Di pippe all’asilo, ideologia gender e comici norvegesi

Non so se lo sapete – il tipico inizio di chi presuppone che i suoi lettori siano già d’accordo con chi scrive, ed è per questo che vi amo così tanto – ma da qualche tempo pare che ‘sta polemica sul “gender” abbia passato un po’ il limite. Anzi, ne ha passati diversi, perché come insegna il buon Carlo Cipolla, «sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione». E questo ha delle conseguenze, soprattutto se, com’è facile dimostrare, a trarne vantaggio sono sempre i soliti banditi – per usare ancora la terminologia di Cipolla.

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L’extracomunitario stupido in divisa (avvisate Salvini)

In questa immagine potete vedere l’inizio di una comunicazione che un parroco di Cerveteri ha pensato bene di diffondere sul suo territorio, presa da questo luogo virtuale su facebook. Leggiamo che:

…i vostri figli saranno istigati all’omosessualità […] saranno invitati alla masturbazione precoce fin dalla culla […] obbligati ad assistere alla proiezione di filmati pornografici […] obbligati ad avere rapporti carnali con bambini dello stesso sesso.

Il tutto, secondo questo genio, accadrebbe in corsi presenti nel Piano di Offerta Formativa della scuola, cioè in un documento ufficiale di una struttura pubblica. E in più, il suo delirio di stupidità non è proiettato al futuro, ma è storia ed esperienza, perché

Queste cose sono già accadute nelle scuole in cui il gender è stato sperimentato, Italia compresa, producendo nei minori pianti, svenimenti e danni psicologici irreparabili!

Ovviamente, nessuna prova a riguardo. Perché prove non ce ne possono essere, dato che si parla di una cosa che non esiste né è mai esistita. Un qualunque avvocato, anche non particolarmente esperto di questi argomenti, potrebbe facilmente convincere il genitore ingenuo ma ancora fedele alla parrocchia che:
1) quel parroco si è reso colpevole del reato di diffamazione verso tutte quelle persone che lavorano nella scuola e per la scuola alla costruzione del P.O.F., dato che non può provare nulla di quanto afferma gravemente, gettando così discredito sulla sua persona e sull’istituzione che rappresenta (che poi questo non interessi manco alla suddetta istituzione è un altro discorso, ma vabbè);
2) il parroco non capisce niente di leggi e cita a vanvera le norme nazionali e internazionali sul diritto all’istruzione scelto dai genitori: una volta che hai iscritto la prole a una scuola, hai esercitato il diritto. Punto. Questo non si estende direttamente agli argomenti e ai contenuti, altrimenti ai miei figli avrei prescritto almeno cinque ore settimanali di storia dell’A.S. Roma.

Di solito a un extracomunitario in divisa che pensa di capirci qualcosa di questioni di genere e di diritto all’istruzione – e invece è solo, nei termini cipolliani, uno “stupido” perché col suo agire arreca danno a sé a agli altri – rispondo abbastanza esagitato che “l’ideologia gender non esiste” passando ad argomentare punto per punto le sue castronerie.
Ma così facendo rischio di essere stupido anche io. Passiamo a un argomento più serio. Dura poco, promesso.

Ma ‘sta ideologia gender esiste o no?

marescialli2Dice molto saggiamente l’amico Alessandro Lolli che sia “ideologia” che “gender” sono diventate parolacce a causa del loro uso politico da parte di una ben precisa cerchia di persone, che avevano e hanno ancora un interesse specifico affinché queste parole, sia separatamente che insieme, siano connotate negativamente – a questo tipo di persona affibbio il nome cipolliano di “banditi”.

E tuttavia quello che affermano gli studi di genere è una visione del mondo, di un mondo non presente, una visione rivoluzionaria di un mondo a venire. Non dobbiamo credere alle paranoie delle maggioranze accerchiate, questa immagine è falsa e offensiva. È terribilmente offensiva perché i nazisti, che sul tema erano sicuramente più vicini alle posizioni di Miriano e delle Sentinelle in piedi rispetto a quelle dei movimenti LGBT, hanno sterminato migliaia di omosessuali. È palesemente falsa perché la società occidentale è ancora dominata dal maschio bianco eterosessuale e le sue categorie strutturano le menti delle donne e degli uomini. La maggior parte delle persone crede che ci sia qualcosa di naturalmente maschile come la determinazione, l’aggressività e la passione per gli sport e qualcosa di naturalmente femminile come la dolcezza, la remissività e la mania dello shopping. Quello che De Beauvoir, Belotti e Butler, pensano delle donne e degli uomini, e di conseguenza quello che Chiara Lalli, Pasquale Videtta e Simona Regina riassumono nei loro articoli, è tutt’oggi enormemente distante da ciò che ne pensano le donne e gli uomini comuni.

In effetti tutti quegli stupidi che straparlano di gender senza averci mai capito niente si fanno rispondere che, come ho detto anche io spesso, la teoria del gender non esiste. Questo però tecnicamente non è esatto, perché anche quella proposta e difesa dalla chiesa cattolica è una ideologia gender, una delle tante possibili: “la natura ci fa uomini e donne eterosessuali, il resto è un’offesa al creato cioè a Dio, vallinferno punto”. Dire che non esiste è una tattica produttiva?

Ma se sono delle tattiche bisogna capire se funzionano, se raggiungono gli obiettivi. Forse localmente questa tattica è vincente, forse negare la propria radicalità per entrare nelle scuole, nei festival, negli ospedali, nelle istituzioni è efficace; ma ho dubbi sulla bontà strategica di questa ritirata nella non-esistenza. Mi ricorda una delle mosse che ha fatto la sinistra italiana per raggiungere la propria estinzione negli ultimi vent’anni.

Méttece ‘na pezza… (per gli esterni al GRA, la traduzione è: “non è facile da confutare, questo punto di vista”). E a proposito di pezze, a sostenere che l’ideologia gender non esiste si corre un altro rischio, come sottolineano Federico Zappino e Deborah Ardilli:

Sarebbe poco interessante replicare alle argomentazioni di ciascun negazionista, così interessato a sostituire idraulicamente la teoria del gender con gli irenici “studi di genere”, o con i programmi scolastici di “educazione alle differenze” volti alla decostruzione degli stereotipi o alla promozione di un maggior rispetto per le “diversità”, o a bacchettare col dito alzato sulla parola “teoria”, sostituendola con il plurale “teorie”, o con il rocambolesco “teorizzazione”. Sarà sufficiente digitare su qualunque motore di ricerca “la teoria del gender non esiste” per avere una panoramica sufficientemente ampia dell’allucinato dibattito in corso. Quale che sia il nostro giudizio sugli “studi di genere”, sulle “teorie” al plurale, sulle equilibriste “teorizzazioni”, sulla bontà della decostruzione degli stereotipi o sull’auspicabilità di una società più rispettosa, reputiamo innanzitutto più importante rinunciare a fare atto di sottomissione ai termini del discorso così com’è impostato, poiché attraverso questo discorso l’eteronormatività tenta di mettere una pezza ai problemi che essa stessa ingenera.

E anche questo è vero: a furia di dire che non esiste si assume come valido il paradigma discorsivo di chi il gender non lo vuole, e certo non si fa un favore a quel modo di vedere il mondo liberatorio e auspicabile per tutt* che invece l’eteronormatività continua a volere per sé, “concedendolo” più o meno e in vario modo a chi eteronormale non è. Rimane il fatto che non si può parlare allo stesso modo col parroco di Cerveteri e con Marzano e Muraro, che negano – loro sì – l’esistenza di qualunque gender non corrisponda alla loro ideologia. E allora?

Diceva qualcuno: tattica ed etica

Faccio un esempio personale, a proposito di esistenza o meno di ideologia gender.norwegian_glbt_pride_flag_postcard-r85f11401be624623bdb6c8ed413a7044_vgbaq_8byvr_512

Qualche settimana fa trovo sul solito gruppo facebook di difensori della famiglia naturale e di tutte le altre cose belle della chiesa loro ma non delle altre un link a questo documentario norvegese, nel quale il comico Harald Eia avrebbe fornito prove per le quali «il governo norvegese ha ritirato il finanziamento al Nordic Gender Institute nato a sostegno dell’ideologia del gender». Facciamo finta che queste parole abbiano un senso, e chiediamoci: mo’ che faccio?

Io ho fatto una cosa credo molto sensata: ho chiesto a una persona affidabile che sa il norvegese perché vive in Norvegia di aiutarmi a capire se quello che viene detto nel documentario, e ciò che si racconta di esso, è vero ed è andato proprio così. Con facebook è facile eh, è fatto apposta per conoscere gente. Non lo usate solo per farvi gli affari degli altri, ogni tanto usatelo per fare anche i vostri. Ne è risultato che, parole di Cinzia Marini che ringrazio per l’aiuto,

il centro di ricerca interdisciplinare per gli studi di genere non è stato chiuso. Nel 2012 il Consiglio nazionale per le Ricerche norvegese ha tagliato temporaneamente i fondi ad uno specifico programma di ricerca di genere, integrandolo in un programma di ricerca più generale. Il centro è ancora aperto e attivo come vedi dalla versione inglese del loro sito. Dopo il programma di Eia, che era tendenzioso nella scelta degli interlocutori ma ben fatto, sono divampate le polemiche. Quello che ha evidenziato sono debolezze non negli studi di genere tout court, ma indubbiamente in certi ricercatori, nelle loro attitudini e nel modo di esprimersi, che naturalmente hanno portato all’assurdo certe differenze di paradigma. Le critiche fatte in Norvegia sono soprattutto riferite all’impenetrabilità di certa ricerca e al linguaggio usato, oltre che alla mancanza di aperture verso il paradigma biologico, ma non hanno mai messo in discussione l’esistenza e la necessità degli studi di genere. Cathrine Egeland e Jørgen Lørentsen, i due ricercatori intervistati, sostengono che Eia ha tagliato passaggi centrali dalle loro interviste. Secondo me non ci fanno una bella figura. Cathrine Egeland lavora oggi all’istituto per al ricerca sul Lavoro dell’Università di Oslo, sempre su studi di genere. Nel 2012, dopo il programma, ha tra le altre cose pubblicato questo rapporto. Jørgen Lørentzen, l’altro ricercatore, ha fatto ricorso al Comitato etico dei Giornalisti accusando Eia di aver tagliato e redatto gran parte della sua intervista. Su questo sito, purtroppo in norvegese, puoi vedere i due spezzoni (quello intero e quello redatto) a confronto: Dette sa Lorentzen til «Hjernevask». Lørentzen parla ad esempio molto del fatto che alcune teorie riducono l’essere umano al suo genere, mentre la faccenda è molto più complicata. Registri, emozioni, capacità di cui veniamo privati. Dice anche chiaramente, a proposito di domande precise sulla biologia, “questo non lo so, non è il mio campo”.

L’ideologia gender esiste anche se forse i due ricercatori norvegesi non l’hanno sostenuta molto bene, e anche se un comico con grossi pregiudizi – il suo documentario era certamente orientato verso una tesi da dimostrare a tutti i costi – prova a sostenerne l’infondatezza. L’uso strumentale, arbitrario e in evidente malafede della faccenda è un’ovvia conseguenza, quando si hanno amici politici come il parroco di Cerveteri.

In questo caso ci vuole un po’ di attrezzatura in più del solito – compresa un’onesta amica che vive in Norvegia – ma rimane il fatto che chi costruisce discorsi oppressivi alla fine viene fuori chi è, anche se invece di inventarsi balle, diffamare e parlare a vanvera oppure cantilenare ipocrisie perché sta in cattedra fa un bel documentario tecnicamente perfetto e apparentemente oggettivo.

norway_gay_pride_tshirt-r1dc9e7c2e76646e789d5ac7f557d2c6c_8nhmm_512Bene, la critica l’ho capita e starò più attento: invece di dire l’ideologia gender non esiste dirò «queste stronzate che vai dicendo sono solo pietose difese, non sai neanche di che stai parlando quando usi quell’espressione», oppure «non provare a rigirare le cose come ti fa più comodo, sai solo manipolare le chiacchiere», o anche «egregi* professor* non provi a nascondere o a dedurre cose perché non ci casco, lei è un* ipocrita»Il tutto seguito da argomenti convincenti non su qualcosa che non esiste, ma su qualcosa che esiste e che evidentemente è molto fastidiosa per chi ha un qualche potere patriarcale.

Anche io, in fondo, sono un ideologo del gender.

Dice che io normalizzo la pedofilia

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Eh, sì, pare di sì. Lo ha praticamente scritto nel suo blog un tizio che non conosco con il quale ho molte cose in comune, ma decisamente almeno una no; decidete voi quale.

http://testadelserpente.wordpress.com/2014/11/19/gender-nelle-scuole-lo-stato-contro-le-famiglie/

Questo tipo vive nel mio stesso quartiere, ha studiato le stesse cose che ho studiato io, ha più o meno gli stessi titoli di studio che ho io. Io non ho scritto nessun libro su nessuna madonna, però, e ho una decina d’anni di più. E lui sostiene una cosetta tipo questa:

Ciò che sembra un avanzare nel campo dei diritti e delle libertà personali, è invece una campagna tesa ad eliminare ogni differenza tra maschio e femmina (considerati vecchi stereotipi imposti dalla cultura cattolica) e che corre a grandi passi verso la ipersessualizzazione dell’infanzia e – a lungo andare – verso una normalizzazione della pedofilia.

Fa parte di quella intelligencija – hanno studiato, come potete vedere – che produce campagne “d’informazione” come questa, Capire il gender in meno di tre minuti.  Persone che si riuniscono, organizzano, si mobilitano in difesa di quelli che sono i loro “valori”. Qui un prossimo imperdibile appuntamento: notate bene, senza il “contraddittorio” che tante volte viene richiesto da chi s’è inventato una inesistente “teoria del gender”.

Seguite i link in quella pagina. “Valori” che consistono in una lettura distorta e misitificatoria di testi che non vogliono capire – e fin qui niente di male, nessuno li obbliga – che parlano di cose che non gl’interessano – e anche qui nessuno ha nulla da obiettare – ma che li spinge a una sistematica azione di falsificazione di parole altrui; loro che tanto rispettano il verbo solo quando viene da chi pare a loro, tanto da inventarsi qualcosa che non esiste, la “teoria del gender”. Provate a scrivere queste tre parole su Google. Usciranno al 90% testi allarmisti, che gridano ai loro diritti lesi, alla fine dell’umanità, allo stupro di massa dei bambini.

Ai loro diritti lesi. I loro diritti di sedicenti “normali”. Gli altri? All’inferno.

E con lo stesso banale e commercializzato e mainstream strumento quale Google, bastano tre clic per sapere la verità. Tre clic, saper leggere, e avere voglia di conoscere le persone. Perché poi, se chiedi un confronto con questa gente tanto attrezzata intellettualmente, scappano (qui il resoconto di uno dei tanti casi). Chiedetevi perché.

Chiedetevi il perché di un nome che non è mai esistito prima di questi fondamentalisti cattolici che se lo sono inventato. Chiedetevi perché mettono in campo organizzazioni, soldi, testi, campagne informative, pur di sostenere l’insostenibile. Chiedetevi perché tanto accanimento verso un – inventato – allarme sociale, e quasi niente di questo fervore intellettuale e politico quando si tratta di ben più gravi e inquietanti fenomeni (e linko la cosa più facile e ovvia eh, manco tanto approfondita) dei quali, se non direttamente responsabili, molti cattolici sono spesso silenziosi complici d’ipocrisia – fenomeni che continuano, aumentano, si diffondono, crescono, intanto che per i loro “valori” montano su la battaglia civile contro una fantomatica “teoria del gender”.

Cosa sta dicendo questo tizio a me? Mi sta dicendo che io sono un pedofilo. Io che educo i miei figli al rispetto di qualunque diversità – anzi, a smetterla di pensare in termini di normalità e diversità – sono uno che li vuole stuprare, perché andrei «a lungo andare – verso una normalizzazione della pedofilia». Non ho nulla da contestare a chi si costruisce un dio che tanto alla fine ti perdona e al quale fai comunque pena, tanto lui tace; mi fa però un po’ schifo che tu parli d’amore mentre accusi a vanvera di cose orribili chi non la pensa come te – e scappi, invece di parlarci.

Davvero complimenti e grazie per le belle parole.

P.S. Aggiungo il giorno dopo questo link nel quale Antonio Esquivias, cattolico spagnolo, racconta qualcosa a proposito di alcuni “valori”.

Deconstructing la frittata

320px-Frittata2La colpa è, probabilmente, dei numerosi programmi televisivi dedicati alla cucina, agli chef, all’assaggio e ai fornelli, ma è evidente che sempre più parti politiche hanno assimilato come tecnica di comunicazione politica il gesto che migliaia di cuoch@ e casalingh@ fanno in cucina: rivoltare la frittata.

Che lo facciano con l’aiuto di un piatto o del coperchio della padella, che lo facciano con un colpo di polso degno di Henri Leconte, rigirare la frittata è uno dei più straordinari casi in cui una innocente e necessaria pratica culinaria si è trasformata nella moda politico-retorica del momento. Il rivoltamento è usato ormai sia da poteri ben consolidati che da poveracci che non se li fila nessuno; o perché inefficaci i tradizionali metodi di oppressione, o per avere un po’ di visibilità tramite discorsi fantasiosi, entrambi tentano di colpire l’avversario politico facendolo passare per oppressore, maligno, insidioso, brutto&cattivo – mentre loro sono tranquilli paciosi a vogliono solo parlare.

Proveremo a fare un deconstructing un po’ diverso dal solito, tanto per capire di che stiamo parlando; anche senza occuparci nel dettaglio di tutti, è importante riportare qualche esempio, raggruppato per comodità in grandi categorie. Il resto starebbe a voi – “e mica posso fa’ tutto io!” (cit.)

1) Ai cattolici viene limitata la libertà d’espressione.

Questa splendida frittatona gira alla grande da quando Ivan Scalfarotto ha fatto la sua proposta di legge, per ora approvata dalla Camera, che introduce un’estensione alla cosiddetta “Legge Mancino“, estensione che a leggerla per intero è una pippa notevole ma che nella sostanza consta di queste due frasette due:

a. istigare a commettere o commettere atti di discriminazione per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
b. istigare a commettere atti di violenza per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni

Ci vedete qualche accenno alla libertà d’espressione, alla libertà d’opinione, e altre cose del genere? No, dovrebbe bastare saper leggere. Ma i nostri ipocricattolici son partiti armati di fede speranza e carità per l’ennesima crociata a difesa del loro(?) pensiero, minacciato dalle forze del male: gli omosessuali. Ed ecco che da quel giorno battono il tamburo della libertà minacciata, una colossale panzana che solo in un paese dove una suora vince un reality show musicale poteva attecchire così bene. Leggete qua (un esempio qualunque, preso a caso tra gli ultimi usciti) di che stronzate colossali sono capaci:

«È utile ricordare – affermano le Sentinelle in Piedi in una nota – che se tale proposta dovesse diventare legge chiunque affermi che un bambino per crescere ha bisogno di una mamma e un papà potrebbe essere accusato di omofobia e rischiare di essere condannato ad un anno e sei mesi di carcere. Lo scorso 15 marzo a Piacenza eravamo 350 Sentinelle in Piedi, un successo straordinario, ma è tempo di far sentire di nuovo il nostro silenzio, perché impedire a qualcuno di esprimere la propria opinione è il primo passo verso la dittatura. Diverse volte negli ultimi mesi, le veglie delle Sentinelle in Piedi sono state fortemente contestate e accusate di omofobia. Non è che la conferma di quanto sia urgente la nostra mobilitazione, infatti, se oggi solo stando in silenzio nelle piazze si viene additati come omofobi, cosa accadrà domani, se e quando la legge sarà approvata?»

Carissime sentinelle, ma che andate dicendo? E’ una vera e propria falsità, una balla, una sciocchezza, una stuipidaggine. Ma chissenefrega – e chi se n’è mai fregato – delle cose che pensate e andate dicendo: so’ problemi vostri. Quella legge, c’è scritto sopra, non serve per i pensieri né per le espressioni, serve proprio per tutt’altro, c’è scritto: atti di discriminazione o atti di violenza, e le vostre idee circa l’omosessualità, finché rimangono idee, non danno alcun problema – al massimo schifo o pena, tutto lì. Però fare le vittime fa comodo, e adesso vorreste passare per paladini della libertà invece che per ipocriti; i quali vorrebbero addirittura sentirsi chiedere scusa per aver anche solo paventato la possibilità di avere una legge che punisce gli atti omofobi. E attenzione, amici cattomofobi: se ne sono accorti anche personaggi molto preparati di questi trucchetti retorici sulle questioni di genere. Sarà sempre più difficile farci cadere la vostra amatissima “opinione pubblica”, in piedi o seduta che sia. Complimenti per la frittata, davvero.

2) Le vere vittime sono gli uomini, altro che “violenza sulle donne”.

Beh, questa invece è una specialità della casa (patriarcale) che va avanti da un pezzo, sempre in nuove versioni e fantasie elaborate dagli chef professionisti come dagli smaneggiatori di fornelli occasionali. Ce n’è per tutti: potete trovare il dotto maschione che legge tanti libroni e li studia e fonda gruppi chiamandosi con lettere greche (quello che ama presentarsi come corretto, forbito e gentile), del quale recentemente ho letto questa meraviglia, in un aggregatore:

Tutto ciò che gli uomini avrebbero fatto nel corso della storia, quindi anche le grandi rivoluzioni, le grandi lotte per l’emancipazione umana, i diritti, la libertà, la democrazia, l’eguaglianza, il socialismo che li hanno visti protagonisti, e poi il lavoro disumano, lo sfruttamento e le immense sofferenze a cui sono stati sottoposti, così come le scoperte scientifiche, la produzione filosofica e letteraria, l’arte (per non parlare delle religioni), sarebbe stato fatto con il proposito di opprimere le donne.
Questa è l’operazione filosofica/ideologica che sta alle fondamenta del femminismo in tutte le sue correnti e sottocorrenti, nessuna esclusa. La criminalizzazione del maschile è ciò che accomuna tutte le diverse determinazioni del femminismo, oggi declinato nella sua versione ancora più aggressiva, che è quella detta appunto del genderismo.

Fantastico, sublime, mirabile produttore di stronzate galatticohegelianmarxiste, il quale crea mostri a suo uso e consumo per parlare dei poveri ometti che non ce la fanno più a sopravvivere, sempre più angustiati dalle brutte donnacce (e da altri uomini che beneficiano della loro preziosissima arma, l’alphavulva). Questi girafrittate esistono anche nella versione statistico-sociale: certamente ricorderete il mitico avvocato “Tempesta” Mazzola (qui uno e due esempi dei suoi fallodeliri) il quale meno di due anni fa ci propinava paternalismi di questa levatura:

Ho perplessità sui numeri sparati a vanvera. Nessuno ad oggi mi ha difatti indicato una fonte ufficiale da cui trarli e la causa precisa delle morti e per mano di chi. Il “cianciare” era riferito al giornalismo pressapochista. Ho contrapposto numeri ufficiali che smentiscono l’allarme, anche se è giusto che vadano letti più nel profondo, dal generale al particolare. Un lettore ha ben citato la fonte del ministero dell’Interno che nega qualsivoglia allarme al riguardo. Dunque si stanno enfatizzando alcune morti per destare allarme e, come scritto prima, per imporre un femminismo d’assalto. Egemonizzante. Aggressivo come il tono usato nei commenti, vera cartina di tornasole del femminismo d’avanguardia (presunta).

Capito? Il problema è che non ci sono i numeri perché nessuno si occupa del fenomeno, ma il nostro fa finta di capire il problema e bea sé e il suo maschio cervellone dei “dati ufficiali”. Geniale, a modo suo. E tu, che ti sbatti per registrarli e diffonderli correttamente, quei numeri, tu sei il cattivo perché enfatizzi, strumentalizzi, aggredisci, imponi; sei brutt@ e cattiv@ femminist@, pussa via! Non c’è nessun allarme: com’è giusto per il loro virilissimo destino, muoiono sono i maschi per mano delle donne, eh.
Dite che è roba vecchia? Ma la frittata è sempre quella: quella dei poveri masculazzi ai quali sentirsi dire “puzzi forte, lavati almeno” significa che il femminismo gl’impedisce di scopare; quelli che le donne si approfittano della loro alphavulva per fare carriera e ottenere vantaggi, come se i vantaggi e le carriere venissero dati in cambio di sesso da un distributore automatico, non da un uomo come loro; quelli che le donne c’hanno tutti i vantaggi sociali ed economici, di che si lamentano? Però mai che facessero a cambio di vita, anche solo per un giorno (qui è riportato qualche discorso come esempio di tutto ciò, non vi aspettate link a quello schifo, basta usare Google); e poi i mitici articoli, che spopolano nei ghetti rosa, nei quali le conseguenze del sessismo – i pregiudizi sul “sesso forte” – vengono usate come prove che la società è più cattiva con i (tantissimi!) maschi che subiscono violenza.

Capito come funziona la frittata? A parte le letture ignoranti e mistificanti, il trucco è: quello che succede ai maschi lo descrivo come simmetrico di quello che succede alle donne, et voilà! la frittata è girata. L’avete sentita, questa frittata, anche nella versione più generalista “il femminismo è il contrario del maschilismo”: la considerazione del fatto che forse non si tratti di un rapporto simmetrico – perché quello tra oppressori e oppressi non è mai un rapporto simmetrico – non li sfiora proprio a ‘sti bei soggetti e soggette – guarda caso. E che quindi leggere i fenomeni di violenza di genere come fossero lo stesso fenomeno – solo con soggetti diversi – è manifestazione d’ignoranza quando non di malafede. Calda la padella, eh?

3) I genitori non possono decidere cosa studiano i figli.

Notoriamente della scuola pubblica non frega niente a nessuno (parlo della maggior parte dei politici di professione, stante ciò che ne hanno fatto dal dopoguerra a oggi) e la maggior parte dei genitori continua a pensare che la scuola debba fare qualunque cosa soprattutto perché maestri e professori sono una casta che si gode tre mesi di vacanze all’anno (stronzo luogo comune dal dopoguerra a oggi). Il risultato ce l’abbiamo davanti agli occhi: i genitori devo comprare pure la carta igienica e va bene così, ma se qualche docente illuminato – o qualche studente autorganizzato – porta dentro la scuola argomenti di genere, allora protestiamo! A scuola si porta di tutto da casa, compresi i pregiudizi.

Il caso degli studenti di Modena lo ricorderete, è un esempio perfetto. Ecco come si esprime l’associazione di genitori che lo ha contestato:

L’intervento di Luxuria al ‘Muratori’ non rispetta questa esigenza di pluralismo e rappresenta invece una vittoria del pensiero unico nella forma della cosiddetta ideologia del gender e una negazione della liberta’ di espressione e del contraddittorio.

Capito? Applicando il principio – stupido e distorto – divulgato da quella ridicola e ipocrita norma italiana della par condicio, “i genitori” (ma quali? Di chi? Indovina!) assumono che la sola presenza di una transgender a parlare sia la violazione di un supposto contraddittorio. E sì, perché lei è lì per fare propaganda politica, no? Lei è lì per trasformare tutti i virgulti italici in transgaypornozozzoni come lei, no? E così, salto mortale carpiato per la frittata: non c’è il contraddittorio – senza spiegare perché ci dovrebbe essere – e quindi quella è un’imposizione della potentissima lobby gaytransfrociazozza, che come sapete governa il mondo tramite il commercio dei boa di struzzo. Il contraddittorio, secondo questa gente ubriaca dei propri pregiudizi, dovrebbe esserci tra chi tenta di parlare di cose da sempre nascoste e marginalizzate con violenza, e tra chi tradizionalmente segue la mentalità oppressiva e distorcente che vige. Proprio un confronto alla pari, sì.

E giustamente l’attuale ministra dell’istruzione si accoda a questa propaganda meschina, e invece di ascoltare chi fa il lavoro di educatore da anni rispondendo a richieste di educazione sessuale che vengono dalle scuole stesse, pensa bene di aspettare ancora un po’ promettendo linee guida di concerto con le associazioni dei genitori, le quali infatti esultano. Esultano perché si tratta solo di alcuni e particolari genitori – voglio proprio vedere se e come Giannini sentirà in proposito il parere di Agedo, per esempio. Per ora, la frittata è girata: i genitori cattolici passano per quelli zittiti e messi in minoranza, ignorati e anzi ingannati da chi vuole sapere le cose senza contraddittorio. Complimenti.

La realtà, come sanno bene al di fuori da questo cattostivale, è che prima si comincia meglio è, perché i risultati, come spiegava ad esempio Lanfranco, sono a lungo termine:

Non si aspettano miracoli dal progetto educativo francese, perché ci vuole tempo, e molto lavoro, sulle persone adulte in primo luogo e poi sulle giovani generazioni affinché la mentalità, il linguaggio e la pratica quotidiana nelle relazioni tra i generi evolva in una direzione non sessista, paritaria e nonviolenta. Ma iniziare a farne anche una questione di come ci si esprime, come si gioca, come si vestono bambine e bambini è un buon inizio.

Qui, nel frattempo, gente sedicente di sinistra s’è vantata di essersi opposta al rapporto Estrela. Così, per dire, eh.

Oh, allora? Zucchine, porri, patate, spinaci… che ci mettiamo? L’importante è rivoltarla, ricordatevelo.