Deconstructing la replica delle Malmaritate. Il marketing rosa e il ciuccio che vola

Asino perlesso.
Asino perplesso.

Riportiamo di seguito la replica delle Malmaritate alle critiche che abbiamo mosso loro in questo post. Di questa replica vi ringraziamo. Da parte nostra vogliamo rispondere con una decostruzione del testo, al fine di chiarire punto per punto la nostra posizione. In corsivo le parole di Serbilla [tra parentesi quelle di Lorenzo].

Facciamo seguito ad alcune critiche che ci sono state rivolte negli ultimi giorni.
Questa la nostra replica.

“Carissime amiche contrariate,

Neanche noi abbiamo mai avuto intenzioni belligeranti. Abbiamo mosso una critica politica a delle pubbliche affermazioni, riguardanti un lavoro pubblicato che ricade, per intenzione delle artiste, in questioni politiche di cui ci occupiamo. Di questo si tratta. Preciso che il mio articolo appartiene al collettivo e al collettivo appartengono più generi. Soprattutto, non sono contrariata, non dovete certo corrispondere a delle mie aspettative; le vostre dichiarazioni sono sconfortanti, preoccupano perché si inseriscono nel solco della retorica istituzionale che usa la vittimizzazione delle donne per opprimere e reprimere. La vostra azione – come quella di tanti soggetti che quotidianamente usano il brand “violenza contro le donne” – svuota di significato la lotta, che è una lotta politica. Politica, di impegno politico, di chi abita la polis per intenderci. Voi la abitate? se la abitate non potete sottrarvi dall’agire politico. Potete dichiararvi non femministe, ma questo è un posizionamento politico.

[«Amiche», perché se sei uomo non ti può neanche dare fastidio che qualcuna usi le parole a casaccio e te lo venga a dire, quando lo fai. Cominciamo bene.]

non essere femministe (sostantivo)

sostantivo

– non vuol dire ignorare, o peggio, disprezzare il femminismo (di cui tutte conosciamo i valorosi ed encomiabili trascorsi);

Non essere femminista significa non riconoscersi in nessun femminismo (diamo per scontato che attribuiamo a questa parola lo stesso significato), quindi non riconoscerli come validi strumenti di analisi e azione. Dunque come fate a parlare di encomiabili trascorsi? Ma, poi, trascorsi? Ora, adesso, in questo momento, ci sono nel mondo milioni di femminist@ che agiscono da femminist@ anche per voi. Chiaramente non essere femminista è una posizione legittima, che andrebbe però argomentata, data la volontà espressa di volersi impegnare nella lotta alla violenza contro le donne, cosa femminista.

– non vuol dire esimersi dal compiere azioni femministe (aggettivo)

..e aggettivo. Questa è un’arrampicata sugli specchi spaventosa. Non siete femministe ma fate cose femministe. E’ come dire: compio azioni antirazziste,  ma non sono antirazzista. Oppure: compio azioni antifasciste, ma non sono antifascista. Ti dissoci dall’antifascismo ma, allora, perché compi azioni antifasciste?  Potete anche esimervi dal compiere azioni femministe, se non vi riconoscete nel femminismo.
Va be’ io ho capito però, la traduzione sarebbe: noi siamo contrarie alla violenza contro le donne, però non ne capiamo niente ed è meglio che diciamo di non essere femministe. Sbaglio?

[Il duck test è un metodo di ragionamento molto semplice: se parli come una femminista, fai cose femministe e agisci per lotte femministe, sei femminista. Però le Malmaritate vogliono sovvertire anche la logica più elementare. Perché?]

– non vuol dire fare SCIACALLAGGIO sulle disgrazie altrui.

Parlate di violenza contro le donne e lo fate il 25 novembre, due cose femministe che non riconoscete come tali. E’ un’azione di marketing come lo sconto dal parrucchiere l’otto marzo. La musica nutre l’animo e l’intelletto, il taglio di capelli nuovo ti fa sentire più carina. Approfittare della festa della donna e del 25 novembre per vendersi alle donne è marketing, il marketing non è filantropico.
Immagino a questo punto che non abbiate nessuna consapevolezza di ciò che fate, sempre parlando di dichiarazioni e tempistica.
[Come detto sopra, se fai una cosa “per le donne” il 25 novembre, fai marketing. Che si può chiamare sciacallaggio anche se il vostro CD costa “solo” dieci euro.]

Detto ciò, dire di essere femministe, dal nostro punto di vista, significherebbe appropriarsi indebitamente di un ruolo che non svolgiamo al 100%, sminuendo e strumentalizzando di conseguenza il lavoro quotidiano di chi in questo “dignitosissimo movimento” impiega infinite risorse ed energie.

Avete presente quella volta in cui qualcuno vi ha fatto sentire a disagio, perché dedicavate troppo tempo allo studio del vostro strumento musicale e non abbastanza alle pulizie di casa? Avete presente quel senso di frustrazione? Quella rabbia perché voi volevate seguire la vostra passione e, maledizione, i piatti nella vaschetta possono pure aspettare! E se proprio nonno, papà, zio, li vogliono puliti, possono anche lavarseli da soli, che non ce le avetele mani?! Avete presente? Ecco, quella è rabbia femminista. Se avete pensato una sola volta “non è giusto che debba fare io questa cosa/debba rinunciare a questo, solo perché sono nata con la vagina” complimenti, dentro di voi siete femministe – ma non ve ne eravate accorte, a tutt@ capita così in principio, anche a chi non è nat@ con la vagina, ma è femminista lo stesso.
Essere femministe non è un “ruolo”, non c’è una patente che qualcuno vi dà dopo aver superato delle prove. Non c’è un partito, non c’è una chiesa. Si è femminista quando ci si comporta da femminista. Un’azione può essere oggetto di critica, ma nessuno può dirvi “non sei femminista”, perché la regola numero uno è: siete voi che vi dite femministe. Voi invece vi siete dette non femministe, per rispetto. Se vi dico che sapevo già che avreste risposto così, mi credete?

Il lavoro quotidiano di cui parlate, forse, è quello delle operatrici dei centri antiviolenza. Per quello ci vuole una formazione, ovviamente, ma essere femminista non si conclude in quello. I centri antiviolenza sono una delle espressioni del femminismo. Il femminismo non è un lavoro, è un modo di essere, questo modo di essere lo si porta in ogni azione quotidiana.

[Solo io noto che «appropriarsi di un ruolo» è una espressione molto “economically correct”? No, non solo io. E ci sarebbe sempre quell’anatra da sistemare: quel ruolo lo state svolgendo, se proponete qualcosa che andrebbe contro la violenza di genere.]

Ma forse questo è semplicemente un rispettoso scrupolo linguistico che ci siamo poste sin dall’inizio e che umilmente ci siamo adoperate a sottolineare in seguito.
Il nostro impegno si traduce
– nella lotta contro ogni tipo di violenza sugli esseri umani (e non)

Sì siete buone, anche se in questo momento non vi sembra così, pure noi lo siamo. Davvero!

– nel sostegno che, con non trascurabili sacrifici, offriamo incondizionatamente.

Mi fa sapere Jinny Dalloway che Thamaia, l’unico Centro Antiviolenza di Catania, è a rischio chiusura, potete devolvere il ricavato del cd a loro, questo sarebbe un gesto di sostegno concreto.

Forse ci sentiamo più genericamente FEMMINE UMANISTE, simpatizzanti femministe, irriducibili animaliste, inguaribili musiciste.

Io mi auguro che ci stiate perculando.  Perché “simpatizzante femminista” non si può sentire. Io simpatizzo blandamente per il Napoli perché sono napoletana, anche se non seguo molto il calcio. E sono antispecista, sempre perché mi posiziono. La mia non è una critica alla vostra musica, non mi permetterei. Da femmine+umaniste si genera facilmente femministe, state attente, non sia mai!

[Ciao, io sono molto trendy uscendomene il 25 di novembre con un CD e un progetto contro la violenza sulle donne, ma siccome c’è chi se ne occupa da qualche decennio e potrebbe vagamente sentirsi presa in giro, allora mi metto un bel nome nuovo che non significa niente così faccio vedere la mia unicità – delimitando perbene il territorio che non voglio spartire con nessun altr@: femmine umaniste. Che vuol dire? Niente! «Femmine» lo siete per forza, «umaniste» pure – e che volete essere “disumane”? “Non umaniste”? L’importante è che “femministe” no, mai, per carità.]

Con molta sorpresa e sgomento constatiamo un accanimento, forse un po’ esagerato, verso ciò che facciamo col cuore.

Due articoli non sono accanimento, sono niente rispetto all’eco delle vostre parole. Parole che viaggiano molto di più e molto più velocemente, accostate al nome di Carmen Consoli. Vi pare troppo severa la critica? voi fate le cose con il cuore, nessuno lo mette in dubbio, ma non basta.
Sottolineare più e più volte che non si ha niente a che fare col femminismo quando si tratta di violenza contro le donne produce l’effetto di delegittimare quelle persone che di antiviolenza si occupano da sempre, anche qunando il 25 novembre finisce. E questo crea un’onda di ritorno devastante, laddove è unicamente il femminismo che può fare qualcosa di concreto per risolvere definitivamente la questione.

[Le Malmaritate di femminismo forse sanno poco, ma di tattica politica sì: gli fai notare che stanno usando un linguaggio insensato, e loro chiamano le tue critiche «accanimento». A me pare lo stesso giochetto di certe sentinelle che, mentre vogliono soffocare i diritti altrui, gridano di essere in grande pericolo.]

Vi invitiamo a capire ed approfondire in maniera più appropriata la natura del nostro progetto e del nostro impegno prima di giungere (pubblicamente) a conclusioni affrettate e denigratorie.

Appare chiaro che non siamo noi a dover approfondire e riflettere. Nel momento in cui dite qualcosa pubblicamente, il pubblico che ascolta si fa un’idea ed esprime la propria opinione. Dato che qui ci occupiamo proprio di quello su cui vi siete espresse, noi abbiamo sentito il dovere di puntualizzare che depoliticizzare la tematica e fare marketing sulla violenza (anche involontario o “suggerito”), crea un danno. Dalla vostra risposta troviamo solo conferme.

[Ah, voi v’inventate definizioni e noi dovremmo «capire e(d) approfondire»? E come lo si dovrebbe fare poi, se non valutando quello che dite in pubblico? Complimenti. A proposito, c’è uno che sostiene che la d eufonica si mette solo tra due vocali identiche. Forse pure lui dovrebbe capire e approfondire?]

Vi aspettiamo, dunque, numerose al nostro fianco per continuare, ognuno con i propri mezzi e capacità, a camminare insieme come è giusto che sia.”
Malmaritate

Anche noi vi aspettiamo, gli strumenti sono a disposizione di tutt@. Ci auguriamo di trovarvi più consapevoli al prossimo giro.

[Numerose perché noi gli uomini proprio non ce li vogliamo, non siamo femministe, solo femmine umaniste e i maschi no, non possono continuare a camminare insieme.]

Serbilla e [Lorenzo]

Le sconfortanti dichiarazioni delle Malmaritate

prova2Qualche settimana fa mi sono trovata a parlare con l’ennesima donna che si è dichiarata “non femminista”, perché lei è “per tutte le persone”.
Sono sicura che a tant@ è capitato di sentirsi dire dalla propria interlocutrice, spesso una laureata, a volte addirittura una persona “di sinistra”, che lei non è femminista perché …il femminismo è un estremismo/è roba vecchia/non odio gli uomini.
Ho cercato di spiegarle che il femminismo è un movimento a favore di quella parte di persone che subisce una discriminazione (violenza fisica, psicologica, economica) in base al genere.  Che il femminismo, oggi, è per molte persone transfemminismo intersezionale. Non era convinta. Ho cercato di dire che prima del femminismo noi due non avremmo potuto fare tante delle cose che facciamo e diamo per scontate e, spesso, ci vengono ancora negate. Mi ha detto che il femminismo è una cosa del passato e non ha più senso. Ho pensato ai femminicidi, agli abusi sessuali e psicologici, alla femminilizzazione del lavoro, alla disparità economica, allo slutshaming, alla legge 194 distrutta, al mammismo senza diritti dell’Italia, all’impossibilità di dirsi serenamente felici di non essere madri, alla difficoltà che le donne continuano a incontrare in ambiti “tradizionalmente” occupati dagli uomini – rubati da molti di essi (mi ha anche detto che lei è per la meritocrazia). “Capisco – le ho detto – Forse tu non hai mai subito nessun tipo di violenza, forse non sei mai stata discriminata”. Si è colorata e ha risposto: “Certo che sono stata discriminata!”. E allora?

Soprattutto dopo il bailamme creato da Women against feminism, il tentativo di capire dov’è che si è sbagliato nella trasmissione dell’idea di lotta femminista ha condotto a numerosissime riflessioni sui movimenti femministi. In Italia, c’è chi dice che è colpa del femminismo della differenza, c’è chi dice che è colpa di SNOQ, c’è chi dice che è colpa del patriarcato, c’è chi accusa la mancata trasmissione generazionale o la scarsa attenzione istituzionale, anche l’eccessiva attenzione istituzionale che tutto ingloba o strumentalizza. La scuola, i media soprattutto. C’è stato anche il tentativo di accogliere ed ascoltare alcune delle critiche mosse. Personalmente non so di chi sia la responsabilità ultima, probabilmente è frammentata. Di certo c’è stato un fraintendimento colossale, derivante spesso dall’ignoranza o dall’adesione a una visione del femminismo figlia delle politiche di delegittimazione delle lotte sociali, specialmente quelle delle donne. Per alcun@ si tratta del rifiuto globale, più o meno consapevole, del più originale e fruttuoso schema di interpretazione della realtà storica passata e contemporanea, che ha messo in discussione una cultura basata su più forme di discriminazione ed esclusione. E’ complesso, indubbiamente, ma il femminismo ha il pregio di essere una forma di lotta che può generarsi anche dove una libro di storia del femminismo non è mai stato aperto. Anche in quel caso, però, è un atto politico, di messa in discussione radicale.
Molte di quelle persone che si dichiarano “non femministe”, poi si dichiarano contrarie a ogni forma di discriminazione.
Ma può esistere un femminismo non pensato e vissuto come tale? Può esistere antiviolenza senza biasimare la violenza? Può esistere antirazzismo senza il rifiuto del razzismo? Per alcune persone sembrerebbe di sì. Alcune persone riescono addirittura a dirsi dalla parte delle donne, a parlare di violenza contro le donne, dichiarandosi assolutamente “non femministe”. Onestamente non credo che possa esistere una lotta contro la discriminazione che non tenga conto della storia di quella lotta, dei suoi strumenti concettuali, a meno di non essere ingrat@ e di usare le questioni di genere per farsi pubblicità.
Per alcune persone si tratta di scarsa consapevolezza, la quale cosa atteaversa la nostra società, abita soggetti di varia estrazione sociale e formazione culturale e professionale. Questa scarsa consapevolezza è molto comoda per chi non ha nessuna intenzione di accogliere le richieste dei femminismi, richieste di diritti fondamentali, richieste economiche e di legittima libertà personale. E’ per questo motivo che ogni personaggio pubblico portatrice o portatore di questa scarsa consapevolezza danneggia tutta la società e, nello specifico, le persone che della discriminazione di genere sono vittime.
Per altre persone si tratta, invece, di depoliticizzare le questioni di genere, per non urtare la sensibilità di nessuno e poter vendere al meglio il proprio prodotto, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Anche qui, quindi, non dobbiamo confondere le ipocrite con le ignoranti.

Questo sembra essere proprio il caso, decisamente grave, delle dichiarazioni di un gruppo di musiciste che porta avanti un progetto musicale “a favore delle donne vittime di violenza”, dichiarando a destra e manca che non si tratta di femminismo.
Il progetto si chiama “Le Malmaritate” e, nato in seno all’etichetta discografica di Carmen Consoli, ne fanno parte Gabriella Grasso (voce e chitarra), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburi), Emilia Belfiore (violino) e Concetta Sapienza (clarinetto). Un progetto che si pone, addirittura, come luogo di ascolto per donne vittime di violenza. Dichiara Valentina Ferraiuolo, indicata come curatrice di progetti sociali:”Non c’è femminismo in questo (…) ma una grande autostima, reale; dei valori che abbiamo il dovere morale di divulgare”.
Vorrei chiedere alla cantante e tamburellista cosa significa “autostima reale”. Esiste un’autostima irreale? come si configurano e differenziano? Vorrei anche sapere quali sono questi valori, dei quali  il femminismo (quale femminismo?) non è portatore, ma che lei sente di dover divulgare, in contrasto con esso.
Ancora, in questo articolo, Gabriella Grasso dichiara che il loro è “Un viaggio nell’universo femminile (…) non uno spettacolo femminista”.
Quando la stessa Grasso fa riferimento ai matrimoni di interesse, ha presente che può mettere in discussione il contratto di matrimonio e il modello di famiglia sul quale si fonda, esclusivamente grazie al femminismo?
Rilasciato il 25 Novembre, la giornata mondiale in cui si celebrano i volti tumefatti e le false soluzioni a problemi purtroppo reali, appare come un’azione di marketing in rosa, in linea con le politiche “femminili” (appunto, non femministe, non radicali, non volte alla soluzione dei problemi) degli ultimi anni.
Il colpo di grazia viene dalla copertina. Una donna velata messa dietro un recinto, una di quelle in nome delle quali si imprigiona, tortura e bombarda secondo politiche di sovradeterminazione proprie della destra e sinistra islamofoba e neocolonialista, politiche che mai e poi mai metteranno in discussione la radice della violenza sulle donne, perché è proprio sulla discriminazione che fondano il proprio potere.
Quando vi dichiarate “non femministe”, delegittimando il movimento politico che ha portato in luce la lotta alla violenza contro le donne, rendetevi conto che danneggiate la società intera, prima di tutto le donne alle quali vi rivolgete.

Grazie a Jinny Dalloway per aver condiviso e discusso l’articolo che tratta del disco sulla propria bacheca Facebook.