Quando l’unico aborto legale è quello accidentale

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Se l’unico aborto legale è quello accidentale, allora procurarsi un accidente è l’unico modo che una donna ha per terminare una gravidanza, che sia indesiderata o pericolosa per la sua vita e quella del feto.
Questo è il provocatorio, ma non nuovo, concetto di fondo della campagna per la depenalizzazione dell’aborto promossa da Miles, un’organizzazione non governativa che si occupa dei diritti sessuali e riproduttivi in Cile, dal 2010.
L’organizzazione si fa promotrice di una proposta di legge, che si può leggere qui, nel quale si chiede la depenalizzazione dell’aborto terapeutico e volontario in caso pericolo di vita per sé e per il feto (o grave malformazione strutturale di quest’ultimo), con la predisposizione degli strumenti atti all’accertamento di questi pericoli, e in caso di stupro, ponendo l’attenzione anche alle minori di 14 anni. Nel quadro di riferimento del diritto alla salute e a una vita degna, puntualizzando i dati del ricorso all’aborto clandestino e della mortalità materna e neonatale.

L’obiettivo è quindi parziale, non si chiede la depenalizzazione completa dell’aborto volontario. Nel progetto di legge si contempla anche l’obiezione di coscienza per quei medici che non vogliono praticare l’intervento abortivo, previa dichiarazione scritta. Pratica alla quale non possono però sottrarsi in caso di immediato pericolo per la paziente.

MIlesChile

Sono stati prodotti tre tutorial che spiegano come provocarsi un aborto accidentale, in tutti e tre la donna rischia la vita per mettere fine alla gravidanza. Se rischio di morire a causa della gravidanza, perché non rischiare di morire a causa dell’aborto?

Una logica che, in fondo, è condivisa da tutte le donne che rischiano la vita con un aborto clandestino.

I video sono semplici, diretti e agghiaccianti.

Nel primo viene spiegato come abortire, lanciandosi nel traffico di un incrocio.

Nel secondo si spiega come procurarsi un aborto rompendo il tacco di una scarpa e sbattendo contro un idrante.

https://youtu.be/Geutltjj-fA

Nel terzo la protagonista spiega come provocarsi un aborto cadendo dalle scale.

Non è la prima campagna provocatoria realizzata in Cile, alcuni anni fa un’altra associazione, rintracciabile presso questo sito internet donaporunabortoilegal.wordpress.com,  aveva promosso una campagna di donazione per consentire alle donne un aborto illegale.

Grazie a chi “difende la vita”

Marion Peck
Marion Peck

Voglio dire grazie a tutte quelle persone che “difendono la vita”.
Grazie agli obiettori e ai non obiettori che ‘hanno capito tutto’, farmacisti/e, medici/he, infermieri/e, grazie alle sentinelle in piedi, sedute e stese, grazie a chi prega per i “non nati”, grazie a chi gestisce centri per “il dono della vita”,  i quali diffondono volantini con immagini (false) di feti abortiti o che si succhiano il dito e depliant sulla “sindrome post aborto”. Grazie per i monumenti cimiteriali e no, dedicati all’essere “madre di un figlio morto”. Grazie ai preti e alle suore, laiche e consacrate. Grazie ai politici e alle politiche che usano i “temi etici” come moneta di scambio. Grazie a tutti quelli che nel web non mancano mai di esprimere il loro parere contrario all’aborto delle altre – chiunque sia quell’altra – anche se non hanno un utero… semplicemente rispondendo con un “contrario”, in un sondaggio su facebook. E se gli fai notare che opinione per sé è diverso da giudizio o imposizione sull’altr@, ti danno della fascista.
Grazie, perché abbiamo bisogno della vostra caparbietà e costanza. Senza di voi rischieremmo di dimenticare che, in quanto donne, la dobbiamo pagare cara e amara sempre, e non contiamo niente, siamo solo merce di scambio, animale umano da fatica o compagnia – fino a quando culo e zizza restano sodi – e da riproduzione: martiri della maternità da ricordare con cinque minuti di silenzio, poi si va al mare a vivere la propria vita.
Grazie. Senza di voi certi risultati non riusciremmo nemmeno a immaginarli.

Pizzo per abortire in ospedale, arrestati anestesista e l’unico ginecologo non obiettore

“Se vuoi fare subito, due o tre giorni, devi pagare questo. Se invece vuoi andare all’altro ospedale, non paghi niente, ma c’è molto da aspettare”. Le intercettazioni ambientali ed il video, che attesta anche un passaggio di denaro non lasciano spazio alle interpretazioni. I tempi d’attesa, indefiniti, sono stati lo spauracchio per numerose donne che hanno deciso di sottoporsi ad intervento di interruzione volontaria di gravidanza in ospedale (quindi una prestazione a carico del servizio sanitario nazionale), ma dietro pagamento, pur di  accorciare i tempi. Cento euro come tariffa standard per un aborto in tempi rapidi – qualche giorno dopo la richiesta –  altrimenti bisognava attendere, non si sa quanto, rischiando di superare il limite dei 90 giorni, termine oltre il quale non si può praticare l’intervento. E’ quanto scoperto dai carabinieri di Cerignola all’interno dell’ospedale “Tatarella” del centro ofantino, dove due medici sono stati arrestati (ai domiciliari) e dovranno rispondere del reato continuato di concussione in concorso.

Secondo l’accusa, i due – Osvaldo Battarino e Giuseppe Belpiede, di 56 e 62 anni, il primo dirigente medico responsabile del servizio di interruzioni volontarie delle gravidanze del presidio ospedaliero ed il secondo quale direttore dell’unità di anestesia e rianimazione della medesima struttura – avrebbero chiesto alle donne che si presentavano per compiere l’interruzione volontaria della gravidanza, di versare loro somme di denaro in contanti (100 euro che i due indagati dividevano tra loro), subordinando a questo pagamento l’effettuazione tempestiva dell’aborto, il cui costo è però a carico del servizio sanitario nazionale.

L’indagine è partita alla fine del 2013 quando un uomo ha denunciato ai carabinieri di Cerignola che Battarino (unico medico in servizio presso l’unità di ginecologia ed ostetricia di Cerignola a non aver sollevato obiezione di coscienza all’esecuzione degli aborti) aveva preteso il versamento di 100 euro in contanti per effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza alla figlia. “Il denunciante – spiegano nero su bianco i carabinieri – precisava che nonostante avesse rappresentato al Battarino di fruire dell’esenzione dal pagamento del ticket per la prestazione sanitaria, il professionista aveva preteso la somma richiesta da ripartire in parti uguali con l’anestesista spiegando che, in difetto, non avrebbe eseguito l’intervento prima del compimento del novantesimo giorno di gravidanza”.

Le indagini hanno quindi accertato che quello denunciato non era un caso singolo, ma che sussisteva un vero e proprio sistema che subordinava la celere interruzione di gravidanza al pagamento di somme di denaro. Così i due professionisti, sfruttando il fatto di essere gli unici medici dell’ospedale di Cerignola a non essere obiettori di coscienza, effettuavano gli aborti a pagamento, durante il normale orario di servizio, nei locali e mediante le attrezzature appartenenti alla struttura ospedaliera pubblica di Cerignola.

Dalle intercettazioni, inoltre, si evince che Battarino dava ai colleghi la disponibilità ad intervenire celermente, anche il giorno successivo alla telefonata, sempre che pagassero la somma richiesta: “se tu vuoi io la posso fare pure domani mattina. Se lei sa che praticamente io le faccio il certificato e la visita di Belpiede sono cinquanta e cinquanta, non c’è problema, può venire domani mattina”. Il Battarino riceveva, quindi, la paziente nel suo studio e si faceva consegnare il denaro da dividere con l’anestesista per effettuare l’intervento. L’indagine ha fatto luce su venti casi riscontrati, tutti inseriti in un sistema di malaffare che andava avanti da molto tempo, come dichiarato dallo stesso Battarino in una conversazione intercettata dai militari dove il professionista spiega al suo interlocutore il funzionamento del meccanismo: “Io faccio 500 interruzioni all’anno, da 25 anni. 500 all’anno, hai capito?”.

Una donna registra il proprio aborto per mostrare alle altre che la procedura è sicura

http://www.youtube.com/watch?v=OxPUKV-WlKw

Emily Letts è una 25enne, ex attrice professionista e attualmente consulente presso la New Jersey Women’s Clinic. Dopo aver scoperto la propria gravidanza indesiderata, ha deciso di registrare il suo aborto per mostrare alle altre donne che la procedura è sicura. Letts lavorava al Cherry Hill Women’s Center da un anno, al momento della scoperta. Ha raccontato la sua storia in un articolo di Cosmopolitan, spiegando di non sentirsi pronta a diventare genitore e di non essere impegnata in una relazione seria:
“Sentivo di non essere pronta a prendermi cura di un bambino”.

Letts ha dunque deciso di interrompere la gravidanza presso la clinica Cherry Hill, dove è consulente. Incinta da sole due o tre settimane, aveva cercato un video per rendersi conto di come avvenisse un aborto, senza trovarne nessuno. Perciò ha preso la decisione di filmare il proprio, allo scopo di aiutare tutte le altre donne che si trovino ad affrontare gravidanze indesiderate e che temono l’aborto.

Scrive Letts: “un’interruzione di gravidanza al primo trimestre dura dai tre ai cinque minuti. E’ più sicura del parto, non vengono praticati tagli operatori e il rischio di infertilità si attesta sotto all’1%. Ciononostante molte donne arrivano in clinica terrorizzate e convinte di venire macellate, e che non potranno più avere figli@ dopo l’aborto. La pessima informazione circolante è incredibile”.

Ha scelto l’aborto chirurgico in anestesia locale e non totale, proprio perché voleva sperimentare il tipo di procedura che più spaventa le donne che si rivolgono a lei per consigli. Voleva in tal modo capire meglio le donne angosciate che si trova di fronte e che deve aiutare, non far sentire le donne in colpa nello scegliere l’aborto ed anzi, essere loro d’esempio a non sentirsi in colpa riguardo alla decisione di interrompere la gravidanza.

“La nostra società alimenta questo senso di colpa, lo respiriamo dappertutto. Anche le donne che arrivano in clinica assolutamente convinte di volere l’aborto, si sentono in colpa per il fatto di non sentirsi in colpa! “Io non mi sono sentita in colpa…  e ringrazio di poter condividere la mia storia e ispirare altre donne per smontare quel senso di colpa.”

Su YouTube, Letts scrive:

Questa è la mia storia. SOLO la mia storia. Non immagino sia più o meno di questo. Non parlo per tutt@ in merito a questa questione delicata, e rispetto le opinioni di tutt@ fintantoché non vengono imposte per altr@.

La mia più grande speranza è che qualcun@, in qualche parte del mondo, veda il video e vi trovi guida, forza, supporto, o qualsiasi cosa quella persona stia cercando in quel momento. Voglio dire a quella persona “non sei sola”. Abortire non ti rende un mostro, una donna  per male, una cattiva madre.  Abortire non ti rende una colpevole. E’ soltanto un avvenimento della tua vita riproduttiva. Non sei sola. Sono qui per te. Siamo tutt@ qui per te.

Condividete questo video, PER FAVORE.  Aiutatemi a farlo girare in tutti gli angoli remoti della rete. Una donna ogni tre ha scelto, o sceglierà un ‘interruzione di gravidanza nel corso della propria vita riproduttiva. Questo video è per tutte noi.

Inutile sottolineare come i commenti negativi al video dei ‘difensori della vita’ si sprechino in parole di tolleranza quali, puttana, cagna, demone, speriamo che tu muoia/ti leghino le tube/ ti penta per tutta la vita/non abbia mai figli@, ecc.ecc.

Articolo originale qui, traduzione di feminoska.

L’importanza dell’aborto, tra diritto negato e strumentalizzazioni

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Chi legge questo blog probabilmente già è al corrente del fatto che per promuovere il proprio libro Mario Adinolfi ha fondato, nel nome della mamma, dei circoli. Uno scritto e dei circoli contrari ai diritti umani, nello specifico contrari al diritto a un aborto in sicurezza, contrari al diritto a non subire discriminazioni in base al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere, e contrari al diritto di poter morire senza subire accanimento terapeutico.
Le stesse idee misogine, omofobe e autoritarie espresse negli anni passati da Giuliano Ferrara, dalle destre (e pseudosinistre) più o meno organizzate in partiti, movimenti e associazioni, assieme a fanatici religiosi di ogni credo e credenza. In difesa di una presunta “famiglia naturale”. “Famiglia” significa “comunità umana” e, in quanto tale, non può essere “naturale”, con lo stesso significato che diamo all’aggettivo “naturale” quando lo usiamo per descrivere le piante; ormai non esiste neanche più il “paesaggio naturale”, dato che anche ciò che appare come frutto della natura è, in qualche modo, stato oggetto di modificazione da parte dell’essere umano; anche un prato è un paesaggio antropizzato. Il concetto stesso di paesaggio o di pianta è antropico, culturale. La famiglia è, unicamente, culturale. Essa assume forme diverse a seconda del momento storico, in base al quale può fondarsi su valori del tutto estranei alla contemporaneità di chi scrive. Siamo ai fondamentali del ragionamento attorno all’essere umano.

Purtroppo queste persone hanno già segnato punti a loro favore nel momento in cui ci occupiamo delle loro uscite populiste, della loro bassezza umana e pochezza culturale. In più, spararla grossa per creare scompiglio, è una tecnica di imbarbarimento del dibattito, in questi casi il dibattito non esiste nemmeno, siamo ben oltre.

Siamo oltre se una ragazza di diciannove anni se ne sta seduta nella sala di attesa del padiglione di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Martino di Genova, le è stato dato il farmaco per indurre l’aborto. Lei non lo sa ma il medico è obiettore, le infermiere non si interessano al suo caso e per le prossime ore sarà invisibile. A fine giornata dovrà chiamare la polizia per ottenere l’assistenza medica che le spetta di diritto dal Servizio Sanitario Nazionale.

Siamo oltre se una ragazza di venti anni, incinta di circa sette mesi, va ad abortire in una struttura non accreditata dal Servizio Sanitario Nazionale. Lei forse non lo sa ma per la legge è infanticidio (o lo sapeva ma ha voluto rischiare lo stesso, perché se vuoi abortire lo fai e basta, a rischio della vita e della pena prevista dalla legge). Durante i prossimi mesi la sua vita sarà sotto il microscopio, verrà condanna a una pena detentiva, assieme ai complici, il medico e l’infermiere che le hanno interrotto la gravidanza, a chi ha occultato il fatto.

Due storie tra le tante. Mettiamo in discussione il Servizio Sanitario Nazionale, a cosa serve se non fornisce alcun servizio? Se quello che fornisce non è omogeneo sul territorio? Se è afflitto dalla piaga dei nullafacenti – come chiamare altrimenti una persona che percepisce uno stipendio ma non svolge le mansioni per cui è stata assunta? Qual è l’etica del Servizio Sanitario Nazionale? La strada intrapresa è quella di una sanità privata? Allora perché un ginecologo e un infermiere che “privatamente” hanno “aiutato” una donna in difficoltà devono subire una pena? Quale coscienza hanno tutte le persone che lavorano nella sanità? Qual è il compito di un medico? E di un@ infermier@? Che ce ne dobbiamo fare della Legge 194? Siete convinti che la vita si difenda obiettando? Siete convinti che gli aborti si riducano lasciando le donne in una corsia d’ospedale ad aspettare per ore un controllo? Di che cosa parlano queste persone? Dove vivono?
Il medico che si è rifiutato di seguire la ragazza a Genova è stato denunciato, ma la catena di responsabilità non sembra essere chiara.

La scelta di interrompere una gravidanza è oggetto di messa in discussione costante, un fatto scottante, più importante della mancanza di lavoro, della difficoltà ad avere relazioni di valore, della malattia, più importante della morte stessa di quella parte di umanità che chiamiamo donne.

Abortire è un peccato che non si può perdonare, ci fanno intendere. L’aborto “è sempre un dolore”, l’aborto “è una scelta difficile”, per altri l’aborto “è una scelta facile”, l’aborto “non può essere banalizzato”, l’aborto “deve essere regolamentato”, per fare un aborto “bisogna essere coscienti di ciò che si sta facendo”, per fare un aborto bisogna avere “una motivazione valida”, l’aborto è “la negazione della vita”. Ma un aborto è solo un aborto, cosa vi spinge a pensare che sia qualcosa di così importante e speciale, per voi che non lo state facendo? Credete che l’umanità finirà perché alcune donne abortiscono? Credete che i feti abortiti rimpiangano di non essere nati? Credete che le donne che abortiscono non siano vita?
Un aborto ha sempre un significato, per chi lo fa, ma non è detto che sia quello che vi immaginate. E, quale che sia quel significato, l’unica cosa importante è che si tratta di una pratica medica, che deve svolgersi in sicurezza perché, se per voi la vita è davvero importante, allora l’obbiettivo è ridurre il rischio che una donna entri in ospedale con i propri piedi e ne esca in una bara.

Parlare di aborto dovrebbe essere come parlare di colecisti. Come tutti gli interventi, dall’asportazione delle tonsille alla colecisti, prevede un rischio e quindi andrebbe evitato, ma se una persona si trova in ospedale è perché evidentemente è giunta al punto di dover effettuare l’intervento, da lì merita un’assistenza continua, rispetto e comprensione, esattamente come tutt@ gli/le altr@ degenti.

Non ci sono “mamme” come categoria a parte alle quali appellarsi. Le donne sono singole persone, alcune sono anche madri, alcune sono anche lesbiche, alcune sono anche trans.

Aborto. Una storia di scarsa importanza

La metropolitana era affollata come al solito. Alessandra raggiunse uno spazio rimasto miracolosamente vuoto tra una porta e un tubolare, vi si sistemò stringendo a sé la borsa con la biancheria e la copia della cartella clinica. Il day hospital era andato bene, non avvertiva nessun dolore particolare, era solo un po’ stanca. Si chiuse nei propri pensieri, girava attorno all’idea del prossimo viaggio all’estero, doveva scaricare la cartina della metro da quel sito così utile. Si sentì toccare un braccio.
Un ragazzino sui tredici anni, riccioluto e già afflitto dall’acne, le stava cedendo il posto, chiamandola “signora”, probabilmente costretto da sua madre, la donna che gli sedeva accanto e le faceva cenno di sì con il capo.
Ogni volta che qualcuno la chiamava signora si sentiva in imbarazzo. Quanti anni di differenza potremmo avere io e te ciccio? Sgusciò tra i passeggeri e si sedette ringraziando sia madre che figlio annoiato. E’ troppo grande d’età per sedersi sulle cosce di mamma e troppo giovane per darsi un contegno, pensò.

“Viene dall’ospedale?” le chiese la donna. “Ho abortito” disse Alessandra mentre si sedeva. La donna annuì sorridendo. “Anche io l’ho fatto un paio di volte, una prima di lui e una dopo. Abbiamo voluto solo questo” disse indicando il figlio.
“Avevo preso la pillola ma è andato storto qualcosa.”
“Purtroppo a volte succede, l’importante è che ora stia bene. ”
“Sì si, sono solo stanca, ma è andato tutto bene.”
“Mio marito ha fatto una vasectomia, non voleva che dovessi subire altri interventi, la chiusura delle tube è più complessa come procedura.”
“Me l’hanno detto.”

Due fermate più tardi la donna e il ragazzino scesero salutandola, la metro si stava svuotando rapidamente. Alessandra abitava quasi al capolinea.

Hackeriamo i fondamentalisti misogini contro la maternità obbligatoria

ph eldiario.es

Ieri, attorno alle 19.30, un hacker parte del movimento #Anonymous, ha avuto l’idea di hackerare il sito dell’Arcivescovo di Granada, inserendo nel sito il video dell’artista e attivista colombiana Nadia Granados, in arte La Fulminante Roja, nella performance Maternidad Obligatoria [Maternità obbligatoria], accompagnandolo all’hashtag #NiDevotaNiSumisa.
Nel video, realizzato nel 2011 e recentemente rimosso da youtube, La Fulminante interpreta un monologo sulla libertà sessuale e di aborto, giocando con un preservativo pieno di sperma.

L’azione di #Anonimous è una risposta diretta alle posizioni antiabortiste e misogine dell’arcivescovo Martínez, diventato famoso, in novembre, per aver promosso la pubblicazione in Spagna del libro di Costanza Miriano “Sposati e sii sottomessa” (in spagnolo “Casate y sé sumisa”) e noto per le sue dichiarazioni su aborto e stupro. Secondo l’arcivescovo Martínez quando abortisci non puoi lamentarti se qualcuno ti stupra: “no podían quejarse si abusaban de ellas”. L’azione è diretta anche al PP di Gallardón, il Partito Popolare spagnolo che ha modificato la legge sull’aborto, rendendola molto più restrittiva e riportando il paese alla condizione degli anni Settanta, cancellando il diritto all’autodeterminazione delle donne. L’anonim@ hacker mette in relazione le alte sfere del PP con la setta cattolica dell’ Opus Dei.

MATERNIDAD OBLIGATORIA di LaFulminanteRoja

http://www.dailymotion.com/video/xl1bm0_maternidad-obligatoria_webcam

Maternità Obbligatoria di La Fulminante Roja, traduzione di Serbilla.

La copula ci permette di trascendere i limiti del nostro corpo fisico. Necessario incontro orgasmico e libertario!! Fonte illimitata di forza emancipata!! Ci sono milioni di ragioni per voler copulare, sono personali e intime e tanto diverse per quante persone sono sulla terra. Di solito godiamo senza fine riproduttivo, piacere fine a sé stesso.

Prendere una gravidanza accidentale e trasformarla in maternità è un diritto e non un obbligo, come dovrebbe esserlo interromperla nel caso in cui non la si possa accettare. Quando i moralisti affermano che “La vita inizia con il concepimento” stanno mettendo sullo stesso piano l’ovulo fecondato e una persona con diritti e libertà. Agli spermatozoi con cinque ore di vita dentro questo preservativo non è stato permesso di fecondare ma, se questo cappuccio si fosse rotto, tutto questo seme sarebbe dentro il mio grembo fertile e potrebbe essere un piccolo zigote “Figlio di Dio” e, nel caso volessi tirarlo fuori dal mio corpo, si direbbe che questo è un delitto, perché è mio obbligo trasformarlo in bambino.

La “voce” di questi anziani cattolici e misogini, che mai correranno il rischio di restare incinti senza desiderarlo, incide maggiormente sulle leggi della voce di milioni di donne in età riproduttiva molte volte obbligate a procreare, soprattutto le più povere, le più indifese. Perché, nonostante si dica che è “illegale”, se una donna lo può pagare, può procurarsi un aborto, può prendere del Cytotec. E se vuole abortire ma non ha soldi? Se non ha nemmeno di che mangiare? Allora questa donna, che non ha alcuna garanzia di vita degna, come la si può obbligare a essere madre? A essere madre?

La maternità non può essere considerata un dovere, è una decisione personale.
Mai più crocifissi nei nostri uteri!!
Vogliamo il diritto a decidere sul corso delle nostre vite!!

Nessuno sa di noi – Simona Sparaco

2Nessuno sa di noi, scritto da Simona Sparaco e candidato al Premio Strega 2013, racconta il dolore di una gravidanza attesa, ma destinata a interrompersi prematuramente.

I personaggi principali del romanzo sono Luce, una giornalista free lance che sembra non aver mai preso realmente in mano la propria vita, Pietro, suo compagno benestante e paziente, al quale lei si affida completamente, e  Lorenzo, figlio desiderato, immaginato, sentito, che la coppia è costretta a seppellire prematuramente. Personaggi che agiscono in funzione del vero protagonista: l’aborto tardivo e il suo significato per chi lo vive dall’interno. Sullo sfondo un mondo opaco, sordo ai bisogni delle persone, feroce.

Siamo tutte qui.
Ognuna con il proprio trofeo, più o meno in evidenza, e la cartella clinica sottobraccio. Tutte ordinatamente sedute, come a scuola per un richiamo dal preside. Qualcuna sfoglia una rivista, con l’espressione vaga e compiaciuta di chi sa che la passerà liscia. Qualcun’altra, invece, se ne sta a testa bassa, con le mani serrate in un intreccio nervoso. Come se dietro quella porta color pastello ci fosse davvero la minaccia di un’espulsione.
Siamo tutte madri nell’attesa di un’ecografia.

Nessuno sa di noi

pag. 7

Displasia scheletrica. Due parole che insieme suonano così infauste. Le digito in un motore di ricerca e non per scrivere un articolo sulla malasanità, ma per la vita di mio figlio.

Nessuno sa di noi
pag. 35

«Non posso suggerirvi un’interruzione di gravidanza» prosegue il dottor Piazza, incrociando le braccia, in un gesto di chiusura definitiva. «Anche se le condizioni del feto potrebbero rivelarsi incompatibili con la vita. In Italia è consentita solo fino alla ventitreesima settimana, non oltre.»
«Che significa?» domanda ancora Pietro, e mi stringe forte la mano.
«Se rientrassimo nei limiti di legge, potrei proporvi di anticipare il parto. Alla ventitreesima settimana e in queste condizioni, il feto non ce la farebbe. Stiamo parlando di un aborto conosciuto come terapeutico o eugenetico. Ma nel vostro caso siamo ben oltre i termini consentiti.»
Parla ancora al plurale. Questa volta di sopravvivenza, di leggi e limiti. Il pronome è sbagliato, però, non c’è un noi in questa stanza. O forse sì; noi siamo io e Lorenzo.
«Mi faccia capire» lo esorta Pietro. E’ pallido, deglutisce a fatica, si muove nervoso sulla sedia, non come la madre, che mantiene la testa alta e la schiena dritta. «Queste malattie così gravi e incompatibili con la vita si possono scoprire solo quando si è arrivati così avanti con la gravidanza che non si può più interrompere?»
«Per interruzione, in questo paese, si intende la possibilità di anticipare il parto. Il limite è stabilito in base all’autonomia del feto rispetto al ventre materno. Un feto di ventitré, anche di ventiquattro settimane, non sopravvive al di fuori dell’utero e può essere quindi abortito.»
Il dottore ci guarda, forse in attesa di una reazione. Ma siamo tutti e tre ammutoliti. «A dire la verità» riprende, come se si sentisse in dovere di precisare «ci sono stati casi in cui feti abortiti sono spravvissuti ugualmente, perché le tecniche di assistenza neonatale progrediscono di anno in anno, e per legge un medico ha il dovere di metterle in pratica qualora ce ne fosse bisogno. Un feto abortito che sopravvive è però un feto con una grave patologia a cui si aggiunge una serie di problematiche legate al fatto che è nato pretermine, per dirvela in parole chiare. Ed è per questo che a livello parlamentare si sta pensando di abbassare ulteriormente il limite consentito a ventidue settimane.»
Sono travolta da flash di bambini microscopici e malati costretti al sacrificio crudele di venire al mondo, solo per esalare il loro primo e ultimo respiro. O che riescono a sopravvivere al parto, e crescono, isolati, malnutriti, dentro un’incubatrice, nient’altro che un ventre di plastica, asettico e rigido, che li accoglie invece di ripudiarli.
«Noi siamo alla ventinovesima settimana» riassume Pietro, stringendo la mia mano ancora più forte. «Abbiamo davanti ancora due mesi abbondanti. Ma lei mi sta dicendo che mio figlio potrebbe non farcela, oppure, da quello che so, andare incontro a una vita breve, dolorosa, con dei ritardi cerebrali, o peggio, un quoziente intellettivo al di sopra della norma?»
«Lo so.»
«E allora?» lo incalza Pietro. Ha gli occhi fissi sul dottore. Il panico si sta trasformando in rabbia e in sfida. Mi lascia andare la mano. Sento la sua presa salda venire meno un dito alla volta. Il bottone del pulsante che s’allenta, l’emicrania che mi spacca in due la scatola cranica. Impazzisco. Mi spengo.
«E allora» ripete il dottor Piazza inarcando le sopracciglia «sarà fatta la volontà di Dio.»

Nessuno sa di noi
pag. 54-55

Numerose sono le critiche piovute su questo libro a causa dello stile non particolarmente brillante, con personaggi abbozzati o troppo stereotipati che agiscono meccanicamente. E pure, spostandoci dal piano della pura critica letteraria a quello del solo contenuto, Nessuno sa di noi, colpisce perché si fa carico di una tematica tabu, l’aborto in fase avanzata, senza sconti emotivi, mettendoci di fronte ai dubbi e al dolore di una donna, e di una coppia, in fin dei conti fortunata rispetto alla media, perché potrà permettersi un viaggio in Inghilterra, dove sarà possibile interrompere la gravidanza oltre il termine stabilito dalla legge italiana, e avrà la possibilità di giungere, in fine, a un nuovo equilibrio di coppia e personale. In questo senso Nessuno sa di noi offre un servizio che si rende ormai urgente, inderogabile, alla nostra società, che stigmatizza e oscura il ricorso all’aborto: parlare di interruzione di gravidanza senza pregiudizi, mettendo in un angolo tutti i “se” e i “ma” con i quali si riempiono la bocca i moralisti con la vita degli altri, i ‘coscienziosi’ detrattori del diritto alla scelta. Non dà risposte, mette in campo la libertà di scelta, in un contesto, quello italiano, in cui da anni il dibattito sull’aborto è inquinato a causa di interessi politici, inciviltà e derive inquisitorie. Ma amore, coscienza e rispetto, possono esprimersi attraverso modalità inaspettate, al di sopra delle tifoserie del ‘pro’ e del ‘contro’.
E’ così che Nessuno sa di noi si trasforma in romanzo commovente e necessario.

Nessuno sa di noi
Simona Sparaco
Isbn 9788809778047
Giunti, 2013
pag. 256
€ 12,00

Le donne abortiscono perché restano incinte.

NUL118364

“Il concepimento dunque è frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. Negandole la libertà d’aborto l’uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna.”

“Una volta incinta la donna scopre l’altro volto del potere maschile, che fa del concepimento un problema di chi possiede l’utero e non di chi DETIENE LA CULTURA DEL PENE”. (Carla Lonzi, Scritti di Rivolta Femminile)

E’ di ieri questo articolo e questa intervista

La legge 194 – più o meno mia coetanea – da quando è diventata realtà è sempre stata sotto attacco dei catto-fascisti-ipocriti, che non hanno alcuna intenzione di rinunciare a quel potere incontestato che sentono di avere avuto, per millenni, sul corpo delle donne.

Il diritto ad un aborto libero, sicuro e garantito è un diritto fondamentale per tutte le donne, che va difeso senza se e senza ma. Eppure la questione non può fermarsi qui: “Il nostro sforzo è invece, mi sembra, di legare questo problema a tutta la nostra condizione, ed a una questione in particolare, che è quella della nostra sessualità e del nostro corpo, cioè ricostruire tutto quello che è legato sostanzialmente all’aborto, perché se noi tagliamo fuori solo questa cosa rischiamo di dare solo una risposta parziale che si rivolta magari contro di noi o comunque non è una soluzione per noi, è un’altra ripiegatura che ci fanno fare per sanare quelle contraddizioni più evidenti.” (“Sottosopra”, fascicolo speciale Sessualità contraccezione maternità aborto, Milano 1975)

Lo scritto è di 40 anni fa, siamo ancora a questo punto, pare.

Sono femminista, ed a mio modo detesto l’aborto, perché è una pratica medica con una sua dose di rischio agita sul corpo delle donne, che sarebbe non necessaria nel 99% dei casi, ad esempio se l’accesso alla contraccezione e l’educazione ad una sessualità libera, gioiosa, consenziente e multiforme fosse all’ordine del giorno.

L’aborto non è sicuramente una passeggiata per chi lo vive sulla propria pelle – non parliamo poi dei casi in cui è attuato in clandestinità, o anche solo nella segretezza, a fronte dello stigma sociale che sovente inevitabilmente ne deriva. Ma è un’irrinunciabile opportunità in extremis, quando ci si trova a vivere all’interno di una cultura che dimostra, in maniera più o meno celata, il suo odio per le donne, che le usa come oggetti (sessuali, procreativi, di cura), le usa e le butta via senza ritegno alcuno – con la benedizione della chiesa tutta, naturalmente, che santifica la vergine sofferente, che si fa oggetto e veicolo di compimento di un altro soggetto (maschio).

Quante vite di donne sono state spezzate dal pugno di ferro del patriarcato! L’aborto è figlio della sessuofobia, è figlio dell’ignoranza, è figlio – anche – del welfare inesistente. Ma è tanto odioso quanto necessario, grazie a tutti coloro che condannano i contraccettivi di fronte agli altri (e poi magari, li usano pure), che non parlano di sesso con gli adolescenti  – consapevoli che tanto lo faranno lo stesso, e con esiti a volte disastrosi – che li abituano alla menzogna, alla vergogna del proprio corpo, al senso di colpa per la propria sessualità.

A tutti quei parassiti della gioia di essere viv* (che per quante volte si confessino, avranno sempre l’animo putrido) dico: l’aborto non cesserà mai, grazie a voi! Del resto, di fronte a persone del genere, l’aborto diventa una benedizione… l’avessero messo in atto le vostre madri, che liberazione!

Tempo fa, avevo tradotto e pubblicato su Femminismo a sud questo video: https://vimeo.com/37850266
Queste storie terribili non possono e non devono ripetersi.

Le donne abortiscono perché restano incinte, e forse, oltre a reclamare a gran voce il sacrosanto diritto all’aborto e all’uso degli anticoncezionali (a proposito, a quando quelli maschili?) dovremmo spingerci su altre vie, ancora tutte da scoprire, per agire il nostro piacere in modo disgiunto da quell’atto eterosessuale normato e normativo, nel quale uno degli attori è spesso un uomo che svuota le gonadi all’interno del corpo di una donna, fregandosene delle conseguenze (e nel caso ne risulti una gravidanza, impedendole di prendere decisioni sul proprio corpo che solo a lei spetterebbero).

“Proviamo a pensare a una civiltà in cui la libera sessualità non si configuri come l’apoteosi del libero aborto e dei contraccettivi adottati dalla donna: essa si manifesterà come sviluppo di una sessualità non specificatamente procreativa, ma POLIMORFA, e cioè sganciata dalla finalizzazione vaginale.” (Carla Lonzi, Scritti di Rivolta femminile)

“La donna non è la Grande Madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la sua liberazione.” (Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel: La Donna Citoridea e la Donna Vaginale)

Rivendichiamo nuovi modi di godere!