Deconstructing la bomba a orologeria – Micromega #6

analogue_time_bomb2Eccoci ad affrontare un altro capitolo del numero di Micromega sul corpo della donna. Brevemente diciamo la nostra sull’articolo, di Giulia Garofalo Geymonat su “La prostituzione tra abolizionismo, proibizionismo e legalizzazione”, che non esamineremo. Il suo è un discorso analitico sui modelli legislativi e le strategie applicati nei vari stati dell’Unione Europea confrontandoli continuamente con quanto accade in Italia soprattutto rispetto al dibattito sulla riforma/abolizione della legge Merlin. Tutto sommato non ci discostiamo dall’analisi di Geymonat, che si sforza di mettere in luce una complessità spesso abbandonata a favore della solita falsa divisione tra moralisti e liberali. L’unica cosa che ci preme sottolineare è l’ennesima scelta editoriale inadeguata al tema di Micromega: affinchè una panoramica di questo tipo possa divenire uno strumento interpretativo e trasformativo della realtà (chiaro obiettivo delle riviste di approfondimento) era necessario secondo noi coinvolgere le soggettività direttamente nella scrittura e non affidarla a ricercatori/ricercatrici che per quanto bravi e e puntuali quella realtà, non la vivono direttamente: avremmo forse perso nella visione globale della faccenda ma ne avremmo guadagnato certamente in autenticità.

L’articolo successivo è invece figlio di quella logica che Geymonat, dicevamo, giustamente rifugge ed è così tipica invece, di chi o non ha molto da dire oppure non riesce a tirare fuori la complessità di una questione, oppure ancora sostiene tesi insostenibili pur di apparire su una rivista importante. Si tratta dell’articolo “L’assistente sessuale per i disabili: una scelta di civiltà”, di Alessandro Capriccioli. In sè già il tema non ci richiama proprio a delle urgenze nel dibattito complesso sul corpo della donna, bensì temi diversi e anche più generali; comunque leggiamo con curiosità.

Nell’introduzione si afferma, come poi più avanti nel testo innumerevoli volte, che la figura dell’assistente sessuale è legale in paesi più evoluti del nostro, dove un discorso moralista legato alla religione cattolica che condanna il sesso, fa sì che non sia riconosciuta l’innegabile utilità dell’assistente sessuale. Ma il problema di fondo in questo articolo lo si intuisce da queste poche parole:

Un disabile che non si può esprimere sessualmente diventa una bomba a orologeria.

EH? In che senso una bomba a orologeria? Proviamo a farcelo dire.

Si apre subito uno scenario molto confuso: lo scopo [è] di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria o psichico-cognitiva [è quantomeno controverso parlare di una disabilità psichico-cognitiva senza specifiche importanti, secondo noi] a vivere un’esperienza erotica, sensuale e sessuale [che sono tre cose profondamente diverse; e poi, come si fa ad assistere una persona nel vivere un’esperienza erotica? Sensuale? Quali competenze dovrà mai avere, non andrebbero discusse prima? Poi, soprattutto, non si chiama assistente “sessuale”?]

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Ci viene chiarito di nuovo da una citazione che l’assistente sessuale è fondamentale, al di là delle nostre convinzioni moraliste. A proposito, fuori da questo ritornello ipnotico: qual è il nesso con il titolo della rivista? Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento si collega alle assistenti sessuali oppure alle disabili? Finora a nessuna delle due in modo specifico. Per esempio:

Del resto il rapporto con il desiderio sessuale e la sua realizzazione concreta è uno dei problemi più spigolosi e angoscianti che le famiglie dei disabili si trovano a dover fronteggiare nel delicatissimo (e spesso altrettanto trascurato) momento del passaggio all’età adulta: il più delle volte senza disporre degli strumenti e del sostegno per riconoscerlo, accettarlo per quello che è, collocarlo nella giusta prospettiva e preoccuparsi di dargli una risposta soddisfacente. E perciò, per lo più, negandone l’esistenza, allontanandolo e facendo finta di non vederlo.

Possiamo anche essere d’accordo ma: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Da un lato, quindi, la questione svela fatalmente una serie di tabù che la nostra società ha in qualche modo metabolizzato e nascosto [non l’avessimo capito dopo n-volte, lo ripetiamo], ma che attraverso il dibattito sull’assistenza sessuale tornano a mostrarsi in tutta la loro virulenza; dall’altro lascia intravedere il pericolo che i destinatari delle prestazioni, specie quelli con disabilità mentali, non siano in grado di gestirne l’impatto senza sviluppare forme di dipendenza potenzialmente pericolosissime.

Ma infatti, come si fa a parlare allo stesso modo di sessualità e disabili, senza specificare un minimo il grado di disabilità? Lo spettro di possibilità è enorme, e non ha senso rivolgersi a tutte le situazioni nello stesso modo.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Un’altra cosa poco chiara di questo articolo è che non si dice mai chiaramente se si  sta parlando di una assistenza o di una terapia. Cosa fanno gli assistenti sessuali?

Insegnano alle persone a masturbarsi e provvedono a fornire loro un aiuto materiale, fino a occuparsene fisicamente al loro posto, qualora non siano in grado di farlo, si prestano direttamente a rapporti sessuali, limitandosi alla fellatio o al cunnilingus oppure spingendosi fino alla penetrazione, per chi è considerato poco desiderabile a causa della propria disabilità e quindi ha difficoltà a trovare un partner; aiutano fattivamente le coppie che vogliono avere un rapporto sessuale soddisfacente a porlo in essere, partecipando al rapporto stesso e diventandone, in un modo o nell’altro, parte integrante.

Bene. E allora perchè Capriccioli si dispera? Perchè è lontano il giorno in cui

tale figura professionale, così come le altre figure a sostegno della disabilità, non sia riconosciuta come attività regolarmente esercitabile a pagamento, ma venga inserita fra i servizi assicurati dai livelli essenziali di assistenza, e quindi fornita gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.

Sostanzialmente d’accordo con Nappi, in questo stesso numero di Micromega, Capriccioli confonde quindi il benessere con la salute e ne condivide il teorema per cui se l’uomo non eiacula diventa violento – ricordiamoci che la bomba a orologeria è lui. Eppure basta Wikipedia per venire a sapere – se uno se lo fosse scordato – che l’organismo maschile ci pensa da solo a smaltire lo sperma in eccesso, non c’è bisogno di alcuna assistenza. E la confusione è tale per cui si parla spesso, nell’articolo, della necessità di una preparazione professionale, se ne testimonia la difficoltà, ma non si specifica mai di cosa si tratta, e in ogni caso non si parla mai di una preparazione medica. 

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Quello che non viene mai chiaramente detto da Capriccioli è che se il problema è una vita sessuale appagante, allora non serve il “terapista” ma l’assistente, che spiega e insegna come attuarla a seconda delle disabilità. Se invece il problema è eiaculare o avere un orgasmo ogni tanto, questo non è un problema medico, perché a non avere un orgasmo certamente si vive male, ma di astinenza non è mai morto nessuno. E’ un problema culturale, di un ambiente sociale che misura la felicità col numero di orgasmi a settimana e che quindi condiziona anche il disabile, che vive in quella cultura. Dunque compito di chi divulga alcune informazioni non sarebbe quello di avallare questa tendenza, ma di combatterla per trasformare la realtà a vantaggio della verità e del benessere (qui sì, vero) reale e spirituale delle persone.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

Tanto per cominciare, non sarebbe una scelta di civiltà scrivere le cose in maniera chiara e competente?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Perché, chi è perfetto?

Sulla Bahnhofstrasse di Zurigo il 2 dicembre sono comparsi, nelle vetrine di un negozio di abiti, dei manichini inusuali. Le reazioni dei passanti sono state di stupore, dato che questi manichini rompevano la serialità del modello umano idealizzato, che di norma fa mostra di sé nelle vetrine, e riproducevano corpi affetti da disabilità fisiche.

Si tratta di una campagna promossa dall’associazione ProInfirmis.

Come ripete una delle frasi più condivise di facebook: “Non siamo nati per essere perfetti ma veri.” Nessun corpo vero è seriale. Quindi, avvicinatevi!

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I manichini disabili susciteranno sguardi attoniti sulla Bahnhofstrasse di Zurigo oggi.
Tra i manichini perfetti ci saranno figure scoliotiche o con la malattia delle ossa fragili, come modelli all’ultima moda. Uno avrà gli arti corti, l’altro la spina dorsale malformata. La campagna è stata ideata per la Giornata internazionale delle persone con disabilità da Pro Infirmis, un’organizzazione per disabili. Intitolata “Perché, chi è perfetto? Avvicinati”, è stata progettata per provocare una riflessione sull’accettazione delle persone con disabilità. Il direttore, Alain Gsponer, ha documentato la campagna con un cortometraggio. I manichini sono rappresentazioni tridimensionali, a grandezza naturale, di Miss Handicap 2010, Jasmin Rechsteiner, del conduttore radiofonico e critico cinematografico Alex Oberholzer, dell’atleta Urs Kolly, della blogger Nadja Schmid e dell’attore Erwin Aljukic.
“Inseguiamo spesso degli ideali invece di accettare la vita in tutta la sua diversità. Pro ​​Infirmis si sforza soprattutto di promuovere l’accettazione della disabilità e l’inclusione delle persone con disabilità”, dice Mark Zumbühl, membro di Pro Infirmis Executive Board, descrivendo la campagna.*

*Testo a commento del video su youtube, traduzione di Serbilla.

Vi presento Jes

Rivendicando lo sguardo: Jes Sachse e il potenziale trasformativo dell’osservare.

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Tutti amiamo guardare. Mentre l’atto di fissare è generalmente percepito come un atto da evitare o di cui vergognarsi, Rosemarie Garland-Thomson, studiosa di disabilità e women studies, afferma che lo sguardo, nella sua accezione migliore, ha in realtà il potenziale di creare nuovi significati e società più aperte. Lo sguardo, nell’accezione di Thomson, ha il potenziale per aiutarci a ridefinire il linguaggio che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri, creare spazio per coloro che si trovano più spesso esclusi dalle comunità, e forgiare le nostre identità. Lo sguardo è più dinamico e produttivo quando il soggetto dello sguardo, la persona che viene guardata, è in grado di esercitare un certo controllo sull’interazione, e così facendo presentare la propria storia alla persona che guarda. Leggi tutto “Vi presento Jes”