Sono bisessuale, e orgoglioso di esserlo!

 

Sono bisessuale. Non mi piacciono uomini e donne, mi piacciono più generi.

Sono bisessuale. Gli eterosessuali pensano di potermi normalizzare, gli omosessuali credono che io sia un gay velato che non vuole fare coming out. In ogni caso, pare che chiunque ne sappia sempre più di me sul mio orientamento.

Sono bisessuale. È considerato accettabile dire che sono confuso, indeciso e che la mia è solo una fase; affermazione che, se rivolta ad una persona esclusivamente omosessuale, è accolta – giustamente – con orrore.

Sono bisessuale. Il mondo è abituato a vedere monosessualità ovunque, e la percezione del mio orientamento avviene sulla base di chi frequento, e quindi sono invisibilizzato. E se prendo per mano un ragazzo, allora sono ‘finalmente gay dichiarato’,  e se sto con lei, per magia divento un omosessuale che finge di essere etero.

Sono bisessuale. Con scherno, si dice che una persona bisessuale è contenta a prescindere da quello che trova negli altrui pantaloni. Avrete mica paura della liberazione dei generi e dell’accettazione di più di due set predefiniti di corpi sessuati?

Sono bisessuale. Se guardo un film qualunque e c’è un personaggio bisessuale, posso essere sicuro che nella quasi totalità dei casi sarà un personaggio palesemente instabile e con problemi di salute mentale. Se non sarà così, allora sarà descritto/a come gay o lesbica.

Sono bisessuale. Quando lo affermo, automaticamente si dà per scontato che mi piaccia chiunque e che questo sia in qualche maniera un segnale di consenso da parte mia nei confronti di avances di vario tipo.

Sono bisessuale. Se fossi monogamo, mi direbbero che non sono un vero bisessuale e il/la mi@ partner non si fiderebbe di me perché potrei lasciarl@ per una persona del mio o di altri generi. Ma siccome sono poliamoroso, mi dicono che rinforzo stereotipi.  In ogni caso non va bene: rovino l’immagine del gay zitto e buono che si sposa, si ingozza di torta nuziale, è felice così e chissene importa se intanto il tasso dei suicidi lgbtqia+ sale in maniera preoccupante.

Sono bisessuale. Ed ogni personaggio storico con una relazione con una persona del suo stesso sesso è considerato automaticamente omosessuale, a prescindere da quello che effettivamente provava nei confronti degli altri generi.

Sono bisessuale. Conosco molte associazioni omosessuali e poche associazioni transessuali. E di associazioni bisessuali? Soltanto due.

Sono bisessuale. Non dò per scontato che il mondo sia binario, eppure mi sento dire da mille persone che non-si-etichettano o che utilizzano qualche etichetta-ultra-super-inclusiva frasi come no, preferisco dirmi pansessuale e quando chiedo loro perché, mi rispondono che identificarsi come bisessuale implicherebbe affermare l’esistenza di due soli generi e sarebbe transfobico nei confronti delle persone con un’identità di genere nonbinaria. Subito dopo, affermano che a loro piacciono uomini, donne e trans. Come se considerare quel ‘trans’ un mondo a sè stante non fosse transfobico, e soprattutto ignorando che io stesso sono un uomo trans, e sono bisessuale. Tuttavia, se mi identificassi come pansessuale, non esisterei lo stesso perché sarebbe considerata una nuova e inutile etichetta da hipster.

Sono bisessuale. Non ho scelto di esserlo, ma dal momento che lo sono scelgo di vivere la mia vita in maniera favolosa, splendente, liberatoria e rivoluzionaria e piena di rabbia, gioia, solidarietà, orgoglio.  E lotto per la mia liberazione e quella di tutte le persone bisessuali!

 

Maschio e femmina dio li creò!? Il binarismo sessuale visto dai suoi zoccoli, di Lorenzo Bernini

20130718_002709

Inauguriamo oggi una nuova categoria, l’Archivio Intersezionale, nella quale saranno pubblicati tutti quegli articoli scovati in rete che, a nostro personalissimo giudizio, meritano di essere raccolti in un ‘archivio del pensiero’ intersezionale. L’articolo che segue, pubblicato su Nazione Indiana nel 2008, è l’estratto di una lezione su transgenderismo e intersessualità che Lorenzo Bernini ha tenuto il 9 settembre 2008 presso il corso di dottorato di ricerca in Studi Culturali dell’Università degli Studi di Palermo.

Pur non trovandomi assolutamente d’accordo su una delle conclusioni tratta dall’autore – la chiusa della prima parte auspica un ‘progetto riformista, e non rivoluzionario, che oggi potrebbe scontentare un certo pensiero queer, ma a me sembra un progetto autenticamente libertario e soprattutto mi sembra l’unico progetto realmente praticabile. […] La mia proposta è quindi di abbandonare ogni progetto di fuoriuscita dal dispositivo binario della sessualità, per tentare di mobilitare le categorie del dispositivo dal suo interno’ – reputo questo articolo puntuale sotto molti aspetti e meritevole di attenzione… buona lettura!

 

1. Perché questi punti, perché questi zoccoli: Il titolo che ho scelto per questa lezione è una citazione del versetto 1, 27 della Genesi – “Maschio e femmina Dio li creò” – a cui ho aggiunto un punto esclamativo e uno interrogativo. E per iniziare vorrei spiegarvi il senso di questa aggiunta poco elegante e piuttosto “pop”. Ho aggiunto il punto esclamativo per esprimere un tono imperativo: infatti, dal momento che tutto quello che Dio fa è cosa buona e giusta, le descrizioni degli atti divini contenute nella Bibbia devono essere lette come prescrizioni. In particolare, il versetto 1, 27 della Genesi deve essere letto come una frase che ci ordina: “Tu devi essere maschio oppure femmina – punto esclamativo! – perché così vuole Dio”. Il punto interrogativo simboleggia, invece, la collocazione che ho scelto di assumere di fronte a questa ingiunzione divina. Per illustrarvi questa collocazione, mi è però necessaria una breve digressione.
In un breve saggio del 1950, Hannah Arendt riflette sul proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, e per farlo assume il punto di vista delle uova. Il testo si intitola, infatti, The Eggs Speak Up: Le uova prendono la parola. La filosofa ebrea sostiene che al proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, le uova preferirebbero il principio enunciato da Clemenceau in occasione dell’affaire Dreyfus. Nel 1894, quando Alfred Dreyfus, capitano dello stato maggiore francese di origini ebraiche, fu ingiustamente accusato di alto tradimento, Georges Benjamin Clemenceau (che sarebbe poi diventato presidente del consiglio francese) ne prese le difese sostenendo che “l’affare di uno è affare di tutti”. Con queste parole, Clemenceau intendeva affermare che nessun cittadino francese poteva sentirsi garantito nelle sue libertà di fronte a uno stato che discriminava gli ebrei, perché la libertà delle minoranze è garanzia anche della libertà della maggioranza. Parole che non dovremmo dimenticare di fronte alle attuali politiche sull’immigrazione del governo italiano, ma che ci saranno utili anche per comprendere l’attuale biopolitica dei sessi.
Con il punto interrogativo ho voluto segnalare che la mia collocazione, nell’analisi che sto per fare, non sarà quella di un soggetto che si pretenda universale e neutrale, ma sarà consapevolmente particolare e parziale. L’oggetto del mio intervento sarà il binarismo sessuale, cioè quel dispositivo biopolitico che impone alla nostra sessualità una divisione netta a due termini: maschio-femmina, uomo-donna. Seguendo la lezione di Arendt, nelle mie riflessioni cercherò di dare la parola a quelle uova che devono essere rotte per fare quelle frittate che sono le identità tradizionali degli uomini e delle donne – ai soggetti intersessuali e transgender che non si conformano a queste identità, che di fronte alle alternative binarie del sesso e del genere non sanno che cosa scegliere e restano perplessi. Per usare un’altra metafora che chiarirò in seguito, potrei dire che vorrei dare la parola a quegli zoccoli che restano piantati, e stritolati, negli ingranaggi della fabbrica della sessualità. Questo spiega il sottotitolo che ho scelto per questo seminario: “il binarismo sessuale secondo i suoi zoccoli”.

2. Premesse di metodo. Ma prima di parlarvi dei soggetti intersessuali e transgender, vorrei soffermarmi sui tre criteri diagnostici, sulle tre coppie di concetti opposti – di concetti binari – con cui oggi psichiatri, psicologi e sessuologi classificano le identità sessuali delle persone. E ancor prima vorrei fare qualche precisazione sul mio metodo: nella mia analisi seguirò l’impostazione inaugurata da Michel Foucault nel primo volume della sua Storia della sessualità, intitolato La volontà di sapere (1976). In questo libro, il filosofo francese sostiene, contro le teorie della “rivoluzione sessuale” che erano molto in voga nei movimenti della contestazione degli anni settanta, che la relazione che lega potere e politica non è principalmente la repressione: a suo avviso il potere, piuttosto che reprimere la sessualità, la produce. Agendo attraverso la cultura, la socializzazione, l’educazione, il potere produce dialetticamente tanto la norma sessuale, quanto le identità perverse che le sono correlate. La sessualità per Foucault, lungi dall’essere un nucleo di desideri originario e naturale come volevano le teorie della “rivoluzione sessuale”, è un dispositivo della biopolitica – è uno dei meccanismi attraverso cui il potere esercita la sua presa sulla vita biologica della specie umana plasmandola in una specifica forma di vita. Nell’analisi di Foucault, che poi è stata ripresa dal pensiero femminista e dalla rielaborazione che di quest’ultimo ha operato Judith Butler, il dispositivo di sessualità è un meccanismo culturale complesso attraverso cui convenzioni linguistiche, religiose, morali, scientifiche, giuridiche si applicano all’individuo condizionando i suoi rapporti con gli altri e con se stesso. Gilles Deleuze ha sostenuto che uno dei grandi insegnamenti di Foucault consiste proprio nell’aver messo in evidenza che “il dentro” altro non è se non “un fuori ripiegato” – che il modo in cui il soggetto pensa la propria interiorità deriva da significati culturali che provengono dall’esterno. Ognuno impara infatti a nominare se stesso, a interpretare i propri desideri, a relazionarsi alle altre persone attraverso l’educazione, la cultura, la morale: attraverso un mondo esterno che lo determina, e che gli offre i sostantivi, gli aggettivi, tutti gli strumenti linguistici e teorici con cui gli è possibile pensarsi come dotato di un’identità.

3. La recente storia degli invertiti. Affermare che la sessualità non è legata alle profondità della natura, significa aprire la possibilità di analizzare la sessualità nella superficialità dei suoi eventi, tratteggiandone una storia. Secondo le ricostruzioni di Foucault, ad esempio, l’omosessualità non è esistita da sempre: l’omosessuale è, piuttosto, un personaggio che appare soltanto nell’Ottocento. Presso gli antichi, nel Medioevo e ancora all’inizio dell’età moderna, la sodomia designava infatti una tipologia di atti vietati, ma non un’identità: solo a partire da uno studio del 1870 dello psichiatra Karl Friedrich Westphal (Die Konträre Sexualempfindung) l’omosessuale maschio è diventato invece un «tipo umano». Da quel momento in avanti, l’omosessualità ha cessato di essere un problema di atti ai quali il soggetto può decidere se abbandonarsi o no, ed è diventata una questione di desideri, di fantasie, di personalità che richiede tutto un lavoro di comprensione e di decifrazione che il soggetto può condurre nel confessionale con il prete, sul lettino con l’analista, o attraverso un silenzioso dialogo con se stesso. Questo lavoro coinvolge non solo gli omosessuali, ma anche gli eterosessuali: anch’essi sono costretti a confessare i loro desideri omosessuali, a riconoscerli per allontanarli da sé e per accedere così all’identità eterosessuale.
Ne La volontà di sapere, Foucault rivolge però la sua attenzione al solo concetto di omosessualità, trascurando di ricostruire la genealogia del concetto di transessualità. In realtà la categoria di könträre Sexualempfindung (sensibilità sessuale invertita), coniata da Westphal e a lungo utilizzata nella letteratura medica, non faceva differenze tra omosessualità e transessualità, e le comprendeva entrambe in quanto inversioni tra gli elementi maschili e femminili della psiche. Soltanto nel 1953, nel saggio Transvestitism and Transexualism di Harry Benjamin, l’identità dell’invertito si è “sdoppiata” nelle due identità dell’omosessuale e del transessuale come le conosciamo oggi. È stata così concettualizzata la differenza tra sesso, genere e orientamento sessuale con cui oggi medicina e psicologia pensano non solo l’omosessualità e la transessualità, ma anche l’eterosessualità.

4. Criteri diagnostici della sessualità contemporanea. Come sapete, per “sesso” si intende la dotazione genotipica e fenotipica di un individuo: essere maschi significa avere nella propria dotazione genetica un cromosoma X e uno Y, avere pene e testicoli, e poi avere spalle larghe, barba baffi e un po’ di peli, il pomo d’adamo e la voce profonda; essere femmine significa invece avere due cromosomi X, avere vagina ovaie e seni, avere fianchi larghi e meno peli, e una voce sottile e possibilmente aggraziata. Per “genere” si intende invece l’adesione al modello culturale di mascolinità e femminilità che agisce nella propria società di appartenenza. Non basta essere maschi per essere uomini, né essere femmine per essere donne. Ad esempio un maschio che indossi abitualmente minigonna e tacchi alti difficilmente dirà di sentirsi uomo nella nostra società. Il sesso quindi è una dimensione fisica, il genere una dimensione psicologica e assieme culturale. L’”orientamento sessuale” designa invece la direzione prevalente dei propri desideri: è eterosessuale chi desidera persone di sesso opposto al proprio, omosessuale chi desidera persone del proprio stesso sesso.
Nelle società del nostro mondo globalizzato, attraverso la psichiatria, la psicologia, la medicina, ma anche e soprattutto attraverso la cultura e – come vedremo – attraverso il diritto, sull’identità sessuale agisce quindi una sorta di «operatore logico», che possiamo chiamare binarismo sessuale. Questo operatore logico impone alle identità sessuali alternative a due termini che riguardano il sesso, il genere e l’orientamento sessuale. Combinando i concetti del binarismo sessuale si possono comporre differenti identità: uomini etereossesuali, gay, bisessuali; donne eterosessuali, lesbiche, bisessuali; donne transessuali o transessuali MtF (male to female: persone nate maschi che vogliono diventare donne) che possono a loro volta essere eterosessuali, lesbiche o bisessuali; uomini transessuali, o transessuali FtM (female to male: persone nate femmine che vogliono diventare uomini) che possono a loro volta essere eterosessuali, gay o bisessuali. Ci sono poi le persone transgender, di cui vi parlerò tra poco, che possono desiderare uomini, donne, o altre persone transgender. Se consideriamo tutte queste soggettività nella prospettiva teorica di Foucault, se li consideriamo come prodotti di quel dispositivo di sapere-potere che è la sessualità, appare evidente come i concetti di sesso, genere e orientamento sessuale, messi a punto negli anni cinquanta del secolo scorso, definiscano ancora oggi tanto la norma sessuale quanto la “perversione”. Non si tratta, infatti, di categorie puramente descrittive, ma di concetti che servono per istituire una gerarchia: per classificare gli esseri umani attribuendo solo ad alcuni di essi, considerati “normali”, e non ad altri, considerati “anormali”, lo statuto di un’umanità “piena” – di un’umanità pienamente meritevole di godere dei diritti umani, pienamente tutelata giuridicamente.

5. Una nuova Bibbia che fabbrica zoccoli. Nel DSM (Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorders), l’elenco ufficiale dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association che dagli anni cinquanta del secolo scorso è considerato una sorta di Bibbia della psichiatria, l’identità sessuale viene definita appunto attraverso quei tre “criteri diagnostici” che sono il sesso, il genere e l’orientamento sessuale. Ma in questa definizione, la Bibbia della psichiatria contemporanea ha ereditato il punto esclamativo della Bibbia ebraico-cristiana. Infatti, sulle pagine delle quattro edizioni del DSM, l’eterosessualità non è mai comparsa come malattia mentale, mentre vi sono comparse altre identità prodotte dal dispositivo binario della sessualità. L’omosessualità è stata definitivamente depennata dal DSM solo il 17 maggio 1990 – e questa è la ragione per cui la data del 17 maggio è stata scelta come “giornata mondiale contro l’omofobia”. Mentre ancora oggi transessualità e transgenderismo sono considerate affezioni psichiatriche e catalogate come GID: Gender Identity Disorder, disturbo dell’identità di genere – definizione rispondente all’imperativo che impone coerenza tra sesso, genere e orientamento sessuale. Quindi: se nasci maschio ma ti senti donna, o se nasci femmina e ti senti uomo, per il DSM sei affetto da un disturbo psichiatrico. L’intersessualismo invece non compare nel DSM – non perché l’associazione psichiatrica americana non lo consideri un malattia, ma perché non lo considera un malattia mentale. Come dirò più avanti, dalla medicina contemporanea l’intersessualismo è infatti considerato una malattia fisica, e quindi una malattia da correggere con il bisturi prima che con gli psicofarmaci.
Nella prospettiva costruttivista di Foucault, quindi, anche transessualità, transgenderismo e intersessualismo sono prodotti del dispositivo di sessualità – ma prodotti difettosi, scarti, malfunzionamenti. Io vorrei invitarvi, appunto, a porvi nella prospettiva di questi malfunzionamenti, a cercare di immaginare la loro perplessità, il punto interrogativo che è la loro reazione di fronte agli imperativi del binarismo sessuale. Vorrei invitarvi a seguire il principio di Clemenceau e di Arendt (“l’affare di chi viene patologizzato dall’attuale dispositivo biomedico di sessualità è affare di tutti”), dando la parola alle uova che servono per cucinare la frittate delle identità di genere – a quelle uova che però preferisco chiamare zoccoli – e ora vi dirò perché.
Provate a pensare al dispositivo binario della sessualità come a una fabbrica di zoccoli, che con i suoi ingranaggi produce soprattutto zoccoli “normali” – zoccoli maschi e uomini e zoccoli femmine e donne – ma che ogni tanto, con gli stessi ingranaggi produce per errore anche “zoccoli difettosi”: gay, lesbiche, transessuali, transgender, intersessuali… In francese zoccolo si dice “sabot”, e dal sostantivo “sabot” deriva il verbo “saboter”, che significa “fabbricare zoccoli”, ma anche “sabotare”! Lo zoccolo era infatti, un tempo, la calzatura dei poveri, e quindi degli operai. Calzatura che all’occorrenza poteva diventare un efficace strumento di lotta politica: lo zoccolo poteva infatti essere incastrato ad arte tra gli ingranaggi di una fabbrica, anche della stessa fabbrica che lo aveva fabbricato, per arrestarne la produzione. Questa è la ragione per cui ho scelto di utilizzare questa poco elegante metafora degli zoccoli. Nella prospettiva interpretativa di Foucault, o almeno nella mia lettura di essa, le identità perverse, le minoranze sessuali – e in particolare le soggettività transgender e intersessuali -, non sono situate “prima”, “fuori”, o “oltre” il dispositivo binario della sessualità (come vorrebbero le teorie della rivoluzione sessuale): esse stanno, semmai, piantate (e stritolate) come zoccoli tra le sue ruote dentate. Ed è proprio da questa posizione, e non da un immaginario “fuori” (“prima” o “oltre”) della fabbrica, che le minoranze sessuali possono sabotare il sistema che le produce, senza pretendere di farlo saltare in aria, ma cercando di rinnovarlo per renderlo più accogliente, cercando di assumere al suo interno una posizione più confortevole. Si tratta sicuramente di un progetto riformista, e non rivoluzionario, che oggi potrebbe scontentare un certo pensiero queer, ma a me sembra un progetto autenticamente libertario e soprattutto mi sembra l’unico progetto realmente praticabile. Anzi mi sembra che questa sia la strada fino ad ora percorsa, più o meno consapevolmente, dal movimento lesbico gay trans – una strada tutt’altro che conclusa che occorre continuare a edificare.
La mia proposta è quindi di abbandonare ogni progetto di fuoriuscita dal dispositivo binario della sessualità, per tentare di mobilitare le categorie del dispositivo dal suo interno. Per tentare di reinterpretarle, di renderle più vivibili per tutti senza pretendere di sussumere l’identità di tutti sotto un’unica categoria – come a volte mi sembra accadere in una certa vulgata queer. Judith Butler utilizza a questo proposito il verbo “to displace”, dislocare. Per Butler è possibile dislocare i significanti del binarismo sessuale, senza illudersi si dislocarsi al di fuori di essi. Come una lingua parlata evolve nel tempo a opera dei parlanti, così è possibile modificare i significanti culturali dell’identità mediante la stessa ripetizione delle pratiche che li generano. È quello, mi pare, che è successo nel movimento lesbico-gay-trans quando è stato coniato il termine “transgender”: categoria che non pretende di designare un oltre del binarismo sessuale, ma che opera una risignificazione fluida e non esclusiva della sua logica binaria. È, appunto, di questa categoria che vorrei parlarvi ora…

6. Violenze giuridiche su corpi trans. Per affrontare la questione del transgenderismo, occorre affrontare preventivamente la questione della transessualità. I primi interventi di riassegnazione chirurgica del sesso sono stati praticati negli anni cinquanta, e infatti, come già ho ricordato, solo dagli anni cinquanta nella letteratura medica è stata operata la distinizone tra transessuale e omosessuale attraverso quelle categorie di sesso, genere e orientamento sessuale che sono oggi utilizzate anche per definire l’eterosessualità. Si tratta naturalmente di una distinzione che ha le sue ragioni pratiche oltre che teoriche, e che non ho alcuna intenzione di mettere in discussione.

Poco ragionevolmente giustificabile e molto discutibile mi sembra invece l’attuale trattamento giuridico della condizione transessuale in Italia. Un trattamento in cui appare evidente come, ancora nelle nostre società postmoderne, il binarismo sessuale mantenga pesantemente il suo carattere imperativo (il suo punto esclamativo). Come vi dicevo prima, secondo il DSM gay e lesbiche non sono persone malate – fino al 1990 sì, gay e lesbiche erano malati, ma dal 1990 sono tutti guariti! Le persone trans invece sono malate tuttora, affette da disturbo dell’identità di genere. E chi è malato deve essere curato. La cura a cui un transessuale FtM deve sottoporsi prevede assunzione di testosterone, mastectomia (asportazione del seno), isterectomia (asportazione di utero ed ovaie) ed eventualmente falloplastica (ricostruzione chirurgica di un simil-pene). La cura a cui una transessuale MtF deve sottoporsi consiste invece nell’assunzione di estrogeni e di farmaci antagonisti del testosterone, nella rimozione di pene e testicoli ed eventualmente nella mastoplastica additiva (ricostruzione chirurgica del seno) e nella vaginoplastica (ricostruzione chirurgica di una simil-vagina). Vaginoplastica e falloplastica sono interventi molto pesanti, che durano anche 10 ore, e che danno spesso scarsi risultati. La falloplastica nella maggior parte dei casi dà forti reazioni di rigetto: spesso la protesi viene rifiutata dal corpo. La vaginoplastica invece, oltre ad essere un intervento molto invasivo, talvolta va ripetuta perché la vagina artificiale tende a chiudersi (il termine medico è stenosi). Ma soprattutto la vaginoplastica spesso comporta la rinuncia al piacere sessuale.

Fortunatamente nessuno e nessuna è obbligato a sottoporsi a questi trattamenti contro la sua volontà; tuttavia in Italia è necessario sottoporvisi per chi vuole che il proprio desiderio di cambiare genere sia riconosciuto dalle istituzioni. Infatti, secondo la legge 164, del 14 aprile 1982, tuttora in vigore, questi interventi (almeno nella loro forma demolitiva) sono necessari per poter ricevere l’autorizzazione di cambiare il nome sulla carta di identità. Quindi l’identità di genere per lo stato italiano dipende non dal senso di sé di un soggetto, ma esclusivamante da ciò che un soggetto ha tra le gambe, si tratti di un organo genitale naturale o di una sua copia artificiale. Il nostro sistema giuridico risponde quindi a una logica binaria molto rigida: o sei maschio e quindi devi essere uomo, o sei femmina e quindi devi essere donna. Se sei maschio ma vuoi essere donna, il nostro sistema giuridico ti concede di diventare legislativamente donna o uomo solo a patto che tu ti faccia demolire ed evenualmente ricostruire i genitali, anche se probabilmente questo potrebbe farti rinunciare al piacere dell’orgasmo o dare forti reazioni di rigetto, e anche se l’operazione di ricostruzione genitale potrebbe non riuscire affatto.

Non vorrei che le mie parole venissero fraintese: io difendo fermamente il principio secondo cui le persone trans debbano avere il diritto di autodeterminare i propri corpi, anche intervenendo chirurgicamente su di essi se lo desiderano. Ma credo anche che il diritto di autodeterminazione debba includere un’informazione completa e dettagliata sui risultati realmente possibili e soprattutto un contesto istituzionale e legislativo che renda la scelta realmente libera. Le mie critiche non sono quindi in alcun modo rivolte alle persone transessuali, ma sono rivolte alla legge secondo cui il riconoscimento giuridico dell’identità di una persona transessuale deve passare dall’intervento chirurgico. Non è così in tutta Europa: ad esempio in Spagna nel 2007 è stata approvata una legge che afferma il principio secondo cui “il riconoscimento giuridico dell’identità di genere non deve necessariamente dipendere dall’intervento chirurgico di riattribuzione dei genitali”. E già dal 1980 in Germania è prevista quella che vien chiamata “piccola soluzione” (kleine Lösung), cioè il cambiamento dei dati anagrafici senza alcun intervento né chirurgico, né ormonale. La legge italiana, rendendo obbligatoria l‘operazione genitale per il cambio dei documenti, a mio avviso è una legge violenta, che induce le persone ad operarsi per normalizzarle secondo i criteri del binarismo. Un uomo con ovaie, utero e vagina o una donna con testicoli e pene per la legislazione italiana sono soggetti intrattabili.

7. Soggetti intrattabili (1). Il fatto è che questi soggetti intrattabili in realtà esistono, si autodefiniscono transgender, e a mio avviso possono essere assunti come figure esemplari di possibili pratiche di riappropriazione creativa del binarismo sessuale. “Transgender” è un termine polisemico che si è diffuso nel movimento lesbico gay trans in seguito alla pubblicazione, nel 1992, di un libro di Leslie Feinberg intitolato Transgender Liberation. In senso stretto, si definiscono transgender le persone che si identificano con il genere opposto al sesso di nascita ma che scelgono di non sottoporsi alla riassegnazione chirurgica del sesso: si può essere transgender ad esempio vestendo i panni del genere desiderato, scegliendo per sé un nome proprio del genere desiderato, assumendo eventualmente ormoni e modificando alcuni tratti del proprio corpo, ma senza intervenire chirurgicamente, o intervenendo solo parzialmente, sui propri genitali. In senso lato, la categoria può essere estesa anche alle persone transessuali, che sono invece quelle persone che desiderano modificare anche i propri genitali per diventare il più possibile simili al “sesso” di elezione: secondo questa interpretazione “transgender” è un termine di ampio significato che contiene al suo interno tanto il concetto di transessuale, quanto quello di transgender in senso stretto. Ma si definiscono transgender anche persone come Leslie Feinberg, l’autrice/autore di Transgender Liberation, e anche di altri saggi come Transgender Warriors (1996); Trans Liberation (1998), e dei romanzi Stone Butch Blues (1993) e Drag King Dreams (2006) (http://www.transgenderwarrior.org/). Feinberg è nata con corpo femminile e ha avuto in sorte un nome, Leslie, che in inglese è sia maschile sia femminile. Nel tempo ha reso il suo corpo parzialmente somigliante a un corpo maschile, ma non ha voluto completare la transizione verso il sesso maschile, e ha poi scelto per sé un genere intermedio come il suo nome. Oggi lascia ai suoi commentatori la libertà di scegliere il pronome con cui sostituire il suo nome, e al tempo stesso insiste sulla necessità di introdurre nel vocabolario pronomi personali intermedi come “s/he” (she/he) e aggettivi possessivi come “hir” (her/his). “Transgender” indica quindi anche quei soggetti che nel corso della vita hanno sperimentato differenti ruoli di genere, e che collocano la propria identità tra il maschile e il femminile. Un esempio italiano è Porpora Marcasciano, militante del Movimento Identità Transessuale (http://www.mit-italia.it/) e autrice/autore di libri come Tra le rose e le viole (manifestolibri, 2002), Antologaia (Il dito e la luna, 2007), e Favolose narranti (manifestolibri, 2008): Porpora è nata con un corpo maschile che ha in parte modificato per renderlo somigliante a un corpo femminile, e oggi, come Feinberg, usa per sé indifferentemente il genere maschile e femminile.

In un testo del 2004, La disfatta del genere, Butler utilizza il termine transgender per contestare il senso comune (che, come vi ho mostrato, è anche senso medico e giuridico) secondo cui il genere è una conseguenza del sesso. Assumendo la prospettiva genealogica di Foucault, Butler opera un interessante rovesciamento di prospettiva e sostiene che sono le norme di genere a rendere culturalmente significative le differenze sessuali dei corpi, anche le differenze genitali: è il sesso che deriva dal genere, e non il genere dal sesso. Butler si spinge ancora oltre: fin da Scambi di genere (1989) ha sostenuto infatti che nell’ordine simbolico tradizionale il genere è un epifenomeno dell’orientamento sessuale. Al cuore del binarismo sessuale si troverebbe cioè il dogma dell’eterosessualità obbligatoria: sarebbe il dovere dell’eterosessualità a rendere culturalmente significativa le differenze tra i generi, e sarebbe poi l’importanza culturalmente attribuita alle differenze tra i generi a rendere culturalmente significative anche le differenze corporee tra i sessi. Una legge che impone con nettezza il binarismo sessuale, come la legge italiana, rendendo giuridicamente intrattabili i soggetti transgender, secondo Butler sarebbe quindi in ultima istanza riconducibile a una rigida interpretazione del dogma dell’eterosessualità obbligatoria: poiché la norma eterossessista impone che gli uomini debbano desiderare le donne e viceversa, allora è fondamentale che non esistano ambiguità nello stabilire chi è uomo e chi è donna. E affinché non ci siano ambiguità, la norma stabilisce che a decidere siano i genitali: naturali o chirurgicamente ricostruiti. Il fatto è che, in realtà, non è affatto detto che i genitali siano il modo migliore per disambiguare le identità sessuali, e ora vorrei dirvi perché. Vorrei infatti concludere sulla questione dell’intersessualismo, l’altra condizione a cui allude il punto interrogativo del mio titolo, l’altro zoccolo piantato negli ingranaggi della fabbrica moderna della sessualità.

8. Soggetti intrattabili (2). Come ho anticipato, il DSM non comprende l’intersessualismo tra i disturbi mentali, perché l’intersessualismo è una condizione fisica prima che psicologica. Intersessuale è infatti un individuo il cui corpo presenta caratteri intermedi tra quelli maschili e quelli femminili. Secondo le stime statistiche dell’Intersex Society of North America (http://www.isna.org/), nasce intersessuale un bambino ogni duemila. Questo significa che, se la popolazione italiana è stimabile attorno ai 60 milioni di abitanti, le persone intersessuali in Italia sono probabilmente attorno alle 30 mila unità. Ma naturalmente anche se fossero meno, quello che vi dirò non sarebbe meno valido, perché abbiamo detto che gli zoccoli di cui abbiamo assunto il punto di vista, vorrebbero essere trattati secondo la massima di Clemenceau e di Arendt: “l’affare di uno è affare di tutti”. Al di là dei dati statistici, mi sembra infatti che l’intersessualismo, al pari del transgenderismo, possa valere come cartina tornasole per comprendere la violenza insita nel binarismo tradizionale così com’è stato interpretato nelle società tradizionali, e come ancora è interpretato nel nostro ordinamento giuridico. Come le persone transgender, infatti, anche le persone intersessuali sono considerate intrattabili dal nostro sistema giuridico e simbolico, e per questa ragione vengono “trattate” dal nostro sistema sanitario.

Un esempio di intersessualismo, è la sindrome di Klinefelter (cfr. wikipedia), che è l’esito di una variazione genetica: chi ne è affetto non ha due cromosomi sessuali (i canonici XX delle femmine, e XY dei maschi), ma tre: due cromosomi X e un cromosoma Y. Per la presenza del cromosoma Y, i portatori della sindrome, o meglio le persone XXY – come loro preferiscono chiamarsi – sono classificati dalla medicina come maschi. Alla nascita, in effetti, appaiono maschi, ma quando giunge la pubertà non sviluppano i caratteri secondari maschili: non hanno barba, né pomo d’adamo, né spalle larghe, né voce profonda, non sviluppano pene e testicoli di dimensioni “normali”. Hanno invece voce sottile, fianchi arrotondati, spalle spioventi, e spesso sviluppano il seno. Un altro esempio di intersessualismo è la sindrome di Morris (http://www.sindromedimorris.org/): le persone che ne sono affette, geneticamente sono uomini XY, ma, per una incapacità di razione agli ormoni maschili durante la gravidanza, nascono come bambini micropenici con testicoli introflessi. Hanno quindi genitali ambigui: il loro pene assomiglia a una clitoride, ma lo scroto introflesso forma una piccola cavità cieca, che non sfocia in una vagina. Non avendo i testicoli non produrranno mai testosterone, e quindi non potranno in adolescenza acquisire i caratteri secondari maschili. Un altro caso che può essere associato all’intersessualismo è quella che una volta veniva chiamata sindrome adrenogenitale, e che ora si preferisce chiamare iperplasia surrenale congenita (http://www.adrenogenitale.it/): può colpire sia uomini, sia donne, e consiste in un malfunzionamento delle ghiandole surrenali che producono poco cortisolo e poco aldosterone. La conseguenza è un aumento di testosterone, che nelle donne provoca la comparsa di caratteri secondari maschili: peli, barba, voce profonda. Il testosterone agisce anche sulla conformazione dei genitali: le donne affette da iperplasia surrenale congenita presentano spesso una clitoride ipertrofica, simile a un pene, e in alcuni casi una vagina poco profonda e la fusione delle grandi labbra.

Nella storia dell’umanità le persone intersessuali sono state celebrate da miti e leggende (pensate a Ermafrodito e a Tiresia), ma sono anche state ampiamente perseguitate. Nel 1978 Foucault ha curato la pubblicazione delle memorie di Herculine Barbin, detta Alexina B., un intersessuale francese vissuto nell’Ottocento. Nelle memorie si legge che ad Herculine Barbin, soprannominata Alexina, alla nascita fu attribuito il sesso femminile. Fu quindi educata come una bambina, in un convento. Con l’adolescenza scoprì di essere attratta dalle compagne, si innamorò di una di esse e ne divenne amante. Per questo fu processata, e la sentenza decretò la sua trasformazione legale in uomo, stabilendo che il suo vero sesso fosse quello maschile, e che i medici che l’avevano visitata da neonata avessero commesso un errore: in una società dominata dal dogma dell’eterosessualità obbligatoria, se un soggetto si innamora delle donne, allora è un uomo. E se è un uomo, allora deve essere anche biologicamente maschio. Così Alexina fu costretta a indossare abiti maschili – e si suicidò.

9. Violenze chirurgiche su corpi intersessuali. Nel caso ottocentesco preso in esame da Foucault, quindi, le autorità mediche cercarono nel corpo intersessuale di Alexina, e soprattutto nella sua biografia, i segni del suo “vero sesso”. Invece a partire dalla metà del Novecento, da quando si è iniziato a praticare interventi di riassegnazione genitale, negli Stati Uniti e in Europa, e in buona parte del mondo, i medici hanno iniziato a intervenire direttamente sul corpo delle persone intersessuali, normalizzando chirurgicamente poco dopo la nascita l’aspetto dei genitali ambigui, e in seguito modificando i caratteri sessuali secondari con terapie ormonali. Questo avviene abitualmente anche in Italia. Anche in questo caso, la mia intenzione non è di negare, ma al contrario di difendere il diritto delle persone intersessuali a modificare chirurgicamente il proprio corpo e ad assumere ormoni in modo da adeguare il proprio corpo alla propria identità. Ma la mia intenzione è anche quella di contestare la normalizzazione forzata delle persone intersessuali, denunciando il fatto che il sistema giuridico italiano da un lato impedisce a persone transgender maggiorenni di cambiare genere sui documenti a meno che non si sottopongano a un intervento chirurgico, e dall’altro permette a genitori e medici di intervenire chirurgicamente sul corpo di minorenni o peggio ancora di infanti per “normalizzarli” secondo i dettami del binarismo sessuale. Non è così in tutto il mondo: in Colombia è vietato intervenire sui genitali ambigui di persone che non abbiano ancora raggiunto l’età del consenso. E a me sembra una legge giusta: perché questi interventi chirurgici e queste prescrizioni di ormoni, se sono praticati su neonati incapaci di scegliere sulla propria identità e il proprio corpo, oppure se sono presentati come cure necessarie o come unica scelta possibile a degli adolescenti in situazione di grave disagio emotivo, altro non sono se non mutilazioni genitali e corporee dettate dal dogma del binarismo sessuale. L’occidente grida giustamente allo scandalo di fronte all’infibulazione che viene praticata in alcuni paesi islamici africani; ma farebbe bene a farsi un esame di coscienza e a proibire una volta per tutte le mutilazioni genitali che vengono praticate nei propri ospedali.

Vorrei farvi un esempio: la storia di Cheryl Chase, la fondatrice (nel 1993) dell’Intersex Society of North America. Nata con genitali ambigui, fino a 18 mesi è stata cresciuta come un bambino. Poi i medici hanno detto ai suoi genitori che si trattava in realtà di una bambina, e che bisognava quindi procedere all’asportazione della pronunciata clitoride. A 8 anni è stata operata di nuovo per rimuovere ciò che in seguito ha saputo essere la porzione testicolare delle sue ovaie-testicoli. Oggi vive come una donna lesbica, ma le operazioni subite l’hanno privata della sensibilità clitoridea e della risposta orgasmica, proprio come succede alle donne infibulate in Africa. Il caso di Cheryl Chase dimostra quindi che la logica con cui questi interventi vengono praticati spesso non è il rispetto degli interessi soggettivi, come il mantenimento della possibilità di provare piacere, ma l’obbedienza a un imperativo di normalizzazione.

Secondo questo imperativo, alla nascita un pene non deve misurare meno di 2,5 cm; e una clitoride non deve essere più grande di 0,9 cm. Bambini con membri tra 0,9 e 2,5 cm sono quindi considerati inaccettabili e bisognosi d’intervento chirurgico. La maggior parte degli intersessuali viene fatta diventare donna semplicemente perchè è più facile costruire una simil-vagina piuttosto che allungare un micropene. Così ad esempio, le donne affette da sindrome adrenogenitale subiscono un intervento di “apertura” della vagina e di “accorciamento” della clitoride, anche a costo di perdere la sensibilità clitoridea. Ma anche chi ha la sindrome di Morris, pur essendo genotipicamente maschio (XY), a causa della micropenia e dei testicoli introflessi viene ricondotto al genere femminile: si accorcia il pene, si pratica una vaginoplastica, si prescrivono estrogeni. Un uomo diventa così una donna dotata di una similvagina a rischio di stenosi, che spesso va rioperata nel corso degli anni. Sembra che i medici non abbiano dubbi: è meglio essere una femmina imperfetta piuttosto che un maschio imperfetto – forse perché il regime del binarismo sessuale è un regime maschilista, in cui le donne sono considerate imperfette per natura.

A chi è affetto da sindrome di Klinefelter, invece, una volta giunto all’età dell’adolescenza, i medici “prescrivono” la mastectomia (l’asportazione del seno) e la somministrazione di testosterone. L’assunzione dell’ormone provoca la comparsa di caratteri secondari maschili (barba, peli, voce profonda) ma provoca anche cambiamenti caratteriali nella sfera della libido e dell’aggresività che in alcuni casi possono produrre profondo turbamento e perdita del senso di sé. Non sono poche nel mondo le persone XXY che rifiutano questo trattamento forzato: alcune scelgono la strada della femminilizzazione, altre rivendicano per sé il diritto di essere semplicemente quelle che sono – di mantenere il proprio corpo intersessuale e la propria personalità ipodesiderante – (si veda, a questo proposito, la testimonianza di Michael Noble), ma tale diritto, di solito, viene loro riconosciuto con grande fatica dai medici con cui hanno a che fare.

10. Il sabotaggio del binarismo: le teorie transgender. Di fronte a questi fatti, credo che sia facile intuire come le teorie transgender, che mettono in discussione la rigidità del binarismo sessuale dichiarando la possibilità che un’identità abiti uno spazio intermedio tra il genere maschile e quello femminile, possono diventare uno strumento prezioso per rinnovare il nostro ordinamento giuridico, per rendere più vivibile la vita delle persone intersessuali e trans (transessuali o transgender), e per allargare la gamma delle definizioni identitarie disponibili per tutti.

Transgenderismo e intersessualismo sono condizioni psicologiche e fisiche prodotte dalla logica binaria del dispositivo moderno della sessualità e rese intelligibili dalle sue categorie. Non rappresentano pertanto un “oltre” del binarismo, perché non negano il fatto che la sessualità degli umani, così come riusciamo a pensarla oggi, si dia tra gli estremi del maschile e del femminile. Però la presa di parola di soggetti transgender e intersessuali, la loro rivendicazione di una piena umanità, può provocare un dislocamento del binarismo sessuale, un suo sabotaggio che potrebbe portare a un suo migliore funzionamento. Dare ascolto ai soggetti transgender e intersessuali significa infatti disporsi ad accettare che la sessualità non si esaurisce in un’alternativa rigida e netta tra il maschile e il femminile, ma si configura come una gradazione tra il maschile e il femminile ricca di sfumature. Guardare alla fabbrica moderna della sessualità assumendo il punto di vista di quegli zoccoli difettosi che si trovano piantati e stritolati tra i suoi ingranaggi, induce a concludere che all’interno di quel continuum tra maschile e femminile che è la sessualità umana, ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di scegliere dove collocare il proprio corpo e la propria identità. Senza condizionamenti e pregiudizi, ognuno dovrebbe avere il diritto di sperimentare quale sia la collocazione che più gli risponde – quella da cui potrà trarre maggior piacere.

Testo di Lorenzo Bernini (lorenzo.bernini@unimi.it)

Su depressione, sperma e sesso orale – la ricerca

a
ph spiderspaw (farsela leccare non cura la depressione, ma fa comunque piacere)

Avrei voluto intitolare questo post: “Donne, la depressione si può curare facendo sesso orale: fatevela leccare!”, sarebbe stato di impatto, ma dato che la depressione è un disturbo serio nessun@ è autorizzat@ a scrivere stupidaggini in merito.

Solo un@ specialista (medic@ di medicina generale, psicolog@ o psichiatra) può diagnosticare il disturbo depressivo e aiutarvi a guarire con il metodo a voi più congeniale, metodo che nulla ha a che vedere con l’ingestione di sperma. Non solo fare pompini non fa guarire dalla depressione, ma farli senza protezione ci espone al rischio di contrarre ogni tipo di malattia sessualmente trasmissibile. Oltre a continuare ad essere depresse rischiamo seriamente di contrarre AIDS, HpV, Erpes, epatiti e altre malattie non mortali, ma che ci costringono a lunghe cure mediche (le quali, piuttosto, favoriscono il calo d’umore).
Comunque farvela leccare non vi deprimerà, se vi dovesse deprimere provate a spiegare come vi piace, se proprio non funziona potete sempre cambiare lingua. Un post divertente e intelligente sulle proprietà rallegranti del cunnilinguo è già stato scritto qui.

Questo post nasce per fare chiarezza sulle tesi riguardanti le  proprietà antidepressive del pompino con ingoio – di questo si tratta – portate avanti da questo articolo (opportunisticamente linkato e fatto rimblazare da quanti non riescono ad ottenere questa pratica da mogli e compagne). Il pezzo blatera di depressione e sperma, ossia di me, voi, noi che guariamo dalla depressione spremendo cazzi con la bocca, pura disinformazione medica di stampo goliardo-maschilista.

L’articolo che rimbalza qui e lì, ma vedremo nel prossimo post che si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di articoli che hanno funzionato da telefono senza fili, fa riferimento a una ricerca condotta nell’aprile del 2001 da una ricercatrice e due ricercatori della State University di New York, sita in Albany, N.Y., intitolata “Lo sperma ha proprietà antidepressive?”, recuperabile in pdf qui, pubblicata sulla rivista di sessuologia Archives of Sexual Behavior nel 2002. Ad esso sono giunta tramite questa chiave di ricerca su google: “State university New York+sperm and depressive disorder”, di non difficile combinazione.

La questione della reperibilità è molto importante, perché ci permette di vedere con chiarezza dove finisce la ricerca e dove iniziano maschilismo e disinformazione.
Le parti dall’inglese che seguono sono state tradotte da me.

Un po’ di luce sulla ricerca.

Dall’introduzione ricaviamo l’informazione che quando si tratta di disturbi depressivi la differenza tra maschi e femmine diventa consistente, perché “Le donne sono più inclini a sviluppare disturbi depressivi rispetto agli uomini”, che “L’incidenza della depressione clinica nelle donne supera quella indicata nei maschi di un fattore pari a tre su cinque volte” e “nelle donne, la depressione è spesso associata a differenti  esiti riproduttivi come la morte di un bambino, un aborto spontaneo e la menopausa.” Ney[1] nel 1986, “ipotizzò che lo sperma potesse avere un effetto sull’umore delle donne.” Questo effetto sarebbe dovuto agli ormoni nel plasma seminale, tra i quali “testosterone, gli estrogeni, l’ormone follicolo-stimolante e l’ormone luteinizzante, la prolattina, e un certo numero di differenti prostaglandine.” Questo perché “testosterone ed estrogeni sono assorbiti attraverso l’epitelio vaginale”, come gli altri ormoni, ma si sottolinea che “il testosterone viene assorbito più rapidamente attraverso la vagina che attraverso la pelle”.
La ricerca, per testare l’ipotesi di Ney, ha “misurato i sintomi depressivi nelle donne del college in funzione dell’attività sessuale e dell’uso del preservativo. La coerenza di uso del preservativo è stata utilizzata per indicizzare la presenza di sperma nel tratto riproduttivo femminile.”

Dunque al sesso orale non si fa alcun riferimento, perché l’ipotesi è che ad avere effetto sul comportamento delle donne siano gli ormoni contenuti nello sperma assorbiti attraverso l’epitelio vaginale.

Le donne che hanno partecipato alla ricerca sono 293, tutte volontarie anonime, che frequentavano lo stesso college in cui la ricerca è stata effettuata. Esse hanno accettato di compilare “un anonimo questionario progettato per misurare i vari aspetti del loro comportamento sessuale, inclusa la frequenza dei rapporti sessuali, il numero di giorni dopo il loro ultimo incontro sessuale, e tipi di contraccettivi usati.
Tra le donne sessualmente attive nel campione l’uso dei preservativi è stato presa come misura indiretta della presenza di sperma nel tratto riproduttivo. La frequenza dei rapporti sessuali è stata recepita nel numero di atti coitali all’anno. Ad ogni intervistata è stato anche chiesto di completare il Beck Depression Inventory, una misurazione di uso frequente per individuare le differenze individuali nei sintomi depressivi“.

L’87% delle donne campionate era sessualmente attiva, secondo i dati raccolti i sintomi della depressione variano rispetto all’utilizzo del preservativo, in pratica è emerso che la maggior parte delle donne che usavano i preservativi accusavano sintomi depressivi, di contro le donne che il preservativo non lo usavano presentavano minori sintomi depressivi, anche rispetto a quelle che si astenevano dal sesso.  E’ stata individuata una correlazione tra sintomi depressivi e distanza temporale dall’ultima relazione sessuale.

Rendiamoci però conto che: gli ipotetici benefici sull’umore, dell’assorbimento attraverso la vagina degli ormoni contenuti nello sperma, sono niente rispetto alla paura di una gravidanza o di contrarre malattie a trasmissione sessuale, entrambi eventi altamente probabili se non si usano i preservativi. Più giù è specificato che molte delle donne che non facevano uso di preservativi, assumevano comunque un contraccettivo orale (“oltre 7 su 10 delle donne sessualmente attive in questo campione che non ha mai usato i preservativi usavano contraccettivi orali”).

Leggi tutto “Su depressione, sperma e sesso orale – la ricerca”

Deconstructing la cronaca stretta

lougrant15aCapita raramente di imbattersi in un articolo del genere, che nei commenti – mi raccomando leggeteli sempre, sono le cose più istruttive – contiene pure la difesa fatta dall’autore. Ringraziando Antropologia e sviluppo per la segnalazione, ecco l’articolo commentato [tra parentesi quadre]. I grassetti sono nell’originale.

Crema, 11 settembre 2013 – È partito per le vacanze, per stare con la sua famiglia in Romania, ma non tornerà più a Crema: ora è in galera con l’accusa di aver ammazzato la moglie. E ferito gravemente l’amante. Si chiama Alexander S., ha 49 anni e da una decina di anni viveva a Crema, dove lavorava mandando soldi  a casa, dove [e dire che ce ne sono di locuzioni da usare al posto di dove, eh] c’erano una moglie e tre figli che, grazie a quei soldi, riuscivano a tirare avanti. Alexander, ai primi di luglio parte per tornare a casa, a Craiova [magari v’è sfuggito, ma il secondo dove si riferisce a questa città, non a Crema]. Quando arriva, dentro la sua abitazione non trova nessuno. La prima figlia è sposata, gli altri due ragazzi non lo aspettano. L’uomo, allora, va a trovare i fratelli e nota un certo irrigidimento quando chiede dove sia la moglie [è partita l’escalation drammatica. Ruggieri, su, nota un certo irrigidimento non si trova più manco nei verbali dei carabinieri. Ma attenzione al seguito].

Ma all’inizio non ci fa caso [immaginate, da adesso, una musichetta insinuante e ossessiva tipo Bernard Herrmann]. Poi, il tempo passa e la donna non torna, finché arriva la sera. A quel punto il marito sospetta qualcosa [Ruggieri c’era, lui lo sa]. Chiede ancora lumi ai parenti, finché qualcuno si fa coraggio e parla [zam zam zam zaaaaam!]. «Guarda che tua moglie si è trovata un altro e che passa il suo tempo a casa dell’amante». Parole che bruciano come acido sulla pelle [AAARGH la metafora da quindicenne deluso dalla vita NO!!! Tra l’altro, visto l’uso di acido che si fa negli ultimi tempi, che cattivo gusto!]. L’uomo va su tutte le furie e medita vendetta [il giornalista è telepatico. Ricordatevi il medita]. Ma come? Lui si sacrifica, sta lontano dalla famiglia, manda a casa i soldi necessari per vivere e quando torna, trova sua moglie con un altro? [CHE COSA E’ QUESTA FRASE SE NON UNA DIFESA DELL’ASSASSINO FATTA ESPLICITANDO CONGETTURE PER SPIEGARE IL SUO GESTO? CHI HA DATO A RUGGIERI IL POTERE DI FANTASTICARE SULLE INTENZIONI MENTRE RIPORTA I FATTI?] Il romeno chiede dove abita il rivale e qualcuno glielo dice [lui era sempre lì]. Così, va a regolare i conti a casa di quest’uomo [va a regolare i conti. Poco sopra era una vendetta, ma questa è ancora troppo negativa: adesso è già regolare i conti, che è molto più vicino a “ottenere giustizia”, in effetti]. Quando arriva ed entra, trova la moglie con lui [ma no, che sorpresa! Glielo hanno detto in gruppo! E non ci dici che stavano facendo? Adesso niente fantasia? Su Ruggieri, non sia timido]. Furibondo e fuori di sé [ovviamente, ADESSO è fuori di sé, mentre poco fa meditava vendetta. Strano modo di descrivere l’uso della ragione, o il suo smarrimento] prende un coltello, colpisce a morte la donna e ferisce gravemente l’uomo. Solo l’intervento di più persone e della polizia riesce a domare la sua furia [la furia va domata, anche se è solo un regolare i conti. No, ma complimenti per la coerenza, tranquillo Ruggieri, va tutto bene]. L’uomo è imprigionato e accusato di omicidio nei confronti della moglie e di lesioni gravissime per l’uomo che era con lei [strano, lui voleva solo regolare i conti].

Risposta di una lettrice al giornalista:

Egregio Pier Giorgio Ruggieri,
Mi complimento con Lei per l’articolo che ha scritto qui sopra: una bella e buona giustificazione dell’omicidio di questa coppia! Torniamo ai tempi del delitto d’onore? Perché a mio parere pare che Lei intenda che sia comprensibile uccidere una moglie “fedifraga” e il proprio amante “per onore” in quanto Lei scrive: “Ma come? Lui si sacrifica, sta lontano dalla famiglia, manda a casa i soldi necessari per vivere e quando torna, trova sua moglie con un altro?” Nel nostro Paese ogni due giorni c’è un nuovo femminicidio e ritengo sia il minimo pretendere che il linguaggio giornalistico non sia complice di questa strage. E’ molto grave e pericoloso il messaggio che Lei intende veicolare al lettore che potrebbe interpretare come giusto uccidere una donna che tradisce il proprio marito.
Cordiali Saluti, Una (ex)lettrice disgustata

Parole civili, anche se il tono è grave; perché è grave quello che è successo. A questa, il nostro giornalista risponde così [i  nostri commenti sempre tra parentesi quadre]:

Risponde l’autore:
Ma stiamo scherzando [da manuale: mai concedere nulla, rispondere all’indignazione sempre più indignati ancora]! Gentile signora, evidentemente lei è molto sensibile al problema, come lo sono io [da manuale: il difetto è suo, ma ce l’ho anche io]. Nel mio articolo non c’è una sola parola di giustificazione per il gesto fatto [no, infatti: le parole sono precisamente ventisei, Ruggieri], ma solo una cronaca stretta di quello che è successo [LA CRONACA STRETTA? Lui si sacrifica, medita vendetta, regolare i conti, sono cronaca stretta? E qual’è quella “larga”, Star Trek?]. Non esalto assolutamente il femminicidio, me ne guardi e scampi il cielo [il cielo c’ha da fare, Ruggieri, le basterebbe seguire l’articolo 2 delle raccomandazioni della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) sull’argomento. E’ il suo lavoro, mica il mio]! In ogni caso il marito tradito non se l’è presa solo con la moglie, ma anche con l’amante [cosa significhi questo per Ruggieri non s’è capito. Ah sì: c’è di mezzo anche un uomo, quindi non è femminicidio. Interessante interpretazione]. Ha avuto una reazione della quale io ho solamente dato atto [NO, inventarsi le motivazioni fantasticando sul contenuto della mente delle persone non è dare atto, è narrativa. Non è giornalismo]. Sottolineando anche il fatto che è in galera e probabilmente non uscirà più [embè? Il problema è il motivo per cui è in galera. E secondo le tue parole, il motivo è perché ha subito un’ingustizia da una moglie ingrata]. Cosa che non sempre accade in Italia [e che c’entra? Hai scritto per lodare la polizia rumena?]. Se in qualche modo ho dato l’impressione di essere a favore di quello che lei definisce il delitto d’onore [no Ruggieri, l’ha fatto in più modi: dando voce alle supposte frustrazioni dell’assassino, ricostruendo i fatti con una escalation drammatica che punta a massimizzare l’emotività dell’assassino per ridurne il grado di lucidità, e ottenendo una catena di ineluttabilità che invece è tutta da dimostrare da parte degli investigatori. Ah, altra cosa, Ruggieri: la morta. E’ morta, e i tre figli erano anche i suoi. Due parole ce le spendiamo? Di lei non ha detto nulla, a parte che stava con l’amante e s’è beccata le coltellate. No no, Ruggieri, non ha dato nessuna impressione, non si preoccupi, è la signora che è molto sensibile al problema], stia pur tranquilla. Non è assolutamente così.
Pier Giorgio Ruggeri

Complimenti.

P.S. Gli strumenti per cambiare questo stato di cose ci sono. Bisogna avere l’onestà intellettuale di capire a cosa seervono e volerli usare.

Piccoli razzismi estivi

ambulante1 Passeggiando sulla spiaggia con i miei figli li vedo. Sono lungo il bagnasciuga anche loro, e parlano. O meglio: lui, il bianco, parla, e mi pare che faccia domande; l’altro, il nero, con la sua merce appesa addosso, lo ascolta e ogni tanto annuisce, o risponde brevemente. Immagino una contrattazione.

No, non stanno trattando. Lui, il bianco, lo sta interrogando, gli fa delle domande e poi parla a lungo. Ma di che?

Mi fermo ad ascoltare, facendo finta di nulla.

Lui, il bianco, gli sta parlando di economia, di soldi, di guadagni.

Gli chiede dove prende la merce, quanto la paga, quanto rimane a lui, cosa ci fa con i soldi. Ma non è un interrogatorio, non è un finanziere o simili in borghese. Ha una faccia a metà tra l’ebete e il curioso, e un sorrisino del tipo “hai capito…” come se l’altro, l’ambulante di colore, gli stesse rivelando chissà che fantastiche dritte per diventare ricchi.

No, perché poi il nostro villeggiante non si limita mica a fare domande: congettura, pontifica, consiglia, propone, argomenta. E l’altro – ai miei occhi, con una pazienza e una educazione che sarebbero state da pagare a parte – lo sta pure a sentire cortesemente.

Non riesco a capire cosa può ridurre una persona a comportarsi in questo modo incredibile. O meglio, forse lo so e per l’ennesima volta non riesco ad accettarlo pacificamente.

Io dico, caro villeggiante simpaticone: hai di fronte un essere umano evidentemente in difficoltà – vende cianfrusaglie sulla spiaggia, è difficile immaginare che “se la passi bene” – e tu lo interroghi tutto interessato al suo fatturato. E al fatto che sia esentasse. Hai una specie di interesse tassonomico non per l’essere umano, ma per il suo modo di guadagnare così atipico, esotico, originale, che ne so. E ti informi direttamente da lui, passando sopra qualcosina che avrebbe dovuto perlomeno farti riflettere. Il giornale che ti sei portato sotto l’ombrellone – insieme alle due borse frigo piene d’ogni cibaria, acqua e birra fredde, alle sedie pieghevoli e il tavolo da picnic così stai proprio servito e riverito come a casa – strilla a otto colonne il conteggio degli sbarcati in Sicilia, che non è tanto lontana da questa spiaggia; è infarcito della cronaca di violenza razzista; pubblica un giorno sì e l’altro pure l’ennesimo insulto più o meno organizzato a una persona di colore minimamente in vista, oppure con un incarico pubblico.

Lo so, fa caldo, non ti va di fare due più due. Eh sì, l’antirazzismo è faticoso, tu invece sei in ferie.

Non so, forse esagero, forse faccio male a pensare a questo tizio come un esempio, faccio male a generalizzare. Ma era lì, sulla spiaggia, uno dei tanti. E discettava di economia, di tasse, di tecniche commerciali con l’ambulante di colore.

La femminista specista, ovvero facciamola finita con l’idea di ‘natura’ solo se non è in gioco la mia bistecca!

2008-07-16-speciesist

Io amo le femministe, davvero.
Mi dichiaro femminista e antisessista da molto tempo, e lo faccio con orgoglio:  il femminismo ha avuto, ha (e auspico avrà!)  un ruolo essenziale nel mio percorso di donna e di persona che lotta per la propria – e l’altrui – libertà di autodeterminarsi all’interno di questo sistema.
Un sistema che, tra i tanti paradigmi dell’oppressione che agisce sui diversi soggetti che si ritrovano – loro malgrado – catturati al suo interno, vede nel sessismo una delle proprie punte di diamante.
E’ stato il femminismo (più ancora dell’antispecismo, al quale in realtà cronologicamente ero arrivata prima) che non solo mi ha liberato, ma mi ha aperto gli occhi anche su tutti i legami esistenti tra le diverse forme di discriminazione e di oppressione che prima sentivo più distanti dal mio cuore e dal mio attivismo.
Perché, ne sono convinta, se abbracci il femminismo veramente, tutto intero, nella sua dirompente capacità di rottura, se ti ci lasci attraversare, lacerare, se lasci che faccia luce anche sulle tue zone d’ombra, se permetti che rivoluzioni DAVVERO il tuo modo di pensare, allora ti cambia tutto… cuore, mente e pratiche politiche, tanto che la tua vita e la tua politica diventano un tutt’uno inscindibile.
Ed è per questo che ogni persona che si avvicina al femminismo (già, ogni persona, non ogni donna, che il femminismo rivoluziona anche gli uomini quando lo abbracciano, alla faccia di quegli altri così piccini e aggrappati al loro ruolo di genere che li definiranno con ridicoli neologismi come ‘maschiopentiti’, o quelle donne che definiranno il femminismo ‘cosa nostra’ in quanto Femmine con la F maiuscola, come se la rivoluzione la si potesse fare solo sui cromosomi XX senza per forza coinvolgere anche tutte le altre possibili combinazioni) è per me una gioia, una conquista, una speranza di quel mondo che oggi non esiste ma per il quale lotto… e del quale ho comunque la fortuna di vedere delle splendide avanguardie, già qui, già ora, in quelle  ‘Zone Temporaneamente Autonome’ (Taz) di libertà, che fortunatamente a tratti emergono nello stagnante oceano di inciviltà nel quale cerchiamo di galleggiare. Ma ahimé, spesso anche in ambito femminista mi scontro con realtà che mi deprimono, mi scoraggiano e avviliscono.

Bazzicavo sulla pagina Facebook di Femminismo a Sud, uno degli spazi che ho contribuito ad animare e al quale mi sento ancora molto legata, e mi trovo davanti agli occhi un post con una frase attribuita a Gary Francione, noto e controverso attivista animalista (sui suoi meriti e demeriti non mi soffermo in quanto la frase poteva essere attribuita, per quanto qui mi interessa, anche ai soliti Jim Morrison, Martin Luther King o Madre Teresa di Calcutta).

La frase, tradotta in maniera un pò zoppicante (cercherò di renderla un pò più scorrevole), è la seguente:

“Se dichiari di essere femminista… ma non sei vegana, hai le idee confuse, perché qualsiasi teoria femminista coerente richiede il veganismo. Una vera femminista si oppone alle gerarchie basate sul potere. Prima di tutto, il nostro consumo di prodotti animali non è null’altro che un’espressione di potere. Consumare prodotti animali ha lo stesso valore dello stupro in quanto rappresentano l’imposizione di sofferenza (ad altri) basata su questioni di potere. Secondariamente i prodotti animali, in particolare quelli dell’industria lattiero-casearia, derivano dallo sfruttamento della maternità.”

Nei commenti, molte sono state le femministe che hanno reagito negativamente a questa frase, spesso in maniera quantomeno verbalmente violenta e riportando brevi luoghi comuni al posto di ragionamenti articolati – it’s facebook baby! – ed a loro dedico le righe che seguiranno.

A prescindere perciò da chi sia Gary Francione, e dal tono catechizzante della frase che sicuramente ha avuto un effetto boomerang (visto che fa mettere le persone sulla difensiva anziché metterle nella disposizione d’animo di ascoltare e mettersi in discussione) poiché parlare di ver* femminista o antispecista o antirazzista non ha alcun senso ed è una delle peggiori piaghe dell’attivismo che definirò purista, o ‘a punti militanti’ – quello che per scardinare delle gerarchie ne crea altre di supposto merito basate su differenti parametri, ma seguendo le stesse logiche contro cui si scaglia –  quello che noto è che forse, a volte, sopravvaluto il potere del femminismo di rivoluzionare la vita delle persone. Non perché non sia una pratica dirompente, anzi: ma perché, come recita il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

E a malincuore devo dire che molte femministe, donne che lottano anche strenuamente per liberarsi e liberare altre donne dal giogo patriarcale, hanno, nei confronti dell’antispecismo lo stesso atteggiamento di dileggio, sfottò, quando non aperta rabbia e fastidio, del più becero dei maschilisti di fronte all’antisessismo.

Se c’è una cosa che ho imparato del mondo dell’attivismo in generale, è che essere attivist* non coincide automaticamente con l’essere non solo eroi/eroine, ma nemmeno persone particolarmente coerenti/empatiche/aperte… o persino socievoli!

Perciò sono consapevole che anche in questo, come in ogni ambito, troverò persone di ogni tipo – con le proprie incoerenze, idiosincrasie, disinteressi e limiti.
E va bene così, fintantoché quello che traspare non è aperto disprezzo, cosa che non sono in grado di tollerare.
Per quanto mi riguarda, il discrimine tra un comportamento accettabile e uno inaccettabile – in generale, ma soprattutto e ancor di più in ambito militante – sta nella capacità di ascolto e di confronto nella differenza. Facile restare nel proprio mondo rotondo di certezze acquisite, è quello che ci insegnano a fare nel sistema nel quale siamo scagliat* alla nascita, a fare quello son buon* tutt*.

Difficile ascoltare e accogliere, soprattutto quando ci mette in discussione in prima persona, dimostrandoci senza tanti giri di parole che il sistema di dominio è un sistema non verticale, piramidale, ma complesso e multiforme, nel quale nessuno è vittima tout court, ma tutt* anche carnefici di altre vite ed altre esistenze, che non possono restare inascoltate e respinte quando le loro grida, la loro sofferenza, il loro anelito di vita viene spento nella violenza (ancorché tenuta ben lontana dal ‘paradiso artificiale’ – si fa per dire – nel quale ci vogliono immers*).

Dei legami tra femminismo e antispecismo (senza escludere antifascismo e antirazzismo) si parla tanto e già da tanto, come sanno ormai tante persone.
Abbiamo dato vita al progetto intersezioni proprio perché sentiamo che quei luoghi dove si parla SOLO di femminismo, o di antispecismo, o di antirazzismo, o di antifascismo non ci corrispondono, o meglio, noi vogliamo di più … vogliamo tutto!

‘Nessun* sarà liber* finch* qualcun* sarà oppress*’.
La libertà non può e non deve essere prerogativa di poch*, o tant*, deve essere prerogativa irrinunciabile di tutt*, altrimenti non è libertà ma privilegio.

E l’ultimo baluardo di privilegio, quello più irrinunciabile per molt*, uomini e donne, è quello che ci dona acriticamente, in quanto ‘esseri umani’ (categoria del pensiero e non di natura inventata allo scopo di sfruttare altri esseri viventi e anche altri umani, modulando sulla presenza o meno delle ‘migliori’ prerogative umane – essere umani, bianchi, maschi, abbienti e di classe elevata – la gerarchia dello sfruttamento di tutt* coloro che non possiedono l’optimum dei requisiti) – il dono di FOTTERCENE APRIORISTICAMENTE della dose di violenza che imponiamo ad altri animali, umani e non, spesso comodamente per interposta persona, ma non per questo meno orrendi.

Fatevene una ragione: siamo animali, che vi piaccia o meno.
Abbiamo, come animali, caratteristiche peculiari? Sicuramente, come tutte le altre specie, vedi quelle che volano senza ausili meccanici, o nuotano e non affogano.
Sono queste nostre caratteristiche peculiari motivo sufficiente per sfruttare ed uccidere gli altri animali?
Non proprio, considerato che ci siamo creat* una scala di valori a nostro personale uso e consumo (la ‘razionalità’ un valore? Eh sì, tanto quanto la dotazione di un pene!) e abbiamo potuto farlo semplicemente costruendo il nostro privilegio con l’imposizione della forza e di immane violenza su altre e altri.

A quelle femministe che derubricano ad inessenziale, dileggiano o apertamente osteggiano l’antispecismo voglio far notare che nel non prendere in considerazione il proprio ruolo di oppressione sugli altri animali, nel non lasciare aperta la porta alla novità e al cambiamento, nel non mettere in dubbio il proprio ‘privilegio’ umano, voltano le spalle ad una enorme potenzialità, e non solo rivoluzionaria per loro stesse ma anche per la ‘causa’ per cui dicono di lottare, ossia quella delle donne, le cui istanze sono inscindibili dalla messa in discussione di un sistema basato sull’oppressione di determinati gruppi su altri, in tutte le possibili e immaginabili combinazioni.

Non è ancora giunta l’ora di mettere in discussione anche i propri privilegi oltre a quelli patriarcali?
Meditate femministe, meditate.

Ps: Affermare lapidariamente che antispecismo e femminismo non c’entrano nulla, sminuendo così il lavoro di tante studiose femministe che hanno contribuito con i loro preziosi scritti a porre nella giusta luce la questione animale e quella femminista in un’ottica intersezionale è, come dire… un pò superficiale, e dimostra di non avere le idee molto chiare a riguardo. Perciò, dopo aver affermato con soddisfazione che la terra è piatta, sarebbe possibile guardare senza pregiudizi a quelle teorie che la postulano rotonda?

Approfondimenti:
Guarda il video ‘intersections’ di Breeze Harper sottotitolato in italiano:

Esauriente bibliografia ecovegfemminista.
Leggi anche di

intersezionalità
zoofobia
mentalità della carne
antifascismo e antispecismo
prede

Da quante cose viene definita una donna?

Gli acquerelli di Jay ci dicono che:

aillustrazione di Jay happyblood.tumblr.com

illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com

Dal suo blog:

“Le donne sono fantastiche, non sei d’accordo?

Volevo fare una semplice collezione di belle donne in acquerello, così l’ho fatta. Ho deciso di aggiungere del testo di accompagnamento per dargli una voce. Il mio intento non era quello di abolire ogni stereotipo, ma semplicemente di illustrare donne di varie personalità, tipi di corpo, età ed etnie. Ogni donna è bella!”

Leggi tutto “Da quante cose viene definita una donna?”

Deconstructing l’ignoranza (o Dell’anti-omofobia)

piotta1 Non bisogna presupporre nel prossimo sempre e soltanto la malafede, anche quando lo vediamo sostenere delle tesi improbabili o delle ipotesi politiche ridicole. Non si deve attribuire sempre e solo l’ipocrisia ai nostri apparenti avversari politici: dobbiamo mostrare una conciliante apertura a tutte le possibilità, perché forse l’apparente malignità, perversione, stupidità e cattiveria gratuita di alcune posizioni politiche possono essere solo causate da un sottovalutato errore tipicamente umano: l’ignoranza.

Probabilmente Marina Terragni, Costanza Miriano e Pino Morandini non hanno alcuna idea di quello che stanno dicendo, nei brani che riporto qui sotto. Io la penso così, penso che siano incolpevolmente profondamente ignoranti. Non credo che le loro assurdità le dicano seriamente, “con cognizione di causa”, come si dice in questi casi. Credo che, poverini, siano vittime di un raggiro, o di un sistema scolastico inadeguato, oppure ancora di un ambiente culturale gretto e meschino che non concede a tutti le stesse possibilità. Vediamo cosa dicono, sarete senz’altro d’accordo cone me che, alla luce di una critica serrata ma corretta, tutte le loro incredibili sciocchezze non sono altro che grossi equivoci frutto d’incolpevole ignoranza.

Una premessa: di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una modifica a tre leggi già esistenti. Precisamente: l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni che potete seguire nel link; il titolo del Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122 e successive modificazioni che potete seguire nel link; la rubrica dell’articolo 1 di questo stesso Decreto Legge (per “rubrica” s’intende, dice Treccani, “la descrizione sommaria del fatto attribuito all’imputato e sua qualificazione giuridica con l’indicazione degli articoli di legge che lo prevedono”). Questa modifica è, in tutti e tre i casi, sostanzialmente la stessa: l’aggiunta delle parole “fondati sull’omofobia o transfobia” a quegli articoli di legge.

Sono gli articoli che puniscono, dice il testo “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e “chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. In sostanza, dopo “religiosi”, la legge in discussione in questi giorni vuole aggiungere le parole “ovvero fondati sull’omofobia o transfobia”.

Veniamo ai nostri tre casi d’ignoranza. Per comodità, dai testi originali di cui lasciamo il link, prenderemo solo le parole principali. Cominciamo con Miriano, qui una sua intervista.

…invece venerdì alle ore 10, ci ritroveremo sempre davanti al Parlamento, Uominidonnebambini, al flashmob che riunisce varie associazioni di uomini di buona volontà, cattolici, ebrei, omosessuali, atei, per fermare il progetto di legge [non è un progetto di legge] che punisce con il carcere e i campi di rieducazione [non è vero, non esistono campi di rieducazione] chi non segue l’ideologia gender [non esiste nessuna ideologia gender, e le modifiche proposte non puniscono chi non segue una ideologia, ma chi fa propaganda o istiga a commettere o commette atti violenti in nome di idee omofobiche o transfobiche. Il cattolicesimo, come qualunque altra confessione religiosa, rientra in una espressione del pensiero che non può essere punita per legge, come recita l’articolo 19 della Costituzione. Questa legge non si riferisce alle religioni né a qualunque altra forma di pensiero, a meno che non siano fondate sulla superiorità o sull’odio di qualunque tipo. E, per quanto discutibile in sé, il cattolicesimo non lo è]. Nel mio piccolo, sto lavorando perché ci si incontri tutti. Credo che questa sia una battaglia di buon senso, prima che cattolica [il buon senso, purtroppo, va saputo usare o si prendono cantonate enormi, cara Miriano]. Quello che stanno facendo non è la priorità del Paese. Giro l’Italia e vedo capannoni abbandonati, imprese che stanno chiudendo [ma che c’entra? Chi decide le priorità? Il Parlamento mica funziona come una gara di Formula Uno!]. Al contrario questa è la priorità di una piccola elìte [che non esiste manco lei – non è piccola e non è manco un’elite, se no non avrebbe bisogno di una legge, no? Ma se anche esistesse, avrebbe gli stessi diritti democratici di presentare una legge], che vuole la vittoria della ideologia del gender [aridàje, non esiste niente di simile!], e magari matrimoni e adozioni per gli omosessuali [magari come succede in altri 14 e passa paesi del mondo, anche se pieni di cristiani e anche di cattolici]. Va da sé che sarà un reato dire che è più consona ad un bambino la vita con una madre e un padre [non è vero, è un’opinione che chiunque potrà liberamente esprimere. Non ci potrai fondare un partito o un’associazione, né fare propaganda – ma non era tua intenzione, no?]. Ci rendiamo conto che non si potrà neanche più manifestare per sostenere questo pensiero? [Ma de che? Non è vero, potrai fare tutte le manifestazioni che vuoi, quella non è propaganda! Leggi la legge, Miriano, è facile, da sinistra a destra una lettera per volta, ogni spazio una parola. Su, ce la puoi fare] Purtroppo questa elìte è forte e ha contatti importanti e trasversali [no, dai Miriano, no, ti credevo superiore al complottismo plutofrociomassonico. Che delusione].

La legge per diventare costume e cambiare la cultura un po’ ci metterà, certo. Ma si aprirà una voragine di cui non possiamo ancora sapere le dimensioni [Eh? Voragine? Che vuol dire, politicamente? Miriano, capisco la tua provenienza, ma non è che puoi ventilare tragedie bibliche ogni volta che non ti sta bene una cosa]. La legge è molto vaga e come discriminazione può essere intesa qualsiasi cosa [il vocabolario può essere utile, Miriano, prova lì: la differenza tra discriminare e pensare è scritta benissimo]. Spero che i giuristi protestino contro questo vulnus [il “latinorum”!] alla democrazia, non si può stabilire un reato d’opinione dai confini così incerti [infatti quelle modifiche non lo stabiliscono. Altrimenti lo stabilirebbe anche la legge alla quale si applicano quelle modifiche, già in vigore. E’ un passaggio facile, Miriano, provaci], in barba alla certezza del diritto. Per farvi capire [ahia, temo il peggio]: teoricamente tutti i cattolici che proclamano pubblicamente il Catechismo della Chiesa Cattolica saranno incriminabili, in base a questa legge [ma assolutamente no! Sono difesi, come chiunque altro professi una religione, dalla Costituzione! Non è un crimine proclamare il Catechismo, Miriano! Stai dicendo che allora il Catechismo è propaganda! Ma rileggiti!]. Nella mia rubrica telefonica, per dire, ho sicuramente 200 persone che sarebbero pronte ad andare in carcere se dire che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre diventasse reato [non ne avranno bisogno Miriano, rimarranno le persone di visione limitata che sono ora, tutto qui]. Che faranno? Le metteranno tutte in carcere? [La tecnica dello spauracchio è vecchia, Miriano, basta, su.] E leggere ad alta voce il Catechismo della Chiesa cattolica, che parla degli atti omosessuali come contrari alla legge naturale sarà reato? [NO! Se leggo ad alta voce Histoire d’O non posso essere arrestato per atti osceni!]

Qui siamo alla difesa del buon senso e della vita concreta dei bambini che potrebbero andarci di mezzo [e dàje co’ ‘sti bambini]. E’ evidente che non c’è una parità di trattamento tra i cattolici e non [ancora col complotto?], ma non può essere una questione tra opposte tifoserie [e non lo è, si tratta di imparare a leggere]. Ma come si può negare che i bambini nascano dall’unione di una donna e di un uomo? [Come si può negare che questo problema non c’entra niente con la legge in discussione?] E’ la natura, non c’è bisogno di essere cattolici per vedere la realtà [ehm, Miriano, la informo che ‘naturale’ e ‘reale’ non sono sinonimi]. Qualcuno può anche credere che discendiamo per un caso dalle scimmie, ma che siamo maschio e femmina chi lo può negare? Per negare questo, cioè la realtà, stanno procedendo con proposte assurde e pensando ad una legge ultra-repressiva, che non guarda a tutti, ma a loro [Miriano, dovrebbe almeno avere l’onestà di ammettere che la realtà consiste nella contemporanea esistenza di molti modi di pensarla. Nessuno la nega e non si tratta di una legge che reprime un bel niente. La legga, per favore, anche insieme al Catechismo, se ci tiene tanto].

Cos’è l’omofobia? Parliamone. Perché l’omofobia come paura degli omosessuali non esiste, anzi [le rammento che nel suo blog lei ha raccontato che preferisce “passare da un’altra parte”: se non è paura, cos’è? Cose più nobili? Non mi prenda per stupido, grazie]. C’è un “pregiudizio positivo” nei loro confronti [certo, come no]. Sono in politica, nell’arte, nella letteratura, nel cinema. Sono giustamente tutelati e inseriti [eh? Tutelati? Inseriti? Infatti è per questo che ancora il coming out è festeggiato, no?]. Ci sono addirittura programmi scolastici, e lo posso testimoniare come madre di quattro bambini, che forniscono ampie catechesi contro la discriminazione [ah, la catechesi contro la discriminazione ci può essere, una legge no. Interessante]. Tanto che secondo me, nell’età dello sviluppo, questo modo di procedere può essere pericoloso e generatore di confusione [una confusione dovuta a troppa anti-discriminazione. Notevole. E lei parla di buon senso, eh?].

Vanno applicate le norme [eh, facciamole allora…]. Ma con la legge anti-omofobia non si vogliono colpire dei comportamenti ritenuti violenti, l’obiettivo è fare cultura [AHAHAHAHAHAHAHAH, questa è grandiosa, Miriano, lo ammetto. Fantastica. Una legge per fare cultura, sarebbe la prima volta in Italia, credo], che è un’altra cosa. La legge 194 che non è mai stata una buona legge ma dissero che era nata per tutelare la salute della madre, ora è diventata una pratica di controllo eugenetico [sì, avete sentito bene, in Italia, dice Miriano, si pratica il controllo eugenetico attraverso l’aborto regolato dalla 194. Insieme alla boutade della legge che obbliga all’ideologia gender, possiamo dedurne che Miriano pensa di vivere in un regime nazigay: SS bellissime, profumate e con sgargianti divise rosa. Basta Wikipedia per capire che l’eugenetica è tutt’altro ed è ben regolata], e l’aborto la prima cosa da proporre alla madre nel caso in cui si intraveda una minima incertezza di malattia nel bambino [opinioni irrilevanti per la discussione sulla legge]. Lo posso testimoniare tranquillamente, mi scrivono centinaia di persone [sempre meno delle donne che non riescono a usufruire della 194 negli ospedali italiani a causa dell’obiezione di massa dei medici – lo posso testimoniare tranquillamente, protestano in migliaia]. E’ diventata una legge eugenetica. Perché la legge fa costume. Ormai non si percepisce più il dramma, la portata, l’importanza del gesto dell’aborto [opinioni personali, che Miriano può esprimere tranquillamente, tanto non c’entrano niente con la legge in oggetto e non sarà mai reato esprimerle]. Posso capire l’esigenza che vogliono esprimere queste persone, gli omosessuali, che spesso hanno storie sofferte, di difficile accettazione, e io vorrei farmi davvero sorella a queste persone [prima dovrebbe chiedere loro se vogliono essere fratelli a lei – c’ha pensato?]. Ma non è con la legge che si raggiunge l’obiettivo di spiegare il mistero dell’uomo [se mi dice dov’è contenuto questo obiettivo, il testo è qui sopra]. Questa legge è pericolosissima, porta troppo lontano [ah, lei però del mistero dell’uomo vede bene tutto. Però].

Sì, perché è in gioco una battaglia di buon senso [aridàje]. Vado a tutte due perché le sigle non mi interessano. mi interessa la realtà [la realtà è scritta qui sopra, all’inizio dell’articolo]. Anche se la proponessero i radicali, volesse il cielo, io ci andrei [anche io, per vederla parlare di aborto con Bonino].

Un’altra povera vittima di una errata informazione è Pino Morandini, che dalle pagine di Libero si dimostra fortemente preoccupato del futuro dei liberi studi sul pensiero. Sentite un po’.

CENSURARE I FILOSOFI. «Che ne sarà», si chiede Morandini, «di Platone, che relega ”l’omosessualità maschile e femminile” fra le “perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società” (Leggi, 836, B)?» [ne sarà, caro Morandini, quello che ne è di lui da sempre: non se lo filerà proprio nessuno. La percentuale di persone che sarebbero direttamente interessate alla eventuale scomparsa di un testo di Platone è molta meno di quella direttamente interessata alla eventuale scomparsa di lei, Morandini. Senza offesa eh, era per darle un’unità di misura]. E di «Seneca, che tesse le lodi dell’amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni» che il filosofo romano riteneva «contro natura» (Cfr. Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15)? [Seneca? Ancora meno di Platone, se ne fregherebbero.] E di «Kant che, in Metafisica dei costumi è fortemente critico verso l’omosessualità?» [lo prenderebbero per il culo come fanno tutti già adesso, solo ci sarebbe un motivo in più]. «Che ne sarà di costoro? Potranno essere ancora studiati [certo che sì, la legge non riguarda l’opinione né il diritto a leggersi quello che pare a ciascuno] – prosegue Morandini -, oppure chi sarà sorpreso con libri loro in possesso magari quelli ricordati, in cui sono contenute esplicitamente “idee fondate sulla superiorità” [bravo Morandini, si vede che lei è uomo di legge: sono contenute, quindi non sono propaganda. Le rammento che in questo paese – dove quella legge alla quale si chiede di aggiungere delle parole è già in vigore – è possibile stampare e acquistare il Main Kampf di Hitler, dove sono contenute più idee fondate sulla superiorità di quelle in Platone, Seneca e Kant messi insieme], rischierà» la reclusione fino a quattro anni (sei, se si è capo di un’organizzazione), come prevede la legge sull’omofobia? [NO, perché la legge non riguarda le letture né le opinioni – è scritto qui sopra!]

OMOSESSUALI TUTELATI. Omosessuali e transessuali sono «titolari di tutti i diritti spettanti alla persona», continua Morandini [allora, Morandini, la legge è inutile: anche le persone di colore sono titolari di quei diritti. Però la legge in vigore adesso parla di superiorità razziale: è sbagliata tutta la legge, allora? O forse, ma forse eh, c’è qualche problema nella tutela di quei diritti, dato che qui si tirano banane a ministri di colore?]. Per quale ragione – chiede il magistrato – bisogna introdurre «una tutela inutilmente rafforzata, per le persone omosessuali e transessuali», le quali sono «già ampiamente garantite nella loro dignità dalle norme in vigore? [Perché ci sono persone che non li rispettano: la proprietà è molto ben garantita dalle norme in vigore, eppure esistono leggi contro il furto. Perché?]». Morandini si sofferma sugli esiti della legge sull’omofobia che «per coloro che manifestano “idee fondate sulla superiorità” e  ritenute lesive “dell’identità sessuale”, prevede» la reclusione fino a quattro anni (sei, se si è capo di un’organizzazione): «Non è forse alto il rischio che si incorra in procedimenti penali a fronte di qualsivoglia giudizio critico verso determinati orientamenti sessuali?» [NO, perché i giudizi critici non rientrano nei fenomeni descritti dalla legge, che parla di propaganda e di atti violenti]. Non sarebbe meglio, conclude il magistrato, lasciare intatta la libertà di espressione «sul significato antropologico della definizione fra i sessi; sull’etica della sessualità e sulle conseguenze giuridiche derivanti dalla presenza di relazioni diverse dal matrimonio quale rapporto riconosciuto giuridicamente tra un uomo e una donna?» [SI: e infatti la legge non dice un bel nulla sulla libertà di espressione, perché non la tocca minimamente – è scritto qui sopra].

Last but no least, Marina Terragni ci omaggia con la sua consueta pacatezza argomentando contro la proposta di Scalfarotto inviandogli una sorta di “lettera aperta”. Eccola, nero su bianco, la sua richiesta di chiarimenti – in effetti lei almeno in un punto ammette di non aver chiare le idee sulla legge in discussione. Certo le ha chiarissime su altri argomenti.

Caro Ivan Scalfarotto, qualcun* provi a darmi dell’omofobica, e l* querelo [tanto per chiarire, anche a scapito della sintassi, che Terragni si mette al di là della legge – per come lei l’ha capita – anche prima che venga promulgata. Una bella minaccia, e possiamo cominciare].

Ho amici e amiche gay, e pure trans, e voglio per tutte e tutti una vita più semplice e più giusta [la classica frase d’apertura che amano sentirsi dire amici e amiche gay, e pure trans]. Parto così, mettendo le mani avanti, perché vorrei porti qualche questione sul tema della legge contro l’omo e transfobia. Ed è già sintomatico che io parta così, giustificandomi a priori, perché non ho ben capito se secondo la nuova legge io sarei, almeno in linea teorica, perseguibile per quello che intendo dire, e per la storia che intendo raccontarti [oh, almeno lei ammette che non ha capito bene, brava Terragni, dia l’esempio. Comunque, la risposta è no].

Un mio amico gay, qualche tempo fa, ha “comprato” un ovocita da una donna, l’ha fatto fecondare con il suo seme, quindi impiantare nell’utero di una seconda donna (“spezzando” quindi la madre in due: ovodonatrice e portatrice [Terragni, la madre è tutta intera, gliel’assicuro: ha spezzato forse qualche suo preconcetto, ma le due donne sono rimaste tutte intere]). Il tutto il un Paese che consente queste pratiche. Impianto andato a buon fine, gravidanza giunta a termine – bambino in braccio, come si dice – bambino tolto alla/e madre/i (anzi: madre/i tolta/e al bambino) e portato in Italia, dove il piccolo ha trovato i suoi surrogati materni in una serie di tate che vanno e vengono [mi permetto di sottolineare che qui, di surrogati, ci sono solo i suoi vocaboli che travestiti da racconto oggettivo formulano giudizi personali del tutto inutili, visto che parliamo – o dovremmo parlare – di leggi].

Caro Ivan, io avevo pregato il mio amico di non farlo, lui l’ha fatto, il nostro rapporto è andato in pezzi [perdoni il cinismo, ma ai fini della discussione della legge questo particolare è irrilevante. Però lo ha voluto mettere lo stesso]. Gli avevo detto: dal fatto che tu ami sessualmente gli uomini non deriva che quel bambino non debba avere una madre [e ce l’ha: ma cresce con due uomini. Non può non avere una madre, se è stato partorito. Ma non cresce con lei, per sua volontà autodeterminata – può non piacerle, ma è legale, in quel paese – oltre che giusto, mia opinione]. Sono ancora convinta di quello che gli avevo detto. E quello che gli avevo detto, in sintesi, è questo: un uomo, di qualunque oreintamento sessuale, etero o gay, non ha il diritto di portare via un bambino alla madre, di recidere quel legame (anche se la madre è d’accordo: ma il bambino no) [opinione personale che non c’entra nulla con la legge, e che lei può esternare quado vuole anche dopo che la legge anti-omofobia sarà eventualmente promulgata].

Non sto parlando di genitorialità gay: sto parlando di uomini che si fanno fare [ha scelto un verbo orribile, Terragni, è una scelta anche delle donne, non c’è costrizione] bambini dalle donne e glieli portano via [nessuno porta via niente, non è un rapimento! Ma come si permette?] (non è il caso, come ti sarà chiaro, di una lesbica che mette al mondo un bambino, perché lì il legame è preservato, tra le due pratiche non c’è simmetria) [altra opinione personale che non c’entra nulla]. Qui c’è misoginia, qui c’è odio per le donne [secondo lei, ed è anche una posizione difficilmente sostenibile. La madre biologica è consenziente, capito Terragni? CONSENZIENTE, e autotederminata, quale misoginia? Quale odio? Vorrebbe gentilmente, dato che si vorrebbe parlare di leggi, aggiungere qualche dato un po’ più oggettivo delle sue opinioni?]. Qui c’è questione maschile [si certo, come no. Fa l’esempio di un paese e delle sue leggi, che vengono rispettate, e di una procedura legale seguita da adulti consenzienti. Quale sarebbe la questione maschile, qui? Perché non dice di come potrebbe, una coppia di gay maschi in Italia, avere un figlio?].

Naturalmente quello che dico è opinabile [e meno male], ma io ci credo fermamente, così come credo fermamente nell’esistenza di una differenza sessuale [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire?]. Confortata dal fatto che perfino chi, come Judith Butler, maestra della “performatività di genere”, ha teorizzato al massimo livello il fatto che il corpo con cui si nasce conta poco o niente, e invece quello che conta è il genere a cui si sceglie di appartenere [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire?], è tornata sui suoi passi, dovendo ammettere l’esistenza “di un residuo materiale incontrovertibile“. Cioè il corpo sessuato [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire? No].

Ora, la mia domanda è questa: potrò ancora sostenere questo mio pensiero – l’intangibilità del legame madre-figlio e l’esistenza della differenza sessuale – che non sta dentro nel mainstream “tutto è lecito” senza essere sospettata o addirittura incriminata per omofobia? [SI, perché delle sue opinioni la legge se ne sbatte, lasciandola libera di credere le cose che vuole. La legge parla di propaganda e atti violenti che affermano o sono motivati da idee fondate sull’omofobia. Le sue menate sulla differenza sessuale – Butler o no, che sarebbe opinabile – non lo sono. Può dirle in pace, non si preoccupi.]

Lo dico perché ogni volta che una legge, con la mannaia sommaria della logica dei “diritti”, interviene “salomonicamente” a tagliare la carne viva della vita e dei suoi fondamentali, il risultato è sempre molto scadente [scadente quanto paragoni biblici buttati lì senza una spiegazione del loro legame col resto. Quale sarebbe la mannaia? Quale carne viva? Gli articoli sono qui sopra, me le saprebbe indicare?].

Con affetto   M. [e meno male che l’ha scritta con affetto…]

Qui ci sono altri che, poverini, sono stati ingannati e portati a pensare cose poco serie, come i nostri tre di cui abbiamo parlato. Io non credo che siano in malafede, credo sinceramente che proprio per questioni culturali non siano in grado di capire perché si vogliano aggiungere poche parole a un articolo di legge già esistente e sul quale finora non hanno avuto niente da dire. Gli è più facile pensare che a loro sarà impedito di esprimersi, piuttosto che immaginare di tutelare le espressioni di altri, ai quali questo viene culturalmente impedito, oscurato, “punito” con violenze più o meno grandi.
Chissà perché lo fanno.

“Sarà ‘sto buco d’aazzoto” (cit.)

Sardinia Reggae Festival: boicottiamo Capleton!

999698_1402907556589905_657088491_n

Riportiamo e condividiamo il documento del Collettivu S’Ata Areste:

 

CAPLETON ARRIVA AL SARDINIA REGGAE FESTIVAL 2013

Al Sardinia Reggae Festival arriva Capleton, uno degli artisti di punta del panorama reggae mondiale, capace di distinguersi e primeggiare per il suo messaggio di odio verso gay e lesbiche e boicottato per questo in tutta Europa!!!
Solo per fare qualche esempio, Capleton canta versi come «sodomiti e gay, io gli sparo… whoa», oppure «brucia il gay, fai vedere il sangue al gay», e ancora, «yow, legateli e impiccateli vivi / di tutti i gay che girano qua intorno / la madre terra dice che nessuno può sopravvivere».
Per saperne di più potete andare in questo link.
In un paese dove la violenza e l’intolleranza nei confronti di gay, lesbiche e trans è all’ordine del giorno, la presenza di un cantante omofobo come Capleton non è tollerabile. A solo un mese di distanza da manifestazioni importanti per la nostra Isola, come Diritti al Cuore ed il primo Sardegna Pride, dove fra le istanze condivise c’erano diritti civili e fine delle violenze sessiste, omo-transfobiche e razziste, dobbiamo apprendere che la Sardegna si ritrova ad ospitare un personaggio come Capleton, NOI NON CI STIAMO:

BOICOTTA CAPLETON!
BOICOTTA LA MUSICA SESSISTA E OMOFOBA!

Un rapporto di Amnesty International datato 17 maggio 2004, a proposito di
un concerto reggae svoltosi in Giamaica nello stesso anno, denuncia che sia
Capleton che altre reggae star stanno minacciando di uccidere i gay: «Durante
il corso della serata, Capleton, Sizzla e altri, hanno cantato quasi
esclusivamente liriche sui gay. Usando il termine dispregiativo per gay ­
«chi chi men» o «batty bwoys» ­ hanno esortato il pubblico ad «ucciderli, i
batty bwoy devono morire, colpi di pistola sulle loro teste, chiunque voglia
vederli morti, alzi le mani».
Il 13 giugno 2007 l’associazione inglese Outrage! ha diffuso la notizia che tre dei principali cantanti reggae/dancehall hanno rinunciato all’omofobia e condannato la violenza contro gay e lesbiche, firmando un accordo denominato “Reggae Compassionate Act”, in cui Sizzla, Capleton e Beenie Man dichiarano tra l’altro: «concordiamo di non cantare testi e suonare canzoni che incitino all’odio o alla violenza contro chiunque, di qualsivoglia comunità».
L’establishment del business musicale preoccupato dalla diffusione internazionale delle campagne di boicottaggio e soprattutto di salvaguardare i suoi profitti (visto che alcuni sponsor cominciavano a farsi indietro) è corso ai ripari imponendo il “compassionate act”, un capolavoro di buonismo ipocrita dove gli stessi cantanti che fino al giorno prima esprimevano il loro odio omofobico e sessista si impegnavano a diffondere un messaggio di pace e amore. Un espediente per mettere a posto le coscienze dei business-men e di tutti gli ingenui che così potranno ancora acclamare i loro idoli. Inutile aggiungere che il “compassionate act” è stato ripetutamente violato in molti concerti. Per maggiori info leggi qua.

Il Sardinia reggae Festival si propone così:
“I motivi che hanno spinto le due associazioni ad organizzare il Sardinia Reggae Festival sono diversi: la grande passione per la musica Reggae, il desiderio di creare nuove ed interessanti attività sociali per l’isola, ma sopratutto l’idea comune di far diventare la Sardegna il punto ideale per la crescita del reggae e per lo scambio con realtà internazionali.”
“Il progetto dell’Ass.Cult. Sardinia Reggae è quello di mettere in atto un importante scambio culturale e di creare un grande ponte virtuale tra Sardegna, Europa e Jamaica, permettendo a tutto il pubblico europeo ed extraeuropeo di conoscere storia, tradizioni e cultura sarda ed al pubblico italiano, di approfondire cultura e storia della musica reggae nazionale ed internazionale.”

Noi chiediamo: che tipo di scambi? Che tipo di cultura? Noi immaginiamo scambi fra comunità internazionali all’insegna della condivisione, del riconoscimento reciproco delle differenze, delle lotte, non certo all’insegna della comune condivisione e dell’odio contro gay e lesbiche!
Chiediamo al Sardinia Reggae Festival di prendere una posizione chiara e netta:
ANNULLATE IL CONCERTO DI CAPLETON, non pensiamo che non foste a conoscenza di tutto questo, ma in ogni caso prendete posizione contro e fatelo adesso, come altrove, in più occasioni, è stato fatto!!!

Invitiamo tutte e tutti a scrivere agli organizzatori del Festival per chiedere l’annullamento del concerto:
sardiniareggaeufficiostampa@hotmail.it

Colletivu S’Ata Areste

Antifascismo e antispecismo: dipaniamo la matassa

italian-antispeciesism

 

Noto con tristezza che un sacco di vegan e/o antispecist@ adottano la politica del ‘se non si palesano come fascisti, allora non lo sono, oppure me ne fotto’. Quello che intendo fare è esprimere delle perplessità circa questa politica, che mi risulta essere totalmente fallimentare in materia di prevenzione del fascismo nel milieu antispecista. Piccola nota sul termine: quando uso questo termine non sto escludendo a prescindere la presenza di fascisti/razzisti/sessisti/eccetera, perché, per l’appunto, se ‘in teoria’ così dovrebbe essere, nella pratica così non è. E il primo passo per risolvere un problema è ammetterne l’esistenza.

A volte vengono promossi concetti reazionari proprio da coloro che non lo sono, o che non vorrebbero esserlo. Si pensi ad esempio a quante volte le argomentazioni antispeciste vertono sull’agire secondo natura o quantomeno in rispetto della natura.  In realtà il concetto stesso di natura appartiene alla cultura ed è usato dal dominio per naturalizzare l’oppressione, cioè renderla naturale, normale (e da normalità a normatività, il passo è davvero breve): in tutto questo, non dovrebbe meravigliare che un sacco di organizzazioni ecofasciste bazzichino il filone dell’ecologia profonda, che purtroppo condivide i presupposti di un biocentrismo troppo spesso declinato in termini non difformi da quelli in cui lo declina il dominio; vedasi la loro definizione di natura e di vita (hanno spesso anche posizioni antiabortiste; il che la dice lunga su quanto ci tengano alle vite che già esistono). Con questo non sto affermando che non può esistere una declinazione di natura che non sia ecofascista, beninteso; soltanto che quello attuale è tale – proprio perché la natura è (anche) cultura, è possibile immaginare una ‘cultura della natura’ non ecofascista. Si pensi infine all’interclassismo insito nel concetto, in odor di estinzionismo, per cui davanti agli animali saremmo tutti nazisti: davvero nel sistema la mia vicina di casa, donna immigrata, ricopre la stessa posizione di un borghese, bianco, a capo di una multinazionale leader nel mercato dei derivati animali? L’evidenza dimostra il contrario, a prescindere dall’eventualità che la mia vicina di casa possa essere o meno vegana.

Il fascismo non bussa mai alla porta presentandosi come tale. Si presenta ‘oltre destra a sinistra’, come ‘apolitico’ (c’è differenza tra apartitico e apolitico), come ‘alternativa’, come ‘terza via’. Codesti individui non si palesano in nessun caso come fascisti, se non in rarissimi casi, ovvero quelli in cui non riescono a camuffarsi con successo. Sicché questa è la storia delle infiltrazioni neofasciste in qualsiasi ambito non esplicitamente politicizzato, come ad esempio quello associazionista, bisogna stare attenti. Il purismo militante è fuffa; la coerenza fra mezzi e fini, invece, è fondamentale.

Si dice spesso che agli animali non importa se a liberarli è un fascista, ma se è per questo, agli animali non importa nemmeno se a liberarli è qualcuno che non è né vegetariano, né vegano e tantomeno animalista e antispecista. Cosa si penserebbe di un’associazione antispecista i cui membri finanziano in maniera attiva uno dei capisaldi della prassi specista? Si può supporre che se ne pensi tutto il male possibile. Perché agire differentemente con i fascisti, allora, mi chiedo; e nel caso in cui questi si dichiarino non fascisti o addirittura antifascisti ma aiutino organizzazioni che diffondono fascismo, che differenza c’è? nessuna. Non si danno giudizi politici in base all’autoidentificazione di una persona, ma in base agli esiti del suo agire politico.

Un’altra accusa punta il dito sul dibattito fascismo/antifascismo dipingendolo come antropocentrico, ma non è possibile ottenere la liberazione animale a fianco di gente che nei secoli dei secoli ha oppresso e ammazzato animali umani al soldo di quello stesso sistema economico che sfrutta e uccide gli animali non umani; coloro che parlano di etica dicendosi apolitici, non sanno lo ‘stato etico’ è proprio del fascismo. Si parla di antispecismo debole (o di animalismo) come se l’etica non fosse pertinente ad un antispecismo politico; ma l’etica non è avulsa né al personale né al sociale, e pertanto al politico.

Sarebbe opportuno quindi incominciare fare i nomi. A quelli pronti ad accusarmi di caccia all’uomo, chiedo di riflettere su questo: voi un macellaio che fa un’associazione (dove vi sono anche persone genuinamente vegane/antispeciste) per raccogliere fondi (destinati anche, ma non soltanto, alla sua macelleria) presso attivisti “all’acqua di rose” e inconsapevoli vari, lo tollerereste in virtù di quel poco che fa per la causa? (quale  causa, soprattutto, verrebbe da aggiungere). E che non mi si chieda cosa fare con i casi ambigui, perché chiunque possiede un minimo di cultura, di capacità e di esperienza sa distinguere le ambiguità fortuite da quelle intenzionali.