Brioches, ormoni, lotta di classe – ovvero dell’annosa questione del menefreghismo

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Caratteristica comune tra quelle persone transessuali e transgender che esibiscono a vari livelli una forma di politicizzazione, è un dirompente cinismo verso il destino dell’organizzazione politica e sociale della propria categoria. Aprono bocca e senti odore di mandorle amare – è l’odore della disillusione. Eccolo, arriva: “Le persone trans non hanno nulla in comune, le persone trans sono individualiste e pensano solo a risolvere gli affari propri, le persone trans vogliono essere normalizzate, le persone trans non si curano di combattere un paradigma medico e psichiatrico che le patologizza.” Colpo di grazia: “Le persone trans non hanno nessuno scopo collettivo comune”.

È sorprendente notare come a nessun* sembri insensato affermare che la matrice di una lotta che non decolla sia da individuarsi esclusivamente nel proprio soggetto politico, e non negli errori, di analisi e di prassi, di chi, a parole, intenderebbe organizzarlo, nel senso di fornire strumenti – a sé e alla collettività di cui si è parte – per attuare mutuo aiuto, resistenza, e offensive verso le strutture della società che la rendono più che mai improrogabile. Sopratutto, affermarlo senza porsi interrogativi a riguardo. Perché questo accade? Dovrebbe essere una domanda centrale, ma non lo è.

La grande maggioranza di chi si occupa di questioni trans ha a cuore la posizione culturale della transessualità e transgenderismo, nella modalità più astratta possibile dalla posizione sociale ed economica di chi quei vissuti li incarna. Se una critica è essenziale, e lo è, non la si troverà certo in questo panorama desolante. Da una parte c’è l’opportunismo dell’associazionismo gay e lesbico che dà spazio alla lotta trans nei termini a esso più comodi: lontano dalla fascia protetta, subito dopo la torta nuziale. Di fatto, senza dubbi, le richieste della comunità sono soltanto un gettone di presenza, esplicitato qua e là con qualche poster o qualche affermazione, da chi ha i mezzi per permettersi di fare lobbying enormemente più rumorso circa altre cause – esemplificate in pieno dal matrimonio egualitario – che, come è evidente, ritiene prioritarie.  Dall’altra, è pieno di torri di polistirolo erette da chi, in fondo, le sostituirebbe volentieri con quelle d’avorio dell’elitarismo accademico, ma che finché non può o non vuole scalarle, si tiene stretto l’élite controculturale e frattanto, allora, gioca a fare il/la teoric* queer con il corpo, i sentimenti e le istanze, vere e presunte, degli altri e delle altre.

Una persona trans, non una di quelle che si suppone arrogantemente in base ai propri criteri come “politicamente consapevoli”, non una di quelle fortunate e sorridenti,vorrebbe, in primo luogo, non essere costretta a discriminazioni ai colloqui di lavoro o mobbing. Avere un nome e un sesso coerenti con la sua identità di genere – nella carta d’identità, nella tessera sanitaria nel conto corrente e in tutto il resto del mucchio di carta che si affronta di giorno in giorno – senza obbligo di operazione preventiva; averli ufficialmente in un registro di classe e in un libretto universitario. senza dover contare sui magheggi extraburocratici a discrezione di alleati che fanno il possibile, ma che potrebbero non esistere sempre e in ogni dove. Usufruire della sanità nazionale senza doversi esporre per forza anche soltanto per togliere una carie. La gratuità garantita delle prestazioni psicologiche, endocrinologiche, chirurgiche, legali che occorrono per il percorso che desidera intraprendere. Attraversare una strada senza avere gli occhi, se non direttamente le mani, addosso. Ed è molto stanca, dopo tutto questo, di prendere atto che la sua autodeterminazione sia considerata semplicemente una forma di autocentrata stupidità – e non è disposta a prendersi in carico il narcisismo di chi sventola la sua bandiere senza neanche chiedere il permesso.

Ragionevolmente il problema è situato qui, non nel completo disinteresse di una categoria, già socialmente svantaggiata e in piena crisi economica, per battaglie che non colgono l’urgenza del bisogno. Occorre una miopia politica davvero grave per non vederlo, e una strategica della stessa entità per non incominciare a sostenere proposte ponderate in base alle necessità reali, urgenti, quotidiane. Perché privilegio è anche questo: poter pensare che fare politica sia qualcosa di differente dal cercare sopravvivenza. E di brioche, si sa, non si sopravvive.

Una donna registra il proprio aborto per mostrare alle altre che la procedura è sicura

http://www.youtube.com/watch?v=OxPUKV-WlKw

Emily Letts è una 25enne, ex attrice professionista e attualmente consulente presso la New Jersey Women’s Clinic. Dopo aver scoperto la propria gravidanza indesiderata, ha deciso di registrare il suo aborto per mostrare alle altre donne che la procedura è sicura. Letts lavorava al Cherry Hill Women’s Center da un anno, al momento della scoperta. Ha raccontato la sua storia in un articolo di Cosmopolitan, spiegando di non sentirsi pronta a diventare genitore e di non essere impegnata in una relazione seria:
“Sentivo di non essere pronta a prendermi cura di un bambino”.

Letts ha dunque deciso di interrompere la gravidanza presso la clinica Cherry Hill, dove è consulente. Incinta da sole due o tre settimane, aveva cercato un video per rendersi conto di come avvenisse un aborto, senza trovarne nessuno. Perciò ha preso la decisione di filmare il proprio, allo scopo di aiutare tutte le altre donne che si trovino ad affrontare gravidanze indesiderate e che temono l’aborto.

Scrive Letts: “un’interruzione di gravidanza al primo trimestre dura dai tre ai cinque minuti. E’ più sicura del parto, non vengono praticati tagli operatori e il rischio di infertilità si attesta sotto all’1%. Ciononostante molte donne arrivano in clinica terrorizzate e convinte di venire macellate, e che non potranno più avere figli@ dopo l’aborto. La pessima informazione circolante è incredibile”.

Ha scelto l’aborto chirurgico in anestesia locale e non totale, proprio perché voleva sperimentare il tipo di procedura che più spaventa le donne che si rivolgono a lei per consigli. Voleva in tal modo capire meglio le donne angosciate che si trova di fronte e che deve aiutare, non far sentire le donne in colpa nello scegliere l’aborto ed anzi, essere loro d’esempio a non sentirsi in colpa riguardo alla decisione di interrompere la gravidanza.

“La nostra società alimenta questo senso di colpa, lo respiriamo dappertutto. Anche le donne che arrivano in clinica assolutamente convinte di volere l’aborto, si sentono in colpa per il fatto di non sentirsi in colpa! “Io non mi sono sentita in colpa…  e ringrazio di poter condividere la mia storia e ispirare altre donne per smontare quel senso di colpa.”

Su YouTube, Letts scrive:

Questa è la mia storia. SOLO la mia storia. Non immagino sia più o meno di questo. Non parlo per tutt@ in merito a questa questione delicata, e rispetto le opinioni di tutt@ fintantoché non vengono imposte per altr@.

La mia più grande speranza è che qualcun@, in qualche parte del mondo, veda il video e vi trovi guida, forza, supporto, o qualsiasi cosa quella persona stia cercando in quel momento. Voglio dire a quella persona “non sei sola”. Abortire non ti rende un mostro, una donna  per male, una cattiva madre.  Abortire non ti rende una colpevole. E’ soltanto un avvenimento della tua vita riproduttiva. Non sei sola. Sono qui per te. Siamo tutt@ qui per te.

Condividete questo video, PER FAVORE.  Aiutatemi a farlo girare in tutti gli angoli remoti della rete. Una donna ogni tre ha scelto, o sceglierà un ‘interruzione di gravidanza nel corso della propria vita riproduttiva. Questo video è per tutte noi.

Inutile sottolineare come i commenti negativi al video dei ‘difensori della vita’ si sprechino in parole di tolleranza quali, puttana, cagna, demone, speriamo che tu muoia/ti leghino le tube/ ti penta per tutta la vita/non abbia mai figli@, ecc.ecc.

Articolo originale qui, traduzione di feminoska.

Verso la fine delle politiche della rispettabilità

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Una donna sessualmente attiva che parla in maniera aperta e non morbosa di questo aspetto della sua vita viene prontamente etichettata come non-donna dalle altre (“quella non è una donna, è una femmina” è una frase che credo di aver sentito un miliardo di volte), una che rovina la categoria, perché non aderisce al ruolo di genere che le hanno confezionato su misura. Spesso persone LGBT si affrettano a denigrare il pride e la visibilità – le stesse cose che gli consentono, rispetto a qualche secolo fa, un’esistenza meno nascosta. Una persona trans è spinta ad adeguarsi a modelli di mascolinità e femminilità più irraggiungibili di quelli riservati a una persona cis, perché deve “provare” il suo genere (ma per molt* cis, il pensiero di fondo è che questo non sia valido a prescindere, con o senza prove, ammesso che esistano – beato cissessismo). Qual è stata la prima donna nera a non cedere il suo posto, protestando contro la segregazione razziale sugli autobus? Rosa Parks. Sbagliato. Si chiama Claudette Colvin. Se ne restò fermamente seduta ben nove mesi prima, ma era quindicenne, troppo scura di pelle, la sua famiglia viveva nella parte più povera di Montgomery e rimase incinta poco dopo, senza sposarsi. Una figura poco sponsorizzabile per il Civil Rights’ Movement (o qualsiasi altro movimento sociale).

Quello che hanno in comune tutti questi esempi sono le politiche della rispettabilità. Le politiche della rispettabilità  sono quelle politiche che lavorano per modificare l’immagine di un gruppo sociale oppresso facendogli assumere i connotati che sono considerati accettabili dal gruppo sociale oppressore (dalla cultura dominante).  L’approccio emerge quasi naturalmente: quando ti etichettano come altro, la tua prima idea è di rispondere che sei uguale. E allora chi hai di fronte ti risponde: ok, dimostramelo. È un tentativo di asserire la propria dignità d’esistenza, ma non per questo meno fallace. Perché?

Una comunità che finisse per rispondere in quella maniera, non necessariamente farebbe la cosa giusta, poiché nel farlo potrebbe appoggiare valori orribili – anche, e soprattutto, quelli alla base della propria oppressione (che non è per forza una soltanto).  Cosa che non andrebbe confusa con una qualunque attività di rinforzo della normatività esistente da parte di un gruppo dominante – perdio, un oppressore si chiama così perché opprime – e non si può fare un calderone gigante in cui infilare le responsabilità e renderle tutte uguali. Non lo sono: per chi è oppress*  si tratta di una forma (anche inefficace, anche controproducente) di difesa, mentre il dominio attacca e basta.

Se le politiche della rispettabilità nascono come regole/linee guida sociali, culturali, lavorative, sessuali, artistiche, ecc. da seguire per divenire umani, allora è automatica l’implicazione che chi fa questa richiesta non appartenga all’umanità, e che debba in qualche maniera meritarsela, come se non fosse già sua e gli fosse invece negata da altri. È proprio questa l’idea che va combattuta: che si debba audizionare per farsi riconoscere la capacità ad essere sé stessi, ad agire in una maniera ritenuta non-standard. Nessuno dovrebbe essere accettato o approvato, men che meno come modello da seguire per tutt* coloro con cui quel soggetto condivide delle caratteristiche. Ad un essere umano bianco, maschio, abile, eterosessuale e cisgender si riconosce il diritto all’unicità, ad essere individuo. Il resto del mondo è obbligato ad essere in qualche modo rappresentativo della sua categoria. Un comportamento atipico può diventare un’emarginazione ulteriore, stavolta dai propri simili, se ritenuto vergognoso per la comunità tutta.

Tali politiche – diffuse, ma non per questo meno elitarie – alienano il target di soggetti che vorrebbero liberare dal resto della società, rendendolo cattivo e irresponsabile in una maniera che con altri gruppi non ha luogo; in più, si prefigurano irrealisticamente di raggiungere uno status che non verrà mai autenticamente raggiunto, fintanto che sarà concesso, in quanto i  termini di una concessione li decide chi concede. In questa maniera, nessun obiettivo potrà mai essere portato a termine, perché il gruppo dominante continuerebbe perennemente ad alzare l’asticella rendendo impossibile arrivare a superarla.  Come oppress* e militanti per una società di eguali è necessario mettere da parte strategie come questa, perché non saranno mai rivoluzionarie: il loro scopo è privare i soggetti della loro capacità destabilizzante, di poter minacciare l’esistente, e sono esse stesse oppressive, perché li privano di autonomia e autodeterminazione nel nome della pubblica immagine.

 

 

La debolezza dell’antispecismo debole


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Leggevo questo post ed avrei un bel po’ di obiezioni. Secondo Caffo, sarebbe possibile slegare l’antispecismo da tante altre tematiche. Io, invece, credo proprio non sia possibile.

Non è vero che i maiali non fanno la rivoluzione. Gli animali fanno politica eccome. Innanzitutto perché anche gli umani sono animali, e l’antispecismo, mi risulta, è teso all’abbattimento del dominio e della discriminazione basati sulla specie e la categoria sociale di specie; un primo piccolo passo in questa direzione sarebbe riconoscere la nostra stessa animalità, seppur soffocata, taciuta e/o addomesticata, nonché appiattita in un concetto di umano che pretende di omogeneizzare individualità tra loro differenti come il giorno e la notte e spesso materialmente confliggenti.

Anche gli animali ‘non umani’, poi, sono ben lungi dall’essere apolitici. Le reazioni di lotta o fuga messe in atto dagli animali oppressi, appaiono ben consapevoli e volontarie: essi subiscono gli effetti di condizioni materiali ben precise e chiunque riconosca loro la capacità di soffrire, dovrebbe riconoscer loro anche la capacità di voler smettere di soffrire, e dunque sottrarsi in primis alle relazioni sociali di dominio.   Il finto eroismo pietista di coloro che, accecati dalla retorica del salvataggio, non si rendono conto di attribuire ai non umani teorie e pratiche proprie (come invece imputano alle antispeciste ed agli antispecisti non deboli) di fatto nega agli animali oppressi qualsiasi possibilità di autodeterminazione, col risultato che, se anche magicamente parlassimo tutti la stessa lingua, questi verrebbero comunque sovradeterminati.

Trattasi dunque non di una nuova teoria, per un nuovo mondo bensì della stessa vecchia teoria, per lo stesso, identico, orrendo mondo di sempre. E’ vero, il soggetto politico principale dell’antispecismo finora è stato chi, apparentemente, è l’unica vittima dello specismo: i non umani. Termine che, fra le altre cose, schiaccia una quantità infinita di esseri viventi in un appiattimento semantico che andrebbe  quantomeno discusso e problematizzato, e che omogeneizza anche  l’altro termine, umani, che tutto è fuorché omogeneo. E francamente, no: non tutti gli umani hanno le stesse responsabilità nel perpetuarsi dell’ideologia e dello sterminio specista. Tuttavia, alla luce del fatto che razzismi, sessismi, fascismi e molteplici -ismi per autogiustificarsi fanno abbondante uso di deumanizzazione e generalizzazione nei confronti dei soggetti che opprimono, creando tipologie standard di individui da marginalizzare ed opprimere, chiunque si definisca antispecista, e per la precisione antispecista politico – poiché ogni rivendicazione è una rivendicazione politica – dovrebbe prendere in considerazione all’interno della propria analisi anche questioni che esulano dall’idolatria di agnellini, tenuti in braccio da qualche randomico forzutissimo attivista in passamontagna; senza liquidare chi si oppone al dominio del sistema come una persona che ripropone quelle che verrebbero da taluni considerate come squallide categorie antropocentriche, oramai superate. Nelle occasioni pubbliche di cortei, dibattiti e quant’altro, coloro che lottano per la liberazione della propria e altrui animalità non possono tollerare la presenza di alcuni personaggi che includono la liberazione animale nel proprio oppressivo percorso militante, assumendo il ruolo paternalistico del salvatore che toglie la parola (o il verso) e l’espressione autonoma autodeterminata alle categorie di soggetti che esulano da un tipo – umano – ben  riconoscibile.

L’antispecismo debole presenta perciò il reale rischio di diventare la versione animalista del più famoso e tremendamente qualunquista non esistono più destra e sinistra, appiattendo la questione antispecista sull’asse morale; il nemico diventa un generico male da combattere – e coloro che non hanno voglia di appiccicare i propri vaneggiamenti iperpragmatici ai più deboli in assoluto sono additat* come qualcun* che litiga per cazzate. Per certe logiche, dovrei quasi scusarmi se oso dubitare dell’aspetto qualitativo della “liberazione” di chi ha dominato, domina e continua a dominare altri, e perché? Perché qualcuno ha stabilito aprioristicamente  che la sacralizzazione dei non umani travestita da liberazione animale è un bene che va adeguatamente difeso dagli inenarrabili danni di presunte “beghe umane”.

Mi rifiuto di considerare valido un assunto di questo tipo. Sono femminista – e non solo;  nella mia esperienza,  dal basso delle mille oppressioni che subisco quotidianamente, assai spesso chi si fa vanto di agire per la protezione di chicchessia è proprio il primo ostacolo nella strada verso la libertà. Basti pensare alle leggi securitarie che vengono proposte e/o realizzate per salvare le donne, alla voce in capitolo mai data alle/ai sex workers in merito alla loro stessa occupazione, al neocolonialismo espresso ultimamente dalle Femen e, non ultima, l’evidente maniera in cui la santificazione della donna,  ben lungi dall’essere antisessismo, in realtà alimenta la sempiterna dicotomia santa/puttana, caposaldo dell’ideologia patriarcale;  probabilmente potrei citare migliaia di altri esempi. Inoltre, gli stessi non umani non fanno esperienza unicamente dello specismo. L’assoggettamento delle femmine non umane dovrebbe essere ampiamente incluso nella critica femminista a questa società come anche  il trattamento riservato alle animalità froce, eliminate ed invisibilizzate perché del tutto non funzionali alla necessità di profitto, dunque di forze di ri/produzione,  dell’eterocisnormatività capitalista. Per dire.

Continueremo noi ad essere coloro che vengono accusat* di spaccare il movimento, nonostante la quantità disarmante di merda sessista, razzista, omotransfobica precluda a tant* l’entrata nella comunità antispecista e lo spacchi di fatto ogni giorno? Salvare gli animali non umani sarà l’obiettivo unico di animali umani privilegiati e ciechi di fronte alle oppressioni che gravano su molti loro simili, e schiacceranno allo stesso modo le istanze di tutti gli altri animali, considerate inesistenti o definite a priori senza entrare nel merito di un reale sforzo di comprensione di un mondo animale vasto e al momento, largamente incompreso? Alla luce di quanto ipotizzato, quello che più temo è che questi siano concetti del tutto incomprensibili a chi pare godere del privilegio maggiore: il lusso della monotematicità, quello di potersi occupare di una lotta soltanto.

 

The ‘Bitch’ Manifesto

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The BITCH Manifesto, ovvero il Manifesto ‘Cagna’, è stato scritto da Joreen nell’autunno del 1968.

L’abbiamo pubblicato su FaS nel mese di gennaio di quest’anno, tradotto per la prima volta in italiano. Ultimamente abbiamo felicemente saputo che stralci di questo testo sono stati letti alla prima Slut Walk che si è (finalmente) tenuta in Italia, lanciata dalle Ribellule: vedere il proprio lavoro militante valorizzato e apprezzato ripaga della fatica. Mentre però Le Ribellule hanno citato la fonte, in altri ambiti e blog ha iniziato a circolare, intero o a stralci, senza alcun riconoscimento.

Se così è, non ci stupiamo.  Pare essere, quello dell’appropriarsi dei contenuti – che è ben altra cosa dalla condivisione, che invece è sempre auspicabile – un vizio molto italiano.

Ci è purtroppo capitato già diverse volte. Vedere i propri contenuti video, le proprie traduzioni, ripubblicate senza citare la fonte è umanamente avvilente (e fa proprio inc..zare). Detto questo, siamo felici che le idee circolino!

Ai vampirelli là fuori vorremmo soltanto far sapere che quasi sempre sappiamo chi sono e che ci fanno proprio una mesta figura… un comportamento da veri mediattivist*!

Buona lettura!

Il manifesto ‘CAGNA’ di Joreen

Scritto nell’autunno del 1968, questo articolo è stato pubblicato in Notes from the Second Year, edito da Shulamith Firestone e Anne Koedt, 1970. E’ stato poi ristampato come opuscolo da KNOW, Inc., ed in diversi altri libri.

‘… l’uomo è definito come essere umano e la donna come femmina: ogni volta che si comporta da essere umano si dice che imita il maschio.’ Simone de Beauvoir

CAGNA è un’organizzazione che ancora non esiste. Il nome non è un acronimo. Sta a significare esattamente quello che sembra.
CAGNA è formata da Cagne. Esistono molte definizioni di cagna. La definizione più gentile è quella di cane di sesso femminile. Le definizioni delle cagne che sono anche ‘homo sapiens’, sono difficilmente così oggettive. Variano da persona a persona, e dipendono in larga misura da quanto si consideri cagna colei che utilizza questa definizione. Tuttavia, tutti convengono sul fatto che una cagna sia sempre una femmina, cane, o altro.
Inoltre, è idea comunemente accettata che una Cagna sia aggressiva, e quindi poco femminile (ehm!). Può essere sexy, e in questo caso diventa una Dea Cagna, un caso particolare che qui non ci interessa. Ma non è mai una “vera donna”.
Le Cagne hanno alcune o tutte delle seguenti caratteristiche:

1) Personalità. Le Cagne sono aggressive, assertive, autoritarie, prepotenti, risolute, malevole, ostili, dirette, schiette, sincere, odiose, dalla pellaccia dura, testarde, cattive, dogmatiche, competenti, competitive, invadenti, fanfarone, indipendenti, ostinate, esigenti, manipolatrici, egoiste, ambiziose, realizzate, travolgenti, minacciose, paurose, altere, tenaci, sfacciate, maschili, chiassose e turbolente. Tra le altre cose. Una Cagna occupa un sacco di spazio mentale. Sai sempre quando ne hai una intorno. Una Cagna non prende merda da nessuno. Può non piacerti, ma non puoi ignorarla.
2) Corporeità. Le Cagne sono grosse, alte, forti, grandi, potenti, esuberanti, dure, goffe, impacciate, tentacolari, stridule, brutte. Le Cagne muovono il proprio corpo liberamente invece di limitare, definire e confinare i propri movimenti in ‘maniera femminile’. Salgono le scale rumorosamente, avanzano a grandi passi quando camminano e non si preoccupano di come mettono le gambe quando si siedono. Hanno la voce alta, e spesso la usano. Le Cagne non sono graziose.
3) Orientamento. Le Cagne ricercano rigorosamente la propria identità in sé stesse e in quello che fanno. Sono soggetti, non oggetti. Possono avere un rapporto con una persona o un’organizzazione, ma non ‘sposano’ mai qualcuno o qualcosa: un uomo, un palazzo o un movimento. Perciò le Cagne preferiscono pianificare la propria vita piuttosto che vivere giorno per giorno, azione per azione, o persona per persona. Sono tipe indipendenti e credono di essere in grado di fare tutto ciò che dannatamente vogliono. Se qualcosa si mette sulla loro strada: beh, è quello il motivo per cui diventano Cagne. Se si realizzano nella professione, cercheranno la carriera e non avranno paura di competere con chiunque. Se non sono interessate alla professione, cercheranno in ogni caso l’ auto-espressione e l’auto-realizzazione. Qualunque cosa facciano, vogliono un ruolo attivo e sono spesso percepite come prepotenti. Spesso dominano le altre persone, quando non possono ricoprire altri ruoli che sublimino in modo più creativo le loro energie e le loro capacità. Spesso sono accusate di prepotenza quando si comportano in maniere considerate naturali per un uomo.

Una vera Cagna è autodeterminata, ma spesso il termine “cagna” viene utilizzato con minor discernimento. E’ una deroga popolare utile a schiacciare e ridurre al silenzio le donne considerate arroganti, creata dall’uomo e adottata dalle donne. Come il termine “negro”, “cagna” ha la funzione sociale di isolare e screditare una categoria di persone che non si conformano ai modelli di comportamento socialmente accettati.
CAGNA non usa questa parola in senso negativo. Una donna dovrebbe essere orgogliosa di dichiararsi una Cagna, perché ‘Cagna è bella’. Dovrebbe essere un atto di affermazione di sé e non di negazione da parte di altri. Non tutt* possono qualificarsi come Cagna. Non sono necessari tutti i suddetti requisiti, ma bisognerebbe essere in possesso di almeno due di loro per essere considerata una Cagna. Se una donna li possiede parzialmente tutti e tre è una ‘Cagna delle Cagne’. Supercagne sono quelle che posseggono totalmente e completamente i requisiti delle tre categorie, e di queste ce ne sono poche. La maggior parte di loro non dura a lungo in questa società.
La caratteristica più notevole di tutte le Cagne è che violano brutalmente le comuni concezioni di comportamento sessuale appropriato. Le violano in modi diversi, ma tutte loro le violano. Il loro atteggiamento verso sé stesse e gli altri, i loro orientamenti, il loro stile personale, il loro aspetto e il modo di gestire il proprio corpo, urtano le persone e le fanno sentire a disagio. Talvolta in maniera consapevole, a volte no, ma la gente in generale si sente a disagio con le Cagne. Le considerano aberrazioni. Trovano il loro stile inquietante. Così creano una discarica per tutte coloro che considerano maligne e le chiamano donne frustrate. E frustrate possono esserlo, ma la causa è sociale, non sessuale.
Ciò che è inquietante in una Cagna è che è androgina. Integra in sé le qualità tradizionalmente definiti come “maschili” con quelle “femminili”. Una Cagna è schietta, diretta, arrogante, a volte egoista. Non ha simpatia per le vie indirette, sottili e misteriose dell’ “eterno femminino”. Disprezza la vita vicaria considerata naturale per le donne, perché vuole vivere una vita tutta sua.
La nostra società ha definito l’umanità come maschile, e il femminile è ciò che è ‘altro da maschile’. In questo modo, le femmine possono essere umane solo vivendo indirettamente attraverso un maschio. Per poter vivere, una donna deve accettare di servire, onorare e obbedire un uomo, e quello che ottiene in cambio è nella migliore delle ipotesi una vita fantasma. Le Cagne si rifiutano di servire, onorare e obbedire a nessuno. Vogliono essere persone integre e attive, non semplici fantasmi. Vogliono essere donne e persone. Questo le rende contraddizioni sociali. La mera esistenza delle Cagne nega l’idea che la realtà di una donna debba passare attraverso la relazione con un uomo e sfida la convenzione che vede le donne come perpetue bambine, da tenere sempre sotto l’altrui guida.
Pertanto, se presa sul serio, una Cagna è una minaccia per le strutture sociali che tengono le donne schiave, e i valori sociali che giustificano il mantenimento delle donne ‘al proprio posto’. E’ la testimonianza vivente del fatto che l’oppressione della donna non deve esistere per forza, e come tale solleva dubbi sulla validità di tutto il sistema sociale. Poiché è una minaccia, non viene presa sul serio. Viene invece derubricata come ‘deviante’.Gli uomini creano una categoria speciale per lei, in cui viene definita almeno parzialmente come umana, ma non come donna. Nella misura in cui si riferiscono a lei come essere umano, si rifiutano di relazionarsi a lei come ad un essere sessuale. Le donne sono ancor più minacciate da lei, perché non possono dimenticare che è una donna. Hanno paura di identificarsi troppo con lei. Ha una libertà e un’indipendenza che le invidiano, e le sfida ad abbandonare la sicurezza delle proprie catene. Né gli uomini né le donne sono in grado di affrontare la realtà di una Cagna, perché farlo li costringerebbe ad affrontare la propria marcia realtà. E’ pericolosa. Così la liquidano come strega. Questa è la radice della sua stessa oppressione come donna. Le Cagne non sono oppresse solo in quanto donne, ma anche per non essere ‘come le donne’. Perché ha insistito per essere prima umana che femminile, di essere fedele a sé stessa prima di inchinarsi alle pressioni sociali, una Cagna cresce da outsider. Anche da ragazze, le Cagne violano i limiti del comportamento sessuale considerato accettabile. Non si identificano con le altre donne e poche hanno avuto la fortuna di avere un Cagna adulta come modello. Hanno dovuto disegnare la propria strada, e le insidie di questo percorso inesplorato ha contribuito in egual misura alla loro incertezza e alla loro indipendenza. Le Cagne sono ottimi esempi di come le donne possano essere abbastanza forti da sopravvivere anche alla socializzazione rigida e punitiva della nostra società. Da ragazze non ha mai del tutto attecchito nella loro coscienza l’idea che le donne dovrebbero essere inferiori agli uomini, in qualsiasi ruolo differente da quello di madre/compagna. Affermavano sé stesse già da bambine, e non hanno mai realmente interiorizzato lo stile servile, tutto moine e lusinghe, definito ‘femminile’. Alcune Cagne erano ignare delle consuete pressioni sociali, e alcune vi hanno resistito ostinatamente. Alcune hanno sviluppato uno stile femminile esclusivamente a livello epidermico, mentre altre sono rimaste maschiacci anche oltre i limiti temporali in cui tale comportamento viene tollerato. Tutte le Cagne hanno rifiutato, nella mente e nello spirito, di conformarsi all’idea che esistano dei limiti a ciò che possono essere e fare. Non hanno messo limiti alle proprie aspirazioni o alla propria condotta.
Per questa resistenza sono state duramente condannate. Sono state ridotte al silenzio, snobbate, derise,chiacchierate, schernite e ostracizzate. La nostra società ha reso le donne schiave e poi le ha condannate per il loro agire da schiave. È stato compiuto in modo molto sottile. Poche persone erano così dirette da affermare che le Cagne non piacevano loro perché non si conformavano ai giochi di ruolo sessuali.
In realtà, pochi erano certi del perché non gli piacessero le Cagne. Non si rendevano conto che era proprio la violazione (delle Cagne) della struttura fissata della realtà a mettere in pericolo la struttura stessa. In qualche modo, sin dalla prima infanzia, alcune ragazze non si conformavano ai modelli e diventavano perciò ottimi bersagli di scherno. Ma poche persone riconoscevano consapevolmente la radice dell’antipatia che provavano. Il problema non venne mai affrontato. Se se ne parlava, era fatto con commenti malevoli alle spalle di qualche ragazza. Alle Cagne veniva fatto capire che c’era qualcosa di sbagliato in loro. Qualcosa di intimamente sbagliato.
Le ragazze adolescenti sono particolarmente feroci nel gioco capro espiatorio. Questo è il momento della vita in cui alle donne viene insegnato che devono competere per il bottino più ambito (cioè gli uomini) che la società consente loro. Devono perciò affermare la propria femminilità o vedersela negata. Sono molto insicure di sé e adottano perciò quella rigidità compagna dell’incertezza. Sono spietate con le concorrenti e ancora di più con coloro che rifiutano di competere. Quelle di loro che non condividono tali preoccupazioni e non praticano l’arte dell’affascinare gli uomini, sono escluse dalla maggior parte delle occasioni di socialità. Se non se ne fosse avveduta prima, è in questi anni che una Cagna apprende di essere diversa.
Crescendo capisce meglio il motivo della propria differenza. Al momento di ricoprire posti di lavoro o partecipare a organizzazioni, le Cagne sono raramente soddisfatte di starsene in silenzio e fare ciò che viene detto loro. Una Cagna ha una mente tutta sua e vuole usarla. Vuole eccellere, essere creativa, assumersi responsabilità. Sa di esserne in grado e vuole usare le proprie capacità. Questo non è piacevole per gli uomini per cui lavora, cosa che del resto non è il suo obbiettivo primario. Quando si scontra con l’incrollabile muro dei pregiudizi sessuali, non si conforma. Si annienterà piuttosto, a furia di scontrarsi contro quel muro, perché non può accettare il ruolo, scelto da altri per lei, di ausiliaria. Di tanto in tanto riuscirà ad aprire un varco. Utilizzerà il proprio ingegno per trovare una scappatoia, o ne creerà una. Spesso è dieci volte meglio di chiunque altro competa con lei. E’ anche disposta ad accettare meno del dovuto. Come altre donne le sue ambizioni sono state spesso offuscate, e nemmeno lei è del tutto sfuggita all’etichetta di inferiorità posta sul “sesso debole”. Spesso accetterà la soddisfazione di essere colei che decide da dietro le quinte – a condizione di avere reale potere – e razionalizzerà il fatto di non desiderare davvero il riconoscimento che ottiene chi davvero siede sul trono. Poiché è stata schiacciata per la maggior parte della vita, per il fatto di essere una donna e di non essere una vera donna, una Cagna non sempre riconoscerà che ciò che ha raggiunto non è raggiungibile dalla donna comune. Una Cagna altamente competente spesso sminuisce sé stessa, rifiutando di riconoscere la propria superiorità. Suole dire che è nella media o anche meno; se lei può farlo, chiunque può.
Da adulte, le Cagne possono aver imparato il ruolo femminile, almeno per quanto concerne lo stile esteriore, ma vi si trovano raramente a proprio agio. Ciò è particolarmente vero per quelle donne che sono fisicamente Cagne. Vogliono liberare i propri corpi e le proprie menti, e deplorano lo sforzo che devono fare per limitare i propri movimenti o per interpretare il ‘proprio ruolo’ al fine di non disgustare le altre persone. Inoltre, dal momento che violano fisicamente aspettative riguardanti i ruoli sessuali,non sono così libere di violarle psicologicamente o intellettualmente. Un numero limitato di deviazioni dalla norma possono essere tollerate, ma troppe sono decisamente minacciose. È già troppo oltre non pensare come una donna, non parlare come una donna o non fare quelle cose che si suppone le donne facciano. Non apparire come una donna, muoversi come una donna o agire come una donna è inaccettabile. La nostra è una società rigida fatti di limiti angusti posti a misura della diversità umana. Le donne in particolare, sono definite dalle proprie caratteristiche fisiche. Le Cagne che non violano questi limiti sono più libere di violarne altri. Le Cagne che li violano per stile o dimensioni possono sentirsi un po’ invidiose di quelle che non devono limitare in maniera così notevole l’espansività della propria personalità e comportamento. Spesso queste Cagne vengono torturate maggiormente perché la loro devianza è sempre evidente. Ma trovano anche una compensazione, poiché essendo Cagne grandi e grosse hanno molte meno difficoltà ad essere prese sul serio rispetto alle donne di piccole dimensioni. Una delle fonti della loro sofferenza come donne è anche una fonte della loro forza.
La prova del fuoco, che la maggior parte delle Cagne affronta durante la crescita, le crea o le distrugge. Sono lacerate come corde tese fra due poli, l’essere fedeli alla propria natura o essere accettate come esseri sociali. Questo le rende persone molto sensibili, ma è una sensibilità che il resto del mondo ignora. Poiché esteriormente hanno spesso sviluppato una spessa callosità difensiva che può farle sembrare dure e amare, a volte. Ciò è particolarmente vero per quelle Cagne che sono state costrette a isolarsi al fine di evitare di essere rimodellate e poi distrutte dai propri coetanei. Coloro che invece hanno avuto la fortuna di crescere con compagni a loro simili, con genitori comprensivi, uno o due buoni modelli e una volontà molto forte, possono evitare alcuni degli aspetti peggiori dell’essere una Cagna. Dopo aver subito una punizione psicologica più blanda per il fatto di essere state quello che sono, possono accettare la propria differenza con la facilità che viene dalla fiducia in sé stesse.
Coloro che hanno dovuto fare tutto da sole hanno un percorso incerto. Alcune, finalmente, si rendono conto che il loro dolore non deriva solo dal loro non essere conformi, ma dal loro non voler conformarsi. Da ciò deriva la consapevolezza che non ci sia nulla di particolarmente sbagliato in loro, semplicemente non possono adattarsi a questo tipo di società. Molte, infine, imparano a isolarsi da un ambiente sociale così duro. Tuttavia, anche questo ha il suo prezzo. A meno che non siano prudenti e consapevoli, la sicurezza ottenuta in questo modo doloroso – senza supporto dalle proprie sorelle – è più spesso una forma di arroganza. Le Cagne possono diventare così indurite e callose che le loro ultime vestigia di umanità restano sepolte nel profondo e quasi distrutte.
Non tutte le cagne ce la fanno. Alcune, al posto di callosità, sviluppano ferite aperte. Invece di sicurezza, sviluppano una malsana sensibilità al rifiuto. Apparentemente forti esteriormente, dentro sono una poltiglia sanguinolenta, scorticate dalle frustate verbali continue che hanno dovuto sopportare. Sono Cagne incattivite. Spesso vanno in giro piene di risentimento e deviano la propria forza in rappresaglie improduttive, quando qualcuno le sfida a piantarla. Queste Cagne possono essere odiose, perché non si fidano mai realmente delle persone. Non hanno imparato a usare la propria forza in modo costruttivo.
Le Cagne che sono state mutilate come esseri umani, rivolgono spesso la propria furia su altre persone – in particolare su altre donne. Questo è uno degli esempi di come le donne siano addestrate a tenere sé stesse e le altre donne al loro posto. Le Cagne non sono meno colpevoli delle altre donne quando si parla di odio di sé stesse e di odio di gruppo, e quelle incattivite subiscono il peggio di entrambe queste afflizioni. Tutte le Cagne fungono da capri espiatori, e quelle che non sono sopravvissute alle continue sfide psicologiche diventano il bersaglio del disprezzo di tutti. Come gruppo, le Cagne sono trattate dalle altre donne allo stesso modo in cui le donne sono trattate in generale dalla società – tutto bene quando stanno al ‘proprio posto’, buone da sfruttare e come oggetto di pettegolezzi, in caso contrario devono essere ignorate o schiacciate. Minacciano la posizione della donna tradizionale, ma sono anche un gruppo di paria a cui costei può sentirsi superiore. La maggior parte delle donne si sentono sia migliori che gelose delle Cagne. Mentre si rassicurano per il fatto di non essere come queste streghe aggressive e mascoline, hanno il lieve sospetto che forse gli uomini, la cosa più importante della loro vita, trovino una Cagna libera, assertiva e indipendente preferibile come donna.

Le Cagne, allo stesso modo, non si preoccupano troppo delle altre donne. Crescono provando antipatia per le altre donne. Non riescono a relazionarsi con loro, non ci si identificano, non hanno nulla in comune con loro. Le altre donne hanno rappresentato la norma a cui loro non sono riuscite a conformarsi. Respingono perciò coloro che le hanno respinte. Questa è una delle ragioni per cui le Cagne che riescono a superare gli ostacoli posti davanti a loro dalla società, disprezzano le donne che non ci riescono. Tendono a pensare che la fortuna aiuti gli audaci. La maggior parte delle donne sono state le agenti dirette di gran parte della merda che le Cagne hanno dovuto sopportare e poche, di entrambi i gruppi, hanno la coscienza politica di capire il perché di tutto questo. Le Cagne sono stati oppresse da altre donne quanto, se non di più, che dagli uomini e l’odio espresso dalle altre donne è solitamente perfino maggiore.
Le Cagne sono spesso a disagio con le altre donne, anche perché di solito le altre donne sono percepite meno simili a loro – a livello psicologico – rispetto agli uomini. Le Cagne non amano particolarmente le persone passive. Hanno sempre un po’ paura di rompere le cose fragili. Le donne sono addestrate ad essere passive e hanno imparato ad agire in questo modo, anche quando non lo sono. Una Cagna non è molto passiva e non si sente a suo agio ad agire quel ruolo. Ma di solito non ama neanche essere prepotente – sia che si tratti di avversione naturale al dominio sugli altri, o di paura di sembrare troppo maschile. Perciò una Cagna può rilassarsi ed essere la sé stessa (non passiva) che è, senza preoccuparsi di ferire qualcuno, solo in compagnia di coloro che sono forti come lei. Questo accade più spesso in compagnia degli uomini che delle donne, ma quelle Cagne che non hanno ceduto totalmente all’odio di sé si sentono davvero a proprio agio solo in compagnia di altre Cagne. Queste sono le sue vere compagne e le uniche con cui non deve interpretare qualche ruolo. Solo con le altre Cagne una Cagna può essere veramente libera.

Sono momenti rari. La maggior parte del tempo le cagne rimangono psicologicamente isolate. Le donne e gli uomini sono così minacciati da loro e reagiscono in modo così negativo che le Cagne proteggono sé stesse con attenzione. Sono sospettose di quelle poche persone a cui pensano di poter dare fiducia, perché troppo spesso si rivelano buchi nell’acqua. Ma in questa solitudine è celata una forza e dal loro isolamento e dalla loro amarezza originano contributi che le altre donne non realizzano. Le Cagne sono le meno celebrate degli eroi meno celebrati in questa società. Sono pioniere, avanguardie, punte di diamante. Sia che desiderino o meno ricoprire questo ruolo, lo realizzano essendo semplicemente sé stesse. Molte non sceglierebbero consapevolmente di essere le antesignane per quella massa di donne per le quali non nutrono sentimenti di sorellanza, ma non possono evitarlo. Coloro che violano i limiti li ampliano, o causano falle nel sistema.
Cagne sono state le prime donne ad andare all’Università, le prime a rompere il soffitto di cristallo delle professioni, le prime rivoluzionarie sociali, le prime sindacaliste, le prime capaci di organizzare altre donne. Perché non erano esseri passivi e hanno agito spinte dal risentimento di essere schiacciate, hanno avuto il coraggio di fare quello che le altre donne non avrebbero fatto. Hanno subito l’artiglieria pesante e la merda che la società serve a coloro che vorrebbero cambiarla, e hanno aperto alle altre donne porte sul mondo che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Hanno vissuto ai margini. E da sole o con il supporto delle proprie sorelle hanno cambiato il mondo in cui viviamo.
Le Cagne sono, per definizione, esseri marginali di questa società. Non hanno un proprio posto e in ogni caso non lo occuperebbero anche se esistesse. Sono donne, ma non ‘vere donne’. Sono esseri umani, ma non di sesso maschile. Alcune non sanno nemmeno di essere donne perché non riescono a relazionarsi con le altre donne. Possono divertirsi a giocare un ruolo femminile alle volte, ma sanno che si tratta di un gioco. La loro maggiore oppressione psicologica deriva non dalla convinzione psicologica di essere inferiori, ma dal sapere di non esserlo. Così, gli è stato rinfacciato per tutta la vita di essere streghe. Naturalmente sono stati usati anche termini più gentili, ma il messaggio è comunque arrivato. Come alla maggior parte delle donne è stato insegnato loro ad odiare sé stesse e tutte le altre donne. In modi diversi e per ragioni diverse, forse, ma l’effetto è lo stesso. Interiorizzare un’idea di sé negativa si traduce sempre in una buona dose di amarezza e risentimento. Questa rabbia è di solito o rivolta contro di sé – rendendo una persona sgradevole, o su altre donne – rafforzando perciò gli stereotipi sociali. Solo attraverso la coscienza politica la rabbia viene rivolta all’origine del problema – il sistema sociale.

La maggior parte di questo manifesto ha parlato delle Cagne. Il resto riguarderà invece CAGNA. L’organizzazione non esiste ancora, e forse non esisterà mai. Le Cagne sono così dannatamente indipendenti e hanno imparato così bene a non fidarsi di altre donne che sarà difficile per loro imparare a fidarsi, anche tra di loro. Questo è ciò che CAGNA deve insegnare loro a fare. Le Cagne devono imparare ad accettarsi come Cagne e dare alle proprie sorelle il supporto di cui hanno bisogno per essere Cagne creative. Le Cagne devono imparare ad essere orgogliose della propria forza e orgogliose di sé stesse. Devono abbandonare l’isolamento che le ha protette e aiutare le loro sorelle più giovani ad evitarne i pericoli. Devono capire che le donne sono spesso meno tolleranti delle altre donne rispetto agli uomini, perché gli è stato insegnato a vedere tutte le donne come nemiche. E le Cagne devono formare un movimento per affrontare i problemi in maniera politica. Devono organizzare la propria liberazione così come tutte le donne devono organizzare la loro. Dobbiamo essere forti, dobbiamo essere militanti, dobbiamo essere pericolose. Dobbiamo renderci conto che ‘Cagna è bella’ e che non abbiamo nulla da perdere. Niente di niente.

Questo manifesto è stato scritto e revisionato con l’aiuto di alcune delle mie sorelle, a cui è dedicato.

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