Come riconoscere un anarcomachista

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Illustrazione di Suzy X

L’anarcomachista è aggressivo, competitivo fino all’eccesso. Elitario, paternalista; più puro dei puri e più forte dei forti. Riesce misteriosamente ad essere dogmatico pur professando il suo odio per ogni dogma. Persegue la coerenza in maniera totalizzante e obnubilante, ignorando che in un mondo di contraddizioni sociali tale perfezione non può esistere. Insegue l’alienazione delle politiche che porta avanti nella stessa maniera in cui egli pensa di porsi di fronte all’esistente: senza compromessi.

L’anarcomachista è misogino ma può non sembrarlo. La sua pericolosità è direttamente proporzionale alla sua capacità di mimetizzarsi come “bravo compagno” o come individuo non stereotipicamente maschilista. Può essere qualunque uomo. E di tanto in tanto, persino qualunque donna.

L’anarcomachista rincorre la logica del martirio e pensa che sia giusto e necessario che chiunque faccia altrettanto. Non tutt* vogliono o possono essere picchiat* e incarcerat*, ma a lui non importa. Perché pensare all’orizzontalità e all’incolumità altrui quando si può godere di un trip testosteronico con lo scontro di piazza fine a sé stesso, tatticamente inutile? Non si pone mai il problema di aver sovradeterminato le decisioni e le voci altrui: non lo farà né per il destino di una manifestazione, né per altro.

L’anarcomachista pensa di vivere in una bolla di sapone al di fuori della società, immune alle influenze aliene dei contesti oppressivi da cui emerge, pertanto sente di non avere alcuna responsabilità nell’aumentare la consapevolezza dei suoi privilegi e oppressioni e men che meno quella di combatterli. Ove necessario, ne nega l’esistenza – o peggio ancora, si proclama fintamente suo nemico, ingannando compagne e compagni di lotta. I quali non se ne accorgeranno per molto ancora: si dice che i fatti contano più delle parole, ma se i fatti contraddicono l’immagine idealizzata che si ha dell’ambiente sovversivo e dei suoi abitanti, allora le parole pare proprio vadano più che bene.

L’anarcomachista è emozionalmente impedito, e arroccato nella sua corazza di cinismo e distanza emotiva, prova una profonda paura di ogni cosa che non sia lineare, razionale, e risolvibile con due punti sull’ordine del giorno. Non sbaglia, non si scopre e non si mette mai in discussione: la sua lotta è sempre e comunque votata alla superficialità.

L’anarcomachista non si fida di nessuno, specialmente delle esperienze delle persone su cui ha potere, alle quali risponde in maniera dismissiva e trivializzante.

L’anarcomachista è un capolavoro di narcisismo. Si sente legittimato a colonizzare ogni discorso, ogni spazio, ogni sentimento, ogni corpo. Vuole essere ascoltato, ma non è disposto ad ascoltare: non è infrequente vederlo palesemente scocciato e annoiato quando gli si parla di questioni che crede non lo riguardino. Basta una vaga avvisaglia di critica politica per farlo andare sulla difensiva.

L’anarcomachista dimostra spesso, nelle sue interazioni sociali, una propensione a battute e linguaggi sessualizzanti (nei confronti delle donne) e omotransfobici. I gruppi, collettivi, organizzazioni a cui partecipa sono caratterizzati da un altissimo ricambio di persone, le quali fuggono esauste e infastidite da lui, dai suoi comportamenti e dai silenzi collettivi che ne consolidano la posizione. Talvolta i componenti di questi gruppi, collettivi, organizzazioni si domandano il perché di questi esodi, ma sembrano non accorgersi del fatto che essi sono compiuti principalmente da persone svantaggiate in qualche asse di privilegio.

L’anarcomachista prende posizione: o sei la soluzione o sei parte del problema. Questo soltanto finché il problema è fuori dalla sua portata. Se un suo amico, parente, compagno abusa verbalmente, emozionalmente, psicologicamente, fisicamente o sessualmente di qualcun*, questa sua capacità improvvisamente sparisce e lascia il posto a una silenziosa, pacifica, violenta equidistanza. Non comprende che non credere alla vittima significa in automatico abbracciare la versione di chi l’ha resa tale.

L’anarcomachista riesce a riempire intere ore assembleari di lotte intestine, discussioni inutili e lunghe digressioni inappropriate piene di fuffa. Parla di teoria quando serve agire, e di azione quando serve pensare.

Riconosci ed estirpa l’anarcomachista che è in te e negli altri!

Dice che Robin Thicke c’ha il cazzo grosso

Un ineccepibile articolo scritto dal nostro pluritalentuoso amico Sdrammaturgo: Enjoy!

In this Country, you gotta make the money first.

Then when you get the money, you get the power.

Then when you get the power, you get the women.

 Da Scarface di Brian De Palma

 

Il problema non è la valletta nuda. Il problema è il presentatore vestito.

C’è questo videoclip di tale Robin Thicke.

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L’idea è semplice: fondo bianco, tre modelle nude dall’occhio vacuo che fanno balletti scemi e ammiccano intorno a tre cantantucoli trendy e cool che la sanno lunga.

In fondo sono sempre grato ai video rap sessisti: mi fanno scoprire ogni volta nuova passera mitologica di cui altrimenti avrei ignorato l’esistenza. E infatti in questo caso la brunette pallida è subito balzata nella zona Champions delle mie donne preferite.

Tralasciando la qualità della canzone in sé, che naturalmente è lassativa, il problema di questo videoclip non è tanto il sessismo, quanto il fatto che si tratta di un’occasione persa.

Pensate quanto sarebbe stato meglio così: nella prima parte, ragazze nude che fanno balletti scemi intorno a uomini vestiti di tutto punto. Nella seconda parte, cambio: ora le ragazze sono vestite eleganti e stavolta tocca ai ragazzi essere nudi e fare balletti scemi. Poi, tutti vestiti prima del gran finale in cui olé, tutti nudi.

Altrimenti, Robinthì, con questo video che m’hai voluto dire? “Sono ricco e famoso, sono un maschio alfa, sono pieno di figa sottomessa”.

Capirai che novità. A ‘sto punto sarebbe bastato un fermo immagine di quattro minuti e trentuno secondi sul tuo estratto conto.

E poi quella scritta, “Robin Thicke has a big dick”. Guarda che l’altro giorno negli spogliatoi della palestra in cui vado c’era uno che si vantava con un amico di avere il cazzo grosso.

Ma come, “sono un cantante famoso”, “vado alle feste con le modelle di intimo”, “frequento la gente che conta”, “Hugh Hefner me fa ‘na pippa”, per poi esprimere gli stessi concetti di uno che va in una palestra sulla Tiburtina?

E annamo, e daje.

E bada bene, non ti sto facendo la solita morale veterofemminista sulla mercificazione di qua e il corpo delle donne di là e l’omologazione dei canoni estetici di sopra e l’interiorità di sotto.

Io tra Emma Goldman e Melissa Satta uscirei con Melissa Satta, figurati.

Ho gusti estremamente convenzionali. L’occhio vacuo me piace pure. E ti dirò, la trovata delle modelle strafighe che fanno balletti scemi non mi sa manco male.

Di 73.272.161 visualizzazioni che hai ottenuto, 73.272.160 sono le mie.

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L’arrapamento mi ha fatto pure passare sopra alla presenza dell’agnello spaurito. Come dire, talvolta il mio antispecismo finisce dove comincia il mio testosterone.

Probabilmente ho più cose in comune con te che con un responsabile di un centro antiviolenza.

Mi piace la figa quanto te. Anzi, pure più di te, considerando che ne ho molta meno di te, data la mia posizione sociale.

Pensa che non riesco nemmeno ad avercela coi manifesti pubblicitari sessisti, perché uscire ed essere circondato da culi sodi mi mette fondamentalmente di buonumore.

Quello che mi offende dei manifesti pubblicitari non è l’uso del corpo femminile, ma la pubblicità. Se sui cartelloni ci fossero donne bellissime fini a loro stesse che non pubblicizzassero nessun marchio se non la propria stessa avvenenza, non avrei niente in contrario. E poi vedere veterofemministe scandalizzate è per me sempre motivo di gaudio.

Bellezza gratuita a mo’ di memento: “Ricordati che tutto sommato vale la pena vivere”.

Di contro, la pubblicità anche senza l’uso del corpo femminile mi esorta ad augurarmi l’estinzione della specie.

Però mi chiedo: perché solo e sempre le donne? Perché noialtri dobbiamo rimanere sempre vestiti?

Certo, perlopiù siamo quasi tutti brutti, sono d’accordo. Ma di uomini che meritano di avere la propria nudità esposta ce ne sono, eh.

Tu stesso sei un bel ragazzo, non ci sarebbero state affatto male le tue chiappe in bella vista accanto a quelle delle tre superbone.

Il paritarismo a cui anelo io piacerebbe pure a te, sono sicuro: tutti nudi.

Quindi, visto che tanto ti sono eternamente debitore per avermi messo al corrente delle tette di Emily Ratajkowski, per il prossimo videoclip chiamami e ci penso io. Qualche idea più originale di quella la escogito di sicuro.

Non temere, ti garantisco che ci saranno persino ancor più modelle ignude. Ma mi auguro che quanto appare scritto nel tuo video non sia una cazzata, perché con me il mondo scoprirà la verità.