Farla finita con l’idea di umanità – parte seconda

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Poter imporre il proprio dominio non significa essere nel giusto.

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Bisogna anche liberarsi dell’idea dominante di naturalità.

Per noi è scontato essere parte della specie umana, e questo è un concetto importante, poiché rappresenta  un criterio morale: siamo nat* in quest’evidenza, ce l’hanno insegnata. Ci riconosciamo l’un l’altr* come esseri umani e sappiamo che ci sono diritti e doveri impliciti in questa nozione. Ci percepiamo come uman*, piuttosto che come animali, esseri senzienti o individui.  Ci percepiamo come individui attraverso il nostro percepirci come uman*. Siamo individui, persone, perché siamo umani. Mentre gli animali sono reificati dall’appartenenza alla loro specie, spersonalizzati, l’appartenenza alla specie umana è qualcosa che ci rende persone, individui, esseri unici. Dobbiamo sbarazzarci dell’idea della naturalità della nostra appartenenza all’umanità.

La situazione non è sempre stata questa. Ho già fatto l’esempio del Medioevo in Occidente, quando il senso di appartenenza che superava tutti gli altri era la cristianità; tra gli antichi greci, l’appartenenza fondamentale che permetteva di riconoscersi come eguali, pari, era la cittadinanza: chi non faceva parte della polis poteva essere ridott* in schiavitù. In altre culture, il gruppo di appartenenza fondamentale non è l’umanità ma il gruppo tribale, l’etnia, o un gruppo più ampio – comunque non la specie. È un processo storico e politico quello che ha portato alla situazione attuale, in cui è la specie a costituire la nostra appartenenza fondamentale.

Questo processo è sempre presentato come un fenomeno positivo. In un certo senso lo è stato, in quanto ha incluso sempre più persone nel gruppo di eguali che hanno diritto ad essere rispettat*. Allo stesso tempo, però, ha rafforzato la distinzione con i non-umani e, man mano che si allargava il gruppo dell’appartenenza fondamentale, sono aumentate le strategie per escludere alcuni gruppi dall’ avere accesso pieno all’insieme principale: le donne, i neri, non erano considerat* pienamente uman* perché erano relegat* al polo opposto all’umanità, quello della natura e dell’animalità.

Oggi quest’umanesimo fonda l’etica della nostra società su scala mondiale (perché l’umanesimo è un’ideologia praticamente universale) e non solo l’etica: anche la politica. La politica di tutti i paesi del mondo fa esplicito riferimento a quest’idea di eguaglianza, anche se certi casi sono abbastanza ambigui: penso per esempio a certi stati teocratici, nonostante anche in essi ci si rifaccia a un’idea di umanità…

Voglio dire che oggi viviamo in un mondo in cui quest’idea è centrale, imprescindibile a priori, praticamente un tabù. In Francia, per esempio, c’è una legge che punisce penalmente qualsiasi attentato alla dignità umana. Ma cos’è la dignità umana? Siamo noi che l’abbiamo creata – per punire atti razzisti e simili – ma siamo sempre noi che rischiamo di diventare estremamente repressivi se accresciamo le sue applicazioni. Infatti, la nozione di dignità umana è una nozione estendibile all’infinito ed è oggetto di dibattiti appassionati e contradditori – come quello tra cattolici e atei, o tra chi è favorevole all’aborto e chi non lo è, eccetera. In effetti avrei anche potuto intitolare il mio intervento “Farla finita con l’idea di dignità umana”, perché l’idea di umanità è l’idea di un gruppo biologico al quale spetta una dignità specifica – e dire “dignità” è in qualche modo come dire “onore”: questa parola era un sinonimo di “onore” nell’antichità, risulta perciò la versione democratica di un concetto aristocratico.

Fondamentalmente, la critica antispecista dell’idea di umanità è la critica del fatto che la nostra comune umanità, anche se include delle caratteristiche che possono essere straordinarie o eccezionali, non ci assegna una dignità speciale che sia possibile negare ad altri esseri senzienti. Quando parliamo di umanità, parliamo in realtà delle caratteristiche che le sono abitualmente associate, come il fatto di riconoscerci in  esseri pensanti, razionali, sociali, capaci di libertà, di linguaggio, di astrazione, di fare progetti per il futuro. Le caratteristiche dell’essere umano sono infinite. E anche se non chiamiamo in causa l’idea di umanità – ma delle idee più precise, come le caratteristiche che ho appena elencato – tuttavia non c’è ragione per cui si debba pensare che l’essere umano debba godere di una dignità particolare. Non c’è ragione, per esempio, di ritenere che il fatto di essere ‘pensante’ invece di non esserlo debba avere una dignità particolare.

Inoltre, non si tratta di mettere da una parte gli esseri ‘pensanti’ come gli esseri umani e dall’altra quelli definiti come ‘non pensanti’ (!) ovvero gli animali: sappiamo piuttosto che esistono gradazioni costanti dagli uni agli altri e sappiamo anche che è un espediente antropocentrico parlare di classificazione, di progressione, da animale a umano. In verità esistono tipologie differenti d’intelligenza: per esempio, situarsi nello spazio è un’intelligenza molto più forte negli animali, o altri esempi di intelligenze sono la facoltà di ricordare, quella di riconoscere… Il problema è che, parlando di intelligenza, si parte sempre con un’idea già precisa di che cosa sia ciò che chiamiamo intelligenza, ossia qualcosa legato alle nostre facoltà.

Al contrario, vi è un continuum tra le facoltà intellettive degli esseri appartenenti al mondo animale e quelli appartenenti alla specie umana. Inoltre, anche all’interno della specie umana molte persone non corrispondono all’idea consueta di intelligenza su cui è costruita la libertà umana: è il classico argomento degli emarginati, ma anche dei bambini, degli anziani, dei disabili, delle vittime di incidenti cerebrali – che si vedono comunque riconoscere una qualche umanità e dignità umana specifica, pur senza possedere gli attributi che dovrebbero essere essenziali. Ovviamente, non vedo perché si dovrebbe negare loro la garanzia dei diritti fondamentali col pretesto che non possono, per esempio, fare calcoli alla stessa maniera, o non possono reagire in modo adeguato a delle situazioni complesse, eccetera.

Fondamentalmente quest’idea di umanità, da un punto di vista etico, è un’idea che non intrattiene legami logici con le conseguenze che se ne traggono: non è chiaro quale significato particolare dovrebbe avere il fatto di essere uman* o non uman*, così come l’essere nero o bianco o donna o altro. Quindi il fatto di definirla come il valore più alto non ha altra funzione se non quella di evitare di prendere in considerazione la nozione di eguaglianza, che è la nozione etica fondamentale, e di evitare di prendere in considerazione la senzienza (cioè la capacità di provare sensazioni) come criterio fondamentale a partire dal quale possiamo dire di trovarci di fronte a degli esseri che hanno degli interessi da difendere – di cui bisogna tenere conto. Questa nozione di umanità gioca un ruolo anti-etico, come l’idea di natura, perché ci impedisce di ragionare in termini etici, in termini di presa in carico degli interessi delle/gli altr*. Di fatto, la morale umanista sostiene la necessità di prendere in considerazione non i vostri o i miei personali interessi, ma la nostra umanità – che è definita indipendentemente da voi e da me.

Spesso diventa la “parola sociale” del momento. Per esempio, attualmente, prendere in considerazione l’umanità che c’è in me significa nella pratica vietarmi di suicidarmi, proibirmi l’eutanasia anche se soffro enormemente, per il solo motivo che la vita umana è ‘sacra’. Ecco, allora, un altro caso in cui l’idea di umanità si ritorce contro gli stessi esseri umani. Può trattarsi del considerare gli embrioni – che non sono che cellule, che non sentono ancora nulla – come degli esseri umani, e riconoscere loro una dignità umana e dunque dei diritti umani fondamentali. Ne consegue che quest’idea di umanità va ad accordare una sorta di diritto sacro di vita a degli ammassi di cellule che non sentono alcunché, anche a spese della donna incinta – che ha degli interessi, quelli sì, reali e concreti e presenti. Questa è un’altra delle critiche che possiamo fare a quest’idea di umanità, ovvero l’entrare in conflitto con la riflessione etica.

[…] Quest’idea di umanità si definisce attraverso l’incontro/scontro con l’idea di natura e quella di animalità: sono tutte nozioni che è facile mettere in discussione, mentre sono difficili da difendere con concetti precisi e pretese scientifiche: l’idea di umanità e l’idea di natura da un punto di vista scientifico non esistono, l’idea di animalità da un punto di vista scientifico non significa nulla. Per esempio, dal punto di vista scientifico l’umanità si definisce attraverso quali caratteristiche? Comportamentali – in termini di capacità cognitive, mentali? Al contrario, per un certo tipo di genoma? Ma, in che senso, genoma?

Siamo tutt* divers*, tutt* dotat* di genomi diversi, e trovare dei criteri che ci permettano di distinguere chiaramente il genoma umano da uno non umano è arbitrario, e non si tratta mai di un’operazione definibile come necessaria.

E ancora: dovremmo dichiarare umani gli spermatozoi o gli ovuli perché sono portatori di genoma umano? Appare chiaro che la nozione di umanità è lontana dall’essere immediata. Gli umani che hanno delle anomalie genomiche sono degli umani – è dato per scontato che si debba avere un certo numero di coppie di cromosomi, eppure si sa anche che esistono persone – che noi continuiamo a considerare essere umani – che non possiedono lo stesso numero di coppie cromosomiche, per esempio le persone con un cromosoma in più.

Vediamo dunque che anche le definizioni di umanità che si vorrebbero scientifiche, fondate su nozioni scientifiche – come il genoma, eccetera – sono definizioni per partito preso: delle definizioni a tutti gli effetti, e non delle descrizioni del reale che si sono imposte autonomamente.

Criticare la nozione di umanità in questo modo è puramente aneddotico, ma serve per rendersi conto che si tratta di una nozione costruita, risultato di scelte sociali, politiche e storiche: non si tratta affatto di qualcosa di innato, come ci hanno insegnato. Il punto è che fino a quando il valore fondamentale di una società in termini etici e politici resterà l’idea di umanità, cioè un’idea fondamentalmente specista, è ovvio che gli animali continueranno a farne le spese.

E’ possibile immaginare uno specismo – o un umanesimo – ‘soft’, che riconosca negli animali una sorta di ‘fratelli inferiori’? Si resterebbe comunque all’interno di una visione gerarchizzata, con un disprezzo di fondo, in cui il problema non è nemmeno tanto il disprezzo, ma il fatto che persiste comunque una classifica, un ‘più’ e un ‘meno’. Fondamentalmente, quest’idea di umanità – da collegare a quella di eguaglianza – è un’idea che pone la questione in termini di superiorità o inferiorità. Si è più oppure meno umani. È la stessa idea che ha dato vita a concetti che oggi non sono più molto in voga, ma che comunque hanno fatto la loro comparsa nel corso della storia: quelli di sovrumanità e subumanità, che ritengo essere legati alla nozione di umanità.

Non sono concetti accidentali, in quanto rivelano la realtà dell’idea dell’umanità. Rivelano come essa si costruisca per opposizione e distinzione rispetto all’idea di animalità. Questa idea di umanità si basa sulla necessità di distinguersi, di differenziarsi e allo stesso tempo di “valorizzarsi”, nel senso di assegnarsi un valore.

È nel nostro pieno interesse, in quanto attivisti per la questione animale, cercare di attaccare l’idea di umanità, di indebolirla (anche se è difficile) e sovvertirla, per privarla del suo carattere di evidenza naturale e per farla apparire per ciò che è: un costrutto politico che non è neutro, che non è positivo come tentano di descrivercelo, ma collegato a degli istinti di dominazione mostruosi e sanguinari, senza i quali questa stessa idea non avrebbe senso. Se non vivessimo in un mondo in cui gli animali sono sfruttati in modo assolutamente mostruoso, senza scrupoli, senza il minimo rispetto nemmeno dei loro diritti basilari… Se non vivessimo in un tale mondo, ci potremmo allora anche domandare a cosa potrebbe mai servire quest’idea di umanità, che volto potrebbe avere, per cosa si è fatta reale. Ma quest’idea di umanità è legata al sistema di dominio specista e svanirà con esso, e viceversa, per lottare contro il sistema di dominio specista è fondamentale minare quest’idea.

Farla finita con l’idea di umanità – prima parte

 

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Gli sfruttatori distorcono sempre la realtà, camuffandola in una bella confezione che inganna la maggioranza delle persone.

Uno degli aspetti che sicuramente impedisce a molt* attivist* (e alla generalità delle persone, ovviamente) di vedere le connessioni tra antispecismo e antisessismo/razzismo/fascismo, deriva da quell’idea – tutta specista, ma oramai peculiare al nostro modo di stare al mondo – che ci viene inculcata fin da piccol*, che quella che chiamiamo la nostra umanità porti con sé in ‘dote’ un valore di merito intrinseco alla nostra specie e solo ad essa. Un valore a ben vedere molto ambiguo, dal momento che, se ad un livello teorico viene associato con caratteristiche assolutamente positive (umanità, gentilezza, generosità, ecc…), nella pratica diventa la giustificazione incontestabile per brutalità e violenze efferate e continue su altri animali, umani e non.

La conferenza che abbiamo qui tradotto, di Yves Bonnardel, smaschera questo meccanismo perverso e mette in luce come l’umanità non sia assolutamente una caratteristica ‘naturale’ e connaturata all’essere umano, bensì un costrutto politico volto alla dominazione e alla giustificazione della violenza.

Essendo il testo abbastanza lungo, si è scelto di dividerlo in due parti per renderne più agevole la lettura.

Farla finita con l’idea di umanità

Conferenza tenuta da Yves Bonnardel in occasione de Les Estivales de la Question Animale

Traduzione di feminoska ed Eleonora.

Il titolo che ho proposto è “Farla finita con l’idea di umanità” perché a mio avviso [questo] è un tema cruciale in rapporto alla questione animale. È proprio l’idea di umanità il vero ostacolo che impedisce di prendere in considerazione gli interessi degli [altri] animali.

È una questione che sembra difficile affrontare direttamente: una questione che ritorna ciclicamente negli scritti animalisti, ma sempre all’interno di una frase, in un capoverso, mai secondo me con l’importanza che dovrebbe avere. Forse perché, molto semplicemente, è una questione davvero enorme. È un’impresa quella che andiamo ad affrontare.

Avrei potuto intitolare la presentazione in maniera diversa, magari un po’ meno polemica, per esempio con formule quali “Farla finita con l’idea di umanità e di animalità”, oppure “Farla finita con l’umanesimo”, o anche “Farla finita con lo specismo”… Ma qui parleremo di quell’incarnazione particolare dell’ideologia specista che mette l’accento, per l’appunto, sulla nostra umanità: è la nostra umanità che ci assegna un valore, abbiamo un valore in quanto esseri umani; ed è il fatto che questa umanità è assente negli altri animali che invece li priva di ogni valore, di ogni diritto.

Quest’idea di umanità è lo zoccolo duro della nostra civiltà. E’ un’idea fondamentale per la nostra civiltà almeno a partire dal Rinascimento, dalla crisi (potremmo definirla la laicizzazione) del Cristianesimo. Prima di allora, nel Medio Evo, era il fatto di essere cristiani ad essere fondamentale, a stabilire la nostra identità e fondare il nostro gruppo d’appartenenza. Era così che si definivano le persone: cristiane.

Progressivamente, a partire dal Rinascimento, inizia a delinearsi un movimento – che si affermerà poi verso la fine del secolo – e che oggi è veramente al suo apogeo. Da un lato, si tratta di un movimento che vede le persone definirsi sempre di più esseri umani, facenti parte di una specie biologica; dall’altro vi è una sorta di processo antropologico di civilizzazione, di libertà, che vede la nozione di umanità – in termini di identità – affermarsi sempre di più come un concetto positivo, un concetto che accresce i significati che può rivestire, che racchiude sempre più contenuti.

Se prima era dunque la cristianità il gruppo d’appartenenza fondamentale, ora l’umanità in generale è diventata la specie biologica a cui si deve di appartenere. Eppure, all’inizio, con molte limitazioni: per esempio l’umanità del diciassettesimo secolo è essenzialmente un’umanità maschile, bianca, adulta e ricca; è un’umanità occidentale, un’umanità civilizzata. Questa nozione di umanità fa chiaramente riferimento al concetto di specie, ma l’appartenenza alla specie [umana] non è sufficiente per fare pienamente parte dell’umanità. Bisogna possedere alcune caratteristiche: essere uomo e non donna, adulto e non bambino, ricco (aristocratico o borghese, ma mai di un ceto basso) e non povero.

Appare chiaro, dunque, come questo concetto di umanità non sia mai stato un concetto puro. Come tutte le identità, è sempre stato un concetto basato su una sorta di descrizione che si dà ad un gruppo: per cui l’umanità è il fatto di appartenere al gruppo dell’umanità… il che si rivela quasi una definizione descrittiva.

Alla fine, in pratica, ‘umano’ è chi soddisfa alcuni criteri che vanno oltre la semplice appartenenza ad un gruppo biologico: per essere umani non si deve essere inumani, non si deve essere mostruosi o troppo animali, bestiali… Ci sono delle caselle da barrare per rientrare a pieno diritto nella categoria. Ed esistono alcune categorie che, di fatto, si vedono negato l’accesso al gruppo principale. Per esempio, le donne sono state a lungo considerate non pienamente umane e ricondotte al polo opposto all’umanità, il polo della natura. Le donne sono state ridotte a rappresentare la parte naturale dell’umanità, per via del fatto che sono rivestite di una sorta di ‘missione procreativa’ dall’ideologia patriarcale. Allo stesso modo i popoli colonizzati e schiavizzati non sono stati considerati come facenti parte dell’umanità: la loro umanità era considerata incompleta, in divenire… Non avevano accesso alla ragione, alla libertà, alla civiltà, come accade alle/i bambin*.

Tornando sul concetto di umanità: esso si è creato in opposizione all’animalità e alla natura, e ritengo sia stato creato fondamentalmente per separare, per opporre un “noi ” a degli “altri”. È ciò che ha sottolineato Françoise Armengaud, universitaria, femminista (partecipò alla stesura della rivista “Nouvelles quéstions féministes”) nell’Enciclopedia Universalis nel 1984:

http://www.universalis.fr/auteurs/francoise-armengaud/

Se ci si domanda dove risiede la pertinenza di queste categorie antinomiche che sono l’animalità e l’umanità – e se si tiene a mente che l’essere umano è un animale – la sola risposta è che, evidentemente, prima viene il “noi” e poi vengono gli “altri”, e che l’atto di classificare innalza una barriera che imprigiona tutti gli altri, confusamente, all’interno della stessa barbarie.

Armengaud sostiene dunque che la pertinenza delle categorie di animalità e umanità è funzionale allo scopo di realizzare una divisione, una classificazione, necessaria a tracciare un confine tra un “noi” e degli “altri”, e a rinchiudere questi “altri” in una sorta di estraneità, di barbarie, da cui il “noi” è dispensato. Il testo in questione è datato, è del 1984, ma troviamo analisi simili anche da parte di chi, ai giorni nostri, ha analizzato la questione animale pure quando questa non rappresentava il punto centrale della trattazione: Levi Strauss, Derrida, Burgat…

Questo concetto di umanità è un concetto talmente centrale nella nostra civiltà da renderlo estremamente difficile da attaccare direttamente. Eppure non possiamo fare a meno di questo attacco, non possiamo astenerci dal rompere il tabù che è legato a quest’idea di umanità. È un’idea criminale, non solo per la questione animale, ma anche per altre questioni umane. È un’idea anti-etica. Pensare in termini di morale, di umanità, significa evitare di ragionare in maniera davvero etica, esattamente come avviene quando si pensa in termini di natura: ci si pone il problema di definire cosa è umano e cosa non lo è, cosa è naturale e cosa non lo è… e non ci si chiede invece cosa è giusto e cosa non lo è. È una questione che non possiamo non porci e che non possiamo non porci nella maniera corretta.

La critica che sto muovendo parte da un punto di vista preciso che è un punto di vista animalista e antispecista, di opposizione allo specismo – discriminazione basata su criteri di specie di cui sono vittime alcuni individui, così come accade alle vittime di razzismo e di sessismo (per via di discriminazioni basate su criteri di razza e sesso).

È anche un punto di vista egualitario. Io sono egualitario, sono convinto che tutti gli esseri senzienti[1], proprio perché hanno delle sensazioni, reputino la propria vita importante, abbiano degli interessi ugualmente importanti da difendere: ad esempio evitare sofferenze e dolore, vivere il più a lungo possibile la miglior vita possibile… E penso che non vi sia alcuna buona ragione per non prendere in considerazione gli interessi di tutti quegli esseri che hanno dei propri interessi da difendere, né per non prenderli in considerazione esattamente quanto i miei – che, peraltro, sono molto simili: bisogna prendere in considerazione, in maniera equa, anche gli interessi di chi non fa parte della propria specie.

La critica allo specismo è quindi una critica al criterio di specie: un criterio che non è moralmente pertinente, un criterio che non ha alcun senso logico, esattamente come i criteri di razza, sesso, età… La sola cosa rilevante è l’importanza degli interessi in gioco, che è poi ciò che dà peso agli avvenimenti.

Sono egualitario nel senso che – indipendentemente dai concetti di specie, razza, sesso – penso che vadano presi in considerazione gli interessi di tutti gli esseri in egual misura. È quindi in nome dell’idea di eguaglianza che critico l’idea di umanità, in quanto idea che entra in conflitto con quella di eguaglianza.

Viviamo in una società in cui, a seconda che si sia umani o non umani, ci si vede riconoscere o meno diritti –  da quelli accessori ai diritti fondamentali (diritto alla vita, alla libertà, a non essere torturat*, alla libertà di coscienza…) – che rappresentano il minimo necessario per vivere una vita soddisfacente in questo mondo. Questi diritti sono negati a tutti quegli esseri di cui si nega l’umanità, in cui non si riconosce un’umanità… fondamentalmente, all’insieme dei non-umani per definizione.

Abbiamo negato l’umanità anche ai disabili: ai disabili mentali, per esempio, sterminati dal regime di Vichy durante la seconda guerra mondiale in quello che è stato definito “sterminio dolce” – che non è stato dolce per niente, visto che si è trattato di negare le razioni di cibo minime per sopravvivere a più di quarantamila disabili mentali, lasciandoli così morire di fame e malattie – semplicemente perché erano considerati dei subumani.

Esistono anche altre categorie di umani a cui viene negata l’appartenenza piena all’umanità. [Ad esempio] coloro che vengono giudicati colpevoli di qualche reato, considerati non all’altezza della loro umanità, a cui vengono revocati quei privilegi e i vantaggi legati al concetto di umanità poiché considerati criminali, mostri, non-umani… Rinchiusi nelle prigioni, vittime di trattamenti disumani e degradanti, non vengono loro garantiti quei diritti di cui godono tutti gli altri esseri umani. La situazione nelle carceri, peraltro, è molto simile a livello mondiale, e penso che ciò risponda ad una logica profonda – che non si tratti di un caso o di una sorta di malfunzionamento – ma esista veramente una volontà generalizzata di far andare le cose così, anche da parte della popolazione: si vuole che le persone che hanno commesso un crimine soffrano, paghino… Lo si sente nelle discussioni di tutti i giorni: la maggior parte delle persone desidera che i “colpevoli” non godano più degli stessi diritti di cui godono gli altri esseri umani. Questi sono solo alcuni esempi: le principali vittime di questa idea di umanità rimangono comunque i non-umani.

Quest’idea di umanità che oggi si propone come un’idea estremamente positiva (non si fa mai riferimento alle implicazioni negative che può avere), si presenta come collegata alle idee di gentilezza, di bontà, di moderazione… Infatti, si sente parlare di “azioni umanitarie“. Nella nostra mente, essa è legata all’idea di eguaglianza e a quella di universalità. Le grandi dichiarazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani aspirano ad essere egualitarie e si pongono come dichiarazioni universali.

Stando così le cose, come antispecista devo sottolineare che l’idea di eguaglianza [tra esseri umani] ha invece consentito la creazione di un gruppo specifico che ha certi privilegi e che è investito di certi diritti, compresi quelli fondamentali – come il diritto di vita e di morte, il diritto a non essere torturati/e, il diritto alla libertà. Non si tratta allora di universalità, di universalismo, ma piuttosto di un particolarismo.

Potremmo paragonare questa idea di “eguaglianza” a un nazionalismo o a uno sciovinismo. Infatti, abbiamo preso un gruppo, lo abbiamo reso il “gruppo di preferenza” e abbiamo definito un criterio morale fondamentale, un’identità morale fondamentale, come in un qualsiasi nazionalismo. Abbiamo quindi sviluppato uno sciovinismo. Nella nostra società si tessono elogi dell’umanità ad ogni livello. Come nell’ambito di un nazionalismo qualsiasi, la difesa di quest’idea di umanità è la difesa di un particolarismo proposto come universalismo. In realtà si tratta di un particolarismo. Il vero universalismo sarebbe invece l’eguaglianza: il farsi carico degli interessi di qualsiasi essere abbia degli interessi da difendere, di ogni essere senziente.