Di pippe all’asilo, ideologia gender e comici norvegesi

Non so se lo sapete – il tipico inizio di chi presuppone che i suoi lettori siano già d’accordo con chi scrive, ed è per questo che vi amo così tanto – ma da qualche tempo pare che ‘sta polemica sul “gender” abbia passato un po’ il limite. Anzi, ne ha passati diversi, perché come insegna il buon Carlo Cipolla, «sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione». E questo ha delle conseguenze, soprattutto se, com’è facile dimostrare, a trarne vantaggio sono sempre i soliti banditi – per usare ancora la terminologia di Cipolla.

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L’extracomunitario stupido in divisa (avvisate Salvini)

In questa immagine potete vedere l’inizio di una comunicazione che un parroco di Cerveteri ha pensato bene di diffondere sul suo territorio, presa da questo luogo virtuale su facebook. Leggiamo che:

…i vostri figli saranno istigati all’omosessualità […] saranno invitati alla masturbazione precoce fin dalla culla […] obbligati ad assistere alla proiezione di filmati pornografici […] obbligati ad avere rapporti carnali con bambini dello stesso sesso.

Il tutto, secondo questo genio, accadrebbe in corsi presenti nel Piano di Offerta Formativa della scuola, cioè in un documento ufficiale di una struttura pubblica. E in più, il suo delirio di stupidità non è proiettato al futuro, ma è storia ed esperienza, perché

Queste cose sono già accadute nelle scuole in cui il gender è stato sperimentato, Italia compresa, producendo nei minori pianti, svenimenti e danni psicologici irreparabili!

Ovviamente, nessuna prova a riguardo. Perché prove non ce ne possono essere, dato che si parla di una cosa che non esiste né è mai esistita. Un qualunque avvocato, anche non particolarmente esperto di questi argomenti, potrebbe facilmente convincere il genitore ingenuo ma ancora fedele alla parrocchia che:
1) quel parroco si è reso colpevole del reato di diffamazione verso tutte quelle persone che lavorano nella scuola e per la scuola alla costruzione del P.O.F., dato che non può provare nulla di quanto afferma gravemente, gettando così discredito sulla sua persona e sull’istituzione che rappresenta (che poi questo non interessi manco alla suddetta istituzione è un altro discorso, ma vabbè);
2) il parroco non capisce niente di leggi e cita a vanvera le norme nazionali e internazionali sul diritto all’istruzione scelto dai genitori: una volta che hai iscritto la prole a una scuola, hai esercitato il diritto. Punto. Questo non si estende direttamente agli argomenti e ai contenuti, altrimenti ai miei figli avrei prescritto almeno cinque ore settimanali di storia dell’A.S. Roma.

Di solito a un extracomunitario in divisa che pensa di capirci qualcosa di questioni di genere e di diritto all’istruzione – e invece è solo, nei termini cipolliani, uno “stupido” perché col suo agire arreca danno a sé a agli altri – rispondo abbastanza esagitato che “l’ideologia gender non esiste” passando ad argomentare punto per punto le sue castronerie.
Ma così facendo rischio di essere stupido anche io. Passiamo a un argomento più serio. Dura poco, promesso.

Ma ‘sta ideologia gender esiste o no?

marescialli2Dice molto saggiamente l’amico Alessandro Lolli che sia “ideologia” che “gender” sono diventate parolacce a causa del loro uso politico da parte di una ben precisa cerchia di persone, che avevano e hanno ancora un interesse specifico affinché queste parole, sia separatamente che insieme, siano connotate negativamente – a questo tipo di persona affibbio il nome cipolliano di “banditi”.

E tuttavia quello che affermano gli studi di genere è una visione del mondo, di un mondo non presente, una visione rivoluzionaria di un mondo a venire. Non dobbiamo credere alle paranoie delle maggioranze accerchiate, questa immagine è falsa e offensiva. È terribilmente offensiva perché i nazisti, che sul tema erano sicuramente più vicini alle posizioni di Miriano e delle Sentinelle in piedi rispetto a quelle dei movimenti LGBT, hanno sterminato migliaia di omosessuali. È palesemente falsa perché la società occidentale è ancora dominata dal maschio bianco eterosessuale e le sue categorie strutturano le menti delle donne e degli uomini. La maggior parte delle persone crede che ci sia qualcosa di naturalmente maschile come la determinazione, l’aggressività e la passione per gli sport e qualcosa di naturalmente femminile come la dolcezza, la remissività e la mania dello shopping. Quello che De Beauvoir, Belotti e Butler, pensano delle donne e degli uomini, e di conseguenza quello che Chiara Lalli, Pasquale Videtta e Simona Regina riassumono nei loro articoli, è tutt’oggi enormemente distante da ciò che ne pensano le donne e gli uomini comuni.

In effetti tutti quegli stupidi che straparlano di gender senza averci mai capito niente si fanno rispondere che, come ho detto anche io spesso, la teoria del gender non esiste. Questo però tecnicamente non è esatto, perché anche quella proposta e difesa dalla chiesa cattolica è una ideologia gender, una delle tante possibili: “la natura ci fa uomini e donne eterosessuali, il resto è un’offesa al creato cioè a Dio, vallinferno punto”. Dire che non esiste è una tattica produttiva?

Ma se sono delle tattiche bisogna capire se funzionano, se raggiungono gli obiettivi. Forse localmente questa tattica è vincente, forse negare la propria radicalità per entrare nelle scuole, nei festival, negli ospedali, nelle istituzioni è efficace; ma ho dubbi sulla bontà strategica di questa ritirata nella non-esistenza. Mi ricorda una delle mosse che ha fatto la sinistra italiana per raggiungere la propria estinzione negli ultimi vent’anni.

Méttece ‘na pezza… (per gli esterni al GRA, la traduzione è: “non è facile da confutare, questo punto di vista”). E a proposito di pezze, a sostenere che l’ideologia gender non esiste si corre un altro rischio, come sottolineano Federico Zappino e Deborah Ardilli:

Sarebbe poco interessante replicare alle argomentazioni di ciascun negazionista, così interessato a sostituire idraulicamente la teoria del gender con gli irenici “studi di genere”, o con i programmi scolastici di “educazione alle differenze” volti alla decostruzione degli stereotipi o alla promozione di un maggior rispetto per le “diversità”, o a bacchettare col dito alzato sulla parola “teoria”, sostituendola con il plurale “teorie”, o con il rocambolesco “teorizzazione”. Sarà sufficiente digitare su qualunque motore di ricerca “la teoria del gender non esiste” per avere una panoramica sufficientemente ampia dell’allucinato dibattito in corso. Quale che sia il nostro giudizio sugli “studi di genere”, sulle “teorie” al plurale, sulle equilibriste “teorizzazioni”, sulla bontà della decostruzione degli stereotipi o sull’auspicabilità di una società più rispettosa, reputiamo innanzitutto più importante rinunciare a fare atto di sottomissione ai termini del discorso così com’è impostato, poiché attraverso questo discorso l’eteronormatività tenta di mettere una pezza ai problemi che essa stessa ingenera.

E anche questo è vero: a furia di dire che non esiste si assume come valido il paradigma discorsivo di chi il gender non lo vuole, e certo non si fa un favore a quel modo di vedere il mondo liberatorio e auspicabile per tutt* che invece l’eteronormatività continua a volere per sé, “concedendolo” più o meno e in vario modo a chi eteronormale non è. Rimane il fatto che non si può parlare allo stesso modo col parroco di Cerveteri e con Marzano e Muraro, che negano – loro sì – l’esistenza di qualunque gender non corrisponda alla loro ideologia. E allora?

Diceva qualcuno: tattica ed etica

Faccio un esempio personale, a proposito di esistenza o meno di ideologia gender.norwegian_glbt_pride_flag_postcard-r85f11401be624623bdb6c8ed413a7044_vgbaq_8byvr_512

Qualche settimana fa trovo sul solito gruppo facebook di difensori della famiglia naturale e di tutte le altre cose belle della chiesa loro ma non delle altre un link a questo documentario norvegese, nel quale il comico Harald Eia avrebbe fornito prove per le quali «il governo norvegese ha ritirato il finanziamento al Nordic Gender Institute nato a sostegno dell’ideologia del gender». Facciamo finta che queste parole abbiano un senso, e chiediamoci: mo’ che faccio?

Io ho fatto una cosa credo molto sensata: ho chiesto a una persona affidabile che sa il norvegese perché vive in Norvegia di aiutarmi a capire se quello che viene detto nel documentario, e ciò che si racconta di esso, è vero ed è andato proprio così. Con facebook è facile eh, è fatto apposta per conoscere gente. Non lo usate solo per farvi gli affari degli altri, ogni tanto usatelo per fare anche i vostri. Ne è risultato che, parole di Cinzia Marini che ringrazio per l’aiuto,

il centro di ricerca interdisciplinare per gli studi di genere non è stato chiuso. Nel 2012 il Consiglio nazionale per le Ricerche norvegese ha tagliato temporaneamente i fondi ad uno specifico programma di ricerca di genere, integrandolo in un programma di ricerca più generale. Il centro è ancora aperto e attivo come vedi dalla versione inglese del loro sito. Dopo il programma di Eia, che era tendenzioso nella scelta degli interlocutori ma ben fatto, sono divampate le polemiche. Quello che ha evidenziato sono debolezze non negli studi di genere tout court, ma indubbiamente in certi ricercatori, nelle loro attitudini e nel modo di esprimersi, che naturalmente hanno portato all’assurdo certe differenze di paradigma. Le critiche fatte in Norvegia sono soprattutto riferite all’impenetrabilità di certa ricerca e al linguaggio usato, oltre che alla mancanza di aperture verso il paradigma biologico, ma non hanno mai messo in discussione l’esistenza e la necessità degli studi di genere. Cathrine Egeland e Jørgen Lørentsen, i due ricercatori intervistati, sostengono che Eia ha tagliato passaggi centrali dalle loro interviste. Secondo me non ci fanno una bella figura. Cathrine Egeland lavora oggi all’istituto per al ricerca sul Lavoro dell’Università di Oslo, sempre su studi di genere. Nel 2012, dopo il programma, ha tra le altre cose pubblicato questo rapporto. Jørgen Lørentzen, l’altro ricercatore, ha fatto ricorso al Comitato etico dei Giornalisti accusando Eia di aver tagliato e redatto gran parte della sua intervista. Su questo sito, purtroppo in norvegese, puoi vedere i due spezzoni (quello intero e quello redatto) a confronto: Dette sa Lorentzen til «Hjernevask». Lørentzen parla ad esempio molto del fatto che alcune teorie riducono l’essere umano al suo genere, mentre la faccenda è molto più complicata. Registri, emozioni, capacità di cui veniamo privati. Dice anche chiaramente, a proposito di domande precise sulla biologia, “questo non lo so, non è il mio campo”.

L’ideologia gender esiste anche se forse i due ricercatori norvegesi non l’hanno sostenuta molto bene, e anche se un comico con grossi pregiudizi – il suo documentario era certamente orientato verso una tesi da dimostrare a tutti i costi – prova a sostenerne l’infondatezza. L’uso strumentale, arbitrario e in evidente malafede della faccenda è un’ovvia conseguenza, quando si hanno amici politici come il parroco di Cerveteri.

In questo caso ci vuole un po’ di attrezzatura in più del solito – compresa un’onesta amica che vive in Norvegia – ma rimane il fatto che chi costruisce discorsi oppressivi alla fine viene fuori chi è, anche se invece di inventarsi balle, diffamare e parlare a vanvera oppure cantilenare ipocrisie perché sta in cattedra fa un bel documentario tecnicamente perfetto e apparentemente oggettivo.

norway_gay_pride_tshirt-r1dc9e7c2e76646e789d5ac7f557d2c6c_8nhmm_512Bene, la critica l’ho capita e starò più attento: invece di dire l’ideologia gender non esiste dirò «queste stronzate che vai dicendo sono solo pietose difese, non sai neanche di che stai parlando quando usi quell’espressione», oppure «non provare a rigirare le cose come ti fa più comodo, sai solo manipolare le chiacchiere», o anche «egregi* professor* non provi a nascondere o a dedurre cose perché non ci casco, lei è un* ipocrita»Il tutto seguito da argomenti convincenti non su qualcosa che non esiste, ma su qualcosa che esiste e che evidentemente è molto fastidiosa per chi ha un qualche potere patriarcale.

Anche io, in fondo, sono un ideologo del gender.

Ipocrisia alta a Venezia – Deconstructing Brugnaro

sidivertono La vicenda dei libri per bambini e del sindaco di Venezia immagino che la sappiate già:

«L’avevo promesso in campagna elettorale e l’ho fatto», ha spiegato Brugnaro, «ho dato ordine agli uffici che vengano ritirati tutti i libri con genitore 1 e genitore 2 dalle scuole, ma non dalle biblioteche, dove c’è libertà di scelta». Per Brugnaro sono «i genitori a doversi occupare di educare i figli su queste cose, non la scuola. Noi non vogliamo discriminare i bambini, a casa i genitori possono farsi chiamare papà 1 e papà 2 ma io devo pensare a quella maggioranza di famiglie dove ci sono una mamma e un papà».

Queste le alate parole del sindaco. Nei fatti è andata ancora peggio, perché la lista dei libri ritirati è parecchio grande.

Non staremo a fermarci troppo sulla figura del sindaco, che come tutti quelli che dicono di essere né di destra né di sinistra, nei fatti è di destra. Non ci soffermeremo sulla totale incompetenza in merito di chi decide una cosa del genere – non è solo lui, immagino i fior di professionisti della formazione interrogati in proposito – né sulla banale osservazione che tutto ciò s’inserisce perfettamente nel quadro della propaganda cattolica contro la sua stessa invenzione, la teoria del gender. Ci faremo invece due risate amare sul comunicato che il sindaco ha voluto fare “in risposta” alle polemiche sollevate dalla sua decisione. Ecco il link e il testo.

http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/84108

Denunciamo la polemica inerente quelli che sono stati definiti i libri sulla teoria gender. Ne è nata una speculazione culturale che non ci intimorisce.

Ah, la speculazione culturale la farebbe chi protesta, e non chi ritira i libri dalle scuole? Per rispondere alla domanda “cos’è una speculazione culturale” basterebbe andare a vedere chi li ha definiti libri sulla teoria gender. Libri scelti poi, si suppone, da professionisti dell’insegnamento: i quali vengono così deliberatamente accusati di non saper fare il loro lavoro. Ma sì, tanto agli insegnanti in Italia si può fare tutto, chissenefrega: c’hanno tre mesi di vacanza all’anno, ci manca pure che possano capire qualcosa. E poi il sindaco non si fa intimorire – notate come lui, come tutti i sostenitori della fuffa gender, si pone subito dalla parte di chi subisce qualcosa, di chi si deve difendere, di chi tutela una libertà violata. Quale? Non si sa.

Non potendo avere una visione completa ed esaustiva della questione, si è preferito ritirare tutti i libri distribuiti dalla precedente Amministrazione in modo da poter verificare serenamente e con piena cognizione di causa quali siano, e soprattutto quali non siano, adatti a bambini in età prescolare.

Il sindaco ammette che né lui né la sua amministrazione sono in grado di avere una visione completa ed esaustiva della questione, quindi invece di fidarsi della professionalità altrui – chi ha scelto i libri – li ritirano tutti e via così. Non sappiamo quali medicine fanno davvero bene e quali male, chiudiamo le farmacie. Non sappiamo quale cibo sia più o meno avvelenato da porcherie chimiche, quindi chiudiamo i supermercati. Queste sono assurdità, mentre ritirare i libri no. Chi è che farebbe, allora, una speculazione culturale? E poi, oh: solo quelli distribuiti dalla precedente amministrazione. Questa non sarebbe, invece, una speculazione politica? Allora perché non tutti? Cosa assicura che due amministrazioni fa i libri distribuiti non parlino di zozzerie che fanno piangere Gesù?

Il vizio di fondo è stata l’arroganza culturale con cui una visione personalistica della società è stata introdotta nei nidi e nelle scuole per l’infanzia unilateralmente, in forma scritta e senza chiedere niente a nessuno, in particolar modo alle famiglie.

Notate la scelta lessicale: vizio. Non errore, né sbaglio, né abuso: vizio. Cosa ricorda in un paese cattolico la parola vizio? Il vizio sarebbe stato introdurre ai bambini discorsi sulla diversità, che notoriamente è una visione personalistica della società. Quindi secondo Brugnaro più difendo la diversità di genere più sono egoista. Ma sì, contraddiciamoci pure, chi vuoi che se ne accorga? Io non sono né di destra né di sinistra e ho vinto le elezioni, quindi IO posso fare le cose senza chiedere niente a nessuno. Qualcuno ha idea della burocrazia necessaria a far adottare un libro a scuola? Di questa decisione ne devono essere a conoscenza un esercito di persone e c’è da imbrattare un sacco di carta. Invece secondo il sindaco ci sono egoisti in paillettes e boa di piume che entrano nottetempo negli asili a piazzare libri peccaminosi all’insaputa dei genitori – tra l’altro, se fosse così, come avrebbe potuto il sindaco produrre una lista tanto precisa? Evidentemente, la cosa era nota e approvata da tempo dall’amministrazione, e quei libri erano nelle scuole da un pezzo. Perché adesso è un problema e prima no?  Dov’erano i genitori all’insaputa, prima?

I genitori dei piccoli devono, invece, avere voce in capitolo su aspetti determinanti che riguardano l’educazione dei loro figli e non esserne aprioristicamente esclusi.

Aprioristicamente esclusi? Ma questo non è il paese dove per far venire i genitori alle riunioni non si sa più che inventarsi? Questo non è il paese dove fare il rappresentante di classe è considerato una rottura di scatole seconda solo a una ispezione di Equitalia? Questo non è il paese dove i genitori temono come la peste i messaggi del gruppo Wazzup con gli altri genitori di classe e la maestra, per paura che ci sia un lavoro da fare o qualche euro da dare per i servizi primari della scuola? Questo sarebbe il paese che esclude i genitori dalla vita della scuola?

E’ quindi nostra intenzione esaminare con cura e obiettività i testi, non distribuendo quelli inopportuni per i più piccoli, che pure restano liberamente consultabili da parte degli adulti nelle biblioteche.

E chi li esaminerebbe? Con quali criteri smentire la distribuzione già fatta? Inopportuni perché, dato che rimangono nelle biblioteche? E perché consultabili da parte degli adulti, dato che sono libri per bambini e anche loro vanno in biblioteca? Ma qualcuno che ha una minima preparazione in queste questioni lo ha riletto questo comunicato?

Molti libri, che trattano i temi legati alla discriminazione fisica, religiosa e razziale, sono notoriamente straordinari e verranno certamente ridistribuiti, come ad esempio le opere di Leo Lionni “Piccolo blu e piccolo giallo” e “Guizzino”. Le riserve riguardano, invece, alcuni testi come “Piccolo uovo” di Francesca Pardi o “Jean a deux mamans” di Ophelie Texier.

Sì, qualcuno che ci capisce lo ha letto, evidentemente, dato che alcuni nomi sembrerebbero esclusi – anche se per ora sono ritirati come tutti gli altri, la cui pericolosità è stata ben individuata. Allora i criteri li hai o no? Perché dire ancora che c’è da valutare? La lista l’hai fatta, sindaco, ormai quelli li ho buttati! Adesso mi dici che qualcuno invece andava bene? Attenzione: vanno bene quelli che trattano i temi legati alla discriminazione fisica, religiosa e razziale. Della discriminazione sessuale, del sessismo, del maschilismo, dei diritti LGBTQI, non si deve far sapere niente soprattutto ai bambini. E’ su questo che genitori e sindaco sono all’erta. Solo su questo.

Sarà un lavoro di analisi fatto con cura e attenzione, anche approfittando del periodo estivo e delle vacanze scolastiche, valutando quali siano le persone più adatte a questa selezione ed evitando, così, ulteriori diatribe e strumentalizzazioni di un argomento che, ad oggi, ha fatto anche troppo parlare di sé.

Facciamo le cose d’estate, che nessuno ne ne accorge, e poi di questo argomento si è anche parlato troppo – però che politica nuova che fa il sindaco della lista civica, davvero un rivoluzionario. Come farebbe poi una amministrazione che sulla lista dei libri da ritirare ci ripensa in pochi giorni a saper valutare quali siano le persone più adatte rimane un mistero. Ma mica tanto misterioso: basterà scegliere tra genitori all’insaputa e dottissimi sostenitori della fuffa gender. Non vedo l’ora di sapere. Intanto gira tra estremisti cattolici e cattolici in divisa questo simpatico modulo da usare per il prossimo anno scolastico:

DichiarazioneGender

Questo lo firmeranno quei genitori che per riparare il loro impianto idraulico esigono professionalità; per la loro salute esigono trasparenza; per la gestione dei loro risparmi esigono trasparenza e convenienza; per i loro acquisti esigono la qualità e il risparmio. Per decidere dell’istruzione dei loro figli no, bastano loro.

Complimenti.

Ignoranza di genere #2

poracci

Diciamocelo: la recente manifestazione reazionaria e razzista messa in scena in Piazza San Giovanni a Roma, ironicamente chiamata dai diabolici organizzatori Family day, ha avuto l’indiscusso merito di far venire alla luce – non ce n’era gran bisogno, ma pazienza – un nutrito gruppo di intellettualoni capaci di sparare ciclopiche sciocchezze. Su cosa? Ma sui grandi sconosciuti della cultura italiana: gli studi di genere.

Visto che non vogliamo far torto a nessun*, rispetto alla prima puntata di “Ignoranza di genere” stavolta saranno perlopiù gli amici maschietti a tenere la scena, e scelti dal fior fiore degli intellettuali. Prima però d’immergerci nel simpatico clima di quel giorno, permettetemi qualche riga su un gustoso prodromo – tra i tanti sceglibili.

Nei giorni precedenti il famigerato giorno della famiglia c’era stato – vale la pena ricordarlo – il mitico Pietro Citati a dargli di fuffa, sfornando un favoloso articolo a proposito (?) del referendum irlandese sul matrimonio gay. Il suo appello agli omosessuali a “non essere banali” se la batte con qualcuna delle sue tremende quarte di copertina, che hanno gettato nello sconforto più generazioni di lettori. Il talento è quello, perché passare da un’affermazione come

Mentre conquistano i propri diritti, gli omosessuali pretendono di essere come gli altri: ciò che certo non sono

confondendo l’avere (i diritti) con l’essere (gay), a una perla come

I grandi omosessuali hanno un profondo orgoglio del loro ego: talora un disprezzo dei cosiddetti esseri normali, e della loro vita comune.

ci vuole solo la forza visionaria di chi pensa che tutti i gay siano come l’immagine di sé che raccontava Oscar Wilde, non a caso messo in foto. Va bene, direte voi che siete più buoni di me: ma Citati sta sempre lì nei libri, non è che ci possiamo aspettare una grande capacità di conoscere la realtà più quotidiana, o quello che studi sociali raccontano da decenni. Lui si occupa di letteratura. Epperò, dico io, tra le altre amenità è capace di uscirsene con una bella fascistonata tipo questa:

Nel caso degli omosessuali si aggiunge la coscienza della violazione e delle violazioni che essi impongono ai costumi di quella che resta la maggioranza.

Niente male eh? Secondo Citati i gay impongono violazioni ai costumi della maggioranza, cioè sono una minoranza che impone cose ai più: Citati crede, in sostanza, alla “lobby gay” che governa il mondo. Oh: questo è il pensiero di uno chiamato a fare il commento autorevole alla cronaca sul più diffuso quotidiano italiano. E non a caso: un’ammiccamento agli amici del Vaticano lo vogliamo dare? Eccolo:

In quasi ogni omosessuale, c’è qualcosa di demoniaco; ed è la coscienza di quella che molti di loro considerano la propria orgogliosa altezza spirituale.

E via con i gay demoniaci tra fumi di zolfo e zampe caprine, ché se ne vantano pure. Complimenti per l’autorevolezza e la preparazione.

Ma veniamo al giorno fatidico del 21 Giugno. Apre le danze Guido Ceronetti, che non ha voluto far mancare il suo augusto giudizio su Samantha Cristoforetti, chiamando in causa nietepopodimeno che il vecchio Sigmund:

Per un’analisi freudiana si potrà interpretare una donna fluttuante fuori gravità come desiderio soddisfatto di un rapporto incestuoso col padre, senza nozze tragiche, senza esplicazione, irrorazione e amorosa redenzione scenica.

Incestuosa in quanto astronauta donna: però, che profondità di analisi. Tanto Ceronetti aveva già deciso che una così non è neanche donna, ormai:

Di fisiologia ginecologica la sfidante intrepida non avrà certamente avuto più nessuna traccia, fin, credo dalla base, come in un evento patologico.

E insomma questo poeta caricato a cultura misogina è l’intellettualone cui dà spazio Repubblica. E adesso che ci siamo scaldati con gay e donne, passiamo alla famiglia.

Il Fatto Quotidiano vuole sbaragliare la concorrenza in fatto d’ignoranza e intellettualmaschilismo, e molla un pezzo da novanta: Diego Fusaro. Il quale, da vero filosofo, ci tiene a dire che

Non è mio interesse parteggiare per l’uno o per l’altro dei movimenti. Mi interessa, piuttosto, comprendere un ben più profondo fenomeno, che è oggi in atto, e che – ho cercato di argomentarlo nel mio studio Il futuro è nostro (2014) – coincide con la distruzione capitalistica della famiglia.

Questo è il suo pallino, oltre a quello di farsi pubblicità: i movimenti LGBT sono servi del capitalismo, che vuole disfarsi di Hegel per ragioni di vile danaro. Senti qua che roba:

Così, se la “destra del denaro” decide che la famiglia deve essere rimossa in nome della creazione dell’atomistica delle solitudini consumatrici, la “sinistra del costume” giustifica ciò tramite la delegittimazione della famiglia come forma borghese degna di essere abbandonata, silenziando come “omofobo” chiunque osi dissentire.

Capito? Destra e sinistra (che non esistono, ma quando serve sì) collaborano a bollare come omofobo chiunque tenti di difendere – da cosa non è dato sapere – la famiglia come forma borghese. Se non bastasse questa ben ponderata e profonda visione delle cose, c’è a testimoniare la sua preparazione negli studi di genere questa bella frasetta esplicativa:

Chi, ad esempio, si ostini a pensare che vi siano naturalmente uomini e donne, che il genere umano esista nella sua unità tramite tale differenza e, ancora, che i figli abbiano secondo natura un padre e una madre è immediatamente ostracizzato con l’accusa di omofobia.

Ma infatti, perché documentarsi? Meglio seguire le orme storicamente reazionarie, e non ci si sbaglia mai. Segue ammonimento a suon di Orwell. Peccato, un passo di Hegel ci sarebbe stato meglio. Per esempio, che ne so, questo?

L’uomo, quindi, ha la sua vita effettiva, sostanziale nello Stato, nella scienza, ecc. e, in genere, nella lotta e nel travaglio col mondo esterno e con se stesso, sì che egli, soltanto dal suo scindersi, consegue, combattendo, la sua unità autonoma con sé, la cui calma intuizione e la cui eticità soggettiva sensitiva egli ha nella famiglia, nella quale la donna ha la sua destinazione sostanziale, e in questa pietà il suo carattere etico. (Lineamenti di una filosofia del diritto)

Eccola, la famiglia hegeliana tanto amata da Fusaro: l’uomo fa il cittadino e il filosofo, la donna bada alla casa. Eh sì, molto naturale e poco capitalistico. Oh, per inciso, non è che poi i detrattori di Fusaro siano tutti meglio di lui, eh: tal Raffaele Alberto Ventura, citato da Minima&Moralia da molti per perculare Fusaro, è uno che nel suo post più noto in proposito, spara ‘na cosa come

… su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing…

cioè chiama Judith Butler, filosofa coi fiocchi da qualche decennio, una moda intellettuale rilevante quanto una idiota moda giovanilistica, e chiama gli studi di genere col nome che gli danno i fanatici cattolici in vena di propaganda e fuffa: teoria del gender. Che sia facile smontare gli argomenti di Fusaro è noto, ma non ci si potrebbe documentare meglio sulle cose che evidentemente non si conoscono? A rifletterci ci sarebbe un problema, a tradurre spensieratamente l’inglese gender: cioè almeno cinquant’anni di studi seri che nel mondo anglosassone, com’è ovvio, hanno cambiato da un pezzo l’uso di quella parola. Se io la spendo qui in Italia senza minimamente avvertire chi legge, sto o no facendo una pessima operazione culturale? Sì, sto facendo una pessima figura – sempre supponendo la buona fede. Se no evidentemente mi fa comodo usare gender e “genere” come sinonimi, come se niente fosse.

Operazione che avrebbe dovuto fare Michela Marzano, la quale scrive con la volontà di fare chiarezza teorica sul problema. Prima di tutto non ci pensa nemmeno per un attimo a fare la cosa che andrebbe fatta sempre e subito cominciando discussioni o articoli su questi temi: dire che la “teoria del gender” non esiste, è un’invenzione fatta per motivi politici e propaganistici che ha autori precisi e noti come i suoi scopi – oppure dire che quella cattolica è una delle tante possibili gender ideology, e che la Chiesa la difende strenuamente spacciandola per verità naturale. Invece usa allegramente quell’espressione come fosse il solito sinonimo spendibile tranquillamente, e poi pensa bene di divulgare cose sostenendo che

C’è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della mascolinità, cercando di mostrare che è da bambini che si introiettano modelli e comportamenti […] (si pensi alle ricerche di Nicole-Claude Mathieu, di Françoise Collin e di Luce Irigaray)

le quali sarebbero le prime a sorprendersi di vedersi attribuiti quegli argomenti. Marzano procede poi nominando un tale Jonathan Katz che è o un comico o il director of the Maryland Cybersecurity Center at the University of Maryland. Probabilmente si voleva riferire a Jackson Katz – ma chi volete che lo conosca, in Italia? Appunto: nessuno e pochi altri. Dopo queste altre approssimazioni, la conclusione è che

Si capisce quindi bene come non esista una, e una sola, “ideologia gender” ma un insieme eterogeneo di posizioni. Alcune più radicali, altre meno. Alcune talvolta eccessive, come certe posizioni queer di Teresa de Lauretis.

Grazie Marzano! Finalmente abbiamo detto non che l’ideologia gender non esiste, pensando al pubblico italiano, ma anzi che ce ne sono tante, pensando a tutto il resto del mondo; e qual è quella eccessiva? Quella delle gerarchie cattoliche, attive fin dagli anni ’90 nella loro propaganda anti LGBTQ? No! L’eccessiva è quella «queer di Teresa de Lauretis» – eccessiva solo per Marzano ovviamente, e non ci viene detto perché, anche se è facile intuirlo dalla citazione evangelica che chiude il pezzo.

Infine il 23, last but not least, arriva Paolo Ercolani (ve lo ricordate? E’ quello che l’otto marzo ha scritto alle donne di «restare donne», annunciando un suo libro in proposito). Il nostro pensa bene, o lui o chi gli fa i titoli, di lanciare un richiamo alla Antonelli appena morta tra i commenti sessisti di moltissimi, chiamando il pezzo “Sesso matto”. I primi complimenti sono per questa scelta di gran gusto. Poi anche lui si lancia a criticare Fusaro, cosa poi non tanto difficile, proprio sulle fonti, sui tanto venerati maestri che i due hanno in comune. Cioè, sulla questione “famiglia” Ercolani pensa bene di difendere Hegel, così:

Nel caso di Hegel la fami­glia deve essere supe­rata da una «società civile» in cui si eser­citi la piena libertà indi­vi­duale, non­ché da uno Stato che non si lascia rego­lare da dogmi ideo­lo­gici e men che mai reli­giosi nell’esecuzione del pro­prio governo e nella pro­mul­ga­zione delle leggi.

La citazione riportata più sopra spiega bene chi sono per Hegel i membri della società civile: solo gli uomini e le donne no. Aggiungiamo un’altra citazione hegeliana che spiega il perché le donne non possono essere cittadine come gli uomini:

Le donne possono, certamente, esser colte, ma non sono fatte per le scienze più elevate, per la filosofia e per certe produzioni dell’arte, che esigono un universale. Le donne possono avere delle trovate, gusto, delicatezza; ma non hanno l’ideale. La differenza tra uomo e donna è quella dell’animale e della pianta; l’animale corrisponde più al carattere dell’uomo, la pianta più a quello della donna; poiché essa è più uno svolgimento quieto, che mantiene a suo principio l’unione indeterminata del sentimento. (Lineamenti di filosofia del diritto)

Tutto ribadito abbondantemente anche nella Fenomenologia dello spirito, come vedremo. Niente male eh? Difendere la famiglia in Hegel contro Fusaro è davvero un’idea geniale. Bravo Ercolani. Il quale poi passa a difendere il caro Marx:

Ma è lo stesso Marx che con­si­de­rava la «fami­glia» come un ele­mento fon­da­tivo di quello stesso sistema capi­ta­listico, tanto da defi­nirla un micro­co­smo in cui si repli­ca­vano gli stessi rap­porti di forza e di sfrut­ta­mento (a danno della donna) tipici del macro­co­smo della società capitalista.

dimenticandosi – lui e per un bel po’ un sacco di pensatori sedicenti marxisti – che due cosette in proposito le aveva scritte anche Engels, che non ci crederete ma era capace di scrivere anche senza l’amico Karl. E scriveva roba così, in un testo intitolato, guarda caso, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato:

Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l’unità economica della società. L’amministrazione domestica privata si trasforma in un’industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse; la società ha cura in egual modo di tutti i fanciulli, legittimi e illegittimi. E con ciò cade la preoccupazione delle “conseguenze”, la quale oggi costituisce il motivo sociale essenziale – sia morale che economico – che impedisce ad una fanciulla di abbandonarsi senza riserve all’uomo amato.

Niente male per un testo del 1884, no? E tenendo conto che lui lo aveva già scritto nei Principi del comunismo (1847), e che ovviamente «Aboliamo la famiglia!» era già nel Manifesto – no il giornale dove scrive Ercolani, quello vero del 1848. Peccato che non sia mai stata realizzata, ‘sta cosa, da nessuna rivoluzione; e peccato non esserselo ricordato, apparentemente, né Ercolani né Fusaro (e manco Marx, c’è da dire). Infatti si continua allegramente con cose tipo

I cit­ta­dini, ci inse­gnava quell’Hegel citato a spro­po­sito da Fusaro, non pos­sono essere rico­no­sciuti, giu­di­cati e quindi discri­mi­nati rispetto al loro essere pec­ca­tori agli occhi di una morale specifica.

Peccato essersi dimenticati pure che per Hegel “i cittadini” erano solo quelli di sesso maschile, perché le donne non ce la potevano proprio fare, poverine (oh, se non bastassero i passi citati, c’è la mitica Fenomenologia dello spirito, § A.a. “Il mondo etico, la legge umana e divina, l’uomo e la donna”, in particolare pagine 17 della traduzione di De Negri che trovate qui; l’argomentata critica di Carla Lonzi, invece, è qui). Mi sa che la morale specifica invece c’era, e c’è ancora – anche se gli si dà un nome in inglese.

Siccome così si divertono, i due continuano a duellare a colpi di letture di grandi maestri.

Allora, alla fine abbiamo, pescati a caso in una breve parentesi temporale: Citati, Ceronetti, Marzano, Fusaro, Ercolani. Più o meno titolati, più o meno noti, più o meno professori, critici, scrittori, poeti. Tutti con il loro spazio fisso sui giornali, tutti produttori di numerosi libri – evidentemente ben venduti, se no non glieli stamperebbero – tutti con un largo seguito di pubblico. E quasi tutti, ipocritamente, a parlare di un capitalismo brutto e cattivo. Tutti chiamati a parlare di questioni di genere, e tutti che dimostrano così di saperne solo ciò che gli fa comodo. Quasi nulla. E intanto giù a straparlare di uomini, donne, generi, famiglia, inquinando una cultura già di suo storicamente manchevole proprio di solide basi e capacità di aggiornarsi in questi cruciali argomenti sociali.

Per fortuna, altrove da queste e questi, qualcosa succede.

L’adagio del maschio italiano

Immagine da "In Italia sono tutti maschi", Kappa edizioni
Immagine da “In Italia sono tutti maschi”, Kappa edizioni

È passato un po’ di tempo, così le facili polemiche e i luoghi comuni sulle parole che Roberto Formigoni ha speso per spiegare – lo ha spiegato, non lo ha giustificato – il suo comportamento al gate Alitalia ce le possiamo risparmiare. Fermiamoci a riflettere, mettendo in fila un po’ di eventi di cronaca, su una delle tante occasioni perse, da tanti uomini in questo paese, per fare qualcosa di meno maschilista e patriarcale di quello che invece fanno. Potrei rifare questo articolo, tale e quale, tra un mese, cambiando solo i link e i riferimenti a quei fatti di cronaca. Perché? Perché il maschio italiano non cambia tanto facilmente.

Partiamo dall’articolo del Corriere con le parole di Formigoni, e fermiamoci su qualcuna di queste parole. «Gli italiani mi danno ragione. Incredibile quanti siano i cittadini che hanno subito soprusi che mi telefonano per dirmi “bravo, finalmente qualcuno ha detto ad Alitalia quello che si merita”». Perché in Italia chi vede lesi i propri diritti non manifesta, non si organizza: aspetta che qualcuno dica parolacce e minacci violenza contro persone e beni, per poi dirgli bravo.

«Ho subito un sopruso». Non è vero, e a raccontarlo è lui stesso. Ha provato a prendere non il suo aereo, ma quello precedente che era in ritardo, perdendo così anche il suo. Ha solo subito le conseguenze di un goffo tentativo, molto italiano anch’esso, di fare il furbo. E non è neanche la prima volta che ci prova, e che gli va male.

Poi, la chicca, alla faccia del torto marcio per la furbata non riuscita: «ho utilizzato le parole che userebbe qualsiasi italiano maschio che nei momenti di rabbia perde la pazienza». Sull’«italiano» torneremo dopo, ora fermiamoci un po’ sul «maschio».

Il maschio, quando si arrabbia, perde la pazienza, dice Formigoni, e aggredisce, urla, insulta, spacca roba. È un maschio che già conosciamo, no? È il maschio del raptus. È il maschio della cultura del raptus. È il maschio che perde la pazienza: per esempio non gli va di aspettare l’autobus, prende un taxi guidato da una donna e la stupra. Così fa il maschio, no? Notate l’accuratezza con cui nell’articolo si eviti la parola “raptus” anche se è ciò che viene descritto: «esplosione di rabbia», «la sfuriata», «perde il controllo». E che facciamo, lo chiamiamo raptus come quello dello stupratore, del femminicida? No, Formigoni non ha fatto violenza a nessuno – a parte ai suoi interlocutori e a chi assisteva, ma son quisquilie, vero? – quindi va bene la sua descrizione: ha agito come «qualsiasi italiano maschio».

Ha detto – spontaneamente, figuriamoci se ha ragionato – «maschio» e non “uomo”. Maschi sono anche i bambini. Maschio lo si è per natura, uomo per educazione. «Maschio» rende bene la naturalezza di un comportamento, il suo essere innato e ovvio, il suo fare parte delle caratteristiche del maschio, quell’animalità dalla quale si prendono sempre le distanze come fosse qualcosa di vergognoso, salvo quando torna comoda per indicare supposti valori quali virilità, ragione del più forte, potere primitivo, mancanza di lucidità. Quel concetto manipolabile di ‘insopprimibile istinto naturale’ con il quale si vuole mascherare il potere di una classe sociale, l’arroganza di una abitudine politica: lo avete riconosciuto? È lo stesso potere «maschio» che fa dire a un altissimo dirigente sportivo «basta non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche».

È lo stesso potere maschio, quello che non chiede scusa anche se ha provato a fare il furbo, quello che non si dimette malgrado la “gaffe” (notate anche qui i giornali come sono stati carini: chiamano “gaffe” quello che non è altro che uno spregevole insulto sessista e omofobo), quello che se ne frega di capire da quali privilegi proviene e di quali privilegi gode, quello che rende prigionieri di illusioni gli stessi maschi, quello che ha sempre una giustificazione plausibile per la propria violenza: la chiama raptus. Per rendere possibili e plausibili queste violenze ci vuole un potere e una cultura pervasivi e accettati da tutti – cioè da tutti gli altri maschi.

E qui veniamo alla parola «italiano». Al maschio italiano tutto ciò sta evidentemente bene, perché non ho visto – a parte le chiacchiere sul web – ‘sta gran voglia di protestare, di scendere in piazza a fare casino perché uno che agisce come Formigoni si è permesso di dirsi uguale a «qualsiasi italiano maschio». Non vedo grosse agitazioni quando un dirigente sportivo insulta in maniera sessista e omofoba migliaia di praticanti quello sport che dovrebbe tutelare – lo sport più amato dai maschi italiani; non le vedo quando un qualsiasi maschio italiano stupra, poi dice che ha avuto un raptus e che “si pente” venti comodi giorni dopo. Eppure sono maschi, e stanno dicendo qualcosa a tutti gli altri maschi.

Ah, già, dimentico sempre il tipico adagio del maschio italiano: «i problemi sono altri».

 

Deconstructing il sistematico assassinio del maschile (Risé e il Maschio Selvatico 2)

Faster_Pussycat!_Kill!_Kill!PDice che hanno studiato. Io continuo a esplorare vaste lande d’ignoranza, più o meno consapevole, e ora m’è capitato – grazie alla solerzia di malign* amic* – quest’altro genio. Di cui ho letto già molto e che avevo già sentito dal vivo in un incontro a Padova, ma che probabilmente per amor proprio avevo sempre evitato di citare qui. Cosette che rovinano la giornata: e per questo, infatti, trovo sia meglio riderne – sensatamente, con cognizione di causa, svelandone le miserie – ma riderne, se no passiamo la vita nervosi. E invece ci sono tante altre cose belle da fare!

Eccoci qui, allora, per ridere: e cosa di meglio di un bel ghetto rosa per ospitare Claudio Risé? Dàje!

Potremo davvero fare a meno dei maschi? [Qualcuno lo ha mai seriamente sostenuto? Da questo articolo, per esempio, non lo sapremo]
Esistono ancora le differenze di genere? [A occhio e croce sì, ma forse sono troppo pignolo io]
Colloquio con lo psicoterapeuta Claudio Risé
di Candida Morvillo

Il futuro è delle donne, più intelligenti, più sensibili, multitasking… Quante volte avete sentito questi refrain? [Stai scrivendo su Io Donna, che fai , prendi in giro dalla prima riga?] Lo psicoterapeuta Claudio Risé parla di «character assassination del genere maschile». E di «una vasta campagna di denigrazione tesa a distruggere credibilità e reputazione di un intero gruppo sociale». [Avete capito bene, intende i maschi con gruppo sociale. Speriamo che ne dimostri l’esistenza, prima di tutto, di questa campagna di denigrazione.] Come è potuto accadere? [Sempre ammesso che sia accaduto?] E come se ne esce? [E fosse anche vero, il “perché” non sarebbe più corretto del “come”?] Lo specialista lo spiega in “Il maschio selvatico 2” (Edizioni San Paolo), un saggio rieditato e aggiornato che da 23 anni è un cult book [per chi? Andrebbe detto, perché lo è anche il Mein Kampf, e non me ne vanterei tanto] e che, ora che il delitto è sotto gli occhi di tutti [EH? Il delitto? Il gruppo sociale maschile è tutto morto? Così, parole a caso], pone nuove domande e offre nuove risposte. Di seguito, cinque spunti.

Perché rimpiangere il maschio selvatico? L’uomo ha cominciato a star male, fisicamente e psicologicamente, dice Risé, quando si è allontanato dalla natura, sposando uno stile di vita robotico. Il “selvatico” teorizzato da Risé è invece capace di un appassionato rapporto con l’ambiente incontaminato, «non per ragioni estetiche o di performance sportiva» ma perché vi trova «pienezza e benessere fisico, spirituale e creativo». L’allontanamento dalla wilderness avrebbe minato anche i rapporti fra i sessi: «Nelle antiche saghe, il selvatico vede la fanciulla in una radura, se ne innamora e la prende sul suo carro: questa immediatezza oggi è aborrita dentro relazioni costruite dalla A alla Z, intellettualizzate, mentre l’amore è la scoperta dell’altro dentro di te, è il bosco dove scopri la bambina a cui vuoi bene» [valeva la pena non interromperlo, eh? Contro il logorìo della vita moderna, Risé propone un mito che racconta sostanzialmente un rapimento e uno stupro – aho, quello è. Interessante – proviamo a chiederlo alle fanciulle nella radura, se gli sta bene? Ma lui certamente sa di sì, figuriamoci].

Perché parlare del maschile è diventato “politicamente scorretto”? [Ma quando, ma da chi? Ma se i femminismi che chiedono agli uomini di parlare non si contano più, da almeno due secoli a questa parte!] Quando nel 1992 Risé pensò il suo primo Maschio Selvatico, molti provarono a dissuaderlo. «Un editore mi suggerì di scrivere piuttosto un libro sul pene, poiché le performance sessuali potevano ancora interessare il sistema mediatico» [bella gente frequenta Risé, complimenti] ricorda. Ma qual è lo specifico maschile che disturba? La risposta fa riflettere: «I moderni sistemi economici e politici hanno spinto le donne nel mondo del lavoro per poterle sfruttare e pagare poco [e fino a qui potremmo pure essere d’accordo]. Per indurle all’affermazione, era necessario costruire l’immagine di un uomo predatore e distruttivo, da demolire [“ni”, perché il da demolire è tutto da discutere – nei fatti, non si demolisce un bel nulla ma si assimila anche la donna a quella immagine di uomo. No?]. In quest’ottica, il maschio selvatico imbarazza perché non è aggressivo e cade innamorato delle donne [ma se prima hai detto che la prende sul suo carro, aho, all’anima del non è aggressivo! Ma nelle radure il consenso non si chiede? So’ maschio, so’ innamorato, te prendo sul carro e fine della discussione?]».

Perché il maschio contemporaneo è insicuro e debole? [Eh, il mondo è pieno di maschi deboli e insicuri, i media non fanno che parlarcene e rappresentarli, vado a caso: Putin, Obama, l’Is, Salvini, Renzi, Draghi (a parte l’avversione ai coriandoli), Tsipras, Varoufakis, Ibrahimovic, Cristiano Ronaldo, Tevez, Balotelli, i poliziotti della Diaz, non si parla che di questi fraciconi.] Oggi l’uomo è “il colpevole”, deve chiedere scusa, è un mostro o un cretino, a prescindere [ma chi? ma dove? Ma se è sempre colpa di Boldrini – a Risé, ma ci vivi pure tu nella foresta? Ma il segnale ci arriva?]. I ragazzi non scrivono più sui muri “Jessica ti amo” ma “Jessica ti chiedo perdono” [veramente la situazione è un po’ diversa: qui e qui due raccolte tra le più viste]. «La cultura della colpa» spiega Risé «è comoda anche per i maschi, i quali, chiedendo scusa, possono dirsi che è tutto a posto e accantonare la responsabilità di mettere a fuoco il loro progetto di vita e di relazione [di nuovo, quella non è cultura della colpa, è paraculismo acuto, cosa di cui i maschilisti sanno fare ottimo uso da parecchio, soprattutto in sede politica e istituzionale. Risé ci riuscirebbe pure, a cogliere qualche spunto giusto, peccato lo distorca sistematicamente in virtù di quello che gli preme dimostrare]».

Le pratiche sessuali definiscono davvero l’identità di una persona? [Ah, no?] Mentre avanzano nuove teorie di genere e lo scienziato Umberto Veronesi ha sostenuto che saremo tutti bisessuali [in effetti lo ha proprio detto, ma la sensatezza delle idee di Veronesi riguardo questioni di genere ci è già nota: zero. Quella è roba da “teoria del gender“, che è una cosa un pochino diversa], in molte scuole italiane si è eliminata dai moduli la dicitura “madre e padre” a favore di identità neutre come “genitore 1 e genitore 2” [ecco, questa è mera ignoranza o ipocrisia. Lo si è fatto non a favore di identità neutre, che non esistono, ma per rispettare tutt*. Concetto molto più complesso, effettivamente]. «Si fa confusione tra identità e orientamento sessuale», accusa Risé [ma chi la fa? Chi non ne sa nulla, o forse chi legge solo Risé?], «il genere è fondativo dell’identità della persona, le pratiche sessuali sono una cosa diversa» [diversa ma mica tanto, il mio orientamento fa parte della mia identità, mica me lo invento ogni giorno come mi pare]. Nell’azzerare le differenze, a partire dal linguaggio, stiamo forse ingabbiando le identità in schemi che escludono la ricchezza espressiva, affettiva e spirituale, dei maschi in particolare? [E nel continuare a dire che qualcuno – non si sa bene chi, a parte i teologi convinti delle loro fantasie – sta annullando le differenze di genere e quindi elimina la ricchezza espressiva, affettiva e spirituale, dei maschi in particolare, di chi si fa il gioco, professor Risé? Dopo decenni di smascheramento di un patriarcato imperante, perché dire che chi vuole il male dei maschi in particolare sono gli studi di genere e non il patriarcato stesso, che li irreggimenta appena nati e ne costringe le vite dandogli benefici estorti con la violenza agli altri generi? Troppo comodo, vero? Meglio rifugiarsi nelle foreste?]

Potremo davvero fare a meno dei maschi? [Sì, ma mica tutti: cominciamo a fare i nomi. Io qualcuno ce l’avrei, eh] Qualcuna aspetta questo momento con trepidazione: presto, la donna gestirà totalmente la maternità con la fecondazione artificiale e sarà la disfatta totale del maschio, relegato a facchino, giardiniere, uomo di fatica [non si capisce perché l’una cosa implicherebbe necessariamente solo l’altra: non si potrebbe, per esempio, trombare in pace? Magari a la donna piacerebbe anche decidere se e quando averla, la maternità. Gestire vuol dire proprio questo eh. Invece no, dipingiamo la donna assassina]. Ma siamo sicuri che il mondo funzionerà meglio? «Il maschile e il femminile sono aspetti presenti dentro di noi, non possiamo distruggerli senza creare un disastro nella psiche. E non è vero che i figli senza padre stanno benissimo, gli studi in proposito affrontano archi temporali brevi, sono organizzati su base volontaristica e non sono attendibili» [ma che c’entra? Ma chi lo dice, Veronesi? Ma dove sta scritto? Ma come si fa a fare una intervista rispondendo a domande e asserzioni fantasma tutte da dimostrare?] assicura Risé. «Buona parte della propaganda sulla maternità senza padri è spinta dagli interessi delle società di ingegneria genetica e biotecnologica» [ammesso che quest’assurdità sia plausibile, chi le comanda queste aziende? Donne senza figli e con la fica robotica? A Risé, ma che stai a di’?].

Infine, una postilla sulle donne [come se finora non se ne fosse parlato]. Oltre al “maschio selvatico” si sono perdute anche Le donne selvatiche, titolo di un libro scritto dal professore con la moglie Moidi Paregger, sempre per le Edizioni San Paolo. «Le donne che seguo in analisi non sono gratificate, né rinfrancate dal sistematico assassinio del maschile» [e infatti vanno in analisi proprio per questo, suonano il campanello dello studio dicendo “dottore, mi apra la prego, non sono gratificata dal sistematico assassinio del maschile”. Ma si può dire e/o riportare una frase così?] osserva Risé. «Da millenni, l’evoluzione si basa sulle buone relazioni fra i due generi» [i quali infatti prima del sistematico assassinio del maschile stavano felici, vero? A giocare allo stupro nelle radure e sui carri. Proprio così è andata, la storia delle buone relazioni fra i due generi. Si vede proprio che Risé è uno che ha studiato. Annàmo bene.]

State pronti, eh: dopo questo Maschio Selvatico 2, seguirà Maschio Selvatico 3, poi Maschio Selvatico contro tutti, La vendetta di Maschio Selvatico, Zorro contro Maschio Selvatico, Il ritorno di Maschio Selvatico, Il figlio di Maschio Selvatico, Maschio Selvatico alla riscossa…

 

Deconstructing Aldo Busi e l’egoismo dualista

puzzlecunt_2Se c’è una cosa inutile e dannosa, in tutti i discorsi che si possono fare riguardo i generi e i sessi, è il dividere il campo in due fazioni: si/no, di qua/di là, con me/contro di me, bene/male, giusto/sbagliato, e così via. Per quanto la propria esperienza sia significativa, i propri studi profondi e le proprie intuizioni geniali, tutto ciò non potrà mai essere il metro di giudizio valido universalmente. Mai, perché nessun dualismo proposto come obbligo potrà mai dare conto della diversità di tutt*, e quindi rispettarne l’intoccabile libertà di scelta.
A quanto pare decenni di vita e pratica letteraria non hanno scalfito l’inossidabile egoismo di Aldo Busi. Chissà, forse gli è necessario per edificare la sua opera. Contento lui. Chi lo legge straparlare di corpi altrui, forse è un po’ meno contento.

Il corpo non si (ri)tocca
Al diavolo la chirurgia…

Guai a chi dà retta ai luoghi comuni su generi, ruoli sociali e sessualità
E soprattutto a chi si fa schiavo della holding della medicina plastica
[solo io leggo, già nel titolo, la volontà di mettere insieme discorsi che andrebbero ben separati e circostanziati? Cominciamo bene…]

Sarà che per me ogni persona umana è preziosa e bella e brutta e maschio e femmina e bianca e nera e colta e incolta per quel che è per come e dove nasce e, soprattutto, per quel che sente [tenete bene a mente questo inizio: per lui ogni persona umana è preziosa soprattutto per quel che sente, lo abbrevio con OPUEPSPQUCS] che non capirò mai perché si debba mettere una maschera industrialseriale a una faccia originale [perché sono affari suoi? Così, la butto là. Intanto, segnatevi la prima coppia: originale vs industrailseriale].

Per esempio, menomare il corpo con i tatuaggi [MENOMARE? Un tatuaggio è una menomazione? Ma è chiaro che significa, in italiano, menomare?] se non sei un Maori o un ergastolano con molto tempo libero da occupare, il piercing se non sei un Pirata dei Mari del Sud o la scarificazione se non sei un indiano Cherokee, con due seni femminili e addirittura una vagina se sei nato maschio [SCUSA? Tatuarsi equivale, o comunque è paragonabile, a cambiare sesso?], con un trapianto di fallo se sei nata femmina; non capirò mai che cosa significhi «sentirsi donna in un corpo di uomo» e viceversa [e chissenefrega se non lo capisci, il mondo è pieno di cose che non capisci che hanno tutto il diritto di starci e di non subire la definizione di menomazioni da te], e sono sicuro che chi dice di sé una tale enormità sta non solo sentendo ma anche pensando all’ingrosso e che, anzi, sia sentito e pensato da un plagio sociale sull’essere donna e sull’essere uomo. Invece di dare ascolto a se stesso, questa crisalide in divenire farfalla… e subito dopo blatta… [blatta è sicuramente un complimento per Busi, perché per lui OPUEPSPQUCS, ricordate?] dà retta ai luoghi comuni sui generi e sui ruoli sociali e sulla sessualità fino a lasciarsene invischiare e a voler modificare il proprio corpo per adeguarvisi [e se anche fosse tutto ciò non sarebbe affatto una menomazione, a casa mia, al massimo grave stupidità], guida al transito verso la mendace metamorfosi e salatissima operazione che, come la chirurgia plastica, sono diventate una vera e propria holding [e perché le distorsioni del mercato definirebbero l’essenza dell’operazione? Se invece di una holding fosse un “artigiano” a fare l’operazione, cambierebbe qualcosa? Aggiungiamo la coppia holding vs “fatto in casa”] che pochi osano sfidare e deridere e la presente considerazione [oddìo, Aldo Busi ci legge] non è una trovata del momento sulla scia di un movimento di opinione atto a porre dei limiti all’intraprendenza umana in fatto di genetica, lo scrivo da trent’anni (l’albina e insospettabile Geneviève d’Orian di Seminario sulla gioventù per darsi un’aria più muliebre si sarà fatta al massimo una tisana al Dente di cane, mai e poi mai un estrogeno) [anche trent’anni fa ci sarebbe sembrata una scemenza transfobica eh, la sostanza non cambia].

Ti senti donna e hai un pene? Ma lasciati crescere i capelli e portali pure con l’onda alla Doris Day o rapati a metà cranio e vestiti da donna (?) se ti va o non ne puoi fare a meno, ma intanto lascia stare il pene dov’è e sappi che la donna piatta, praticamente piatta quanto un uomo e l’uomo che ti ritrovi a essere, piace quanto una donna, ma meglio se donna all’origine, che porta la sesta di reggipetto [“meglio”: l’insindacabile unità di misura di Busi è il suo, di pene. Almeno dicesse perché, mentre vi ricordo che per lui OPUEPSPQUCS]. Ti stufi di sentirti donna e poi di non poter praticare nemmeno la masturbazione femminile? O ti stufi piuttosto di essere fatta sentire nient’altro che una chimera che invecchia e perde i pezzi e ritrova i peli? [Non sono un esperto eh, ma chi vive la condizione di non trovarsi a suo agio nel corpo nel quale è nato mi pare che si possa definire un pochino più che stufo. Giusto un tantinello più.] Tagliati i capelli, ora all’annegata per appuntire l’ovale ormai con una pappagorgia di troppo, anche se resta ancora il miglior ritrovato per camuffare l’impiallabile pomo d’Adamo [ah ah ah, che spiritoso sui corpi e sulle sensazioni altrui – però ricordiamoci che per lui OPUEPSPQUCS], alle minigonne sostituisci i pantaloni e al tacco tredici dei mocassini con la para e non è successo niente di niente a parte il beneficio per il tuo portafoglio [e non è successo niente, perché Busi ha il monopolio di ciò che provano gli altri, e lui può permettersi batuttacce sui tacchi mentre taccia il pensiero altrui di essere sentito e pensato da un plagio sociale sull’essere donna e sull’essere uomo. Complimenti vivissimi].

Perché la grande menzogna che ho sentito dire da tutti gli uomini operati è proprio questa: «L’ho fatto per piacere a me stessa». No, a me non la raccontate: l’avete fatto per piacere agli uomini e ai loro cliché sessisti; l’avete fatto per ovviare alla vostra omosessualità come altri vi ovviano entrando in seminario o nell’esercito [non mi pare proprio la stessa cosa, eh – e poi che senso ha dire che cambiare il proprio corpo è un rimedio all’omosessualità? Insomma, OPUEPSPQUCS, ma gli uomini operati no, so’ bugiardi e ipocriti, al massimo dei poveri imbecilli]; l’avete fatto perché nessuno vi ha fatto ragionare con il dovuto affetto intellettuale [che cos’è l’affetto intellettuale, e perché varrebbe più del comune rispetto? Ah, sì, quella cosa che OPUEPSPQUCS tranne quei poveri deficienti di uomini operati] quando ne avevate bisogno; l’avete fatto nel tentativo disperato di sfuggire a una barbara società di arcaico pregiudizio e siete caduti dalla padella alla brace, anche se la società maschilista, donne in primis [in primis le donne, per Busi, sono maschiliste], apprezza ben di più chi ha fatto il sacrificio di impiantarsi una maschera compromissoria [compromissoria? Ah, dunque chi si tatua o si opera ai genitali – cose che sembrano qui sullo stesso piano – dopo ha risolto? Dopo è “tuttapposto”, finito lì?] anziché affrontare il mondo a muso duro con la faccia, il corpo, i sentimenti che ha [un po’ difficile da fare se quella faccia e quel corpo non li senti i tuoi, Busi, ma a te questo piccolo particolare non interessa, per te è importante solo accettare la propria omosessualità come hai fatto tu, e tutti gli altri sono poveretti o cretini o bambocci manovrati]; l’avete fatto, e quasi sempre da bravi ragazzi siete diventati delle bestiole né-me-né-te da marciapiede, nel grande macello della carne con spaccio annesso [questo modo di giudicare, invece, non è un cliché sessista, vero? Complimenti].

Siccome ultimamente, dopo avere condannato la pratica degli uteri in affitto di madri succedanee, danno dell’omofobo e addirittura del papista a me… a me!… [in effetti bastava “ignorante e presuntuoso”, non c’era bisogno di scomodare parole complicate per chi condanna senza sapere ma dicendo che OPUEPSPQUCS], non parrà vero a questi faciloni venire a sapere ora che condivido nel modo più assoluto la definizione del cardinal Ravasi di «burqa di carne» [condividere un’immagine così delicata e rispettosa – non è un cliché sessista, vero? – con un cardinale dev’essere una fonte di piacere infinita, eh Busi? Contento lei…] per tutte quelle facce di donna e ormai di uomo devastate dalla chirurgia plastica [di nuovo, complimenti per il paragone, degno dei faciloni che sembrano essere il suo pubblico, Busi]. La questione è più pratica che morale, e tanto che diventa economica nel senso del bel risparmio: lavorate sulla mente e lasciate in pace il corpo [certo, perché qui c’è il corpo e là la mente; bentornato Cartesio. Oh, ‘sta moda vintage recupera proprio tutto eh? Terzo dualismo, corpo vs mente]. Tanto, con una mente così sballata che tutto concerta per farla sballare ancora di più, il corpo non potrà che andare a carretta e vi punirà amaramente, anzi, spietatamente e, ahivoi, irreversibilmente [siamo al corpo che si ribella contro la mente. Detto dall’autore di Cazzi e canguri (pochissimi i canguri) l’anatema suona credibilissimo].

Il maschile e il femminile [quarto dualismo] non è un Giano bifronte dato una volta per sempre in una vita umana: cambiano i canoni esterni, anche del kitsch, figurarsi quello della bellezza, cambia l’età anagrafica e interiore, cambiano i desideri, le aspirazioni, le ambizioni, i fantasmi, la percezione di se stessi, le mode e la fonte stessa delle disillusioni, e cambia anche il dolore di aver fallito perché fallita era in origine la strada intrapresa per anestetizzarlo, ci si incaponisce invece di arrendersi in tempo e dargli ragione, e non si può prendere del cortisone contro un semplice mal di testa [il consiglio di Busi è: dare ragione al dolore di aver fallito. Poprio quello che ha fatto lui, notoriamente, tutta la sua opera è lì a dimostrarlo].

Siate e mantenetevi passeggeri, non impegnate il corpo al monte della pietà che susciterete [però che immagine, si vede che è uno scrittore], non datela vinta ai vostri persuasori interessati, subdoli, patenti o occulti che siano, e tenetevi pronti a scendere a ogni istante dal predellino [fate come Busi: imponete le proprie scelte agli altri accusandoli di non accettarsi e di essere menomati e manovrati, e fatelo dal pulpito di un giornale di destra. Vi guadagnerete tanti amici]. Certo deve essere quello di un treno, più locale è e più fermate fa meglio è, una volta in orbita nessuno vi tirerà più giù: dovreste solo buttarvi giù, e non ne vale né il pene né la tetta. Infine, se gli uomini che aspirano a diventare donna anatomicamente sapessero in anticipo quanto puzzano di fiori sfranti e acque stagnanti e di corsia di ospedale a causa di ormoni, iniezioni di porcherie varie, protesi, tralasciando il conformismo di massa cui si ispirano, se ne guarderebbero bene dall’adulterare il loro naturale, e al confronto tanto più femminilmente afrodisiaco, odore di caprone nato [ed ecco che, puntuale come nel più reazionario e conformista dei discorsi, spunta l’amico di tutti i sessismi: il naturale. Questo sì che spiega cos’hanno in comune Busi e un cardinale. Quarto dualismo: naturale vs artificiale].

Basterebbe far ricorso quando serve alla banalità più edificante per avere la morale della storia più indiscutibile e anche salubre: ma tieniti come sei [ah, il naturale, che bello il naturale], tanto non c’è niente da cambiare fuori se non cambi dentro [il naturale è dentro, l’artificiale è fuori, tu puoi ritoccare il fuori quanto vuoi, tanto non cambi dentro – ma quanto è gretto e violento il discorso dualista? Uomo o donna dentro e fuori, naturale e artificiale… un bel passo avanti per l’umanità, non c’è che dire. Intanto, il quinto e finale dualismo: dentro vs fuori], ti aggiri sempre dalle parti della stessa caverna, e la clava, prova una volta a dartela in testa, magari è la volta buona.

[A casa mia questa si chiama transfobia. Anche se per chi la pronuncia dice che per lui OPUEPSPQUCS. Ma tanto che ne so io, io sono un menomato che legge Oglaf.]

Ignoranza di genere

dilbert_ignoranzaOvvero: cos’hanno in comune Luciana Littizzetto, Susanna Tamaro, Marina Terragni e Luisa Muraro?

La storia degli studi di genere in Italia, si sa, è difficile e tormentata, e la situazione attuale non è certo delle più rosee. Le responsabilità dell’insindacabile arretratezza dell’Italia in questo campo sono diverse, a volte lontane nel tempo, e il risultato è molto particolare, come riassume Paola Di Cori in un suo articolo significativamente intitolato Sotto mentite spoglie:

Nelle università italiane coesistono e confliggono alternativamente iniziative di alto profilo e corsi assai modesti; e così ottimi programmi di ricerca e di formazione superiore, efficaci insegnamenti introduttivi su specifici aspetti di un universo conoscitivo ormai sterminato esistono accanto e insieme ai prodotti di una offerta didattica generica, frammentata, indefinita, spesso del tutto insufficiente a garantire una buona strumentazione di base, entro la quale insegnamenti di argomento affine sono spesso scollegati l’uno dall’altro e privi di un indispensabile momento di raccordo generale; in alcuni casi sono soprattutto i periodi di studio all’estero a offrire un rimedio alle croniche défaillances della formazione in Italia.

L’articolo racconta anche cos’ha significato e cosa ancora significa provare a fare gender studies in una palude patriarcale e paternalista com’è l’università italiana. Questo penoso stato di cose a livello “alto” non è casuale: gli corrisponde, in un intreccio di cause ed effetti, un’analoga situazione nella scuola e nella società italiane, e il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paese sessista, patriarcale e paternalista apparentemente in maniera cronica. Ciò che sconcerta non è la leggerezza o l’indifferenza con la quale l’opinione pubblica tratta questi argomenti, ma il fatto che una diffusa ignoranza su queste questioni non generi curiosità o desiderio di approfondimento, quando necessario, bensì una manifestazione sempre più evidente d’ignoranza. Ignoranza che però è di molte specie, e vorrei qui mostrarne qualcuna, ben incarnata in esempi noti e notevoli.

1) L’ignoranza crassa: Luciana Littizzetto

In questo suo intervento a “Che tempo che fa” (dal minuto 8:54), sostanzialmente ripetuto anche su La Stampa, Luciana Littizzetto dimostra che del pur noto argomento “linguaggio sessista” non sa e non ha capito nulla:

Qualche giorno fa c’è stato un incontro a Montecitorio organizzato dalla presidente della Camera Boldrini con i responsabili dell’Accademia della Crusca che non è un’associazione vegana che si occupa del transito intestinale, ma l’Istituto per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana. Si sono incontrati per parlare di questo tema pressantissimo: il sessismo nella lingua italiana. Loro dicono che c’è una discriminazione della donna nella lingua italiana. La lingua italiana non rispetta la parità perché ci sono delle parole declinate al femminile e altre no.

Non è proprio così, “Lucianina”, avresti potuto informarti. Ma in fondo, perché farlo? Tanto fai ridere anche così – se non facessi un danno grave, a pensare di fare ironia su qualcosa che non hai capito. Il risultato è che fai ridere altri ignoranti come te. Contenta? Evidentemente sì.

Fino a qualche anno fa le professioni dove non è in uso il femminile erano soprattutto maschili mentre adesso li fanno anche le donne. C’è stato un cambiamento grosso nella società e piano piano cambierà anche la lingua. La nostra lingua è fichissima, mobile, ci fa stare dentro un sacco di roba, anche tante parole straniere, piano piano ci metterà anche i femminili… non mi farei venire tutta sta para, Boldrini.

A una spiegazione apparentemente corretta – le donne che svolgono professioni tradizionalmente maschili sono ancora poche quindi molte parole suonano ostiche perché ancora poco usate – Littizzetto manca di dire due cose fondamentali, che ne inficiano tutto il discorso. Uno: la Crusca non c’entra nulla, la grammatica è lì e da sempre dice quali parole sono corrette e quali no. Il problema dell’uso è dei parlanti, cioè culturale, e qui sono dolori, perché la cultura diffusa in Italia è una cultura tradizionale, reazionaria, sessista.

Io penso che sarebbe tanto bello lottare, e fare convegni, e incazzarsi, per la sostanza, non per la forma. Stesse possibilità di lavoro, stessi stipendi, e rispetto – invece che annullamento – delle differenze. Io che sono donna voglio essere rispettata perché sono DIVERSA da te, non UGUALE a te. So che mi sono attirata le ire dell’Accademia della Crusca.

Due: il problema del linguaggio non è secondario – come lei sostiene con un classico del benaltrismo – a quello del reddito, perché finché le donne non saranno neanche nominate correttamente, cioè riconosciute socialmente e culturalmente come pari, sarà ben difficile convincere chi paga a dare loro quanto un uomo di analoghe mansioni e capacità. Non ti sei attirata le ire di nessuno, “Lucianina”: al massimo fai pena. Per questo, invece, Boldrini si fa “venire tutta sta para”: lei il problema di “uguale” e “diversa” l’ha capito, tu no. Lei chi vuole davvero “l’annullamento delle differenze” l’ha capito, tu no. Queste sono acquisizioni di base per chiunque si sia interessato seriamente alla faccenda: la tua è, “Lucianina”, ignoranza crassa delle questioni in gioco, tutto lì.

2) L’ignoranza colta: Susanna Tamaro

Chiamata a dire la sua sulla triste vicenda delle scuole triestine dove si sarebbero insegnate cose zozze e roba da sporcaccioni ai bambini, Tamaro parte dalla constatazione che ormai le donne, nella società, ce l’hanno fatta:

Il tabù delle professioni solo maschili è caduto ormai da tempo nella nostra società. Ci sono donne nei pompieri, nelle forze dell’ordine, donne che guidano navi da guerra e che pilotano caccia.

Adottando il metodo tipico dell’elite intellettuale (leggi: stronz*) di prendere le eccezioni per regole consolidate, Tamaro prosegue con lo step due della stronzaggine, proponendosi come modello e esempio di bambina qualunque:

Io, ad esempio, ho sempre provato un vero orrore per i costumi femminili, detestavo le principesse, i pizzi, il colore rosa, se c’era un ruolo che rivendicavo per me era quello del comandante di Fort Alamo o di un capo indiano, e in queste attribuzioni – che avvenivano cinquant’anni fa – nessuno mi ha mai preso in giro né represso in modo tale che io me ne ricordi come di una ferita. Non solo, ma giocando mi facevo sempre chiamare con un nome maschile, perché quella era l’energia che sentivo di avere addosso, e tutti intorno a me stavano al gioco.

Quindi siccome certe cose a lei non sono successe, non le crede possibili; e dato che a nessuno che conosce lei sono capitate, allora non esistono. Complimenti per la simpatia e per il paragone azzeccato con la realtà di tanti. Proseguendo nell’ostinata intenzione di non informarsi, perché evidentemente lei si sente depositaria del sapere, Tamaro continua a parlare di un mondo di fantasia:

Ma in che cosa consiste l’educazione sessuale, e soprattutto che cos’ha davvero prodotto in tutti questi anni di diffusione scolastica? Dovrebbe essere servita a far conoscere il corpo e le sue esigenze affettive, oltre naturalmente ad evitare malattie e gravidanze indesiderate. È stato davvero così? Se ci guardiamo intorno, non possiamo non notare che il degrado relazionale è purtroppo molto diffuso tra gli adolescenti.

Quindi secondo Tamaro l’educazione sessuale, in Italia, è diffusa da molti anni. Se vi va, continuate a leggere; finirà con l’elogio del silenzio su certi argomenti, quel silenzio tanto benefico per migliaia di ragazzi e ragazze che poi trovano finalmente in Youporn o Ask il corretto canale informativo per fare esperienza del loro corpo. Complimenti anche per questa ignoranza, nata da una smisurata presunzione intellettuale e dannosa socialmente ben più della precedente.

3) L’ignoranza sbandierata: Marina Terragni

Nel linguaggio sportivo è ormai consuetudine da alcuni anni definire “ignorante” il gesto compiuto senza troppo riguardo né per l’avversario né per la tecnica, quasi per sfogarsi: c’è il tiro ignorante, il sorpasso ignorante, il colpo ignorante. Ecco, per quanto riguarda le questioni di genere, questo tipo di ignoranza è perfettamente rappresentata dalla prosa di Marina Terragni. Che a proposito di educazione sessuale argomenta così:

Fa parte di suddetto cretinismo anche un certo concetto di “educazione sessuale” per infanti e adolescenti, espressione che è quasi un ossimoro perché il sesso è tutto fuorché educato. Basterebbe leggersi un bigino di Michel Foucault per inquadrare la questione: detto alla buona, meno parole si fanno sul sesso e meglio è, per il piacere. Perché poi lui avverte che la sessualità non esiste, esistono i corpi e i piaceri.

Capito? Frasi lapidarie, citazioni fatte “alla buona” perché è come dico io e basta, e chissenefrega della coerenza o di usare parole più adeguate. Evidentemente, anche chissenefrega di informarsi: Terragni sinteticamente fa gli stessi errori madornali di Tamaro, ma lei non ha tempo da perdere con le belle parole e ci tiene a dirlo.

Mi viene la pelle d’oca, quindi, all’idea che dei formatori appositamente formati (il business della formazione oggi è colossale) pretendano di spiegare a dei ragazzini-e come dovranno regolarsi nelle cose di sesso, addirittura come ci si masturba e altre idiozie del genere.

Complottismo, falsi moralismi (nessuno parla ai ragazzini di come ci si masturba): la pelle d’oca viene a chi si spende e spande per diffondere un po’ di coscienza e conoscenza su certi argomenti, e poi si trova deliri del genere sui media senza che nessuno le rida in faccia. Giustamente: quale diffusione dovrebbero avere certi argomenti per far sì che chi scrive amenità di questo calibro venisse istantaneamente seppellito dalle risate? Quella di un altro paese, non certo di questo. Beccatevi il succo del discorso:

Anche il sesso, come i temi eticamente sensibili, vuole il minimo indispensabile di parole.

Quindi in sostanza sbrighiamocela con il classico del potere paternalista: “io so’ io e voi nun sète un cazzo”, e passiamo al prossimo argomento.  Grazie Terragni, è sempre un piacere parlare con lei.

4) La falsa ignoranza: Luisa Muraro

Ulteriore e più raffinato tipo d’ignoranza è quella volutamente costruita da chi scrive di proposito testi distorti in modo da perseguire nient’altro che i propri interessi. Luisa Muraro infarcisce questo articolo di esempi, richiami e citazioni, e dopo un bel po’ si arriva a quello che le sta a cuore:

La differenza sessuale è un imprevisto che falsifica le teorie, ultima la gender theory. Nella prospettiva disegnata da Feyerabend descrivendo la cosmologia greca, la gender theory dei cinque generi ha qualcosa di doppiamente aberrante: perché solo cinque? Potrebbero essere tanti e tante, quanti e quante siamo su questa terra. […] Finalmente, nel suo Undoing gender (2004), recentemente riproposto in italiano con un titolo più vicino all’originale, Fare e disfare il genere (Mimesis, 2014), Judith Butler, nota proprio come teorica della gender theory, intitola così un capitolo: «Fine della differenza sessuale?» E così lo conclude: questa rimarrà una questione persistente e aperta.

Embè? Sono cose arcinote, com’è arcinoto che “la gender theory dei cinque generi” non è di Butler né di nessun* filosof* minimamente degn* di questo nome. Perché Muraro mischia a bella posta il nome di Butler non con la gender theory ma con la “teoria del gender”, quella roba inventata dal Vaticano per i propri meschini interessi di propaganda?

Pensato per gli scopi della ricerca storica, il cosiddetto «genere» è dilagato come uno pseudonimo di «sesso», o come un eufemismo: il «genere» non fa pensare al femminismo e ha l’ulteriore vantaggio che si può adottare nel linguaggio ufficiale e accademico senza suscitare imbarazzanti associazioni sessuali. In breve, la differenza sessuale si avviava ad essere esclusa dalle cose umane, per essere sostituita da un travestitismo generalizzato senza ricerca soggettiva di sé, disegnato dalle mode e funzionale ai rapporti di potere. Insomma: l’insignificanza della differenza e l’indifferenza verso i soggetti in carne e ossa.

Ah, ecco. Muraro s’è sentita di dover difendere la roba sua, il femminismo della differenza, da chi la pensa diversamente, cioè Butler – indubbiamente un pochino più letta di lei anche in Italia. Peccato però che lo faccia usando la pseudo-interpretazione di Butler che ne fa anche Bagnasco: «Il gender edifica un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità». La sua conclusione, dopo questa acrobazia d’ignoranza (c’è proprio la volontà d’ignorare quello che Butler sostiene) è questa:

Ad ogni buon conto, se il nuovo regime politico-economico usa le invenzioni del femminismo per plasmare la soggettività umana, non prendiamo la postura della critica contro, quel NO ripetitivo e sterile, e riprendiamoci quello che è nostro con la spada in mano, se così posso esprimermi.

Muraro riassume così tutte le ignoranze viste qui: di alcune cose non sa, di altre è troppo superiore per occuparsene, su altre ancora comanda lei e basta – ma tutto ciò in maniera più consapevole di Littizzetto, Tamaro e Terragni. Alla stessa che ha tradotto e divulgato Speculum di Irigaray e ha scritto Dio è violent non si può concedere la scusa di scrivere a vanvera.

In sostanza, lei continua a ribadire quello che diceva vent’anni fa in un articolo (Questione di naso, occhio e orecchio, 26 marzo 1996) su «Il Manifesto»: per Muraro gli studi di genere non servono, basta il femminismo. Il suo, però. Complimenti anche alla falsa ignoranza “con la spada in mano”.

Tutto ciò nei media generalisti, e quasi contemporaneamente, in Italia, nel 2015.
Buona giornata.

Deconstructing Veronesi – l’estetica spiegata con la biologia (Micromega #7)

piccola_veronesi Lo ammettiamo: tutta questa lunghissima esegesi (o pippa) sul numero di Micromega l’abbiamo fatta solo per parlare del pezzo di Veronesi, intitolato “Il corpo delle donne dalla mortificazione all’emancipazione”. Che meritava di essere inserito nel suo degno contesto, per essere veramente apprezzato come merita.

Intanto la scelta dell’autore. Dopo tutto il porno e la prostituzione di cui non avevamo bisogno, arriva questo articolo, centrale, anche nella posizione, con una sezione tutta per sé intitolata “Memoria”, insomma è il più importante, quello che ci dà la “cifra” di Micromega sul tema del corpo della donna. E lo affidano a Veronesi, beh, sì certo. Ci sembra logico.

Ma d’altronde se ci ritroviamo un patriarcato ancora in piedi dopo 4.000 anni non è mica perché uno ha sbagliato una virgola, piuttosto perché oggi la politica ha estromesso tutte le istanze sociali ed economiche importanti dal discorso pubblico (Salvini a Roma e Renzi posta la vittoria dell’Italia sulla Scozia ma è tutto a posto) e una rivista come Micromega non ha più senso di esistere, quindi per vendere e fare rumore si affida al nome di grido con dietro il vuoto (su tutti Nappi e Siffredi) oppure alla pura conservazione, alla restaurazione dell’ancient regime.

Il gioco è fatto, dalla fine dell’impero all’inizio della monarchia, il nuovo senso di micromega

è quello di dare una veste “onorevole” a vecchi e ammuffiti retaggi che con tutto il resto erano stati cacciati giustamente nelle fogne dal femminismo.

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L’introduzione:“ha dedicato tutta la vita a curare il tumore femminile per eccellenza, quello al seno” [Sara: sono paranoica, lo ammetto. A me scatta già un campanello di allarme, c’è un tunnel davanti a me con un bel titolo gotico: “Il tumore femminile per eccellenza” ho i brividi, mi sento condotta verso il buio] “un corpo che è strumento di seduzione e il cui uso disinvolto non è in contraddizione con l’emancipazione delle donne” [perché chi l’ha detto, chi lo sostiene? Mhm, non sarà mica l’ennesima bordata alle femministe, quelle che hanno rinunciato al corpo… bla bla bla?] “il più grande oncologo italiano spiega perchè è convinto che il mondo  va verso un potere tutto al femminile [interessante] e perchè il proibizionismo, su tutti i fronti – prostituzione compresa – non funziona [ah ma allora è un ritornello che non si può smettere di cantare. Sembra che le uniche due attività libere che sono concesse alle donne dopo anni di lotte siano la prostituta e la pornostar, dovevano spiegarglielo prima!] non funziona [prima frase buttata là: il proibizionismo con la prostituzione non funziona, dove andrà a parare? Visto che abbiamo letto Nappi a monte, un dubbio che si vada in quella direzione ci viene.]

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Nella prima parte del breve articolo il professore racconta della sua scelta di medico, di come abbia aperto la strada alla via conservativa del seno colpito dal tumore a differenza della tendenza dominante allora. Il rispetto per le donne è nato dalla figura materna, guida assoluta dopo la morte del padre. Qui la prima pietra teorica della sua convinzione: “il corpo femminile è simbolo della procreazione, della continuazione della specie, in altre parole è il simbolo dell’umanità e lo scempio di questo simbolo era per me inaccettabile” [quindi il corpo della donna è un corpo simbolico simbolo dell’umanità e questo come c’entrerebbe con l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne? A noi sembra tutto un piedistallo e un destino costruito dalla parte maschile dell’umanità].

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Nel paragrafo successivo il professore ci illustra la concezione del corpo della donna contro cui ha dovuto combattere mettendo a punto la sua tecnica conservativa. Gli allarmi sorti in noi quando ha inizialmente parlato della biologia come destino della donna si placano al suono di queste parole (nel brano sono scambiati vecchio e nuovo testamento): “Nel Nuovo Testamento la donna è quasi assente perchè considerata un essere secondario, a metà strada fra l’uomo e l’animale, senz’anima, era un gigantesco utero, un semplice strumento per la riproduzione”[Sara, lo ammetto, ho sospirato di sollievo], [addirittura, come professore da par suo egli ci indica le motivazioni di storiche di tale secondarietà della donna nell’antichità]: “L’ossessione del popolo ebraico era, infatti la propria possibile estinzione, visto che si trattava di un piccolo gruppo sempre esposto a guerre, carestie eccetera, per cui procreare era un dovere divino. Procreare ad ogni costo, anche con l’incesto se necessario” [Beh, finalmente un uomo colto che come uomo di scienza, usa la sua autorevolezza e la sua sapienza per spiegare che il presunto destino procreativo della donna è un concetto inventato per le esigenze di un popolo vissuto migliaia di anni fa che oggi non ha nessun fondamento e che viene strumentalizzato contro le spinte emancipazioniste e di miglioramento della condizione femminile infatti ecco che aggiunge]: “ Di tutta questa cultura della donna ridotta a strumento di procreazione è rimasto ancora oggi qualche residuo, per esempio il femminicidio, che è un sintomo del disagio maschile davanti all’emancipazione del genere femminile. Ormai però la strada è segnata.”

Ma perchè il professore è così ottimista? perchè lui ha vissuto con le donne, conosce la psicologia femminile “come forse nessuno al mondo” [ma non fa l’oncologo? Mah] e sa che sono migliori degli uomini in molte mansioni e a parte  singole eccezioni “amano la pace, non uccidono” [Sara: possiamo tradurlo con “sono depositarie di un istinto conservativo?” Lorenzo: io tradurrei con un mitico “sono buone di natura”] per cui gli uomini si devono rassegnare perché semplicemente “Siamo metà uomini e metà donne e al potere ci devono essere metà uomini e metà donne” [Ah, ecco]. Ma è un’altalena di emozioni però, che fatica fino a quando poche righe subito sotto arriva la mazzata che fa perdere tutta la logica dell’articolo e svela senza troppi giri di parole il senso del pensiero schizofrenico di Veronesi:] “Certo, questo percorso di emancipazione porta con sé anche delle contraddizioni, perché la donna si ritrova a dover conciliare la sua funzione principale, che è quella di procreare e allevare figli, con il desiderio/diritto di lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività” [Sara: personalmente ho dovuto rileggere il pezzo più volte perché pensavo di aver letto male. Questa “contraddizione delle donne” non è nulla rispetto a quella che il professore ha espresso con tranquillità in questo articolo. Lorenzo: e pensando di dire loro qualcosa di straordinariamente intelligente: ricordiamoci che lui conosce la psicologia femminile come forse nessuno al mondo]. E questi vostri desideri/diritti, badate bene donne, secondari rispetto alla vostra funzione principale che è procreare e allevare i figli, “crea dei problemi sociali non indifferenti: le donne si sposano sempre più tardi, [e non è perché le donne sono sole davanti ai loro impegni a casa e in famiglia no, è perché hanno questi desideri/diritti che creano un sacco di problemi], si diffonde l’infertilità femminile [questo esattamente che connessione ha con “lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività? Ad essere buoni va almeno spiegata, così pare una specie di virus], aumenta il ricorso alla procreazione assistita [Sara: ma non sarà  anche perché prima non si poteva fare? Lorenzo: e poi, anche nella procreazione assistita, non sono sempre donne a procreare? O Veronesi sa qualcosa che noi non sappiamo?] e si fanno meno figli di un tempo [quindi l’emancipazione femminile è la causa della caduta della natalità. Complimenti!]. Ma, altro fiore di follia, a rallentare questa spinta, che comunque è inarrestabile secondo Veronesi, chi potrebbe essere? “L’immigrazione islamica, perché il mondo islamico è ancora cauto su questo fronte”. [Sara: Complimenti, davvero complimenti vivissimi. Lorenzo: Veronesi, e le scie chimiche? Niente sulle scie chimiche?].

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Atterriamo nuovamente nel terreno della prima personalità di Umberto Veronesi: “L’emancipazione della donna si fonda sul principio – in cui io credo fortemente e che guida tutte le mie riflessioni sui temi etici e sociali, dalle droghe all’eutanasia – dell’autodeterminazione di ogni singolo individuo” [“Autodeterminazione: Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”, Enciclopedia Treccani], anche sul proprio corpo la donna ha diritto di scegliere in propria autonomia e libertà [anche se la sua funzione principale è quella di procreare e di allevare i figli, dovete soffrire come noi!!!].

A cosa si riferirà per esempio qui il professor Veronesi, per esempio al diritto di poter abortire? Assolutamente no, subito dopo aggiunge: “L’abbellimento del corpo femminile ha un fondamento biologico, perché la seduzione è la parte preliminare della procreazione [Lorenzo: ha detto solo “femminile”, confermando scientificamente che l’òmo ha da puzza’. Grazie Veronesi] e dunque l’attenzione al proprio corpo fa parte degli istinti biologici primari per la conservazione della specie” [sì amiche, avete capito bene. Vestiti, scarpe, calze, trucco TUTTO ciò che usate per guardarvi allo specchio, piacere e piacervi è tutto finalizzato non a sentirvi ammirate, non a sentirvi bene con voi stesse, non a trovare una persona che vi apprezzi, ma a procreare, è più forte di voi].

Di qui la riflessione che, capirete, è spontanea: “Dov’è il confine  tra libertà di disporre a piacimento del proprio corpo e mercificazione dello stesso? Difficile dirlo. La prostituzione femminile, per esempio, è quasi inevitabile vista l’assurdità biologica per la quale la donna ha poche decine di ovuli  e li conserva per la vita [sta stronza] mentre l’uomo ha una potenzialità procreativa enorme e inutile: ogni masturbazione manda fuori mililoni di spermatozoi, quando ne basta uno per procreare. Da questa asimmetria biologica deriva un diverso bisogno dell’uomo di fare sesso, che sta alla base della prostituzione [giusto e quindi poi la donna se ne approfitta, no? Ah, già ma quella non era la tesi di un luminare della medicina, era quella della pornostar Valentina Nappi, sì, dai quella che ha anche un blog su micromega da settembre 2014]. E qui il nostro valente medico cita fior di filosofi a supporto delle sue tesi: “Persino sant’Agostino accetta la prostituzione [come se avesse potuto, lui da solo, impedirla], considerata come un male minore, visto che nella famiglia l’uomo non poteva trovare soddisfazione alle sue esigenze sessuali. E’ una posizione comprensibile, se si tiene conto di questo assurdo potenziale procreativo dell’uomo”. Capito? La prostituzione, quindi, è al naturale conseguenza di una caratteristica naturale: l’uomo eiacula come un geyser, poverino, e la prostituzione è la cura sociale a questa sua disgraziata condanna naturale.

***

Pensate che il nostro abbia finito? Poveri illusi. La sua megalomania è inarrestabile: “Io conosco bene il mondo delle prostitute, perché da ragazzino per andare a scuola passavo in una zona dove ce n’erano parecchie. Loro mi vedevano passare, mi accarezzavano, mi davano le caramelle, poi quando sono cresciuto sono state loro che mi hanno istruito sul sesso”. [Sì, lo ha detto proprio Umberto Veronesi, ex ministro della sanità, tra le tante cose. La sua statura di studioso gli permette anche paragoni audaci, metafore ardite:] “Quanti sono gli uomini che si prostituiscono davanti ai propri superiori per fare carriera? Durante il fascismo tutti gli italiani si prostituivano: il 90 percento aveva la tessera in tasca senza credere nel fascismo” [biologia, storia, femminismi, psicologia: ma quante ne sa, ma quante ne dice di scemenze? Tante, e tutte di squisita fattura. Non per niente siamo su Micromega].

***

Pronti per i fuochi d’artificio finali? No. Nessuno può essere pronto.

Tornando al tema dell’uso del corpo, quante donne sposano un uomo solo per la sua ricchezza? Anche questa è una forma di prostituzione, e anche questa con un suo fondamento biologico perché i soldi permettono di allevare meglio i figli: la donna sfrutta il proprio corpo, la propria bellezza, per sedurre l’uomo che le consentirà di allevare al meglio i figli.

E voi lì a rompervi la testa e le scatole col patriarcato, e Lonzi e Braidotti e Haraway – tutto inutile: sposare uno ricco è biologia. Sei cessa? Sei povero? Cazzi vostri, la biologia vi condanna.

E questo accade anche in politica: molte donne hanno dimostrato di essere brave in politica, al di là di come hanno iniziato la loro carriera. E’ inutile fare gli ipocriti: le donne hanno una marcia in più, che non è necessariamente legata ai canoni standard della bellezza, perché la seduzione può trovare mille vie [scusate allora: se sei cessa qualcosa la puoi fare, ma se sei povero niente, ti rimane il caro vecchio Onan]. Per cui non vedo contraddizione tra l’uso anche spregiudicato del proprio corpo ed emancipazione femminile.

E via così, l’oncologo che costruisce l’ontologia berlusconiana. E perché mai dovresti vederla, Veronesi, una qualsiasi contraddizione?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing filosofi coi pregiudizi, pregiudizi sui filosofi e filosofi dei pregiudizi

lp-village-peoplemacho-man-PDopo Zecchi (uno e due) evidentemente circolano brutte dicerie sui professori di filosofia. Non volendo essere in nessun modo discriminatori, eccone qui uno che ancora non assurto alle glorie televisive è però ben assestato nelle pagine di un noto quotidiano di sinistra che vanta nobili natali e un nome – addirittura! – di derivazione marxista. Tutto ciò che leggerete è stato fatto in occasione dell’otto marzo, occasione nella quale io personalmente mi comporto così. Avviciniamoci con rispetto e una vaga inquietudine a quanto di sublime sta per rivelarci il nostro professore in tema di donne – nel senso di questioni di genere eh, non fate i maliziosi. Ecco qui l’originale di Paolo Ercolani, giornalista e docente di Storia della Filosofia e Teoria e tecnica dei nuovi media all’Università di Urbino.

Restare Donne [Abbiamo dunque un cattedratico di filosofia che scrive sul giornale un invito alle donne a fare qualcosa – restare tali, dice il titolo. Inizia maluccio, ma via, diamogli una possibilità.]

Iste­ri­che, insta­bili, inaf­fi­da­bili, emo­tive, ute­rine, anti-sociali, ferine. Puttane! [Attenzione, l’autore vorrebbe essere ironico. Teniamone conto o ci potrebbero sfuggire alcune parti essenziali del suo raffinato pensiero, per ora espresso anche con insulti sessisti. Però è ironia – chi era quello che diceva sempre che era frainteso e che voleva solo essere ironico?]

La lista seco­lare del pre­giu­di­zio miso­gino è lunga e sem­bra scritta sulla parete eterna dell’umanità per rimar­care l’inferiorità dell’essere fem­mi­nile [sembra, «com’è buono lei» (cit.)]. Infe­rio­rità ine­men­da­bile e irre­cu­pe­ra­bile, tanto da giu­sti­fi­care e anzi ren­dere oppor­tuna e per­sino neces­sa­ria la sot­to­mis­sione al maschio. Quest’ultimo sta­bile, coe­rente, affi­da­bile. Razionale! [Ah, ecco svelata l’ironia. Non ridete? Problemi vostri: l’otto marzo è una festa, no?]

IL PIU’ ANTICO PREGIUDIZIO

Quello con­tro la donna si rivela come il più antico, radi­cato e dif­fuso pre­giu­di­zio che la sto­ria umana è stata in grado di pro­durre. Tetra­gono agli urti del tempo e per­fet­ta­mente in grado di tra­sfor­marsi per poter resi­stere a ogni forma di sana resi­pi­scenza. Anche oggi che quasi nes­suno ha più il corag­gio (e il buon senso) di espli­ci­tare quei pen­sieri sulle donne (e molto spesso sono le donne stesse) [duole constatare che gli ordinari di filosofia, come vuole un altro tetragono pregiudizio, vivono non si sa dove: di maschilisti che esprimono tranquillamente fior di pregiudizi son pieni, tanto per cominciare, i giornali, altro che quasi nessuno], biso­gna sapere che il pre­giu­di­zio miso­gino esi­ste e lavora nell’oscurità dell’animo di ognuno di noi [«senti come pompa il pippero» (cit.) e beccatevi questa condanna senz’appello, lui ha letto un sacco, ne sa di cose]. Essen­dosi tra­sfor­mato in abito men­tale e quindi, come ben sapeva il filo­sofo ame­ri­cano Peirce [che faccio, cito uno noto o uno che ce lo siamo letto in tre? Sono sul Manifesto: devo essere elitario. Quindi, cito quello che ce lo siamo letto in tre], in cre­denza non espressa ma per­fet­ta­mente in grado di eser­ci­tare il suo influsso note­vole e palese sui com­por­ta­menti concreti [oh, siete svegli? Seguite bene: esiste nell’animo di ognuno, poi è abito mentale, quindi credenza non espressa che influisce sui comportamenti. Peccato, speravo ci dicesse da quale orifizio dovrebbe uscire questa roba e anche, più utilmente, da dove nasce il pregiudizio misogino: è innato, così, per default nell’animo di ognuno? Mah. Forse devo rileggere Peirce].

Il pre­giu­di­zio più antico ma anche il più dif­fuso. Che fos­sero atei o cre­denti, pro­gres­si­sti o con­ser­va­tori, rivo­lu­zio­nari o rea­zio­nari, scien­ziati o pen­sa­tori, tutti i più grandi arte­fici della cul­tura occi­den­tale si sono ritro­vati e spal­leg­giati nella con­danna e mor­ti­fi­ca­zione dell’essere femminile [e sempre, apparentemente, per qualcosa che era nel loro DNA: ricordatevi che esiste e lavora nell’oscurità dell’animo].

Ina­de­guata a rico­prire qua­lun­que ruolo che non fosse quello di occu­parsi della casa e alle­vare figli, la donna si è vista sbar­rata per secoli ogni strada che potesse con­durla a qua­lun­que altra atti­vità che non fosse quella di essere ausi­liare (una costola) alla crea­tura prin­ci­pale, al «primo sesso»: il maschio.

Da stu­dioso di filo­so­fia ho spesso pro­vato a imma­gi­nare la delu­sione pro­fonda, il senso di sco­ra­mento, per­fino l’angoscia che potrebbe (e dovrebbe) pro­vare una gio­vane stu­den­tessa, appas­sio­nata di que­sta mate­ria, che si avvi­ci­nasse alla let­tura dei grandi classici [però, che modestia. Potrebbe anche provarla lui questa delusione profonda, e invece no. Potrebbe anche non fregargliene nulla, alla giovane studentessa, la quale potrebbe tranquillamente studiarsi anche solo filosofe donne; ma il professore di filosofia sa bene cosa lavora nell’oscurità dell’animo anche di sessi diversi dal suo].

Sco­pri­rebbe che Pita­gora, Pla­tone, Ari­sto­tele, Sant’Agostino, San Tom­maso, Mar­si­lio da Padova, Bacone, Mon­tai­gne, Locke, Kant, Hegel, il per­fido Nie­tzsche («Se vai da una donna non dimen­ti­care la frusta»)…Tutti, tutti per­fet­ta­mente con­cordi, e con argo­menti sor­pren­den­te­mente con­fluenti, nel con­fer­mare lo sta­tuto di essere mise­re­vole, disgra­ziato, infe­riore che sarebbe la donna [peccato che queste informazioni se le dovrebbe ricavare da sola leggendoli o leggendo testi di filosofe, perché i manuali di filosofia ben si guardano dal raccontarlo – questo quando lo diciamo?].

Nello stu­dio per la ste­sura del libro a cui sto lavo­rando [ah, ecco il perché di tanto zelo], dedi­cato pro­prio a que­sto argo­mento, avrei [perché il condizionale?] poi sco­perto che Chri­stine de Pizan, scrit­trice e poe­tessa italo-francese che scri­veva a cavallo tra il 1300 e il 1400, ini­ziava il suo libro («La città delle dame») pro­prio con lo sgo­mento e la pro­fonda ango­scia pro­vate dalla gio­va­nis­sima pro­ta­go­ni­sta Cri­stina. Appas­sio­nata di filo­so­fia e pro­fon­da­mente tur­bata dalla sco­perta che i suoi amati clas­sici erano tutti con­cordi nel rimar­care con argo­menti duri e vio­lenti l’inferiorità e la neces­sa­ria sot­to­mis­sione della donna [il docente di filosofia scopre ciò che è risaputo da sei secoli e ne fa un libro, di queste sue scoperte. Poi ti domandi perché esistono certi pregiudizi sui filosofi].

L’ORIGINE DI TUTTE LE DISGRAZIE

Del resto, ad essa è stato attri­buito un ruolo disgra­ziato e nefa­sto fin dalla nascita del mondo. Basta leg­gere Esiodo [che come sapete leggono tutti, vende più della Gazzetta dello Sport] per sapere che Zeus aveva creato la donna, per­so­ni­fi­cata da Pan­dora, per punire gli uomini in seguito al furto di Pro­me­teo. Pan­dora era for­nita di un vaso con­te­nente tutte quelle disgra­zie e pene di cui l’umanità era stata dispen­sata fino a quel momento. Postina o amba­scia­trice di morte, malat­tie, fati­che immani, dolori, scon­fitte, Pan­dora finì [finì, da sola, senza l’aiuto di nessuno eh, mi raccomando] con l’essere iden­ti­fi­cata con la donna in genere. Ori­gine e causa di ogni male!

Stessa situa­zione pre­sen­tata dalla Bib­bia. Dio non aveva pre­vi­sto la morte e quella valle di lacrime che è la vita ter­rena per l’uomo. Que­sto poteva esi­stere beato nel giar­dino cele­ste senza la minima preoccupazione.

Sen­non­ché ci ha pen­sato Eva, stu­pida e curiosa, a cadere nel tra­nello del ser­pente e con­vin­cere pure quel mal­lea­bile di Adamo a con­trav­ve­nire agli ordini divini.

Tutti i grandi teo­logi [maschi, ndr, cosa che al professore sembra sfuggire] si sono tro­vati con­cordi nell’attribuire alla capo­sti­pite delle donne la colpa di quel ter­ri­bile atto da cui, peral­tro, sarebbe ori­gi­nata que­sta vita ter­rena magni­fica ma segnata dal pec­cato, e quindi dalla sof­fe­renza, dalla pena e infine da quell’«ultimo nemico» (San Paolo) che è la morte.

L’unico teo­logo che la «difese», attri­buendo la colpa ad Adamo, lo fece con l’argomentazione secondo cui a ella non poteva essere rico­no­sciuta alcuna colpa, per­ché troppo stu­pida e inge­nua [e perché non fare il nome di questo teologo? Peirce, Esiodo e San Paolo sono letture frequenti e diffuse, questo teologo no?]. Adamo, da uomo, avrebbe dovuto pren­dere in mano la situa­zione e respin­gere il dia­volo ten­ta­tore. Eva non aveva gli stru­menti nep­pure per questo.

Pro­prio per sfug­gire ai dia­voli che si attac­cano ai capelli, veniva impo­sto alle donne di coprir­seli con un velo quando si avven­tu­ra­vano nello spa­zio pub­blico. Una pra­tica che, udite udite, era in vigore nell’Atene demo­cra­tica ma non, negli stessi tempi, in Per­sia o Siria, tanto per smen­tire uno dei molti luo­ghi comuni sulle ori­gini delle libertà «occidentali» [ma com’è bravo a rendersi simpatico distillando il suo sapere al momento giusto, sembra proprio Zecchi – la foto degli anni ’60 la mettono tutti senza capirci molto, ma lui è elitario, la prende alla lontana].

Né da tutto que­sto, ovvia­mente, può essere esclusa la scienza, se per esem­pio pen­siamo che il vol­gare pre­giu­di­zio dif­fuso con­tro le donne che non hanno rap­porti ses­suali da molto tempo («iste­ri­che»), non nasce dal senso comune popo­lare ma fu argo­men­tato attra­verso com­plesse ana­lisi bio­lo­gi­che nien­te­meno [dopo udite udite pensavo che rinunciasse a un po’ di retorica, invece ci tocca pure il nientemeno] che da Ippo­crate, medico antico su cui ancora oggi giu­rano tutti coloro che inten­dono eser­ci­tare la professione [io pensavo che, dopo Galileo, questo fosse solo un simbolico giuramento etico. Invece no, evidentemente: devi proprio credere a tutto quello che diceva uno di medicina 24 secoli fa, dice il docente, e immaginatevi che complesse analisi dovevano essere. La storia insegna che lo sforzo “scientifico” fu di confermare i pregiudizi popolari comodi al patriarcato vigente, e non il contrario: questo fenomeno si chiama, oggi, confirmation bias].

Curare i mali del corpo, evi­den­te­mente, non com­porta in maniera auto­ma­tica la facoltà di riu­scire a risol­vere anche quelli della mente e del pregiudizio [dàje che va bene anche un po’ di empowerment, dàje! E adesso? L’articolo potrebbe anche finire qui, con l’empatia per la studente (io dico così, scusate eh) e una tirata d’acqua al mulino dei filosofi. E invece no].

RESTATE UMANE: RESTATE DONNE [Da brividi l’accostamento Jobs/Arrigoni al femminile, eh? E ancora non avete letto il suo libro, chissà che meraviglie ci aspettano.]

Mi fermo qui [magari]. Una rico­stru­zione del pre­giu­di­zio miso­gino che tenti di essere esau­stiva e com­pleta, per di più in forma cri­tica e non com­pi­la­tiva, richie­de­rebbe ben più del libro che sto ulti­mando [sempre modesto, lui]. Figu­ria­moci se può essere esau­rita nello spa­zio di un articolo [eh, in un articolo possiamo combinare ben altro. ‘Spetta lì].

In que­sta sede mi pre­meva sol­tanto rimar­care il seco­lare potere eser­ci­tato da que­sto sor­dido pre­giu­di­zio con­tro la donna.

Il più antico, radi­cato, resi­stente che la sto­ria umana ha cono­sciuto nella sua lunga e con­tro­versa vicenda [sì, ma l’hai già detto, sta poche righe su. Ma allora è vero che i filosofi stanno sempre lì a ripetere le stesse cose! Passo a darti del tu eh, ‘sto post dura da tanto che siamo diventati amici]. Al punto da con­vin­cere per prime molte donne stesse, spesso le più zelanti e severe nel for­mu­lare un giu­di­zio di con­danna verso le pro­prie simili, o anche solo sem­pli­ce­mente nel rite­nere (e nell’affermare senza pro­blemi), che come medico, avvo­cato, pre­si­dente del con­si­glio o anche solo auti­sta di un auto­bus pre­fe­ri­scono un uomo e si sen­tono più sicure con lui [che il sessismo è trasversale ai generi lo sappiamo dagli anni Sessanta. Docente, vieni al sodo, so’ venti minuti che scrivi!].

Si tratta di un ben pre­ciso feno­meno chia­mato «auto­fo­bia» [EH? Questa parola non c’è manco nel Treccani, ma i filosofi sono tanto creativi. C’è qui, ma dice che il significato è un altro], che col­pi­sce pro­prio i com­po­nenti di quei gruppi sociali più col­piti e mor­ti­fi­cati, pri­vati a tal punto di ogni minima spe­ranza di eman­ci­pa­zione e rea­liz­za­zione del sé da rin­ne­gare la pro­pria appar­te­nenza, così da (illu­dersi di) poter pro­vare ad essere accolti e rico­no­sciuti nel gruppo di chi comanda ed elar­gi­sce le stig­mate del bene e del male [a me pare la versione “sociale” della Sindrome di Stoccolma, ma che volete che ne sappia io? Mica sono un professore di filosofia. Io mi limito a leggere Chiara Volpato, ma che volete che ne sappia pure lei].

Rin­vio al libro le con­si­de­ra­zioni più ampie e arti­co­late [e tre. Sì abbiamo capito, ce l’hai detto che stai scrivendo ‘sto libro. Quando uscirà davvero non avremo scampo]. Ma in tale dire­zione, nello spa­zio limi­tato di que­sto mio blog e in que­sto giorno di con­tro­versa cele­bra­zione della donna [non è controversa, non lo è proprio una celebrazione della donna], mi sento di auspi­care per loro (e quindi per noi tutti!) una rea­zione [aspetta: ma noi non eravamo quelli che il pre­giu­di­zio miso­gino esi­ste e lavora nell’oscurità dell’animo di ognuno di noi?] con­tro il pre­giu­di­zio e un’affermazione della pro­pria libertà e dignità non in dire­zione dell’«autofobia», bensì dell’orgoglio e della valo­riz­za­zione dell’essere donna in quanto dif­fe­rente e irriducibile [ma allora parla per te e per gli uomini, no? Che parli a fare per le donne e alle donne se auspichi anche per noi tutti quella reazione? La tua reazione quale sarebbe, scriverci un libro pieno di questa roba?].

Negare lo sta­tuto bio­lo­gico pre­ciso che con­fi­gura un indi­vi­duo come donna [notate bene: prima c’è l’individuo, poi il suo statuto biologico, infine possiamo configurare tutto ciò come donna], infatti, pre­fi­gu­rando per­fino sce­nari «post-umani» in cui gli indi­vi­dui saranno tutti ases­suati (né uomo né donna, bensì un sesso “terzo” che non è né l’una né l’altra cosa), come da pro­po­ste di un certo fem­mi­ni­smo radi­cale [EH? E quale? Nomi, riferimenti? Ah, sì, mi devo comprare il libro. Per scoprire che il docente di filosofia è l’ennesimo che ha letto male da Butler in poi, come quelli che si sono inventati la teoria del gender, che farnetica appunto di sce­nari «post-umani» in cui gli indi­vi­dui saranno tutti ases­suati], non sol­tanto si rivela un’operazione assurda e ste­rile (inac­cet­ta­bile per la mag­gior parte delle donne stesse) [no, è un’operazione INESISTENTE, ma quante volte toccherà dirlo? Quella roba non l’ha detta mai nessun*!], ma fini­sce col rap­pre­sen­tare il più grande com­pi­mento dell’opera por­tata avanti dal pre­giu­di­zio miso­gino: l’eliminazione della donna in quanto tale [a parte che è roba che hai letto solo tu, ma poi scusa, perché della donna in quanto tale? Hai scritto sopra gli individui saranno tutti asessuati e né uomo né donna! Guarda che quello dei lapsus, te lo dico io, si chiama Freud].

Si trat­te­rebbe, in fondo, della rea­zione auto­fo­bica per eccel­lenza, che para­dos­sal­mente for­ni­sce l’impressione di accet­tare tutte le con­danne maschi­li­ste tanto da arri­vare a pro­porre il sui­ci­dio della donna e l’evaporazione della spe­ci­fi­cità fem­mi­nile verso tipo­lo­gie umane in cui di fem­mi­nile non resta più nulla [non so come commentare una frase la cui insensatezza raggiunge vertici paragonabili alle canzoni di Povia, o ai deliri di Recalcati. O a entrambe le cose, a pensarci bene].

«Donne si diventa», scri­veva Simone de Beau­voir, pro­prio per sfug­gire ai ten­ta­tivi della società patriar­cale di imbri­gliare l’essere fem­mi­nile all’interno di una rigida iden­tità natu­rale, che ovvia­mente la con­fi­nava in un ruolo di subor­di­na­zione e com­ple­mento rispetto all’essere «asso­luto», il maschio [identità naturale? A ulteriore riprova che in fase di lettura c’è qualcosa che non va, questa non mi pare proprio una breve spiegazione delle parole di de Beauvoir. Lei le usa in senso contrario, dicendo ad esempio: “Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.”].

Le con­qui­ste che sono state otte­nute dalle donne con­fer­mano l’importanza di quella frase [citata a vanvera], il ruolo cru­ciale gio­cato anche dalla cul­tura e dall’educazione nell’impedire forme di discri­mi­na­zione odiose e inaccettabili [quali conquiste? Sul piano del diritto sono tante, ma nella pratica politica e civile sono smentite dai fatti. Il ruolo cruciale è lungi dall’essere dimostrato e/o accettato, come raccontano le tante battaglie ancora in corso, per dirne qualcuna, contro il linguaggio sessista dei media o per una educazione sessuale nelle scuole. E poi, le parole di Haraway, bell hooks, Spivak, per esempio, criticano anche l’educazione – come collocarle in uno schema così semplificato?].

Ma dimen­ti­care il dato natu­rale [eccoci qui: alla fine di tante parolone, torna il dato naturale, complimenti per la novità filosofica], rinun­ciare a costruire ed affer­mare una sog­get­ti­vità fem­mi­nile con le spe­ci­fi­cità, il valore e la diver­sità che que­sta fem­mi­ni­lità com­porta [e quali sarebbero? No, perché esistono tanti femminismi per quante definizioni vogliamo dare di queste specificità – cui vanno sommati i femminismi per i quali non esiste neanche. Che si fa, li  buttiamo via?], signi­fica cor­rere il rischio di diven­tare quello per cui hanno lavo­rato secoli di bar­ba­rie miso­gina. Ossia un qual­cosa che ha can­cel­lato e dimen­ti­cato l’unicità e la ric­chezza insite nell’essere donna [beh tu, filosofo maschio bianco occidentale, sì che puoi dirlo, in che consiste l’unicità e la ric­chezza insite nell’essere donna. Non vedo l’ora di leggere questo tuo libro].

Per­ché donne si nasce e lo si diventa [bravo, così facciamo content* tutt*]. Ed oggi è fon­da­men­tale non smet­tere di esserlo! [Così posso continuare a scrivere queste scemenze!]

Cos’abbiamo qui, dunque? Un filosofo di professione, e giornalista, che approfitta dell’otto marzo per parlare del suo prossimo libro e chiedere alle donne di non dimenticare, nel 2015, il loro dato naturale. Complimenti per la modestia e la competenza in questioni di genere.

Testi che raccolgono prove de il più antico pregiudizio ce ne sono a mucchi: ricordo, per motivi affettivi, lo splendido Sinfonia patriarcale, di Viola Angelini e Antonio Capizzi, edito da Savelli nel lontano 1976, nel quale sono catalogati dalla Bibbia a Ugo Spirito filosofi, romanzieri, scrittori vari e i loro maschilismi. In questo lavoro si ricordano altri lavori analoghi, come quello di Maria Teresa D’Antea (Antologia del delirio) e quello di Liliana Caruso e Bibi Tomasi (I padri della fallocultura), sempre degli anni ’70. Da lì in poi ce ne sono stati molti altri – il problema è sempre stato non l’esistenza di questi testi, ma l’esistenza di chi fosse abbastanza saggio da andarseli a leggere e studiare. Speriamo che, a quarant’anni di distanza da quegli esempi, Ercolani aggiunga qualcosa in più che valga la pena leggere. Da quello che se ne deduce da questo post, le mie sono proprio speranze da filosofo: utopie.

Deconstructing i generi assortiti di Dan Savage

savage2Stavolta proviamo con un testo un po’ particolare, una lettera e una risposta. Diciamo che decostruiamo un dialogo; siamo più attenti alle parole dell’illustre interlocutore, ma sempre una specie di dialogo è. Appare sulle pagine di Internazionale, una delle poche cose periodicamente stampate e leggibili in questo paese: la rubrica di Dan Savage – detto per inciso – meno male che c’è. Il che non significa che sia sempre da accettare benevolmente qualunque cosa ci sia scritta. Per esempio, questa. [Attenzione: i nostri commenti sono sempre quelli tra parentesi quadre, indipendentemente dal corsivo.]

Generi assortiti

Forse non sei la persona giusta per rispondermi [bell’inizio, complimenti], ma magari possono aiutarmi i tuoi commentatori [ditemi voi perché Savage dovrebbe continuare a leggere già dopo queste quindici parole, ma vabbè]. Voglio bene ai miei amici transgender, e li sostengo [sembra il classico “io non sono razzista, ma”], ma non capisco tutti i miei amici fra i 18 e i 21 anni che si dichiarano “di genere neutro” [attenzione: “tra i 18 e i 21″, né più né meno. Se lo dici prima o dopo, tutto a posto]. Io sono un po’ più grande, e la cultura e la storia queer mi sono sempre interessate molto. Ma loro mi sembrano aver dimenticato, o non aver mai saputo, che le lesbiche butch che si mettono gli strap-on restano comunque donne [embè? Mica hanno detto “di sesso neutro”, ma di genere neutro. Magari ci stanno pensando su, no? Si stanno mettendo alla prova chissà in che modo. Che ne sai tu?], o che esistono molti uomini etero che indossano intimo di pizzo [continuo a non capire perché questo esempio, o l’altro, andrebbero contro la frase de “i miei amici fra i 18 e i 21 anni”]. Ho l’impressione che non sappiano che è possibile non conformarsi a un genere preciso senza per questo rinunciare al genere del tutto [sì, va bene, ma forse semplicemente stanno sperimentando. O serve per forza un’etichetta che vada bene a te? Non basterebbe chiederglielo?]. Essendo così giovani, e avendo preso tutti questa decisione contemporaneamente [amico mio, contemporaneamente sembra a te, e ti credo: parli solo di un intervallo di tre anni!], a me sembra un po’ una moda [questo non vuol dire nulla. Anche scrivere a Savage su Internazionale è, recentemente, diventato di moda]. Magari qualcuno di loro si rivelerà trans, che va benissimo, ma ho il forte sospetto che nel giro di un paio di anni alcuni diventeranno totalmente convenzionali [che sarebbero comunque affaracci loro, così come sono affaracci loro metterci tutto il tempo che pare a loro e partendo dall’età che pare a loro. Ma di che stiamo parlando? Che c’è l’orario ferroviario per farsi domande sul proprio sesso o sul proprio genere? Se non lo fai fra i 18 e i 21 anni perdi il transtreno?]. Dirgli che è solo una fase sarebbe sgarbato e arrogante [scusa eh, non vorrei fare il parolaio, ma tra dire “è solo una fase” oppure per esempio “è una fase”, già ci vedo una grossa differenza. Quel “solo” io lo vedo sì, sgarbato e arrogante], e non lo farei mai, ma davvero non capisco che senso abbia definirsi di genere neutro [scusa, ma non stai parlando di un movimento d’opinione che vuole imporre a tutti il genere neutro. Parli di ragazz* che probabilmente ci stanno pensando su. Che problema c’è?]. Cos’è cambiato negli ultimi anni che possa spiegare questo boom? [EH? E su quali basi statistiche, a parte la tua personale conoscenza, parli di boom? E sempre su quale base questo sarebbe un cambiamento negli ultimi anni? Sta parlando uno storico ufficiale del movimento queer?] – Longtime Reader [no, appunto.]

Ah, l’identità di genere. Di questi tempi ci vuole un file Excel per starle dietro. [E’ una battuta? E’ una critica?]
Ci sono quelli di genere neutro, ci sono i bigender, ci sono gli agender. E poi ci sono i pangender, i no-gender, i genderfluidi e i genderqueer. Ci sono anche i gender-non conformi, i gender-critici, i gender-variabili, e pure i genderfuck, i trigender e gli intergender (Quali vogliono il trattino e quali no? E chi cazzo lo sa?). Aggiungi a ognuno di questi generi del giorno il suo aleatorio, imprevedibile e sempre mutevole assortimento di preferenze in materia di pronomi, e il risultato sarà una bufera di fiocchi di neve iperspecializzati, tutti pronti a farsi offendere alla prima microagressione reale o immaginata, per poi fiondarsi su Tumblr a darne macro-sfogo. [Scusa Savage, commentare così è certamente lecito, ma non è corretto. Non si possono mettere insieme una serie di comportamenti singoli e commentarli come se fossero parte di un movimento organico e compatto, come se fossero una specie di deviazione culturale. Che ci siano dei cretini in giro è ovvio, ma dire che il cretino è di moda o che tutti sono cretini è una banalità molto peggiore dei comportamenti che hai descritto. E poi il lettore diceva “tra i 18 e i 21”, tu no. Perché?]

Cos’è cambiato negli ultimi anni? Che di genere oggi si discute di più, LR, e questo è un bene [e ok]. Perché le regole di genere imposte culturalmente sono assurde [e ri-ok], e la sorveglianza sull’espressione e sull’identità di genere è oppressiva e spesso violenta [e va bene così, anche se comincio a chiedermi che c’entra]. Questa fondamentale e necessaria discussione sul genere ha suscitato grande interesse – e, in alcuni settori, generato grande solidarietà – nei confronti di persone che non soltanto discutono di genere, ma ci combattono, lo affrontano e lo ridefiniscono [sssì, ma si parlava di “tra i 18 e i 21”, no?]. Solo che “l’interesse” e la “solidarietà” nei confronti di una questione tendono anche ad attrarre persone per le quali detta questione è soltanto una posa, o un modo per cercare attenzione [eh? Quindi tra i 18 e i 21 decidiamo unilateralmente che è soltanto una posa?]. Non è una novità. Se presti attenzione a un piatto di crocchette di patate per un po’ di tempo, a un certo punto anche quello finirà per attrarre poseur e gente a caccia di attenzioni [fin qui quasi tutto bene, anche se manca una precisazione: tutto ciò non c’entra né col gusto delle crocchette, né col fatto che possano liberamente piacere o non piacere. Il lettore non chiedeva niente di questo tipo. E poi, ancora: il lettore chiedeva di qualcosa tra i 18 e i 21, mentre Savage sta andando a ruota libera. Di nuovo: perché?].

Ma siccome è (quasi sempre) impossibile distinguere i poseur a caccia di attenzione da chi fa sul serio [e no. Bastano cinque minuti di chiacchiere per distinguere i poseur. Altrimenti, Savage, non ha senso che tu scriva di cose di genere, e che arrivino fino a ‘Internazionale’, no?], LR, la cosa migliore da fare, quando qualcuno si dichiara di genere neutro – o bigender o pangender o ecceteragender – è sorridere, annuire, chiedere che pronome personale preferisce, segnarsi mentalmente di stare attenti ad aggettivi e participi, dopodiché cambiare discorso [cioè trattarlo da matto o da cretino – o entrambe le cose. A prescindere. E quell* che non sono poseur? E quell* fra i 18 e i 21 anni? E quell* che, tra i 18 e i 21, magari da Savage si aspettano qualcosa in più?].

Ricapitola bene il mio amico Frantic: «Il nostro Savage accusa implicitamente la presunta marmocchieria frocia di millantare la sua frocità “iperspecializzata” (sic) e gli appioppa una pignola lamentosità – peccato che quest’ultima sia pressoché lo stesso pattern che il nostro amico c’ha in tutto ciò che ha scritto; in pratica se sono un povero giovane stronzo minoritario e faccio polemica sono un (falso?) finocchietto irascibile, lo stesso atteggiamento, se ce l’ha un opinionista maschio bianco cis (anche se ghèi) che ha già raggiunto da tempo la maggiore età, è oro colato».

Aggiungiamo due link un pochino più cattivelli di noi. Buona lettura.

http://fucknodansavage.tumblr.com/

http://forgetpolitics.tumblr.com/post/22929360770/the-top-6-reasons-why-you-should-hate-dan-savage