – va accuratamente discusso affinché nulla sia dato per scontato. Perché se sei corretto ma dai la parola a uno che lo è un po’ meno, forse non sei stato tanto corretto manco tu. No?

Se il potere è il servizio [titolo, permettetemi, parecchio complicato: che vuol dire, per i non esegeti di Miriano? Niente – e non ci verrà spiegato neanche dopo]

Nel loro interessante pamphlet “L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!”, Loredana Lipperini e Michela Murgia se la prendono un po’ con Costanza Miriano [da questa frase pare che nel pamphlet – definizione che vi chiedo di ammirare nel suo uso di giudizio preventivo – le due autrici non facciano altro]. Lo fanno a pag 47 [ah. Una pagina sola]. Siccome il saggio ha come scopo, opportuno e prezioso, quello di “imparare a parlare di femminicidio” [grazie, ma non era meglio dirlo subito? E allora, forse, non è un pamphlet], cioè far luce sulla violenza contro le donne della nostra società [eh, no, non è proprio lo stesso. Per questo scopo certo non basta un pamphlet – sempre ammesso che questo lo sia; qui si tratta solo di riflettere su certe pessime abitudini linguistiche e quindi culturali, sullo sfondo della complessiva violenza di genere], “Sposati e sii sottomessa” è, dalle due autrici, messo all’indice [addirittura! Lipperini e Murgia hanno, nel loro pamphlet, costruito un indice di libri! Accidenti che dono di sintesi – riescono a far luce sulla violenza contro le donne della nostra società e a costruire un indice di libri tutto in un pamphlet]. Mi accorgo adesso che il correttore ortografico non conosce la parola femminicidio [quindi non t’è mai capitato di scriverla prima. Interessante per uno degli esperti del Vaticano sul tema della famiglia. La dice lunga sul livello di consapevolezza di quegli esperti]. Ragione in più per apprezzare il lavoro delle signore Lipperini e Murgia. Che però, io credo, non hanno letto i libri di Costanza Miriano [cioè le due autrici hanno messo all’indice un libro che non hanno letto. Bel complimento. E siamo all’inizio, signori!].

Anche io trovo che viviamo in un mondo duro, violento e crudele, soprattutto verso i più deboli: donne, anziani, stranieri, bambini [La mossa del giaguaro, fase #1: sono d’accordo con te sulla supposta “base” dell’argomento]. Il libro delle due autrici non avrebbe 80 pagine ma 800 se solo avesse avuto capitoli sulla violenza contro le donne nel resto del mondo [La mossa del giaguaro, fase #2: quell’argomento è vasto, e infatti tu non hai detto nulla riguardo una certa cosa]. Molti preti, e non solo, sono ancora scandalizzati da quel sacerdote ligure che osò affiggere in parrocchia una locandina nella quale esponeva la tesi secondo cui, in fin dei conti, una parte della violenza sarebbe da imputare alla colpa delle donne [La mossa del giaguaro, fase #3: ti tranquillizzo, guarda che sono dalla tua parte eh? Guarda che sono d’accordo, eh?]. Con questi discorsi, subito del resto censurati dal Vescovo incaricato della censura, il vescovo diocesano [abbiamo capito], si getta solo discredito sulla Chiesa [eh, non ce n’è certo bisogno]. Così, per chiarire [per chiarire cosa? E a chi? E che bisogno ci sarebbe, di chiarire? Glielo devo ricordare io, il latinorum di “excusatio non petita…”].

Scrivo però queste righe perché Costanza Miriano verrà a parlare al “Pontificio Consiglio per la Famiglia” il prossimo 29 Maggio, partecipando ad un seminario sul tema “L’Amore Imperfetto: un padre e una madre, l’educazione dei figli”. A lei abbiamo affidato il titolo: “La ricchezza della differenza”. Non so ancora cosa Costanza dirà. O forse sì, un po’ lo so. Ho letto i suoi libri [Capito? IO HO LETTO I SUOI LIBRI, mica come certe due autrici di nostra conoscenza – La mossa del giaguaro, fase #4 – la botta all’improvviso]. Il contrario della differenza non è uguaglianza. È uniformità. La povertà dell’uniformità, potevamo darle anche questo, di titolo, specchio dell’altro [non è affatto lo specchio, casomai l’opposto, e non vuol dire affatto la stessa cosa, ma vabbè].

Secondo Lipperini e Murgia, Costanza Miriano sarebbe convinta [che vuole farci, padre, hanno supposto che avendo scritto delle cose, ne sia anche convinta, di quelle cose. A lei non risulta, dato che usa il condizionale?] che “il problema della violenza e della morte delle donne nasca dalle scelte delle donne stesse, che rifiutandosi di “stare sotto”, quindi di porsi come pilastro portante dell’intera impalcatura del sistema di dominio patriarcale, fanno crollare l’armonia iniziale stabilita alle origini del cosmo, da Dio o dalla natura stessa. Chi ha fatto propria questa visione pretende di partire da un atto incontrovertibile – che la donna e l’uomo siano fisicamente differenti – per fondare su questa differenza una gerarchia di poteri e una pre-assegnazione di ruoli e di attitudini” [le confesso, padre, che questa cosa non l’ha detta solo Miriano, ma anche un certo numero di testi che, data la divisa che porta, le dovrebbero essere noti].

In sintesi, secondo Lipperini-Murgia [lui ha letto il libro, quindi questa è LA sintesi, non la sua sintesi], Costanza [certa gente si nomina per cognome e col trattino, certa altra per nome] dilapiderebbe secoli di fatiche [avete letto delle fatiche, voi, nel passo sopra?] per tornare indietro nel tempo riassegnando [ri-assegnando? E chi l’ha fatto prima?] alla donna un posto molto più in basso nella “gerarchia di poteri”. Un anti-femminismo di femmina [mi scusi Don Riccardo: la parola femminismo non è nella citazione che ha riportato. Le sembra che abbia un significato univoco per tutti, tanto da poterla usare così, al volo? E con tanto di prefisso e provocatoria specificazione? Mi scusi ma non credo che lei sia il più autorevole a dire cos’è il femminismo; figuriamoci un anti-femminismo (semmai esista) praticato dalle donne. Siamo alle astrazioni di terzo grado, ma per favore…], quindi più pericoloso [più: quindi di suo il femminismo lo è? Di nuovo complimenti, padre, per il suo equilibrio e il modo corretto di scrivere. E meno male che lei sarebbe uno degli esperti], se è possibile estremizzare [lo hai già fatto, furbacchione – La mossa del giaguaro, fase #5: traggo conclusioni ma le premesse non ci sono!]. Mi permetto di consigliare alle autrici del breve e intenso saggio [ecco, già è meglio di pamphlet, ma ormai non importa più a nessuno], di rileggere, quanto meno, le pagine di Costanza Miriano [quindi o non le hanno lette, o le hanno lette male – se dico che è almeno un po’ troppo paternalista, padre, s’offende?]. Vi troveranno invece dei grandi personaggi femminili [e che c’entra, scusi? Quando abbiamo cominciato a parlare della presenza/assenza di grandi personaggi femminili?]. Scopriranno che c’è un’eroicità della libertà di essere donne cristiane [MA COSA C’ENTRA? Nessuno nega la libertà di culto, né l’eroismo di alcun* cristian*; però, caro Don Riccardo, dovrebbe spiegare allora perché dice cristiane e non ‘cattoliche’. Intende anche  anglican*, ortodoss*, protestantI? Perché di eroi ce ne sono anche lì, ma ho idea che sul femminismo, le donne e il matrimonio le posizioni non siano proprio univoche. Ne vogliamo parlare o lo diamo per scontato?]. C’è – eccome – una gerarchia di poteri nelle pagine di Miriano. Ma non è la gerarchia a cui allude “L’ho uccisa perché l’amavo:falso!”. È il suo opposto [quindi le due autrici non hanno proprio capito niente, chiaro?]. C’è un potere nel “servizio” che rende libero il matrimonio [il matrimonio? E chi ne stava parlando? Si parlava di donne, di corpi e persone, non di istituzioni. O per lei sono lo stessa cosa, padre?] di respirare, di crescere, di esistere e di resistere [sì, il matrimonio, non le donne – quelle invece pare che soffochino, regrediscano, muoiano e cedano, le risulta?]. Il cristianesimo o è eroico o non è [sì, le storie dei santi le sappiamo anche noi – ma lei dovrebbe dire cosa c’entrano qui]. E tutte le mogli dei libri della Miriano sono eroiche, libere, spregiudicate, divertenti e ironiche perché superiori avendo scelto di essere “inferiori” [parere vostro, e sono le mogli, non le donne], capaci di lottare e di riposarsi, di imporsi e di rispettare, di correre e di fermarsi [ammesso che sia vero, osa davvero credere che quelle siano TUTTE LE MOGLI? E alle donne che mogli non sono, non ha nulla da dire? Miriano anche, non le considera?]. Le trovo piene di libertà. E se rispettano i loro mariti, lo fanno come suggerisce loro l’etimologia del verbo rispettare: vuol dire guardare due volte [e chissenefrega. Non si stava parlando di matrimonio, né di mogli – ma di donne. Per lei fa differenza? No? Beh, per qualcun* sì]. Costruiscono, queste donne [e no, padre, La mossa del giaguaro, fase #6 non passerà. Lei non può usare mogli e donne come fossero sinonimi], famiglie solide perché aperte, a Dio e al mondo. Chiedono, propongono, esigono. Se c’è qualcosa che non sono è tiepide, “né calde né fredde” (Ap 3,15), che mi sembra la malattia del nostro mondo [quale delle due autrici ha accusato qualcuno di indifferenza, o di ipocrisia? Cosa c’entra questa citazione? Niente, ma ormai siamo a ruota libera]. Fanno tornare alla mente le parole di Benedetto XVI pronunciate al Parlamento tedesco il 22 Settembre 2011: “La ragione positivista… non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto” [passo che, le dirò, si avvicina molto di più a Lipperini-Murgia che alla sua cara Costanza. Sono le due autrici a voler parlare di una differenza naturale da considerare come tale, e non da interpretare come la manifesta costruzione di un potere politico o istituzionale, sacralizzato nel matrimonio come lei lo intende. Qual è allora la ragione positivista, quella che incastra la natura nell’istituzione matrimoniale a scopo funzionale o quella che vuole liberarne le potenzialità e sancire pari diritti della differenza? Oppure vogliamo dire che il matrimonio è naturale come i nostri corpi? E su, padre, “manco le basi der mestiere” (cit.)].

Se si ha la pazienza di guardare dentro le case dove vivono i personaggi di Costanza Miriano scopriamo case e famiglie aperte al vasto mondo di Dio. È questo, credo, che le rende libere [non lo metto in dubbio. Ma quelle famiglie non sono tutte le famiglie, Don Riccardo, e la maggior parte delle donne esistono fuori di quelle famiglie. Anche se non le piace, è così. E se la sua soluzione alla violenza – e quella di Miriano – è diventare come quelle famiglie, abbia almeno la decenza di smettere di parlare di libertà].

Sono certo – insomma – che, leggendo bene Costanza, anche le amiche Lipperini e Murgia dovrebbero prenderla con sé, sul carro nobile della battaglia contro la violenza (in genere) e la violenza che subiscono le donne [perché, Lipperini e Murgia si sono messe alla guida di quel carro? E quando lo avrebbero fatto,sempre nello stesso pamphlet? E perché dovrebbero dispensare la licenza per salirci? Ma dove l’ha vista tutta questa roba, padre? Lascio la parola all’amica Serbilla: “immagino Lipperini e Murgia sopra a ‘sto carro di madreperla econ colonnine ioniche, vestite come delle dee greche, con la fascetta sulla fronte, la tunica. Circondate da una luce dorata, e un coro che ripete: “OOOOOOOOOO”, acutissimo. E’ proprio un’immagine esilarante, come l’intento di far accettare nel club Miriano e far fare la pace alle bimbe”. A proposito di paternalismo, padre Riccardo]. Ce n’è molta – di violenza – anche nell’imporre alle donne di non fare le donne, le mogli, le mamme, le nonne – mi pare [e che c’entra? E che vuol dire? E chi l’ha detto, dove? Cosa sta insinuando? Vi ricordo che, all’inizio dell’articolo, padre Riccardo ha ammesso di non aver mai scritto “femminicidio” prima d’ora]. È uscito in questi giorni, per PIEMME, “Un domani per i miei bambini”: è la storia di riscatto e di vittoria sulla malattia di una giovane donna del Malawi, Pacem Kawonga. Una donna che da sottomessa alla violenza disumana ha imparato a “mettersi sotto” la vita di tanti, diventandone quella roccia salda su cui siamo chiamati a costruire una vita degna (Mt 7,24) [MA COSA C’ENTRA? Prima parla di matrimonio come se fosse equivalente alla donna in sé, poi adesso questa sventurata del Malawi e la sua vittoria sulla malattia. Vuole avere la cortesia di spiegare almeno una delle sue scelte argomentative?]. Allora benvenuta la gerarchia di poteri, se, come insegna Papa Francesco, il potere è servizio [e la vita è morte, l’alto è il basso, la pace è guerra, il nero è bianco – cos’è, un manifesto surrealista? Ma vuole spiegare almeno una delle cose che dice?]. La gerarchia di servizi potrebbe essere l’impalcatura per costruire un mondo migliore [speriamo che al Ministero dello Sviluppo Economico non la leggano, Don Riccardo mio!]. Anche per gli uomini. Grazie per l’accoglienza. Ci vediamo il 29 Maggio [ciao].

Don Riccardo Mensuali [Lorenzo Gasparrini (grazie a Feminoska e a Serbilla)]

Deconstructing la censura

voltaire La polemica su Fabri Fibra escluso dal concerto del I° Maggio la conoscete già senz’altro. Prima di commentare questo articolo che riassume un punto di vista molto condiviso, sarà necessaria qualche premessa.

Uno. La censura, dice il vocabolario (significato 2) e qualche libro di storia, è esercitata dall’autorità pubblica, ed è atta a impedire o la diffusione di un particolare prodotto dell’espressione (un libro, un film, etc.) o tutto ciò che è riferibile a una persona, oggetto di censura. Basta questo a far capire che Fabri Fibra non è stato oggetto di censura, e che quella degli organizzatori del concertone non è una forma di censura: la festa è la loro e decidono chi invitare, punto. Non è che se non t’invito al mio compleanno ti sto censurando – mi stai antipatico per quello che fai e/o per quello che dici, è la mia opinione, è la mia festa, tu non ci vieni. Ciao. Fabri Fibra – forse i difensori del libero pensiero a tutti i costi non se ne sono accorti – non ha annullato nessuna sua data, né sono stati ritirati i suoi dischi dal commercio. E’ libero di esprimersi come e più di prima, beandosi anche di tanta pubblicità gratuita. Non è stato affatto censurato.

Due. Per l’ennesima volta: Voltaire non ha mai detto «disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo», né «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo». Sono due bufale – nonché due scemenze. Infatti fascisti e razzisti in genere non vanno difesi, perché difendere la libertà delle loro opinioni significa – la storia lo insegna – sancire la fine delle proprie, dato che, come s’è visto innumerevoli volte, l’opinione dei fascisti e dei razzisti in genere è: “vale solo la mia opinione”. Non a caso Voltaire, che di opinioni, pensieri e storia ne sapeva, due stronzate del genere s’è ben guardato dal dirle.

Tre. Il SEO (Search Engine Optimization) è un’attività richiesta a tutti I blogger del mondo da parte dei loro editori, e consiste nel rendere i propri testi accattivanti per i vari automatismi che rendono la pagina web molto cliccata e molto citata in più link possibile, nel web. Uno dei metodi più noti e facili di SEO è fare titoli e testi pieni di parole “calde”: che ne so, per esempio, Fabri Fibra, donne, pericolo.

Quattro. Il linguaggio sessista non è un’opinione: esiste, c’è una definizione, è un problema noto da decenni. Se uno lo adopera è perché lo vuole adoperare, oppure perché non gli interessa non adoperarlo. Quindi non è che “qualcuno pensa” che il linguaggio di Fabri Fibra sia sessista – lo è, non c’è dubbio su questo. Quindi che a qualcuno non piaccia è molto meno soprendente del fatto che a qualcuno non piaccia che quel linguaggio non piaccia. Se è un artista, come dicono in tanti, allora potrebbe usare tanti altri linguaggi espressivi; invece usa quello. E’ certamente libero di usarlo nei suoi dischi e nei suoi concerti, nessuno lo ha censurato – come io sono libero di rifiutarlo non ascoltandolo più di una volta, e come chi organizza un concerto è libero di non volerlo invitare.

Cominciamo.

Fabri Fibra è censurato. Ma sono “queste” donne il vero pericolo [ecco, appunto. Un bel titolo acchiappa click e di grande profondità – vabbè, lo ammetto, sono prevenuto. Magari è stato il titolista a esagerare.]

Se il femminismo italiano avesse ancora qualcosa di libertario [Però! Cominciamo bene: il femminismo italiano, a detta dell’autrice, non ha nulla di libertario. Libertario, dice sempre il sig.Treccani è sinonimo di anarchico; e certamente non tutto il femminismo italiano lo è stato, né lo è ancora. E’, come tutti i femminismi in tutti i paesi, pieno di sfaccettature, differenze, varianti, e non tutte queste diverse espressioni del femminismo prevedono libertà totale sempre e ovunque (posto che politicamente tutta ‘sta libertà abbia un senso)]; se vivesse nelle strade, dove le donne si scontrano con i problemi reali [quindi, dice sempre l’autrice, il femminismo italiano non vive nelle strade, con buona pace di tutta la miriade di realtà femministe che, per esempio, conosco io – ma io non faccio testo, si sa, io c’ho un problema], e non nei salotti avvezzi alle elucubrazioni ideologiche di una falange armata di corporativismo [salotti che esistono senz’altro, ma che certo non sono il femminismo italiano, che come tale non esiste, essendo composto, come detto da parecchie correnti anche di vedute inconciliabili tra loro]; se ancora ci fosse l’anelito della lotta [no no, che anelito: le femministe che conosco io per strada ci vanno e la lotta la fanno sul serio, giuro, ci sono pure io qualche volta, pensa un po’] e non la ricerca della rendita [no guarda, se del femminismo si campasse avremmo svoltato. T’assicuro che i salotti che dici tu i soldi li prendono altrove, non dal femminismo], allora sì che si leverebbero le proteste vere [guarda che ci sono le proteste vere , informati], in istrada e sui giornali, con un unico obiettivo: difendere il sacrosanto diritto di espressione di un cantautore [come detto sopra, quel diritto non l’ha toccato nessuno, tantomeno le femministe. Le femministe hanno, come tutti, il diritto di sollecitare chi organizza manifestazioni a non invitare chi non gli sta bene, il quale può continuare a esprimersi come gli pare – e infatti lo fa. Qui non è stato calpestato alcun diritto d’espressione, basterebbe informarsi per capirlo. Ma informarsi, mi sa, non fa SEO].

Fabri Fibra è oggetto di una clamorosa censura [NO, NON E’ VERO, e sopra ho scritto il perché] ad opera di quanti, dagli organizzatori in giù, si sono lasciati condizionare [non si sono lasciati condizionare, non sono deficienti – hanno tenuto conto delle proprie priorità, che a casa loro decidono loro, pure se non ti stanno bene] dalle proteste di una associazione intitolata “Donne in rete contro la violenza”. I testi del rapper marchigiano sarebbero troppo violenti, di questi tempi si potrebbe dire “un incitamento all’odio femminicida”. Del resto i reati di opinione, forieri di censura, [nessuno ha contestato un reato a Fabri Fibra, altrimenti altro che primo maggio. E, ripeto, non c’è stata alcuna censura. Ma sì, alziamo la voce, dàje!] si fregiano degli orpelli più tecnicamente efferati. Ormai, se uccidi una donna, il reato è “femminicidio” [non è ormai, è un bel po’ eh], come fosse qualcosa di distinto [lo è; la legge ne prevede un sacco di assassinii distinti da espressioni diverse, servono a comminare una giusta pena e a inquadrare meglio le eventuali aggravanti o attenuanti], e forse di più grave, rispetto all’”omicidio” di un uomo [questa è l’opinione tua e di un sacco di maschilisti negazionisti che, nell’ipocrisia di un linguaggio paritario mal compreso e mal usato, prendono le distinzioni necessarie come ghettizzazioni. Immagino che tu preferisca leggere di centinaia di raptus all’anno; complimenti]. Nella distinzione lessicale si ravvisa una china culturale ormai allarmante [su questo sono d’accordissimo, per questo mi batto per usare le parole utili e per usarle quando serve: per esempio, con questa faccenda la parola “censura” non c’entra un bel niente].

Così, se D.i.re inscena la protesta (le avete viste, vero, a centinaia in istrada…) [ah ah ah, che spiritosona – qui c’è un’utile lettura sull’umorismo di D.i.re], la Cgil si inchina alla volontà femminea [ma quando mai? E ancora complimenti per il linguaggio, eh] e vieta ad un cantante già invitato di esibirsi in un concerto pubblico [il concerto non è pubblico, non lo organizza lo Stato, non confondiamo pubblico con gratuito, a proposito di linguaggio].

Non si sa se sia più offensivo ritenere che qualche verso acceso di una canzone possa plagiare gli uomini e indurli meccanicamente a bastonare le rispettive compagne [sarà pure offensivo, ma si chiama cultura anche quella veicolata da Fabri Fibra,e sì, ti devo dare questa notizia, è la cultura a rendere una persona consapevole, per esempio, che bastonare le rispettive compagne si può fare], o se piuttosto ad essere vilipesa non sia, ancora una volta, la dignità di quante non si sognerebbero mai di interdire al proprio figlio o al proprio fratello l’ascolto di una canzone del temerario Fabri Fibra [dignità che nessuno ha toccato, dato che Fabri Fibra continuerà a fare i suoi concerti tranquillo, a vendere i suoi dischi tranquillo, e verrà tranquillamente trasmesso da tutte le radio – quindi non c’è nessuna interdizione]. Che paura. Sì, queste donne fanno paura [verissimo – ma mi sa che non c’intendiamo sul chi sono “queste”].

Per la cronaca, ecco cosa dice il diretto interessato su facebook, con i miei commenti:

Concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni: nemmeno quest’anno sarò su quel palco. Mi sembrava strano. In effetti, l’invito entusiasta da parte di Marco Godano mi aveva sorpreso, era una bella novità. Invece poi non sono gli organizzatori che decidono chi suona in piazza [ah no? E chi? Non lo dice, anche Fabri Fibra ha paura della volontà femminea?]. Nei miei testi forse non tutti ci leggono l’impegno politico o sociale necessario per eventi del genere [aspetta, fammi ricordare qualche verso: “ho 28 anni ragazze contattatemi scopatemi / e se resta un pò di tempo presentatevi / non conservatevi datela a tutti anche ai cani / se non me la dai io te la strappo come Pacciani”. Eh no, non ce lo vedo tutto st’impegno politico e sociale – sono proprio un bacchettone femminista maschiopentito zerbino.]. Nel 2013, per alcuni, il rap e i suoi meccanismi artistici sono ancora da interpretare e da capire fino in fondo [grazie per la considerazione – e non hai idea del sessismo, quant* siamo in pochi a capirlo!]. Qualcuno voleva che io suonassi e qualcuno no. Nonostante il tentativo, non si fa nulla. Il Primo Maggio è ancora soggetto a certi schemi che in altri circuiti live non ci sono o comunque non ci sono più [così ci piaci, vago e oscuro – a quando una bella predizione sull’Apocalisse?]. Penso in ogni caso che i concerti siano una bella occasione per i ragazzi di vivere esperienze musicali reali [è la definizione di concerto – vuoi vedere che invece Fabri Fibra il vocabolario lo legge?]. Ci vediamo comunque in tour quest’estate e quest’autunno [proprio le parole di uno censurato. Ah, grazie per averci ricordato il tuo costante impegno contro la violenza di genere].

Deconstructing le poesie?

Nuyorican

Capita anche di dover decostruire un commento a un altro testo – come la vogliamo chiamare? Decostruzione di secondo grado? Boh, fate voi – ma è bene sfruttare l’occasione per chiarire alcune questioni di fondo che non è giusto lasciare al pensiero privato. E’ bene che emergano.

Una premessa è necessaria. Se un artista fa un’opera per uno scopo preciso, storicamente determinato e identificabile, non sta facendo nulla di artistico. Fa solo comunicazione. “Guernica” – tanto per fare esempi noti – non rientra in questo caso: mi dice qualcosa prima di tutto sugli esseri umani, non sulla guerra, infatti quello che disse Picasso al tedesco fu: “questo l’avete fatto voi” – più o meno, vuole la leggenda. L’arte, da sempre, è così: se parla “di qualcosa”, si condanna a dire solo quello. L’importante è ciò che mostra, non ciò che dice.

Questa poesia ha un valore – ancora, a vent’anni di distanza – perché il “mettersi nei panni altrui” continua ad essere una cosa che i maschi eterosessuali in genere non fanno, perché politicamente non gli fa comodo; né tentano la loro immaginazione con questa fantastica possibilità. Tutto qui. Non si tratta di empatia: l’empatia, come dice il vocabolario e qualche secolo di storia dell’estetica, è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui; il “mettersi nei panni degli altri” non significa comprendere lo stato d’animo, ma immaginare di avere il corpo dell’altro. E’ una cosa ben diversa – quella poesia prova a far capire questo.

In questo post di un altro blog si commenta in maniera – secondo me, eh – assurda la poesia di Carol Diehl. Per forza di cose dovrò intercalare i miei commenti a delle questioni di metodo – necessarie per comprendere meglio anche l’attività del deconstructing. Cominciamo.

Sue santità le vittimiste del terzo millennio [già nel titolo un simpaticissimo accostamento tra le vittimiste e “i fascisti del terzo millennio”, unite in una crasi che è tutto un programma critico]

Jinny mi scrive: “Oggi la pagina fb Gender Anarchy ha postato una poesia di Carol Diehl, pittrice e poeta americana. Si intitola: “For the Men Who Still Don’t Get It”, “Per gli uomini che ancora non ci arrivano”. Il testo è stato scritto vent’anni fa, quando non era diffusa internet – ma ultimamente sta circolando in rete in maniera “virale”, postato da giovani ragazze americane e del mondo anglofono. Vedrai che è incentrato sul rovesciamento di ruoli (con soluzioni a volte divertenti secondo me), ma ovviamente non come se questo fosse auspicabile, solo per rendere l’idea – credo – e far sì che gli uomini si immedesimino nei ruoli imposti alle donne dalla società. Però l’operazione è problematica secondo me, e sarebbe interessante da discutere. Infatti ha sollevato molte polemiche. Alcun* dicono che questo testo sia datato e superato. Ma perché sta avendo tanto successo tra le giovani? Da tenere presente, anche, che fa riferimento alla cultura americana. L’ho tradotto in italiano. Have a good day. Jinny”

[La lettera è molto interessante: il tono è quello di una richiesta critica, per niente polemica. Tiene anche conto, giustamente, che si lavora su una traduzione, che il testo ha molti anni, che si riferisce a un ambito culturale specifico. Ci sarebbe da fare un ottimo lavoro critico. Ma perché farlo, quando invece si può sparare a zero?]

Leggo la poesia e in effetti ci trovo molti anacronismi anch’io. [Bene; adesso andrebbe spiegato perché un anacronismo è una colpa. Non sempre è così. Ma non succederà, questa spiegazione non ci sarà] Se è vero che sovvertire le immagini può rendere evidenti stereotipi e sessismi: in questo caso, secondo me, la questione però proprio non funziona.

Commento la poesia, che trovate intera in basso, colpo su colpo [colpo su colpo? E da quando le poesie sparano? Manco Terragni oserebbe tanto] per capire assieme a voi cos’è che mi stona.

“E se / tutte le donne fossero più grandi e grosse di voi / e pensassero di essere più intelligenti”

Sul grandi e grosse, non so. Magari in termini fisici la fragilità di certe donne è ancora un fatto accertato, ma sul fatto che pensino di essere più intelligenti… se fate un giro per i tanti articoli al “femminile” che raccontano della meraviglia del cervello delle donne, della marcia in più, di come sappiamo fare bene tutto, incluso salvare il mondo, della necessità di mettere a capo di tutto una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, del fatto che le donne abbiano neuroni da sprecare e invece gli uomini sono degli imbecilli, beh, allora se verifico certa supponenza, anche in contesti antisessisti in cui si parte dalle lotte per non discriminare le donne e si finisce per raccontare di un maschile pessimo e irrecuperabile, da rieducare all’umano e civilizzare, quasi che fossimo diventate colonizzatrici dell’umana specie, dico che questa frase loro posso capirla eccome. Però istigherebbe la loro rabbia e istigherebbe un minimo di misoginia. Non so se ci conviene divulgarla [è una poesia, non una ricerca di sociologia. Non deve affrontare la completezza dei discorsi di genere dati alla mano – è una poesia. Non ha senso paragonarla a tanti articoli al “femminile” perché non è un articolo. E’ una poesia. Non va giudicata per ciò che descrive, né interpretata alla lettera. E’ una poesia. Scritta in una certa epoca, in una certa lingua, in un dato contesto culturale. Metterci dentro salvare il mondo, una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, gli uomini sono imbecilli, e così via, è una lettura piena di pregiudizi – e inutile. E’ una poesia: metterci quello che non dice è ingiusto e palesemente scorretto – è una poesia, non ha pretese di completezza. E poi: ci conviene? Stai parlando in rappresentanza di qualcuno? E di chi? E grazie a quale potere?].

“E se / le donne fossero quelle che fanno le guerre”

Le fanno, infatti. Dalle Segretarie di Stato che coccolano strategie guerrafondaie alle soldatesse e alle torturatrici di Abu Ghraib credo che le donne abbiano ampiamente dimostrato che la guerra non sta all’uomo come la pace non sta alla donna. Guerre e diserzioni riguardano ogni genere di persona, salvo il fatto che c’è chi dice oggi – paradosso nel paradosso – che accedere alla guerra, per soldatesse o soldati gay, sia un fatto di pari opportunità mentre prima tanti disertori di sesso maschile, di qualunque orientamento sessuale, si facevano la galera per non essere obbligati a indossare le divise. [Complimenti, abbiamo incastrato la poetessa inchiodandola al significato letterale delle parole – proprio quello che si richiede a una poesia: usare le parole per etichettare le cose, per descriverle precisamente. Il riferimento ad Abu Grahib poi è eccezionale – la poesia è di vent’anni fa, pre-web e pre tante altre cose, come cercava di dire la lettera, ma perché tenerne conto? Anche le donne sparano e ammazzano, ed è tipico del loro modo di vedere il mondo, da sempre, si sa – ‘sta poesia è proprio falsa. Notoriamente, le poesie possono essere false, no? Come i teoremi, come le prove indiziarie, come i giuramenti. Vabbè.]

“E se troppi dei vostri amici fossero stati violentati da donne con vibratori giganti / e senza lubrificante”

E qui bisogna capirsi [no, perché magari avevate pensato che le poesie non potessero essere metaforiche, allusive, provocatorie; qui bisogna capirsi, finora era tutto chiaro]. Lo stupro è stupro [e la guerra è guerra, l’arte è arte, la vita è vita, l’amore è amore, la maggica è la maggica]. Dopodiché loro possono rispondervi che ci sono altre forme di violenza che hanno subìto e che nessuno se li fila [loro chi? Boh, meglio lasciare sul vago. Infatti la poesia, com’è noto, serve a fare paragoni – ma attenzione che il meglio sta per arrivare]. Pesare l’entità delle violenze non è mai un ottimo stimolo comunicativo per suscitare empatia [EH? Le poesie sono atti lirici, assolutamente soggettivi – se ne fregano di pesare e di suscitare empatia. Le poesie sono espressioni di sé, fine. Come tutte le manifestazioni artistiche, rischiano l’incomprensione, l’inutilità, la retorica – ma non fanno analisi né hanno uno scopo, come invece fa la comunicazione. Confondere le due cose è sintomo di una profonda ignoranza – o di una grave malafede. Le si rifiuta, le si commenta, ma non si decostruiscono, è inutile. Perché a una poesia, se la smonti, le fai dire quello che vuoi – e non è onesto]. Semmai vengono fuori banalizzazioni e negazionismi dove non si riesce a dire in altro modo che il fatto che tu e lei e lei e lei siate state stuprate è un fatto increscioso, orribile, ma che non si può farne un’arma per vittimizzare un genere e criminalizzare l’altro [e infatti questa poesia non è un’arma, come non lo è nessuna poesia. E’ l’intenzione di chi la adopera con uno scopo a farne un’arma di offesa a qualcuno. Siamo ancora a queste cose? Dopo secoli di poesia usata a scopi politici?].

“E se il poliziotto / che vi ferma allo svincolo dell’autostrada / fosse una donna / e avesse una pistola”

Ricordo solo che tra i poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Aldrovandi c’è una donna [ricordo a chi legge che interpretare alla lettera una poesia è da ipocriti – usare celebri casi di cronaca per farlo aggiunge un tocco di cinismo molto alla moda].

“E se / la capacità di mestruare / fosse il requisito per i posti di lavoro / più remunerativi”

Si, ma a parte che la precarietà oramai ammazza tutti/e [la poesia è scritta nei primi anni ’90 negli USA, che la precarietà oramai ammazza tutti/e è l’ennesimo ipocrita modo di svilire una poesia con l’attualità. Allora smettiamo di leggere Dante perché è roba del Trecento, no?], in questo non serve empatia unilaterale per farci recuperare spazio ma serve empatia reciproca per cedere spazio per affettività e cura anche a loro, agli uomini, che lo chiedono [questa poesia è appunto quella richiesta, basterebbe leggerla come una poesia, e non come un articolo di Travaglio, per rendersene conto]. Perché, tra l’altro, il mondo non è più diviso in due generi [è una poesia, non un trattato di sociologia, è parziale e soggettiva come tutte le poesie] e questa visione dei limiti nel lavoro va vista a 360° gradi prima di rivendicare conciliazione famiglia/lavoro e status coccolati per il materno [non sta rivendicando nulla, è una poesia, non un decreto legge di Fornero o simili]. Ricordiamoci che il peggiore nemico di tante donne per aiutare quelle che non trovavano lavoro e non lo trovano tuttora sono altre donne che propagandano il valore del “materno” chiedendone tutela come se la madre fosse una incapace di intendere e volere, una malata sociale [cosa vera, peccato che con questa poesia non c’azzecchi niente, perché questa è una poesia, non una bozza di contratto collettivo].

“E se / il vostro essere attraenti per le donne dipendesse / dalla grandezza del vostro pene”

Accade anche questo. La retorica machista sulle misure del pene sono ampiamente avallate e veicolate anche dalle donne [è una poesia, non è un’inchiesta sull’immaginario erotico, non avalla nessuna visione, cerca solo di stimolare un immaginario].

“E se / ogni volta che le donne vi vedono / suonassero il clacson e facessero segni con le mani come per masturbarsi”

Si, ok, dunque? E se ogni volta che le donne vedono uno stronzo che fa così tirassero fuori un dito medio? Perché questo canto vittimista di chi non sa tirare fuori la grinta neppure davanti un deficiente che si fa una sega al volante? [la poesia è espressione di sé, è essa stessa un dito medio – lo si capirebbe se non la si volesse leggere a tutti i costi come un elenco di prescrizioni. Infatti sta avendo tanto successo tra le giovani proprio perché loro hanno bisogno soprattutto di espressioni come questa poesia, e non di cinismo analitico. In più questo passaggio presta molto i fianchi a chi dice che se subisci violenza e poi non reagisci allora te la sei cercata. Visto? So fare il cinico anche io. Uh che bello.]

“E se / le donne facessero sempre battute / su quanto sono brutti i peni / e che brutto sapore ha lo sperma”

Io ne ho sentite. Il pene non è più argomento tabù e perfino io mi permetto di satireggiarci sopra [e chissenefrega. E’ una poesia, non è un manuale di linguistica, né di psicologia. Da quando i gusti personali sono metro di paragone? E’ una poesia, non vuole avere ragione né tantomeno proibire la satira. Sta descrivendo una possibile immaginazione, non vietando altre espressioni].

“E se / doveste spiegare cos’è che non va con la vostra auto / a delle grosse donne sudate con le mani sporche di grasso / che ti fissano il pacco / in un garage dove siete circondati / da poster di uomini nudi con l’erezione”

I calendari di uomini nudi oramai esistono pure quelli e se guardi il porno ci sono migliaia di corpi al maschile che sono lì a dimostrare che o sei virile o muori. E’ una analisi anche questa vittimista circa i corpi oggetto e conseguenti stereotipizzazioni e sessismi perché tutto ciò riguarda tutti/e noi [NON E’ UN’ANALISI VITTIMISTA, E’ UNA POESIA! Come si fa a essere ignoranti o in malafede fino a questo punto? Carol Diehl è un’artista, può scegliere il mezzo espressivo che vuole, e ha spiegato tutto quello che serve su questa poesia. Altrove ha fatto le sua analisi, ma questa è una poesia! Non va letta come altro che come UNA POESIA!].

“E se / le riviste maschili avessero copertine / con foto di ragazzini 14enni / con calzini infilati sul davanti dei jeans / e articoli del tipo: / ‘Come capire se vostra moglie è infedele’ o / ‘Quello che il dottore non vi dice sulla prostata’ / o / ‘La verità sull’impotenza’ ”

Ci sono riviste così e articoli del genere, purtroppo [e ci sono pure persone più realiste del re, purtroppo].

“E se il dottore che vi esamina la prostata / fosse una donna / e vi chiamasse ‘gioia’ ”

Non so di donne che molestano i pazienti ma di uomini che molestano ragazzini ho sentito dire [attenzione, ho sentito dire, adesso abbiamo la riedizione di Erodoto contro Tucidide intorno a una poesia. Ma cosa c’entra l’aderenza ai fatti, è una poesia!] Però questo è un punto rispetto al quale l’empatia arriva se si smette, forse, di raccontarla dichiarando che tu sei più vittima tra le vittime [premesso che, come detto sopra, l’empatia non c’entra nulla e poi non si capisce perché l’empatia dovrebbe bastare a far “arrivare” le cose, questo testo non ha messo nessuno prima di un altro. E’ una poesia, non “racconta” un bel niente se non i sentimenti di un solo soggetto. Non c’è alcun paragone] e che in quanto vittima vivi santificata da una cornice di innocenza grazie alla quale tutto ti è perdonato e concesso [chi santifica sono altri, non la vittima – quella ha altro a cui pensare. Chi santifica la vittima ha lo stesso atteggiamento di chi pensa di smascherarla col cinismo: se ne frega di quello che le è successo, e la strumentalizza. Per esempio, tratta una poesia come un saggio di filosofia di genere, e la critica cinicamente].

“E se / doveste respirare l’alito pesante del sigaro della vostra boss / mentre insiste che dormire con lei fa parte del lavoro”

Succede pure questo [e chissenefrega due, è una poesia di vent’anni fa, non puoi chiederle di essere una descrizione della realtà!]. Non esattamente così ma di donne capo che sono di una stronzitudine assurda e che trattano i dipendenti in modi diversi a seconda se gli piacciono o meno io ne ho conosciute [aspetta, chi è che fa la vittima adesso?]. Perché ‘a carnuzza è carnuzza, in generale, anche se non ho sentito di molestie fatte da donne/capo [e informati allora! O il match è solo tra quello che sai te e quello che dice la poesia? E se così fosse, chissenefrega tre!].

“E se / non poteste scappare / perché il regolamento della ditta / richiede che portiate scarpe / concepite per impedirvi di correre”

Ecchèdduepalle, ‘sto piagnisteo [non è un piagnisteo, è una poesia]. #OccupyDitta e imponi un regolamento diverso [oh, meno male che ci sei tu con una soluzione per tutto, invece de ‘ste poetesse fancazziste]. Se perfino io, che dovevo stare sui trampoli per lavoro, sono riuscita a far considerare sexy i piedi scalzi, può farlo chiunque [e senza scrivere poesie sull’adeguarsi al modello sexy!].

“E se / dopo tutto questo / le donne volessero ancora / che voi le amaste?”

Dunque la soluzione sarebbe odiarli? Cioè: si sta spiegando l’avversione? [No, è una poesia, non sta spiegando niente! Tenta di creare un immaginario nuovo, o di sconvolgere quello esistente. Ma a te non interessa.]

Ora io spero che questa poesia non sia utilizzata come biglietto di presentazione per far passare l’esame all’uomo che volete approcciare, con cui volete stare, con il quale volete trombare, perché fossi in lui direi che potreste andare a quel paese [e chissenefrega quattro, dei tuoi sistemi di seduzione. La poesia non parla di questo, ovviamente, ma ormai siamo a ruota libera].

Ma in quale mondo autodeterminato e femminista io mi presento con questa password vittimista e normativa per presentarmi da martire a qualcuno con il quale vorrei avere una relazione paritaria? [Infatti succede solo nel mondo di fantasia che stai creando per potertela menare come ti pare, dato che nella poesia che hai commentato non c’è niente del genere. E’ una poesia, non un biglietto da visita né un manuale di savoir-faire.] Perché se mi presento in questo modo non voglio parità ma costruisco le basi per determinare sostanziali ragioni culturali per esprimere e manifestare superiorità morale [non si capisce perché un* dovrebbe usare questa poesia per presentarsi – mi parrebbe un comportamento paranoico a prescindere dalla poesia e dal sesso di chi la usa. Ma continuiamo pure]. Io sono vittima. Io martire [faccio notare che la poesia non dice nulla del genere – grammaticalmente è una sequenza di frasi ipotetiche]. Dunque io superiore [non c’è questa deduzione]. Tu non puoi toccarmi [neanche questa]. Puoi solo adorarmi [neppure questa]. E se ti chiedo un cunnilingus e non ce la fai perché mi vedi come se io fossi la Madonna sarà anche un po’ colpa tua [ipotesi interessante, ma che c’entra con la poesia? Niente, come tutto il resto].

Questa poesia desessualizza le donne e inibisce gli uomini [però, hai capito che forza. Stai a vedere che allora le canzoni di Jovanotti e Bono potrebbero convincere il FMI a cancellare il debito]. E se l’obiettivo è fare abortire erezioni maschili perché a noi ci piacciono mosci, flagellati, ad espiare e fare mea culpa, direi che ci sono tutte le possibilità di farcela [è una poesia, e a parte che non mi pare proprio scritta per ottenere debarzottamenti, fa diretto riferimento al gusto personale di chi legge. Se qualcun* mi confessasse che questa poesia l’ingrifa di brutto, non avrei proprio nulla da opporre, sono i suoi gusti].

Non sto dicendo in chiave maschilista che le femministe suscitano impotenza perché apriti cielo se i misogini (e loro, pro-forma, testosteronicamente e più virilmente, avversari patriarchi del terzo millennio e tutori della vulva) non stanno lì a cercare ragioni per evitare di analizzare la propria sessualità [tutto questo in una poesia? Mi sono perso qualcosa, aspetta che rileggo. Ma anche no]. Dove sessualità sta per reciprocità e consensualità e la consensualità non la costruisci né tracciando l’inaccessibilità del mio corpo [la poesia non ne parla affatto] – in quanto sant@ [la poesia non dice di santificare nessuno] – né sul pentimento e sulle colpe [altre cose che nella poesia non ci sono].

Non do via la fika come premio a chi si pente dopo che ha recitato le mille Ave Marie femministe che gli impongo [grazie dell’informazione, “adesso me lo segno” (cit.)].

E c’è un motivo, secondo me, perché questa retorica [la retorica l’hai messa tu, quella è una poesia], che a mio avviso è anti-femminista [a tuo avviso ‘sta poesia dice tante di quelle cose…], ché non mi responsabilizza, non mi reputa in grado di autodeterminarmi, di essere presente a me stessa e alle mie scelte, come se io fossi perennemente lì a subire e basta, torna prepotentemente oggi in pieno backlash gender, quando essere femministe per certune significa essere più o meno delle sante [che in sé è pure una critica giustissima ma… che c’azzecca con questa poesia? NIENTE].

Giusto oggi che il moralismo arriva dappertutto, che le battaglie femministe sono diventate la maniera revisionista di autorizzare neocolonialismi, razzismi, mammismi, donnismi, ché fondamentalmente sono fascismi, l’unico femminismo che va’ di moda è tanto lontano dall’essenza stessa del femminismo quanto lo sono le sante dalle puttane autodeterminate [il motivo per cui questa cosa la si debba dire in coda a una poesia che non parla di nessuna delle cose elencate rimane un mistero].

Io sono femminista e sono sporca, sono sessuata, sto all’inferno, sento le fiamme di roghi e inquisizioni sotto il culo, non trovo solidarietà sociale né legittimazione morale da parte di patriarchi e tutori, ché sono io a difendermi, io a decidere cosa e come fare, io a restituire il mio personal/politico scommettendo sull’umano, con la fiducia per la capacità di disobbedienza e il senso critico di ciascuno [guarda che le poesie servono anche a dire questo. Questa non lo fa, secondo te? E chissenefrega cinque – rimane il fatto che non hai alcun diritto di argomentare che la poesia non rappresenta tutto lo spettro dei femminismi possibili, perché nessuna poesia è tenuta a farlo – non è un articolo di dominio pubblico, non è un saggio di sociologia, non è una legge, non è un regolamento. E’ una poesia].

Io faccio investimenti di intelligenza e se voglio fare capire a qualcun@ quanto la mia condizione sia discriminata non percorro le stesse vie cristiane [la poesia non lo fa], non mi metto in croce, non perdo la mia umanità perché in terra io resto, tra peccatori e peccatrici e non veicolo dicotomie [la poesia non veicola dicotomie, cerca di sollecitare un immaginario], volgari riferimenti alla mia fragilità carnale perché la mia carnalità vuole essere presa, afferrata, sensualmente graffiata, cullata, appassionatamente scopata [e c’era bisogno di scomodare Carol Diehl per dirlo?].

La mia umanità non sta nel fatto che io possa essere percepita come angelica, creatura indifesa da rispettare [cosa che nella poesia non viene minimamente accennata]. Sta invece nel fatto che io riesca a definirmi come difettosa e umana senza che ciò diventi la giustificazione per potermi prevaricare e opprimere, anima (laica) e corpo, nelle mie decisioni [che è quello che dice la poesia, se l’avessi letta come tale e non come l’ultimo articolo di Camillo Langone].

Perciò invece di tutti quei “Se” vittimisti, cui seguono auspici di tutela e d’autoritarismo vario [che siano vittimisti è una tua interpretazione, libera come tutte le altre interpretazioni, essendo quella una poesia; dove sono questi auspici però non si capisce, dato che la poesia è fatta solo di se], io avrei detto totalmente altro [e fallo allora: fai una bella poesia e vediamo quanto la condividono in giro. Poi ci chiediamo il perché, ok?]. Sennò prima o poi finiremo per realizzare un vero e proprio rovesciamento per nulla sovversivo: se siamo martiri… gli uomini sarebbero stregoni, gli stregoni sono diavoli e i diavoli vanno bruciati al rogo [e se mio nonno c’aveva tre palle era un flipper]. Se volevamo dare vita ad un’altra inquisizione [tipo questa sulle poesie? Ma dove l’hai vista questa inquisizione? E’ una poesia che chiede solo “se”] bastava tenerci quella che c’era ed esigerne i posti di comando e le possibilità di giudizio. Però mi è davvero nuova quella dello sconfiggere i sessismi, gli integralismi, i fascismi, replicandoli con un cambio di sesso. Davvero nuova… [non è nuova. È la tipica retorica di chi non sa leggere poesie se non come opposizione insanabile tra il pensiero giusto e quello sbagliato. Incurante di ogni altra espressione libera – come sono le poesie.]

Non si decostruiscono le poesie. Qui c’è scritto da un pezzo il perché. Dovrebbe bastare saper leggere.

Deconstructing la vanvera

"vanvera kills" di the wasted nothing

Eccolo qui, puntuale come sempre, l’allievo di Massimo Fini che c’ha qualcosa da dire sul sessismo. Poteva far mancare la sua autorevole opinione sui fattacci di Battiato? Ero quasi preoccupato.

Boldrini vs Battiato: non usiamo il sessismo a vanvera [notate le finezze già nel titolo: sono messi l’uno contro l’altra due persone che nei fatti non si sono manco parlate, e poi il sessismo viene nominato come uno strumento che si usa, non come un fenomeno da avvertire quando presente – così non ci dobbiamo preoccupare di definirlo, diamo per scontato che siamo tutti d’accordo su cosa sia. E invece non è così.]

Da cittadino libero, in una realtà normale, non mi interesserebbe che a ricoprire una determinata carica politica o socialmente rilevante sia un uomo o una donna [forse perché non sei una donna, c’hai pensato?], ma semplicemente vorrei una persona che abbia le capacità per farlo [nobile proposito, ma non sarebbe prima opportuno raggiungere a tappe forzate la parità di possibilità per tutt*? Poi applichiamo la meritocrazia – una volta capito come. Se lo fai da adesso, le donne saranno sempre in meno e non per colpa loro, ma perché non sono partite alla pari].

Il concetto di normalità, in fin dei conti, è molto relativo, mentre meno relativo è il dato di fatto che, ai vertici di ogni istituzione, ci siano più uomini che donne e quindi particolare enfasi viene data quando una carica di un certo peso viene assunta da una donna [enfasi è troppo vago, per i miei gusti. Molta di quella enfasi è spesso animata dallo stupore più maschilista]. Ho già avuto modo di esprimermi sulle quote rosa [argomento che non c’entra niente, qui, ma fa tanto colore] e rimango a favore della meritocrazia sempre e comunque come obiettivo finale [di cosa? Così, obiettivo finale in genere].

Molto apprezzata è stata l’elezione alla presidenza della Camera, da parte dei partiti, di Laura Boldrini, l’essere donna ha amplificato qualsiasi suo merito personale precedente [caro il mio appassionato di meritocrazia, Boldrini ha un CV che fa spavento, cosa che, per esempio, parecchi precedenti presidenti della Camera non hanno, c’hai pensato? Comunque è molto carino insinuare il ruolo avuto da ‘l’amplificazione’, complimenti]  e questo lo comprendo perché non è un evento che si verifica spesso. In linea di principio, ritengo infelice dover omaggiare una carica per la semplice appartenenza ad uno dei due generi [infatti non è successo, la si è omaggiata – che orribile espressione – in quanto personalità nota all’estero per meriti eccezionali, non perché donna], ma la situazione è quella che è ed è comprensibile e legittimo sottolineare la presenza femminile ad una delle più alte cariche dello Stato [se, vabbè].

Franco Battiato in veste di Assessore al Turismo della Regione Sicilia, durante un incontro a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo, ha detto: “Ci sono troie in giro in Parlamento che farebbero di tutto, dovrebbero aprire un casinò”.

Personalmente preferisco il Battiato cantautore al Battiato politico, ma non credo che queste sue affermazioni possano suscitare l’indignazione che ne è nata subito dopo.

La Boldrini ha replicato: «Stento a credere che un uomo di cultura come Franco Battiato, peraltro impegnato ora in un’esperienza di governo in una Regione importante come la Sicilia, possa aver pronunciato parole tanto volgari. Da Presidente della Camera dei Deputati e da donna respingo nel modo più fermo l’insulto che da lui arriva alla dignità del Parlamento. Neanche il suo prestigio lo autorizza ad usare espressioni così indiscriminatamente offensive. La critica alle manchevolezze della politica e delle istituzioni può essere anche durissima, ma non deve mai superare il confine che la separa dall’oltraggio» [leggete BENE la risposta di Boldrini, vi prego].

L’accusa di sessismo al cantautore è stata lanciata e lui si è difeso dicendo: «Sono particolarmente dispiaciuto che il Presidente della Camera si sia sentita offesa dalle mie parole, ma posso assicurare che la frase non era sessista [non lo decidi tu, Franco: sono le parole che hai usato a essere sessiste. Potevi benissimo usarne altre, invece hai usato quelle]. Facevo semplicemente riferimento alla “prostituzione” che c’era nel Parlamento italiano fino a pochi mesi fa [non c’era affatto, il termine è sbagliato anche tecnicamente: mentre un corrotto vende ad altissimo prezzo i suoi favori a pochi corruttori ben scelti, quando non a uno solo, la maggior parte delle prostitute è costretta a vendersi a un prezzo molto basso affinché sia accessibile a più clienti possibili, senza sceglierli], sia maschile che femminile [cosa che non altera di una virgola l’essenza sessista del linguaggio che hai usato – intenzioni e destinatario non cambiano nulla dell’insulto, oppure ci sono casi nei quali il razzismo è ammissibile?]». E poi tiene a precisare «non facevo riferimento né al Parlamento europeo né al Parlamento attuale ho solo parlato di un malcostume politico, non parlavo certo di donne [ah, no? E quella parola, di grazia, a quale genere fa riferimento?]. Io non sono mai stato sessista [nessuno sano di mente lo direbbe: il problema non è che lo sei, il problema è che hai adoperato un linguaggio sessista e neanche riesci a rendertene conto – ma tranquillo Franco, non sei solo, purtroppo] e chi mi conosce lo sa bene».

Nella testa però mi risuona forte la parola oltraggio usata dalla presidente Boldrini. La sua indignazione per l’oltraggio al Parlamento italiano mi colpisce.

E con l’oltraggio che il popolo italiano ha subito e sta continuando a subire dal Parlamento Italiano come la mettiamo [e che cacchio c’entra? Ma come non ci si rende conto che questa è una risposta del tipo “E allora le foibe?”]? Con le famiglie che non arrivano a fine mese [MA COSA C’ENTRA], i giovani che non trovano lavoro [MA COSA C’ENTRA] e che non riescono a costruirsi un futuro [MA COSA C’ENTRA], gli imprenditori che si ammazzano [MA COSA C’ENTRA], le pensioni e i diritti dei lavoratori che diventano sempre più un ricordo [MA COSA C’ENTRA], la cultura che viene fatta a pezzi come la mettiamo [MA COSA C’ENTRANO tutte queste cose? Sono senz’altro vere e nessuno le nega, ma perché tutte queste cose autorizzerebbero qualcuno a usare un linguaggio sessista? Esistono circostanze nelle quali non è un insulto razzista dare del “negro”? O non è omofobia dare del “frocio”?]?

E’ davvero possibile offendersi a tal punto per una espressione, forse infelice nelle modalità, ma corretta nei contenuti [NO, questo modo di intendere il linguaggio è SBAGLIATO: non c’è niente di corretto in un insulto sessista! Il suo contenuto è una discriminazione di genere, che non è MAI corretta, in nessun caso!]? E davvero possibile usare il sessismo per difendere un Parlamento [COSA? E perché mai attaccare Battiato per il suo linguaggio sarebbe una difesa del Parlamento? Le due cose non sono logicamente connesse – ovviamente Boldrini, in quanto presidente della Camera, DEVE anche fare questo – oltre che indignarsi per il linguaggio sessista. Ma tutti gli altri che se la sono presa con Battiato non hanno certo, automaticamente, difeso il Parlamento] che ha dato prova innumerevoli volte di non fare gli interessi degli italiani e per le cui scelte paghiamo tutt’ ora un amaro prezzo [e basta con questa demagogia da due soldi, su]?

Faccio fatica a pensare che, in questa fase storica, qualcuno possa pensare a difendere la dignità del Parlamento Italiano con questi toni [forse fai fatica perché quello che hai appena detto non è affatto successo, hai provato a pensarci?] a fronte di quello che è stato fatto notare essere stato spesso il suo operato [l’operato di TUTTO il Parlamento? Tutti tutti i parlamentari? Ma vogliamo imparare a usare i nomi collettivi o no, una buona volta?]. Magari Battiato può essere criticato per una certa volgarità di espressione [non sia mai che lasciamo fuori un po’ di moralismo travestito da buona educazione, eh], ma  sinceramente la preferisco agli spettacoli di cui, non di rado, il Parlamento è stato protagonista (basti ricordare lo squallore con cui fu accolta la caduta di Prodi con “onorevoli” che bivaccavano con mortadella e champagne in Senato [MA COSA C’ENTRA], il comportamento e l’atteggiamento di Berlusconi, proprio nei confronti delle donne, fuori e dentro la politica [MA COSA C’ENTRA] o le vicende di vari parlamentari che hanno cambiato improvvisamente casacca a cui Battiato sembrava alludere in misura maggiore [MA COSA C’ENTRANO tutti questi esempi? Due schifezze fanno due schifezze, perché una di queste autorizzerebbe qualcuno a usare un linguaggio sessista? PERCHE’?]).

Qui, a mio parere, il sessismo non c’entra niente [e certo, hai dato prova di non sapere cosa sia!], non utilizziamolo come una ricetta preconfezionata per difendere l’indifendibile [dire che Battiato ha usato un linguaggio sessista non vuol dire difendere i parlamentari corrotti e ipocriti – al massimo vuol dire difendere l’istituzione! E ti sembra la stessa cosa?] ogni qualvolta se ne presenti l’occasione.

Vogliamo invece concentrarci sulla ripresa del paese? [Perché, non è quello che poteva fare anche Battiato, in quel discorso? A lui non dici niente?]

Deconstructing le vergini violate

Cosa c’è di più divertente – e ipocrita – che difendere un linguaggio sessista usandone uno ancora peggiore? Ecco qua che l’osannato Travaglio si adopera anche in questa fine acrobazia. Qui la sua meraviglia.

Oggi sono Boldrini e Grasso a strillare come vergini violate [insulto sessista #1] contro Franco Battiato che ha avuto l’ardire di dichiarare: “Mi rallegro quando un essere non è così servo dei padroni, come queste troie [insulto sessista #2] in giro per il Parlamento che farebbero qualunque cosa, invece di aprirsi un casino”. Apriti cielo! Proteste unanimi da destra, centro e sinistra, mobilitazione generale, emergenza nazionale, [ma che spiritoso] manca soltanto la dichiarazione dello stato d’assedio con coprifuoco, cavalli di frisia e sacchi di sabbia alle finestre [davvero un simpaticone]. Boldrini: “Respingo nel modo più fermo l’insulto alla dignità del Parlamento, stento a credere” ecc. Grasso: “Esprimeremo il nostro disagio al governatore della Sicilia per le frasi dell’assessore Battiato” [e che dovevano dire? Fargli i complimenti? Per quanto deprecabile, il loro lavoro li obbliga a queste prese di distanza, come anche l’ultimo dei giornalisti sa – invece perculiamoli].

Sui cinquanta fra condannati, imputati e inquisiti che infestano il Parlamento, invece, nemmeno un monosillabo [Travaglio, ma che c’entra? Proprio tu ti metti a usare il metodo “E allora le foibe?”]. Invece giù fiumi di parole e inchiostro contro il cantautore-assessore che osa chiamare troie le troie [insulto sessista #3 e #4]. Pronta la mossa conformista [conformista? Dimettere qualcuno a causa di un linguaggio sessista? Ma quale conformismo? Quando s’è mai visto prima?] del governatore Crocetta, un tempo spiritoso e controcorrente specie sulle questioni di sesso [e lo è ancora – è Battiato che non ha mai fatto ridere nessuno], ora ridotto alla stregua dell’ultimo parruccone politically correct [aridàje: non ha fatto niente da “parruccone”, anzi il contrario], che mette alla porta il fiore all’occhiello della sua giunta, financo equiparandolo a uno Zichichi qualunque [è una battuta? Non s’è capito]. Si risente pure la Fornero [è, sai, è donna, anche se a volte – va detto – se ne dimentica opportunamente], che è pure ministro delle Pari Opportunità (infatti s’è scordata solo 390 mila esodati [di nuovo: che cacchio c’entra? Perché deve scordarsi a che genere appartiene a seconda della sua attività di ministra? Casomai sarà un’altra colpa di Battiato se grazie al suo linguaggio fa bella figura pure Fornero, no?]). Certo, il linguaggio usato da Battiato è da pugno nello stomaco [no, è sessista], tipico dell’intellettuale indignato [no, tipico dei sessisti] che vuol “épater” un Paese cloroformizzato [no, ha detto una delle parole più usate dalle Alpi a Lampedusa, non ho capito proprio dove sarebbe tutta questa esclusività]. Ed è facile dire che ci si poteva esprimere in termini meno generici [infatti il difficile è dire che ci si poteva esprimere in termini meno SESSISTI], o aggiungere subito e non dopo che la denuncia riguarda anche le troie-maschio [fanno due insulti sessisti, Marco caro, non che uno cancelli l’altro], pronte a vendersi al miglior offerente [cosa che, tra l’altro, non è certo quello che succede alla stragrande maggioranza delle prostitute, che invece vengono vendute a prezzi stracciati senza certo poter scegliere i “clienti”. Quindi quella parola è sia un insulto sessista che un vero e  proprio errore, dato che l’attività che si vorrebbe stigmatizzare è un’altra].

Ma andiamo al sodo: è vero o non è vero che il Parlamento, anche questo, è pieno di comprati, venduti, ricomprati e rivenduti [e, per l’ennesima volta, che c’entra? Questo autorizza qualcuno a usare un linguaggio sessista? E perché non uno razzista, allora?]? È lo spirito losco del Porcellum (nomen omen [insulto specista #5 – sì, perché “troia” è bisvalido, è anche un insulto specista]) che porta alla prostituzione della politica, alla nomina dei servi dei partiti e innesca la corsa sfrenata al servaggio e al leccaggio per un posto al sole [e allora tu perché non fai i nomi? E perché non li ha fatti Battiato? Meglio un bel nome collettivo che è pure un insulto sessista e specista, certo]. E come li vogliamo chiamare questi servi, che si vendono la prima volta per farsi candidare in cima a una lista e poi magari si rivendono per voltar gabbana a seconda delle convenienze [CON IL NOME, SE HAI LE PROVE, SE NO TE NE STAI ZITTO E NON OFFENDI NESSUNO]? Passeggiatrici? Lucciole? Mondane? Falene? Peripatetiche? [ma non te ne accorgi da solo che hai solo sinonimi al femminile? E ci fai pure il giornalista, complimenti per la consapevolezza del proprio linguaggio!] Chi voleva capire ha capito benissimo: accade a tutti [a me no] di dare della “troia” [insulto sessista #5] a chi, maschio o femmina, è disposto a tradire e a tradirsi per un piatto di lenticchie o a vendersi per far carriera [no, lo vedi che non hai capito? Quello che hai descritto è il comportamento di un doppiogiochista: di nuovo, la prostituta in genere non può scegliere né aspettare, né migliora certo la sua situazione “lavorando”]. Ma, nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière è l’Italia e non la Francia, ci si straccia le vesti appena qualcuno squarcia il velo dell’ipocrisia [quale velo? Che ci siano corrotti e corruttori in Parlamento lo si sa da un pezzo! E anche grazie a te! Il berlusconismo consiste proprio nel non nascondere le pratiche più scorrette, facendole passare per prassi consolidata!] e dice pane al pane: ieri sui ricatti della Bicamerale, oggi sulla mignottocrazia [insulto sessista #6] (copyright Paolo Guzzanti).

Battiato è come il bambino che urla “il re è nudo” e la regina è troia [insulto sessista #7 – ed è così contento di dirlo che non si accorge che con la favola menzionata il gesto di Battiato non c’entra niente – lo vediamo tutti da un pezzo che il re è nudo]. Tutta la corte intorno sa benissimo che è vero, ma arrota la boccuccia a cul di gallina [insulto specista #6] e prorompe in urletti sdegnati. Lo sa tutto il mondo come e perché sono stati/e eletti/e certi/e cosiddetti/e onorevoli. Persino in India, dove la Ford si fa pubblicità con un cartoon che ritrae lo statista di Hardcore col bagagliaio dell’auto pieno di mignotte [insulto sessista #7]. I primi a saperlo sono i nostri giornali, che han pubblicato centinaia di intercettazioni sulle favorite del Cainano e sulla compravendita dei parlamentari, e ora menano scandalo perché Battiato, dopo averci scritto una splendida canzone Inneres Auge), li chiama per nome [magari! Invece ha usato un nome collettivo – che sono sempre sbagliati, come si sa – che è pure un insulto sessista]. E non si accorgono neppure che il loro finto sdegno [che ne sai che è finto? Quello di Boldrini è finto?] non fa che confermare le parole di Franco [no, stai mettendo insieme due circostanze che invece sono differenti. Il fatto che a me quelle parole facciano schifo non significa certo che difendo i parlamentari corrotti. Io stigmatizzo l’uso di un linguaggio sessista, a prescindere dalle circostanze]. Se uno accenna ad alcune troie [insulto sessista #8] e si offendono tutti/e, la gente [la gente, ma davvero un giornalista professionista usa ancora questo termine?] penserà: “Però, guarda quante sono! Credevo di meno…” [però, in che bella considerazione tieni le persone comuni, Travaglio, grazie].