Deconstructing Veronesi – l’estetica spiegata con la biologia (Micromega #7)

piccola_veronesi Lo ammettiamo: tutta questa lunghissima esegesi (o pippa) sul numero di Micromega l’abbiamo fatta solo per parlare del pezzo di Veronesi, intitolato “Il corpo delle donne dalla mortificazione all’emancipazione”. Che meritava di essere inserito nel suo degno contesto, per essere veramente apprezzato come merita.

Intanto la scelta dell’autore. Dopo tutto il porno e la prostituzione di cui non avevamo bisogno, arriva questo articolo, centrale, anche nella posizione, con una sezione tutta per sé intitolata “Memoria”, insomma è il più importante, quello che ci dà la “cifra” di Micromega sul tema del corpo della donna. E lo affidano a Veronesi, beh, sì certo. Ci sembra logico.

Ma d’altronde se ci ritroviamo un patriarcato ancora in piedi dopo 4.000 anni non è mica perché uno ha sbagliato una virgola, piuttosto perché oggi la politica ha estromesso tutte le istanze sociali ed economiche importanti dal discorso pubblico (Salvini a Roma e Renzi posta la vittoria dell’Italia sulla Scozia ma è tutto a posto) e una rivista come Micromega non ha più senso di esistere, quindi per vendere e fare rumore si affida al nome di grido con dietro il vuoto (su tutti Nappi e Siffredi) oppure alla pura conservazione, alla restaurazione dell’ancient regime.

Il gioco è fatto, dalla fine dell’impero all’inizio della monarchia, il nuovo senso di micromega

è quello di dare una veste “onorevole” a vecchi e ammuffiti retaggi che con tutto il resto erano stati cacciati giustamente nelle fogne dal femminismo.

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L’introduzione:“ha dedicato tutta la vita a curare il tumore femminile per eccellenza, quello al seno” [Sara: sono paranoica, lo ammetto. A me scatta già un campanello di allarme, c’è un tunnel davanti a me con un bel titolo gotico: “Il tumore femminile per eccellenza” ho i brividi, mi sento condotta verso il buio] “un corpo che è strumento di seduzione e il cui uso disinvolto non è in contraddizione con l’emancipazione delle donne” [perché chi l’ha detto, chi lo sostiene? Mhm, non sarà mica l’ennesima bordata alle femministe, quelle che hanno rinunciato al corpo… bla bla bla?] “il più grande oncologo italiano spiega perchè è convinto che il mondo  va verso un potere tutto al femminile [interessante] e perchè il proibizionismo, su tutti i fronti – prostituzione compresa – non funziona [ah ma allora è un ritornello che non si può smettere di cantare. Sembra che le uniche due attività libere che sono concesse alle donne dopo anni di lotte siano la prostituta e la pornostar, dovevano spiegarglielo prima!] non funziona [prima frase buttata là: il proibizionismo con la prostituzione non funziona, dove andrà a parare? Visto che abbiamo letto Nappi a monte, un dubbio che si vada in quella direzione ci viene.]

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Nella prima parte del breve articolo il professore racconta della sua scelta di medico, di come abbia aperto la strada alla via conservativa del seno colpito dal tumore a differenza della tendenza dominante allora. Il rispetto per le donne è nato dalla figura materna, guida assoluta dopo la morte del padre. Qui la prima pietra teorica della sua convinzione: “il corpo femminile è simbolo della procreazione, della continuazione della specie, in altre parole è il simbolo dell’umanità e lo scempio di questo simbolo era per me inaccettabile” [quindi il corpo della donna è un corpo simbolico simbolo dell’umanità e questo come c’entrerebbe con l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne? A noi sembra tutto un piedistallo e un destino costruito dalla parte maschile dell’umanità].

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Nel paragrafo successivo il professore ci illustra la concezione del corpo della donna contro cui ha dovuto combattere mettendo a punto la sua tecnica conservativa. Gli allarmi sorti in noi quando ha inizialmente parlato della biologia come destino della donna si placano al suono di queste parole (nel brano sono scambiati vecchio e nuovo testamento): “Nel Nuovo Testamento la donna è quasi assente perchè considerata un essere secondario, a metà strada fra l’uomo e l’animale, senz’anima, era un gigantesco utero, un semplice strumento per la riproduzione”[Sara, lo ammetto, ho sospirato di sollievo], [addirittura, come professore da par suo egli ci indica le motivazioni di storiche di tale secondarietà della donna nell’antichità]: “L’ossessione del popolo ebraico era, infatti la propria possibile estinzione, visto che si trattava di un piccolo gruppo sempre esposto a guerre, carestie eccetera, per cui procreare era un dovere divino. Procreare ad ogni costo, anche con l’incesto se necessario” [Beh, finalmente un uomo colto che come uomo di scienza, usa la sua autorevolezza e la sua sapienza per spiegare che il presunto destino procreativo della donna è un concetto inventato per le esigenze di un popolo vissuto migliaia di anni fa che oggi non ha nessun fondamento e che viene strumentalizzato contro le spinte emancipazioniste e di miglioramento della condizione femminile infatti ecco che aggiunge]: “ Di tutta questa cultura della donna ridotta a strumento di procreazione è rimasto ancora oggi qualche residuo, per esempio il femminicidio, che è un sintomo del disagio maschile davanti all’emancipazione del genere femminile. Ormai però la strada è segnata.”

Ma perchè il professore è così ottimista? perchè lui ha vissuto con le donne, conosce la psicologia femminile “come forse nessuno al mondo” [ma non fa l’oncologo? Mah] e sa che sono migliori degli uomini in molte mansioni e a parte  singole eccezioni “amano la pace, non uccidono” [Sara: possiamo tradurlo con “sono depositarie di un istinto conservativo?” Lorenzo: io tradurrei con un mitico “sono buone di natura”] per cui gli uomini si devono rassegnare perché semplicemente “Siamo metà uomini e metà donne e al potere ci devono essere metà uomini e metà donne” [Ah, ecco]. Ma è un’altalena di emozioni però, che fatica fino a quando poche righe subito sotto arriva la mazzata che fa perdere tutta la logica dell’articolo e svela senza troppi giri di parole il senso del pensiero schizofrenico di Veronesi:] “Certo, questo percorso di emancipazione porta con sé anche delle contraddizioni, perché la donna si ritrova a dover conciliare la sua funzione principale, che è quella di procreare e allevare figli, con il desiderio/diritto di lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività” [Sara: personalmente ho dovuto rileggere il pezzo più volte perché pensavo di aver letto male. Questa “contraddizione delle donne” non è nulla rispetto a quella che il professore ha espresso con tranquillità in questo articolo. Lorenzo: e pensando di dire loro qualcosa di straordinariamente intelligente: ricordiamoci che lui conosce la psicologia femminile come forse nessuno al mondo]. E questi vostri desideri/diritti, badate bene donne, secondari rispetto alla vostra funzione principale che è procreare e allevare i figli, “crea dei problemi sociali non indifferenti: le donne si sposano sempre più tardi, [e non è perché le donne sono sole davanti ai loro impegni a casa e in famiglia no, è perché hanno questi desideri/diritti che creano un sacco di problemi], si diffonde l’infertilità femminile [questo esattamente che connessione ha con “lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività? Ad essere buoni va almeno spiegata, così pare una specie di virus], aumenta il ricorso alla procreazione assistita [Sara: ma non sarà  anche perché prima non si poteva fare? Lorenzo: e poi, anche nella procreazione assistita, non sono sempre donne a procreare? O Veronesi sa qualcosa che noi non sappiamo?] e si fanno meno figli di un tempo [quindi l’emancipazione femminile è la causa della caduta della natalità. Complimenti!]. Ma, altro fiore di follia, a rallentare questa spinta, che comunque è inarrestabile secondo Veronesi, chi potrebbe essere? “L’immigrazione islamica, perché il mondo islamico è ancora cauto su questo fronte”. [Sara: Complimenti, davvero complimenti vivissimi. Lorenzo: Veronesi, e le scie chimiche? Niente sulle scie chimiche?].

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Atterriamo nuovamente nel terreno della prima personalità di Umberto Veronesi: “L’emancipazione della donna si fonda sul principio – in cui io credo fortemente e che guida tutte le mie riflessioni sui temi etici e sociali, dalle droghe all’eutanasia – dell’autodeterminazione di ogni singolo individuo” [“Autodeterminazione: Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”, Enciclopedia Treccani], anche sul proprio corpo la donna ha diritto di scegliere in propria autonomia e libertà [anche se la sua funzione principale è quella di procreare e di allevare i figli, dovete soffrire come noi!!!].

A cosa si riferirà per esempio qui il professor Veronesi, per esempio al diritto di poter abortire? Assolutamente no, subito dopo aggiunge: “L’abbellimento del corpo femminile ha un fondamento biologico, perché la seduzione è la parte preliminare della procreazione [Lorenzo: ha detto solo “femminile”, confermando scientificamente che l’òmo ha da puzza’. Grazie Veronesi] e dunque l’attenzione al proprio corpo fa parte degli istinti biologici primari per la conservazione della specie” [sì amiche, avete capito bene. Vestiti, scarpe, calze, trucco TUTTO ciò che usate per guardarvi allo specchio, piacere e piacervi è tutto finalizzato non a sentirvi ammirate, non a sentirvi bene con voi stesse, non a trovare una persona che vi apprezzi, ma a procreare, è più forte di voi].

Di qui la riflessione che, capirete, è spontanea: “Dov’è il confine  tra libertà di disporre a piacimento del proprio corpo e mercificazione dello stesso? Difficile dirlo. La prostituzione femminile, per esempio, è quasi inevitabile vista l’assurdità biologica per la quale la donna ha poche decine di ovuli  e li conserva per la vita [sta stronza] mentre l’uomo ha una potenzialità procreativa enorme e inutile: ogni masturbazione manda fuori mililoni di spermatozoi, quando ne basta uno per procreare. Da questa asimmetria biologica deriva un diverso bisogno dell’uomo di fare sesso, che sta alla base della prostituzione [giusto e quindi poi la donna se ne approfitta, no? Ah, già ma quella non era la tesi di un luminare della medicina, era quella della pornostar Valentina Nappi, sì, dai quella che ha anche un blog su micromega da settembre 2014]. E qui il nostro valente medico cita fior di filosofi a supporto delle sue tesi: “Persino sant’Agostino accetta la prostituzione [come se avesse potuto, lui da solo, impedirla], considerata come un male minore, visto che nella famiglia l’uomo non poteva trovare soddisfazione alle sue esigenze sessuali. E’ una posizione comprensibile, se si tiene conto di questo assurdo potenziale procreativo dell’uomo”. Capito? La prostituzione, quindi, è al naturale conseguenza di una caratteristica naturale: l’uomo eiacula come un geyser, poverino, e la prostituzione è la cura sociale a questa sua disgraziata condanna naturale.

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Pensate che il nostro abbia finito? Poveri illusi. La sua megalomania è inarrestabile: “Io conosco bene il mondo delle prostitute, perché da ragazzino per andare a scuola passavo in una zona dove ce n’erano parecchie. Loro mi vedevano passare, mi accarezzavano, mi davano le caramelle, poi quando sono cresciuto sono state loro che mi hanno istruito sul sesso”. [Sì, lo ha detto proprio Umberto Veronesi, ex ministro della sanità, tra le tante cose. La sua statura di studioso gli permette anche paragoni audaci, metafore ardite:] “Quanti sono gli uomini che si prostituiscono davanti ai propri superiori per fare carriera? Durante il fascismo tutti gli italiani si prostituivano: il 90 percento aveva la tessera in tasca senza credere nel fascismo” [biologia, storia, femminismi, psicologia: ma quante ne sa, ma quante ne dice di scemenze? Tante, e tutte di squisita fattura. Non per niente siamo su Micromega].

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Pronti per i fuochi d’artificio finali? No. Nessuno può essere pronto.

Tornando al tema dell’uso del corpo, quante donne sposano un uomo solo per la sua ricchezza? Anche questa è una forma di prostituzione, e anche questa con un suo fondamento biologico perché i soldi permettono di allevare meglio i figli: la donna sfrutta il proprio corpo, la propria bellezza, per sedurre l’uomo che le consentirà di allevare al meglio i figli.

E voi lì a rompervi la testa e le scatole col patriarcato, e Lonzi e Braidotti e Haraway – tutto inutile: sposare uno ricco è biologia. Sei cessa? Sei povero? Cazzi vostri, la biologia vi condanna.

E questo accade anche in politica: molte donne hanno dimostrato di essere brave in politica, al di là di come hanno iniziato la loro carriera. E’ inutile fare gli ipocriti: le donne hanno una marcia in più, che non è necessariamente legata ai canoni standard della bellezza, perché la seduzione può trovare mille vie [scusate allora: se sei cessa qualcosa la puoi fare, ma se sei povero niente, ti rimane il caro vecchio Onan]. Per cui non vedo contraddizione tra l’uso anche spregiudicato del proprio corpo ed emancipazione femminile.

E via così, l’oncologo che costruisce l’ontologia berlusconiana. E perché mai dovresti vederla, Veronesi, una qualsiasi contraddizione?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing la bomba a orologeria – Micromega #6

analogue_time_bomb2Eccoci ad affrontare un altro capitolo del numero di Micromega sul corpo della donna. Brevemente diciamo la nostra sull’articolo, di Giulia Garofalo Geymonat su “La prostituzione tra abolizionismo, proibizionismo e legalizzazione”, che non esamineremo. Il suo è un discorso analitico sui modelli legislativi e le strategie applicati nei vari stati dell’Unione Europea confrontandoli continuamente con quanto accade in Italia soprattutto rispetto al dibattito sulla riforma/abolizione della legge Merlin. Tutto sommato non ci discostiamo dall’analisi di Geymonat, che si sforza di mettere in luce una complessità spesso abbandonata a favore della solita falsa divisione tra moralisti e liberali. L’unica cosa che ci preme sottolineare è l’ennesima scelta editoriale inadeguata al tema di Micromega: affinchè una panoramica di questo tipo possa divenire uno strumento interpretativo e trasformativo della realtà (chiaro obiettivo delle riviste di approfondimento) era necessario secondo noi coinvolgere le soggettività direttamente nella scrittura e non affidarla a ricercatori/ricercatrici che per quanto bravi e e puntuali quella realtà, non la vivono direttamente: avremmo forse perso nella visione globale della faccenda ma ne avremmo guadagnato certamente in autenticità.

L’articolo successivo è invece figlio di quella logica che Geymonat, dicevamo, giustamente rifugge ed è così tipica invece, di chi o non ha molto da dire oppure non riesce a tirare fuori la complessità di una questione, oppure ancora sostiene tesi insostenibili pur di apparire su una rivista importante. Si tratta dell’articolo “L’assistente sessuale per i disabili: una scelta di civiltà”, di Alessandro Capriccioli. In sè già il tema non ci richiama proprio a delle urgenze nel dibattito complesso sul corpo della donna, bensì temi diversi e anche più generali; comunque leggiamo con curiosità.

Nell’introduzione si afferma, come poi più avanti nel testo innumerevoli volte, che la figura dell’assistente sessuale è legale in paesi più evoluti del nostro, dove un discorso moralista legato alla religione cattolica che condanna il sesso, fa sì che non sia riconosciuta l’innegabile utilità dell’assistente sessuale. Ma il problema di fondo in questo articolo lo si intuisce da queste poche parole:

Un disabile che non si può esprimere sessualmente diventa una bomba a orologeria.

EH? In che senso una bomba a orologeria? Proviamo a farcelo dire.

Si apre subito uno scenario molto confuso: lo scopo [è] di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria o psichico-cognitiva [è quantomeno controverso parlare di una disabilità psichico-cognitiva senza specifiche importanti, secondo noi] a vivere un’esperienza erotica, sensuale e sessuale [che sono tre cose profondamente diverse; e poi, come si fa ad assistere una persona nel vivere un’esperienza erotica? Sensuale? Quali competenze dovrà mai avere, non andrebbero discusse prima? Poi, soprattutto, non si chiama assistente “sessuale”?]

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Ci viene chiarito di nuovo da una citazione che l’assistente sessuale è fondamentale, al di là delle nostre convinzioni moraliste. A proposito, fuori da questo ritornello ipnotico: qual è il nesso con il titolo della rivista? Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento si collega alle assistenti sessuali oppure alle disabili? Finora a nessuna delle due in modo specifico. Per esempio:

Del resto il rapporto con il desiderio sessuale e la sua realizzazione concreta è uno dei problemi più spigolosi e angoscianti che le famiglie dei disabili si trovano a dover fronteggiare nel delicatissimo (e spesso altrettanto trascurato) momento del passaggio all’età adulta: il più delle volte senza disporre degli strumenti e del sostegno per riconoscerlo, accettarlo per quello che è, collocarlo nella giusta prospettiva e preoccuparsi di dargli una risposta soddisfacente. E perciò, per lo più, negandone l’esistenza, allontanandolo e facendo finta di non vederlo.

Possiamo anche essere d’accordo ma: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Da un lato, quindi, la questione svela fatalmente una serie di tabù che la nostra società ha in qualche modo metabolizzato e nascosto [non l’avessimo capito dopo n-volte, lo ripetiamo], ma che attraverso il dibattito sull’assistenza sessuale tornano a mostrarsi in tutta la loro virulenza; dall’altro lascia intravedere il pericolo che i destinatari delle prestazioni, specie quelli con disabilità mentali, non siano in grado di gestirne l’impatto senza sviluppare forme di dipendenza potenzialmente pericolosissime.

Ma infatti, come si fa a parlare allo stesso modo di sessualità e disabili, senza specificare un minimo il grado di disabilità? Lo spettro di possibilità è enorme, e non ha senso rivolgersi a tutte le situazioni nello stesso modo.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Un’altra cosa poco chiara di questo articolo è che non si dice mai chiaramente se si  sta parlando di una assistenza o di una terapia. Cosa fanno gli assistenti sessuali?

Insegnano alle persone a masturbarsi e provvedono a fornire loro un aiuto materiale, fino a occuparsene fisicamente al loro posto, qualora non siano in grado di farlo, si prestano direttamente a rapporti sessuali, limitandosi alla fellatio o al cunnilingus oppure spingendosi fino alla penetrazione, per chi è considerato poco desiderabile a causa della propria disabilità e quindi ha difficoltà a trovare un partner; aiutano fattivamente le coppie che vogliono avere un rapporto sessuale soddisfacente a porlo in essere, partecipando al rapporto stesso e diventandone, in un modo o nell’altro, parte integrante.

Bene. E allora perchè Capriccioli si dispera? Perchè è lontano il giorno in cui

tale figura professionale, così come le altre figure a sostegno della disabilità, non sia riconosciuta come attività regolarmente esercitabile a pagamento, ma venga inserita fra i servizi assicurati dai livelli essenziali di assistenza, e quindi fornita gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.

Sostanzialmente d’accordo con Nappi, in questo stesso numero di Micromega, Capriccioli confonde quindi il benessere con la salute e ne condivide il teorema per cui se l’uomo non eiacula diventa violento – ricordiamoci che la bomba a orologeria è lui. Eppure basta Wikipedia per venire a sapere – se uno se lo fosse scordato – che l’organismo maschile ci pensa da solo a smaltire lo sperma in eccesso, non c’è bisogno di alcuna assistenza. E la confusione è tale per cui si parla spesso, nell’articolo, della necessità di una preparazione professionale, se ne testimonia la difficoltà, ma non si specifica mai di cosa si tratta, e in ogni caso non si parla mai di una preparazione medica. 

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Quello che non viene mai chiaramente detto da Capriccioli è che se il problema è una vita sessuale appagante, allora non serve il “terapista” ma l’assistente, che spiega e insegna come attuarla a seconda delle disabilità. Se invece il problema è eiaculare o avere un orgasmo ogni tanto, questo non è un problema medico, perché a non avere un orgasmo certamente si vive male, ma di astinenza non è mai morto nessuno. E’ un problema culturale, di un ambiente sociale che misura la felicità col numero di orgasmi a settimana e che quindi condiziona anche il disabile, che vive in quella cultura. Dunque compito di chi divulga alcune informazioni non sarebbe quello di avallare questa tendenza, ma di combatterla per trasformare la realtà a vantaggio della verità e del benessere (qui sì, vero) reale e spirituale delle persone.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

Tanto per cominciare, non sarebbe una scelta di civiltà scrivere le cose in maniera chiara e competente?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing le Birkenstock – MicroMega #5 (Giulia Sissa)

birkenstoksApprodiamo al quinto articolo su Micromega, dopo quello di Banditer “L’istinto materno non esiste”che è certamente discutibile, ma non per impreparazione dell’autrice.  

Si legge nell’introduzione di “Femminismo e godimento” di Giulia Sissa che dopo un primo (quello del “suffragio universale”) e un secondo femminismo (quello degli anni ‘70), ora ce n’è un terzo che

non ha paura del corpo e del piacere, un femminismo che si mostra, che è “osceno”, che rivendica non solo diritti sociali e politici, ma anche il diritto al godimento [SARA: Scusa Lorenzo forse mi sono sognata un famoso slogan che ho imparato fin da ragazzina, “il corpo è mio e lo gestisco io”? Mi pareva che ci fosse una cosa chiamata autocoscienza attraverso cui le donne in massa presero/ripresero il contatto con il loro corpo scoprendone proprio le potenzialità di “godimento”… aspetta mi sovviene anche uno strano opuscolo intitolato: “La donna clitoridea e la donna vaginale” datato 1971. FERMAMI. LORENZO: Sissa era assente. Non si spiega altrimenti questo riassuntino alla Bignami di qualche decennio di femminismi. Vabbè che devi fare un occhiello, come si chiama tecnicamente, ma si poteva anche evitare di tagliare con l’accetta una storia così complessa – e fare figuracce. Mi ricorda gli appunti di filosofia tipo “Talete: quello dell’acqua”.]

Sissa va nello specifico di cosa intende con questa contrapposizione storicista tra i femminismi, iniziando il suo articolo con una frase quantomeno enigmatica:

Il corpo delle donne non è più la stessa cosa [sarebbe carino sapere rispetto a quale cosa, non è più la stessa cosa. Detta così, la frase vale più o meno come “una volta qui era tutta campagna”].

Poi prosegue dicendo che le donne dai 40 in giù che sono nate in un mondo dove le rivendicazioni delle femministe sono diventate normalità (il che è tutto da vedere), elencando parecchi stereotipi così triti che manco i maschilisti li usano più, per poi concludere con un

queste donne non possono poi accontentarsi di acqua, sapone e Birkenstock [forse Alessandra Moretti ha letto Giulia Sissa? Paiono d’accordo sulla linea vincente delle donne che nella sfera pubblica applicano uno stile estetico curato. L’intervista è un lancio elettorale. Si candida in Veneto e parla della cura della sua bellezza, dei suoi gusti musicali e di quanto è brava in cucina – come se le politiche di genere del PD non fossero già tra l’inesistente e l’imbarazzante in quanto sempre più conformi ai dettami del cardinale Angelo Bagnasco].

Subito Dopo Sissa cita per la prima volta le Femen per contrapporle alle femministe baffone e pelose degli anni ‘70, alla fine della perorazione soggiunge:

Non ci sono, insomma, soltanto i diritti. Ci sono anche abitudini e corpi [ma che cosa c’era secondo Sissa alla radice delle battaglie su divorzio, aborto, libertà sessuale, contraccezione, asili nido eccetera? Forse non il bisogno di essere considerate come persone fisicamente esistenti con bisogni e desideri portatori di trasformazioni anche drastiche della società e della cultura? E’ a partire dai corpi, cioè da quello che non si può negare, che le donne hanno affermato il diritto all’esistenza, all’autonomia e all’autodeterminazione. A nostro parere è molto riduttivo vedere il movimento femminista in un modo così storicista senza prendere coscienza del fatto che essendo così plurale afferma nello stesso momento tante istanze diverse e contraddittorie].

Per farvi capire come argomenta Sissa, estrapoliamo una frase delle più significative:

L’esperienza del nodo formato da corpo, abitudine e legge si materializza nel pensare/sentire delle emozioni.
[EH? L’esperienza si materializza nel pensare/sentire? Ma qualcuno rilegge o anche a MicroMega i tagli al personale hanno colpito i correttori di bozze? Cosa è mai possibile materializzare in un pensiero/sensazione? Perché prendere le parole e fargli fare la qualunque, a piacimento? E mi spiegate come si fa un nodo con il corpo (materiale), l’abitudine (comportamento), la legge (principio astratto)? Ma veramente chi scrive così si aspetta di essere comprensibile? O punta all’ammirazione estatica, come di fronte a certa arte contemporanea?]

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Tralasciando una lunga asserzione su come avverrebbero, secondo Sissa, i cambiamenti culturali, torniamo alla contraddizione tra femminismi. Se ripetiamo concetti alla Simone de Beauvoir oggi rischiamo di parlare solo a noi stesse, dice Sissa,

Ci trattano come oggetti sessuali. Aiuto! Ci riducono a mero corpo. Barbaro fato! Chirurgia estetica: lungi da me s’en vada! Pornografia: occultatemi quel seno… Prostituzione: sposa son disprezzata! [Mi pare che Sissa punti a scollare con forza il concetto di emancipazione e de-moralizzazione della società da quello di consapevolezza (educazione alla sessualità, matrimonio come scelta e non come dogma culturale, accesso ad un’autonomia economica) e coscienza di sè, sarà così che si diventa complici del neoliberalismo? Non è una novità, una persona col CV di Sissa dovrebbe saperlo.]

Il corpo sexy, volutamente e studiatamente erotizzato, insomma, non è più il segno o l’effetto collaterale di frivolezza e incompetenza. Anzi! [No, ma neanche di consapevolezza politica e sociale. Mai sentito parlare, Sissa, per esempio, di “emancipazione negativa”? Se ne parla da molto eh, in tanti libretti che si occupano di questioni di genere. Può cercare nelle biblioteche di UCLA o del CNRS di Parigi, dove lavora, siamo sicuri che qualcosina c’è.]

I diritti si conquistano e si possono sempre perdere [ah, ecco], come vediamo nelle battaglie americane contro l’aborto [ma perchè in quelle italiane no? Sono passati 40 anni e stiamo ancora a difendere la 194 ogni tre per due, ma dove vive Sissa? Ah già, a Los Angeles, ecco.] Stiamo all’erta, quindi su questo terreno [soprattutto tu da laggiù]. La perfettibilità delle relazioni sociali tra i sessi [“perfettibilità”, dice, ci viene solo da citare il rapporto Eures sulle vittime di femminicidio in Italia, nel 2013 sono state 179. Ma continuiamo a parlare di Birkenstock, dai], però, non deve farci dimenticare la plasticità dell’erotismo [SARA: giuro non me la dimentico… mo’ me lo segno, come diceva Troisi. LORENZO: a me frasi del genere farebbero domandare a Sissa: e com’è fatto un erotismo non plastico? Così, tanto per capire con quale ingegno si mettono insieme sostantivi e aggettivi. Sempre di moda la vànvera, eh?]

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Altro affondo sul femminismo degli anni ‘70, quando le donne hanno dovuto operare un rifiuto radicale dell’identità femminea [cos’è esattamente? E perché mai definire i termini problematici, meglio fare finta che tutti sappiamo di che si tratta, è più educato].
Se mi si costringe ad essere tutta corpo, allora io vi dico che ho un corpo. Il corpo è mio e lo gestisco io. [SARA: quindi questo corpo lo hanno negato affermando che ne avevano l’autogoverno? Mi sono persa un’assemblea fondamentale? LORENZO: Scusa ma sono ancora impegnato a capire come si potrebbe costringere qualcuno a non essere tutto corpo]. Oggi, poichè il corpo erotico non si lega più, legalmente e culturalmente all’esclusione [veramente in Italia si sta tornando indietro di qualche centinaio di anni anche su questo fronte…], l’autocensura non ha più senso [SARA: ma davvero non possono esistere donne differenti che si sentono acqua e sapone, ma magari non tutti i giorni – questa è autocensura? LORENZO: sì, ma dopo una riflessione sul termine autocensura. Non le va giù che una donna potrebbe proprio volerle le Birkenstock, eh? Forse c’è dietro una questione di spionaggio industriale che ci sfugge. Che Sissa sia pagata da Manolo Blahnik?].
E poco più in là: Se negli anni Settanta ci dissociavamo dal corpo per gestirlo, queste ragazze stanno nella loro pelle/pagina, in perfetta simbiosi: “il mio corpo è la mia libertà”. [Sissa, ma dove le ha sentite queste storie? Ci si dissocia dal corpo per gestirlo – che è, una specie di diagnosi? E adesso ci sarebbe la simbiosi grazie al tonico torso nudo delle Femen? Ma me li ricordo solo io, i torsi nudi in quegli anni Settanta che lei dice pieni di gente che si dissociava dal corpo? Boh. Giulia Sissa è del ‘54, nei Settanta lei c’era. E dove stava?]

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Le pagine 63 e 64 sono dedicate a parlare bene delle Femen. Nell’estate 2014, eh, quando certe cosette si sono già sapute.

Ci sarebbe molto da dire su questo nuovo femminismo, tagliato su misura per donne giovani e belle [ma tutte le altre? non possono essere femministe?] e che, anche per questo, suscita imbarazzo tra le femministe della mia generazione, o leggermente più giovani, che ancora denunciano la reificazione del corpo [eh, ‘sta cosa vecchia e non più attuale, ormai del tutto superata, vero? Sissa, lei vive a Los Angeles, ma di quale pianeta?] femminile e la mercificazione della desiderabilità. Queste ragazze giocano sul registro del pride. E’ tutta un’altra politica; tutta un’altra estetica [no, è sempre la solita, quella del marketing. E glielo hanno detto già in tante e tanti. Basterebbe informarsi].

Mentre Michela Marzano ripete che la televisione di Berlusconi offende le donne italiane, le Femen [ma perchè, ci chiediamo, insieme alle Femen e alla loro im-mediata prominenza corporea in senso performativo, Sissa non nomina mai le pussy Riot? Indovina un po’] si sono scelte un’altra scena – transculturale e transcontinentale e sul web, per mimare un’ipersessualizzazione e iperfemminizzazione da soft-porn [E con questo? Cos’è la gara a chi ce l’ha più lungo diventa la gara a chi “trasgredisce” di più? Certo, se il confronto è con Marzano, Sissa “ti piace vincere facile, eh?”. Sissa, non è che s’è fatta un po’ troppo impressionare lei da Femen tanto da non accorgersi di nient’altro?]

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La democrazia ha preso una svolta estetica [senza etica, ed è successo più o meno dagli anni ‘50 negli Stati Uniti, da quando sondaggi e tecniche di marketing sono state usate nelle campagne elettorali dopo i clamorosi successi nella gestione della pubblicità commerciale. So’ cose che alla UCLA le sanno, eh, se chiede qualche collega informato lo trova lì]. Questo femminismo ne fa parte [ma siamo sicuri che questo sia una cosa buona per le donne?]. Mette fuori gioco la cosiddetta oggettificazione del corpo [abbiamo vinto su tutta la linea, evvai!]. Non predica l’deale di una soggettività disincarnata da dipartimento di Filosofia vintage, bensì mima in maniera iperbolica e metonimica (la corona di fiori, la calza bianca o nera, il velo virginale) proprio il nostro essere oggetti corporei. Oggetto inteso come sinonimo non di “cosa”, bensì di “causa” [Sissa, non sappiamo più come dirglielo: E’ ROBA VECCHIA, la performance politica nel segno della mimesis metaforica non se la sono inventata le Femen – che adesso secondo lei sarebbero pure filosofe coi fiocchi]. “Io sono la causa del tuo desiderio!”, vediamo un po’ cosa sai fare! “Viol a volontè!”: stupro a piacere! Le Femen osano sfide inaudite [A Sissa, e mo’ te lo diciamo chiaro: se ti sei persa almeno trent’anni di femminismi, e certo che le Femen sono inaudite!]

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E la prova che Sissa non è – a essere generosi – aggiornata, la fornisce proprio lei: tutta pagina 65 è dedicata a fornire la derivazione filosofica dell’auto-oggettivazione da Kant. Embè sì, Sissa, rispetto a Kant indubbiamente le Femen stanno un pochino più avanti – ammetterà che ci vuole poco. Il problema è dove stanno le Femen nella storia dei femminismi, e quello non ci vuole molto a capirlo – il link è in alto – per chi sa anche solo un po’ di quella storia.

Ben venga il femminismo sensuale!

[C’è da un pezzo Sissa, se non se n’è accorta prima il problema è suo, non delle Birkenstock.]

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing il mignolo alzato (Origgi) – MicroMega #3

mignoloalzatoEntriamo in una nuova sezione del numero 5/2014 i MicroMega. Nell’introduzione ci rendiamo subito conto che invece di avvicinarci di più all’obiettivo di declinare le specifiche dell’avere e del “portare” un corpo di donna, ci allontaniamo inesorabilmente. E’ evidente perché si parla in maniera generica di corpi:

Eppure molto spesso nel corso della storia il corpo è stato considerato il luogo della corruzione dello spirito, una “gabbia” che imprigiona e limita, invece che una “porta” che apre le porte della conoscenza.

[E non si parla della difficoltà che crea ad una donna la rappresentazione mediatica del suo corpo, il tentativo di controllo del suo corpo, con la pressione sociale che grava su di lei per avere dei figli, anche quando non li vuole, per avere come uno obiettivo quello di adeguare le sue fattezze a quelle volute dal maschio perché il nuovo/vecchio grande obiettivo delle vite delle donne è il matrimonio.]

Sempre nell’introduzione si cita il pezzo di Gloria Origgi ingiustamente, secondo noi, inserendolo in un discorso generico sul corpo, perché nello scritto di Origgi si parla di corpo in quanto corpo di donna. Ed è una cosa che riconosciamo all’autrice: il piacere di leggere finalmente un racconto di vita autentica che ci fa affacciare su una prospettiva in cui il corpo è attraversato da e registra emozioni di genere. Poi arriva il pezzo forte di questa introduzione:

Un corpo che, per le donne soprattutto, ha spesso rappresentato [dai che forse ci siamo…] una condanna: considerato alternativamente strumento del peccato o esclusivamente sede del potere procreativo ha per secoli costretto la donna alla secca alternativa prostituta/madre [Sara: cosa non si fa per non mettere il soggetto giusto al posto giusto: NON il corpo ha costretto la donna all’alternativa secca tra prostituta e madre MA il sistema economico/sociale/religioso dominato dal potere maschile, detto anche comunemente patriarcato. Lorenzo: e mica vorrai scrivere su MicroMega che esiste il patriarcato! Oh, questi so’ intellettuali eh, mica pizza e fichi].

La nostra poi continua presentando il testo di Giulia Sissa sui femminismi, parlando de i movimenti delle donne che – se nelle loro prime ondate, per necessità, hanno dovuto in qualche maniera mortificare il corpo [nell’Ottocento parliamo di necessità? Perché, avevano altra scelta per non venir semplicemente arrestate e internate, le femministe di allora? Non pare ci fossero molte alternative], per poter reclamare un cervello – oggi rivendicano con orgoglio il corpo erotico [evidentemente ce ne sono altri: quali? Quali sono i corpi non erotici? E poi anche nell’800 – sempre che le vaghe prime ondate siano quelle – di erotismo ce n’era, visti i dispositivi sociali per imbrigliarlo, no?] come strumento di lotta.

Il pezzo di Origgi, Corpo, dunque sono, (complimenti) comincia con questo cappello, che vi riportiamo senza interromperlo:
Il nostro Ego è il corpo: l’unità della nostra persona, che registra inesorabilmente ogni cambiamento, anche il minimo, della nostra vita. Piaceri e dolori vengono archiviati dal nostro sistema nervoso e si incidono nel nostro corpo, che diventa un libro su cui è scritta la nostra intera vita. L’autobiografia di ciascuno di noi si può leggere sul proprio corpo. Il nostro corpo parla di noi. Il nostro corpo siamo noi: il corpo è l’Ego.

[Ma che è, una preghiera? Perché questo stile iterativo, queste ripetizioni? E perché mettere insieme, in sette righe stampate, termini psicologici, fisiologici, semiotici, letterari, senza uno straccio di spiegazione, approccio? Tutto così, come una preghiera o un mantra: parole da ripetere che si autogiustificano per la loro musicale litania. E, attenzione, di donne – non è dei loro corpi che si deve parlare? – manco l’ombra.]

Poi comincia un racconto autobiografico che seppure coraggioso e che mette a nudo le emozioni e le scosse che hanno attraversato il corpo di Origgi, mette in evidenza anche i limiti dell’esperienza autobiografica utilizzata in un contesto che avrebbe la pretesa di coinvolgere un grande pubblico con intenti divulgativi e di riflessione collettiva.

Ne evidenziamo alcuni momenti salienti. Origgi è del ‘67, dice Wikipedia, e da piccola ha la madre che lavora in un ufficio, una casa a Milano con due bagni, uno per genitore: quello del padre con la moquette per terra, molto funzionale. Quello di mia madre più ampio, pieno di boccette di profumo e di spazzole, con una grande vasca nel quale facevamo il bagno anche noi bambine. Dopo il divorzio, il padre verrà a trovarla a Parigi, quando ero già ventenne. Non sappiamo se e quanto il corpo possa portare i segni del proprio ceto sociale di appartenenza, ma ci permettiamo di supporre che, da questi pochi dati, quei segni non siano tanto comuni a molte donne.

Poi una rivelazione:
il mio corpo è appena uscito da quello di mia madre, ha freddo, la notte i miei neuroni sognano di terremoti che ingoiano intere foreste e di cani rabbiosi che mangiano brandelli di un animale squartato. I sogni di neonata emersero durante una terapia psicoanalitica di molti anni dopo a Parigi, un esercizio orchestrato da Marguerite Derrida che mi permise un avventuroso viaggio nel tempo fino alle origini delle mie esperienze corporee. [Detto che andrebbe almeno circostanziata e spiegata l’utilità dei sogni di neonata, visto che l’esperienza di Origgi è stata presentata come esempio, una domanda: chi di voi può permettersi una terapia psicoanalitica a Parigi con la moglie di Derrida? Vogliamo continuare a pensare che tutte queste circostanze non abbiano condizionato né i famosi segni né il famoso corpo sul quale si sarebbero incisi? Cosa dovrebbe dire tutto ciò a tutte le donne, e agli uomini riguardo le donne?]

E ancora:
Ricordo che un pomeriggio d’estate in campagna, mentre Lina, la governante, leggeva per l’ennesima volta la storia di Alice nel paese delle meraviglie, il cane dei vicini mi morse il naso […] Per me fino a quel momento si era trattato di un dibattito politico di cui si discuteva a cena intorno all’approvazione della legge 194 […] Dovevo rientrare in Italia dopo anni di studi a Parigi, e invece il corpo decise di no, di restare dov’era e non solo: di lasciare il mio fidanzato italiano senza alcun motivo apparente, di dichiarare il mio amore a un uomo sposato che aveva il doppio dei miei anni e di inseguirlo durante un convegno in Inghilterra fino ad acquattarmi nell’armadio della sua camera per cercare di sedurlo! […] Lo seguii dappertutto, mi facevo trovare negli aeroporti all’imbarco dell’aereo, o nel luogo dove si recava per una conferenza […] Dopo molti anni, entusiasmi, dolori e peripezie, Dan e io ci trovammo in Messico sulle tracce del Nino Fidencio e della storia del fidenzismo […] Scrissi la mia autobiografia, ritornando sulle tracce della vita di mia madre e poi, come lei, lasciai il padre di mio figlio e rimasi incinta di un altro uomo. [Il problema non è la vita di Origgi, che è la sua, ha le sue specificità che rispettiamo e siamo ben contenti se lei è felice di essersela vissuta. Il problema è: perché proprio la sua vita – ovviamente diversa da qualunque altra – dovrebbe far capire a tutte le donne che il nostro corpo siamo noi se il racconto è una sfilza di esperienze davvero non comuni? Si può obiettare che, per dimostrare che la vita si registra sul corpo, usare una vita così eccezionale forse non è proprio la strada migliore?]

Anche perché questa che dovrebbe essere una mera piccola autobiografia, è condita da “massime” che lasciano abbastanza interdetti. Qualche esempio:
Il mio corpo parla di me. [E vedi ‘n po’…]
Di lì a poco, grazie alle pillole prescritte dal medico sessista, il mio sangue riapparve, provocandomi un totale stato di ebbrezza ormonale. [E come la mettiamo, allora, col fatto che gli elementi corporei posso essere modificati da azioni esterne? Come conciliamo questa evidenza con i segni che la vita lascia? Sono segni come gli altri, questi “provocati” deliberatamente?]

Perché se c’è una cosa inaccettabile – dal punto di vista della testimonianza – di questo brano di Origgi, è che a lei il corpo non sembra averlo messo in discussione nessuno. L’incontro col medico sessista, pare essere la messa in questione più critica che abbia mai subito. Un po’ pochino, per sperare in una condivisione efficace, per sembrare un minimo comun denominatore per tante e il loro corpo. In più, mentre si legge questa testimonianza, si ha la netta sensazione di essere inutilmente dei voyeur, perchè leggere la storia di una donna che mette a nudo le sue fragilità senza la possibilità di confrontarsi con lei, senza avere un contatto di qualsiasi tipo non ha alcun senso, anzi, è dannoso perchè è come un’esposizione, appunto. Ancora una volta un’operazione non a favore delle donne, delle loro lotte per l’autonomia e l’autodeterminazione del corpo e della persona tutta, ma un’operazione puramente di marketing editoriale, di dubbio gusto, pure.

Sarà l’ultima? Naaa…

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

(Qui le “puntate” #1 e #2)

Deconstructing MicroMega #2 – Nappi, Latella

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Questo secondo dialogo si svolge tra Valentina Nappi e Maria Latella e ha come titolo “Sesso, merce e libertà”, ovvero il corpo tra libertà e sfruttamento, quindi il corpo femminile nei media ma anche nella prostituzione e – udite udite – nella pornografia. Come i tre argomenti stanno insieme, non ci verrà detto. L’anonim* mediatore/trice – che c’è, parla e propone gli argomenti – proponiamo noi di chiamarla Loretta, come il personaggio di Brian di Nazareth. Lei ci spiega subito qual è il dubbio che attanaglia tutt* in quel di Micromega e che li spinge ad indagare:

Il tema generale di questo dialogo è «il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento» [è parecchio diverso dal titolo, come mai? Non ci è dato sapere]. Affronteremo quindi sia la questione dell’uso del corpo femminile nei media, sia nei fenomeni spesso direttamente associati – a torto o a ragione, a seconda delle opinioni [ah, è ancora una opinione che siano associati?] – all’idea di mercificazione del corpo, cioè la prostituzione e la pornografia, fenomeni che, al di là di come la si pensi, hanno una notevole importanza e pervasività nella nostra società [il problema non è come la si pensi, ma di che tipo di importanza e di pervasività vogliamo parlare. Vabbè].
Il dialogo comincia alla grande: Loretta presenta il punto di vista di Nappi, secondo la quale il problema della mercificazione del corpo della donna si risolverebbe ponendo fine alla disparità di accesso al sesso occasionale, accesso che sarebbe penalizzante per gli uomini. Una disparità in cui le donne, infatti, sarebbero in una posizione di forza, grazie al “potere sessuale” femminile, potere che “sfrutta” il desiderio maschile e contro cui lei (Valentina Nappi) come pornostar intende combattere, proponendo un’accessibilità universale al sesso occasionale pari per uomini e donne. Poche idee e molto confuse, come vedremo.

***

[Loretta ricorda che Nappi aveva sostenuto in un suo testo di voler offrire una masturbazione gratis a qualunque uomo la chiedesse, non per carità, ma per giustizia. Poi chiede chiarimenti a Nappi]
NAPPI: La masturbazione reciproca dovrebbe diventare normale, come prendere il caffè insieme. Ovviamente io non posso offrire un caffè a chiunque, non posso spendere le mie giornate offrendo caffè, però se capita [un se capita che mi fa pensare a questo pezzo di Lillo & Greg] lo faccio volentieri. Detto questo, è innegabile che fra uomini e donne ci sia un’asimmetria evidente, perché per le donne il sesso ha uno status speciale, non è considerato un’attività come qualunque altra, [e che vuol dire? Per me il sesso non è certo un’attività come qualunque altra: è molto migliore!] come invece dovrebbe essere [LORENZO: ma forse per te. Io tra fare sesso e togliermi un dente gradirei una differenza. SARA: Grazie, mi associo]. Da questo status speciale, le donne ricavano “un potere” che è il presupposto della mercificazione [capito? Siccome abbiamo un potere lo sfruttiamo per farci sfruttare. Interessante. Nappi avrebbe dovuto raccontare CHI ha conferito al sesso uno status speciale; mi pare di ricordare che una certa confessione religiosa, comandata da una rigida gerarchia maschile, abbia detto delle cose in questo senso. Poi ci sono stati secoli di “cavalleria” maschile che hanno insegnato qualcosa pure loro, mi pare. Così, per dire due cosette da niente che ci vengono in mente al volo].

***

[L’idea di dare agli uomini quello che è giusto si basa sul fatto che loro ne hanno bisogno oppure lo vogliono tanto. Ha un bel citare filosofi e cineasti, Nappi ha idee antiche e confacenti al discorso dell’oligarchia maschile dominante, per la quale le donne sono uno dei capri espiatori più performanti. Secondo questa visione infatti le donne hanno persino la responsabilità di subire violenze da un uomo, perchè non sanno individuare quelli buoni, oppure non sanno liberarsi di quelli cattivi quando “si manifesta” la loro cattiveria. SARA: Lorenzo, sarà un caso che Nappi nella vita faccia la pornostar? Sono polemica? LORENZO: Non so che dirti ma sto ancora aspettando la mia pippa quotidiana, allora me lo offri ‘sto caffè? SARA: Mi spiace ma sono allergica agli esercizi passivi!]

NAPPI: Qualche tempo fa Frank Matano [i link li mettiamo noi, Micromega non s’è degnato manco di mettere una nota – immaginiamo che il dott.Matano non sia proprio l’accademico che di solito si trova citato in questo prestigioso periodico. Qui e qui le due ricerche scientificamente attendibilissime cui si riferisce Nappi] fece un esperimento, che era già stato fatto in America: un ragazzo bellissimo chiedeva a 100 ragazze se avevano voglia di fare sesso con lui, e praticamente tutte risposero di no. Persino ragazze veramente brutte, alle quali difficilmente sarebbe mai capitato nella vita uno così bello! [Secondo i noti criteri oggettivi di bellezza, di cui Nappi custodisce i segreti, se sei un gradino più in basso di lui devi dire sì, altrimenti sei scema. Non è una visione sessista, no no] Solo una, su 100 interrogate, disse “forse”. Nell’esperimento al contrario, dove una ragazza carina ma non particolarmente bella [sempre secondo la scala Nappi] chiedeva a 100 ragazzi se avevano voglia di fare sesso con lei, più o meno la metà rispose di sì. Ecco, in questo consiste il “potere sessuale” delle donne. [Complimenti a Nappi: spiega una nota manifestazione del patriarcato come fosse una scelta delle donne. C’ha proprio le idee chiare.]

***

Dopo un discorso di Latella in cui si tenta di affrontare la complessità del fenomeno della prostituzione, con i vari approcci provati dai vari Stati, Nappi afferma:

NAPPI: Io credo che le vere vittime siano gli uomini. Le donne, nella maggior parte dei casi, scelgono di fare le prostitute [COSA?]. E molte di loro – basta parlarci per scoprirlo – sono molto consapevoli di questo loro “potere”, e parlano spesso di “spennare il pollo” [però, che analisi profonda]. Le prostitute sfruttano il desiderio maschile, sfruttano il bisogno dell’altro [E i pappa, non sfruttano niente? Ma no, gli uomini sono le vittime!]. Non forniscono un servizio che sono in grado di offrire in virtù di particolari doti naturali: è pura usura, perché sfruttano solo il differenziale di accesso al sesso occasionale tra chi ha la vagina e chi ha il pene. Non è che uno va a prostitute per avere un servizio particolare, ci va semplicemente per fare sesso [Ottima analisi, se non fosse che manca il protagonista principale. Nappi parla di prostituzione come fosse fatta solo da donne – mi risulta che ci sia qualcuno a “organizzarle”, o no? E poi, notoriamente, i clienti sono tutti semplicemente brave persone sfruttate da queste donnacce cattive, no?]. Questa sì che è una forma di mercificazione.

[SARA: mi voglio mettere nei panni di Nappi, per qualche secondo, ci provo. Il suo punto di vista da pornostar è che il sesso è uguale a tutte le altre attività; dopodichè è evidente che le donne hanno un potere e ne approfittano, quindi esse dovrebbero dare libero accesso al sesso in quanto fonte di piacere per gli uomini che ne hanno bisogno o ne soffrono la mancanza. Quindi basta che le donne non esercitino la propria volontà e il proprio diritto all’autodeterminazione nel decidere se, come, quando, dove, perchè, e soprattutto con chi fare sesso perchè scompaiano o vadano fortemente in crisi: prostizione e, come dice più avanti, il gossip sui giornali scandalistici basati sui nudi (ma, seguendo questo ragionamento, anche violenza, discriminazione, eccetera). Quindi donne, facciamo questo piccolo sacrificio, su. E poi dico non sia mai che si indaghi sul “bisogno maschile” che noi donne dobbiamo soddisfare: ma Nappi lo sa che questo argomento è vecchio come il cucco e serve a legittimare stupri e violenze da sempre? LORENZO: non mi importa tanto di sapere cosa Nappi sa – certo non s’è letta il libro di Serughetti, o non l’ha capito – ma sentire queste sue parole così simili a quelle che trionfano nei forum maschilisti mi basta. Nappi, semplicemente, non sa cosa sta dicendo e si appella ai luoghi comuni più maschilisti condendoli con qualche citazione. Purtroppo, pare che tanto basti a far passare una persona evidentemente impreparata per una valida blogger su MicroMega.]

***

D’altronde anche “Loretta” (la nostra mediatr* invisibile) afferma impunemente cose discutibili, tipo:

Viviamo oggi in una società che ha, almeno parzialmente, sdoganato la pornografia [EH? Appena vedrò trasmesso Gola profonda in prima serata su Rete4, allora ci crederò. Complimenti per il parzialmente, che non si sa che vuol dire]. Anni fa è esistito in America un movimento di femministe, con in testa Andrea Dworkin, che si scagliavano contro la pornografia. Oggi anche il movimento delle donne ha accettato il fenomeno [di grazia, QUALE movimento delle donne? Lo vogliamo capire una buona volta che il movimento delle donne non esiste? E quale fenomeno avrebbe accettato? Loretta chi sei? Palesati!!!]. […] Recentemente è nato in Italia un collettivo di donne che si chiama “Le ragazze del porno” […] che sta cercando attraverso un crowdfunding di finanziare un progetto di cortometraggi pornografici realizzati da loro stesse. [Manca poco che ci cada la mandibola: avevate capito che Torre stava girando cortometraggi pornografici, quindi nel primo articolo si stava facendo spudoratamente pubblicità per procacciarsi i dinè? Noi avevamo capito che stava facendo un documentario sulle ex pornostar pentite che erano tanto struggenti (quante volte ha usato questa parola? Almeno tre!). Poveri illusi. Ah, per completare la sua lucida disamina, Nappi aggiunge poco sotto che]
NAPPI: Ormai la cosiddetta industria del porno non fattura quasi nulla.
[Solo il porno online alza tremila dollari al secondo. Non è un segreto eh, sono stime commerciali come se ne fanno in ogni settore. Ma Nappi è una pornostar, come il collega Siffredi è dotata di competenza infusa e onniscienza divina.]

***

Non l’abbiamo trascurata eh, è che i commenti e le risposte di Latella sono tutte più o meno di questo tenore:

LATELLA: Il papa ha parlato di “avidità senza limiti” e mi pare evidente il legame tra questa ossessione per il possesso di beni e la mercificazione del corpo delle donne: è come se si fosse perso totalmente il senso della gerarchia delle cose importanti e dei valori, riconoscendone sostanzialmente uno solo. Il denaro, le cose. […] sono cresciuta nell’Italia in cui, fino agli anni Ottanta, la piccola come la grande borghesia aveva chiaro il senso delle regole. Se mio padre mi avesse mai visto parlare con un condannato per qualsiasi reato mi avrebbe preso a schiaffi per strada e rimandato a casa. [Ci pare superfluo ogni commento. Potremmo suggerire, per par condicio, a Latella Le ragazze di Benin City, tanto per chiarirle anche che intendere, come fa in un punto, la prostituzione come un servizio talvolta utile alla società perché aiuta ad allentare le tensioni sociali, è un concetto che si merita qualcosina in più delle sberle di papà.]

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Il dialogo finisce comicamente con due post scriptum perché, per motivi che non vengono riportati dalla nostra Loretta, a un certo punto s’è interrotto. Ovviamente Latella scrive che forse la più disincantata è proprio la giornalista, tanto per ribadire che la pornostar è in fondo più bigotta di lei, mentre Nappi si fa forte dello scarto generazionale per chiedersi se le persone di cultura ragionano così, cosa ci possiamo aspettare dal genitore o dall’educatore medio? passando per rivoluzionaria voce delle giovani generazioni, stanche dell’atteggiamento di superiorità di certe vecchie parruccone.

Con chi sta MicroMega è facile dirlo: solo una delle due ha un suo blog nella testata, dove per esempio si può argomentare che fare i pompini è un’arte paragonabile a suonare il violino.

Complimenti a MicroMega. E al violino.

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing MicroMega #1 – Siffredi, Torre, Ardovino

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Cominciamo a parlare del numero 5/2014 di MicroMega nello specifico, dedicandoci al primo dialogo di quelli proposti. Esiste un porno al femminile? è il titolo, e dialogano Rocco Siffredi e Roberta Torre, con Adriano Ardovino a fare da moderatore/curatore.
Le parti citate del dialogo le prendiamo dalla rivista ma voi potete gustarvi
qui quasi tutto il dialogo – notevole che MicroMega sia riportato da Dagospia, vero? E poi, notate anche come questo sito abbia percepito il messaggio di diversità che l’articolo vorrebbe introdurre rispetto al porno tradizionale, si vede chiaramente dalle foto. Evidentemente hanno qualcosa in comune. Chissà. Comunque le difficoltà di non presentare per intero il testo che commentiamo – per motivi di copyright e perché non è salutare stare troppo davanti al video – le superiamo presentandovi delle parti salienti, le cose più divertenti e interessanti. Immaginate di leggerle, come certi vecchi sketch d’avanspettacolo, intervallate da un battito di piatti e dalle risate del pubblico; tipograficamente, con i tre asterischi.

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Comunque la si giudichi (sul piano estetico e morale), la pornografia occupa nella nostra società uno spazio ampio e storicamente inedito. Sarebbe impossibile, volendo descrivere il mondo odierno così com’è, non tener conto di quanto la rappresentazione esplicita della sessualità attraversi buona parte della nostra cultura, non solo quella cosiddetta «pop» o quella legata alle arti visive e al cinema. Dall’immaginario privato al corpo esibito, dalla fruizione di contenuti in rete alle nuove forme di «dipendenza» e ai legami con la politica, la pornografia è ormai strettamente intrecciata con la nostra quotidianità [ok, lo diamo come dato di fatto, e facciamo finta che tutti sappiamo perché – mentre invece ci vorrebbe almeno un numero di MicroMega a parte per ricostruire il tutto. Pazienza].

E se il pensiero femminista, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, ha condotto battaglie cruciali (e purtroppo ancora attuali) contro la mercificazione e lo sfruttamento mediatico del corpo femminile, da qualche decennio a questa parte molte donne hanno formulato un approccio diverso al tema. Un approccio forse più «libertario», sicuramente meno persuaso che il problema sia soltanto la violenza maschile o il punto di vista «patriarcale» [le premesse di Ardovino esprimono il taglio politico di questo pezzo, perché di politica si tratta anche se gli attori chiamati ad esprimersi non esplicano un punto di vista definito. Sembrano stranamente i temi cari alla critica femminista all’industria pornografica. In questo caso avremmo l’impressione che si presenti quella critica come vecchia e superata, dalle stesse donne, senza però citare fonti e confutare posizioni].

Si inserisce qui, mi pare, il progetto intitolato Le ragazze del porno, al quale partecipano diverse registe italiane, la più nota delle quali è Roberta Torre. Ispirato alla cineasta indipendente Mia Engberg, che in Svezia ha usufruito di finanziamenti pubblici per realizzare alcuni cortometraggi sulla sessualità «vista e vissuta dalle donne», il progetto ne riprende il «manifesto». Vi si parla della «necessità», soprattutto in Italia (dove si «consuma» molta pornografia, quasi mai fatta da donne), di raccontare corpi e pratiche da un diverso punto di vista. Di liberare una diversa rappresentazione del desiderio e del piacere. Di dare visibilità a un immaginario che le donne stesse, talvolta, si troverebbero a marginalizzare o a negare. Come stanno realmente le cose? [Ardovino è un genio dell’ambiguità, perché questa diversità continuamente citata non si capisce bene da che tenda a distinguersi: dall’approccio maschile? Che non viene descritto, se non nel testo molto vagamente, oppure dall’approccio femminista (femminile, per carità) citato poc’anzi? Da tutte e due? In due casi su tre diremmo che secondo Ardovino la critica femminista al porno oltre che vecchia e superata è anche monolitica, oppressiva e censoria, niente male per un testo di approfondimento e di critica di “alta qualità”. Questo dubbio ci accompagnerà nella lettura. Forse lo saprà mettere in chiaro il noto esperto di pornografia femminile Siffredi, di cui Ardovino non ritiene necessario specificare il motivo della presenza nella sua presentazione – invece, per Torre, sì.]

***

SIFFREDI: Molte donne mi dicono ad esempio: «Entra nella mia testa, fa del mio corpo quello che vuoi» [Sarebbe stato carino capire quando e in che circostanza, ma forse è meglio non indagare].

TORRE: Questo è quello che ogni donna desidera [SARA: Lorenzo scusa, devo andare a comprare un prodotto di Siffredi perchè non posso sfuggire alla matematica, la quale si sa è una scienza e non un’opinione. LORENZO: Fai pure; posso accompagnarti io?].

SIFFREDI: È l’atteggiamento che adotto io [quale? Sapere in anticipo quello che ogni donna desidera? Fichissimo, siamo alla pornotelepatia. Attenzione, per chi lo avesse dimenticato: siamo sempre dentro un numero di MicroMega intitolato Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento]. Ma lo faccio in maniera naturale, perché a me piace vederle godere, le donne [che carino, è tanto premuroso]. Per fortuna la natura mi ha aiutato, nel senso che per natura sono una persona alla quale di godere per se stessa non gliene frega niente [ha la vocazione del martire, lui], quindi nel mio lavoro mi trovo bene, sia nei confronti delle attrici con cui lavoro sia nei confronti dei fan. Ogni mio film è rivolto fin dal principio a tutte le migliaia o milioni di persone che lo vedranno. E io cerco una connessione con una donna per realizzare qualcosa di particolare, che possa piacere a tantissime altre donne [sarà il caso di dirglielo, visto che invece comprano e scaricano soprattutto uomini. Ah, che destino cinico e baro]. Questo è un po’ il «sistema» che seguo, anche se non sempre viene compreso [tranquillo, ci pensa MicroMega].

TORRE: Lo capisco benissimo. Al tempo stesso, dobbiamo sempre rispettare le differenze. Ci tengo a ribadire, di nuovo, che questa è comunque una mia visione e che non voglio, né posso, parlare a nome di tutte le donne [Cara Torre, potevi dirlo alla frase precedente. Comunque, Siffredi invece non ha problemi a farlo, lui parla per tutte le donne perché le ha conosciute tutte. E niente battute, siamo su MicroMega]. Probabilmente, infatti, molte donne non la pensano come me.

SIFFREDI: Il novantotto per cento ti assicuro di sì… [lui non spara cifre a caso eh, dispone di un campione molto grande e ben selezionato secondo i migliori criteri delle scienze statistiche]

TORRE: In qualche modo, quello che tu «senti» [lei ci prova a insinuare che non può “saperlo” ma che al massimo lo “sente”, e ci vorrebbe un moderatore a farlo notare. Ardovino, dove sei?] conferma qualcosa che anche molte donne avvertono, me compresa. E in fondo è questo che mi spinge a raccontare e a rappresentare. L’ipocrisia non giova mai a nessuno [invece far straparlare Siffredi su MicroMega, sì?].

***

SIFFREDI: A volte ti trovi veramente davanti a dei pezzi di carne [del destino dei quali né Siffredi né MIcroMega sembrano volersi occupare]. Dal lato opposto, poi, vedi giovani donne che non sanno neanche come iniziare un approccio [scusa, lato opposto a quale?]. Il mio sesso vuol essere invece un sesso particolare, un viaggio con una donna per portarla su altri piani, per cercare di entrarle veramente nel cervello, in maniera profonda, per poi poter giocare insieme [com’era l’approccio femminile al porno? Ah, sì voleva esprimere un diverso punto di vista, liberare una diversa rappresentazione del desiderio e dare visibilità ad un immaginario che le donne stesse si troverebbero a marginalizzare o a negare. A me sembra che oltre al corpo qua si voglia dire che nel porno è possibile entrare e manipolare anche la mente di una donna, il che mi sembra sia da denunciare e non da celebrare – ah già, questo è quello che ogni donna desidera, ha detto Torre].

Quando agli attori viene mostrato un video e viene detto loro: «You have to do it like Rocco, Rocco style» (cosa che capita spesso e che vivo con «imbarazzo»), quando li vedi cominciare a sputarsi o a dare schiaffi ripetendo meccanicamente dei gesti che tu fai soltanto al momento giusto, con una persona che se l’aspetta, che vuole esattamente quella cosa in quel determinato momento, allora non è altro che una replica completamente meccanica [va bene, ma una replica DI COSA? Si tratta di due attori, no? Ma lo leggiamo solo noi che il caro Siffredi fa finta di non dover esplicitare che è in ballo un rapporto di potere giocato tra realtà e rappresentazione, sempre a scapito di uno solo dei protagonisti?].

E questo significa oltrepassare il limite, che è il contrario di quello che cerco di fare io, ossia essere sempre «al limite», senza mai oltrepassarlo [il limite DI COSA, dillo!]. Un limite al di là del quale si generano solo violenza gratuita ed esibizione (finta) di virilità (presunta).Quando vedo questi ragazzi che mi imitano in modo esteriore, mi rendo conto di quanto sia lontana la mente maschile dal comprendere le donne [ah.Tu vedi i ragazzi imitarti penosamente e pensi che non siano capaci di comprendere le donne. Il dio Siffredi non lo si mette in discussione, mai. Infatti Ardovino – che mi risulta essere filosofo schietto – avrebbe dovuto interromperlo già dieci volte almeno, per chiedergli di essere un poco più preciso e rispettoso delle parole, dato che tra realtà, finzione e rappresentazione Siffredi sta facendo un casino a suo comodo. Invece, niente].

E anche di quanto sia complicato cercare di «connettersi» sul piano mentale. Non si insegna in poco tempo, a certi ragazzi [ah, lo si insegna? E dove? E come?]. Soprattutto, gli uomini che non sono predisposti (e ti assicuro che sono tanti) non lo potranno mai capire [PREDISPOSTI? Esiste il gene della comprensione delle donne? ARDOVINOOO!]. Con questa finta erezione (forzata, chimica), oggi si sentono tutti leoni, e finiscono per utilizzare l’«attrezzo» molto male. Il che significa allontanarsi ancora di più [capito il problema? Bisogna saper usare bene l’«attrezzo» per entrare nella testa delle donne, dato che questo è quello che ogni donna desidera. Su MicroMega].

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TORRE: … Il discorso è molto ampio e non riguarda solo le singole coppie. Quando c’è un problema, nel rapporto tra uomo e donna, indubbiamente viene vissuto dentro e fuori dalla stanza da letto [e fin qui non ci piove]. E mi pare che oggi non ci sia alcuna facilità di rapporti tra i due generi [un po’ vago ma può ancora andare]. Di certo le donne non hanno ancora ottenuto quello che volevano ottenere attraverso le battaglie femministe e spesso hanno perso fette d’identità molto cospicue [che cosa sono le fette d’identità? Che vuol dire?]. L’uomo, d’altro canto, si trova assolutamente spiazzato [embè, già c’ha i suoi limiti, te poi gli parli di fette d’identità… e comunque spiazzato in che senso?]. E di rimando lo è anche la donna [LORENZO: come sarebbe di rimando? Di rimando a cosa, e perché? Vabbè che è un dialogo, ma cerchiamo di renderci comprensibili! SARA: Come, Lorenzo! Ma allora non mi stai sul pezzo, è da prima che si parla di matematica: l’uomo è spiazzato? Di conseguenza lo è anche la donna, del resto le femministe hanno perso, ci rimane solo la matematica!]. E’ indubbio che tutto questo non possa non tradursi in una incomprensione [e te credo, spari parole a vanvera] anche fisica, sessuale. Sono sempre più convinta che alla fine il corpo è l’unica cosa che non mente [forse non mente – ammesso di capire cosa vuol dire che un corpo mente – ma certo è confuso, l’hai detto tu, è nella incomprensione. Non ne parliamo più?]. Me ne convinco lavorando con gli attori, lavorando in teatro, osservando le reazioni fisiche degli esseri umani [VA BENE, ti convinci che non mente, ma rimane il fatto dell’incomprensione, che non è un mentire. Allora?]. Senza voler fare voli pindarici, direi che oggi più che mai la sessualità e la sua rappresentazione possono essere un nodo importante, artisticamente vitale e rilevante, di raccontare quello che sta succedendo tra uomo e donna [ma succede da quando l’uomo fa i graffiti sulle grotte! E che ci voleva Torre per dirlo? E’ questa la misura del suo contributo al dialogo? Confermare a Siffredi che lui è il dio delle donne e dire ovvietà?].

TORRE: Oggi, a trent’anni di distanza [da Cicciolina e dal Partito dell’Amore, ndr], la posta in gioco è provare a parlare del sesso «insieme» alla politica [eh? E che vuol dire?], contrastando in ogni modo il punto di vista solo negativo e a tratti infamante con cui ancora se ne parla [di quale dei due? Vabbè, tanto…], tentando cioè di «far parlare» diversamente il sesso anche in termini di cultura e di rappresentazione audiovisiva [e io che pensavo che sarebbe dovuta essere la cultura e la rappresentazione a dover cambiare per parlare decentemente del sesso. Invece, guarda un po’, è il sesso che va fatto parlare diversamente. Ma non aveva detto poco prima che il corpo è l’unica cosa che non mente?].
SIFFREDI: Credo anch’io che dovrebbe essere così [come ha fatto Siffredi a capire cos’ha detto Torre? Ah, già, lui è “predisposto” di natura].

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SIFFREDI: Non dimentichiamo comunque che si sta parlando di pornografia [ti giuro, Rocco, che l’avevo capito: non mi sembra certo di star leggendo MicroMega]. In una coppia «normale» [ci sono anche altri modelli, evidentemente], l’uomo non vuole una moglie «troia», perché anzi la desidera «a comando» [io so di molti milioni che vogliono una troia a comando, di che tipo sono?]. Se invece si accorge di avere una donna molto «performante» dal punto di vista sessuale, non la vuole più [il fatto che ne stia parlando come di un bene acquistato difettoso non smuove il nostro “predisposto” di un millimetro, né smuove il filosofo che assiste al dialogo]. La pornostar diventa una sorta di Anticristo per l’uomo normale, che la sogna, la desidera in quell’attimo, ma poi la vuole distruggere. Io invece sono uno [lui, il predisposto] che ama la donna con tutto l’«involucro», cioè per intero, con tutto il suo corpo [ma involucro di che? ARDOVINOOO dove sei? Manco l’Anticristo ti fa intervenire?]. Vedo tanti pornostar che laddove si sporcano a causa dei rapporti anali o con le mestruazioni, odiano le donne. Non si può dimenticare che il corpo della donna si porta dietro anche questi fardelli, che sono legati alla natura [sai che novità! La donna è corpo e natura da almeno tre millenni, quelli dominati dal patriarcato che la vuole inferiore all’uomo proprio perché le manca la razionalità! Veronesi poi lo ribadisce nel suo articolo centrale, come vedremo: la vedono nello stesso modo, ecco perché si scambiano i convegni!].

TORRE: È perfettamente vero, ed è un altro aspetto che distingue il maschile dal femminile [notate la delicatezza di Torre, un altro – gli altri, chissà, si sono persi con le fette d’identità.].

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ARDOVINO: Un’ultima domanda. C’è posto, nella pornografia, per il pudore e la vergogna? [Assist finale di Ardovino. Pronti?]

SIFFREDI: L’ultimo ricordo che ho risale a trent’anni fa, dopo i primi sei mesi di porno, quando ho visto per la prima volta il mio sedere e i miei testicoli da dietro. Lì ho provata tanta, tanta vergogna. Ma dopo quell’immagine lì, mi sono abituato e la vergogna, per me, non è più nudità da almeno trent’anni [adesso qualcuno dovrebbe dire qualcosa sull’alienazione e l’uso dei media, ma ci vorrebbe un filosofo, mannaggia]. So che sembra scontato, che lo si ripete troppo spesso, però la vergogna la provo quando vedo i ragazzini che annegano o muoiono di fame [sì, è scontato]. Il pudore, invece, lo sento come qualcosa di molto più intimo. Non è sicuramente legato a un’immagine, altrimenti non farei quello che faccio. Direi che il pudore sono i sentimenti, sono il cuore. Tutto quello che ad esempio sento per mia moglie, Rosa, grazie alla quale sono riuscito a mantenere il mio equilibrio [e su, diciamolo anche su MicroMega: dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. Cosa ridete? Vi vedo, eh!]. Una donna che ti capisce e che ti sorride e che ti lascia libero. Che ti fa andare a lavorare, appunto, con un bellissimo sorriso. E quando torni a casa, sai comunque che puoi contare su di lei [il declino conservatore di Siffredi è deprimente. Infatti prima parla male dei porno attori che si lamentano dei fluidi corporei di una donna sul set, poi all’ultimo si scopre marito soddisfatto di una donna che mentre lui fa il porno divo l’attende a casa, lo capisce e lo comprende. Che bel quadretto familiare. Visto? Il predisposto, il dio delle donne, alla fine è uno come tutti gli altri. Però non è «normale»: Rosa, sicuramente, non è né «troia», «a comando», vero?].

TORRE: Ancora una volta, credo che tutto sia relativo a una forma di consapevolezza. La vergogna, il sentimento di sentirsi ridotti a oggetto, non passa per il corpo [SCUSA? ], e di sicuro non è legata in modo necessario al tipo di situazioni che abbiamo descritto. Sono di nuovo d’accordo con Rocco: la vergogna mi pare qualcosa di legato a una mancanza di consapevolezza. Riguarda molti aspetti, ma di certo non può riguardare una condizione di nudità e men che meno il sesso [Torre, che dice, lo chiediamo a chi ha subito uno stupro?]. «Pudore», invece, mi pare una delle parole più dimenticate della nostra società. Nell’Italia di oggi non esiste alcun pudore. L’idea di non legarlo a un corpo nudo mi pare però necessaria e a tratti indispensabile [non lo è già di suo, basta il vocabolario]. Soprattutto, credo che entrambi i termini, vergogna e pudore, non si possano più associare, in nessun modo, alla sessualità e al corpo nudo, ai suoi gesti e ai suoi movimenti, anche a prescindere dal porno. Forse, in qualche modo, la vergogna resta legata alla violenza. Ci si può vergognare per una violenza, questo sì. Ma non per un corpo. Non per un atto sessuale [di nuovo, la invito a parlarne con chi ha avuto, o si occupa, di esperienze di violenza sessuale. Potrebbe esserle d’aiuto. Ma dopotutto, perché mai se ne dovrebbe accennare in un numero di MicroMega intitolato Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento, in un dialogo sulla pornografia?].

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Insomma: “Le ragazze del porno” è un lavoro sulla sessualità e sul desiderio delle donne che hanno fatto porno e che ora se ne sono distaccate. Mentre Ardovino e Siffredi tentano di tenere il discorso sul porno, Torre insiste sulla sessualità e sul desiderio, al massimo sull’erotismo. Inoltre i suoi discorsi tendono sistematicamente a fare da sponda a quelli di Siffredi che essendo più “interno” all’argomento, risulta essere molto più competente di lei. Sarà un caso ma in questo articolo quella fuori posto e sprovvista di una sua legittimità sembra proprio Torre, l’unica donna. Ma non si voleva valorizzare qui il punto di vista femminile sul porno? Infatti Siffredi appare come l’esperto, colui che ha l’ultima parola per confermare quello che viene detto. Nei confronti di Torre e di tutte le donne ha un atteggiamento paternalistico, lui sa cosa è bene per le donne, lui sa cosa vogliono, il suo porno è assolutamente confacente ai desideri delle donne. Grazie alla moglie Rosa.

Questo è MicroMega 5/2014. E siamo all’inizio, eh.

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing MicroMega #0

rembrandt-self-1-copertina1630-890x395Questa che segue è la presentazione del numero 5 2014 di MicroMega, dedicato a Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento. E’ passato un po’ di tempo, è vero, ma dovevamo pur leggerlo: e noi non siamo grandi intellettuali o lettori raffinati come in media ha MicroMega, quindi c’abbiamo messo parecchio a leggere e a renderci conto di cosa avevamo letto. Nei prossimi giorni faremo seguire degli appunti su ciascun articolo, ma è il caso di fermarsi anche su questa presentazione, tanto per dire qualcosa su quello che c’è in questo numero. E, soprattutto, su quello che non c’è.

Da giovedì 24 luglio in edicola e su iPad il nuovo numero di MicroMega, un monografico dedicato al “corpo della donna tra libertà e sfruttamento”. Ad aprire due dialoghi: nel primo uno dei più famosi attori porno italiani, Rocco Siffredi, e la regista Roberta Torre discutono della possibilità di un porno “al femminile” [ma avvertiamo solo noi, oltre l’impreparazione culturale dei due interlocutori, un loro vago “conflitto d’interessi”?]; nel secondo, la pornostar Valentina Nappi e la giornalista Maria Latella affrontano temi come la prostituzione, la mercificazione del corpo femminile, il rapporto tra giovani e sesso [anche in questo caso ci sfugge la correlazione tra interlocutori e argomenti: non era disponibile qualcuno delle associazioni che si occupano di prostituzione, di tratta? Qualche sociologo o studioso di questioni di genere? Un formatore, un educatore esperto di questioni sessuali? No perché, con lo stesso criterio, appena MicroMega si decide per un numero sulla fisica quantistica, noi ci candidiamo].

Un’intera sezione è dedicata alla pornografia [oh quale audacia: i signori perdono il monocolo, le signore svengono. Presto, i sali!]. La rappresentazione esplicita dell’atto sessuale continua a essere un tabù. Su queste ambiguità – e su queste ipocrisie – [quali? Ne è stata nominata a stento una] ha giocato Lars von Trier con il suo Nymphomaniac, che rappresenta l’ultimo tassello di un rapporto complicato e ambivalente del cinema con la rappresentazione del sesso, come riportato da Fabrizio Tassi. Un rapporto ambivalente perché spesso fondato su una netta separazione tra il sesso in film ‘normali’, se non addirittura d’autore, che si possono permettere solo di alludere e ammiccare [se non ricordo male – due esempi vecchi eh, tanto per dire – nè Pasolini nè Oshima ammiccavano affatto: sono registi di porno commerciale? Forse il problema è un altro, non quello che si vede e quello che no], e i film porno veri e propri, un genere a sé, la cui storia – raccontata da Pietro Adamo – è andata di pari passo con i cambiamenti tecnologici, dalle riviste a internet, passando per cinema e videocassette. Un fenomeno molto controverso, su cui intellettuali, filosofi e, soprattutto, femministe [toh, finalmente, eccole], si sono sempre divisi: il porno è uno strumento di oppressione delle donne, o un elemento di contestazione della moralità conservatrice e quindi di potenziale liberazione per le donne stesse? [Solo due ipotesi possibili? Tutto qui, MicroMega? Mentre del porno “al femminile” abbiamo fatto parlare Siffredi. Complimenti] Matthieu Lahure ricostruisce i termini della controversia.

In un iceberg su “corpo e tabù” Gloria Origgi ci ricorda che la nostra intera vita si può leggere sul proprio corpo. Un corpo che, per le donne soprattutto, ha spesso rappresentato una condanna ai ruoli stereotipati di madre o prostituta [meno male che ce lo ricorda lei, oggi non se ne parla più, vero?]. Ma persino quello che sembra l’istinto più naturale per una donna – quello materno – naturale non è affatto, come sostiene nel suo contributo Élisabeth Badinter [si sono sbagliati, il pezzo di Badinter sembra l’unico appropriato di tutto il numero. Gli è sfuggito, è evidente]. Mentre Giulia Sissa traccia la parabola dei movimenti femminili, che oggi rivendicano con orgoglio il corpo erotico come strumento di lotta [ma quindi tutti i movimenti, o solo questi ultimi?]. Eppure i tabù sono duri a morire [aridàje: quali tabù?], come dimostrano le straordinariamente variegate politiche di gestione della prostituzione descritte da Giulia Garofalo Geymonat [che lavora in Svezia: vogliamo parlare del tabù degli studi di genere in Italia? Dite che c’entra qualcosa? Ma no] e l’ostilità verso la figura dell’assistente sessuale per i disabili, tratteggiata da Alessandro Capriccioli [un giornalista, non un operatore del settore. Ma il tabù è chiamare le persone competenti?]. A chiudere la sezione un inedito dell’illustre oncologo Umberto Veronesi dal titolo “Il corpo delle donne dalla mortificazione all’emancipazione” [tema caro a ogni illustre oncologo, come certamente sapete; però, considerando che Siffredi lo sinvita a convegni medici e dice la sua sul cancro alla prostata, tutto quadra perfettamente].

Ma è compatibile la religione con l’emancipazione delle donne? [«Estiqaatsi», direbbe un grande capo indiano, ma qui siamo su MicroMega, quindi ci occupiamo di tutto il risibile con grande qualità] Carlo Augusto Viano delinea la storia del posto che le donne hanno occupato nella religione cristiana, dalle origini fino a papa Bergoglio: una presenza costante, ma sempre un gradino sotto all’uomo e non pare proprio che su questo fronte Francesco stia portando novità rilevanti [eh, meno male che ce lo dice MicroMega]. Il sacrificio del figlio e il ripudio della donna sono, secondo il giudizio di Rachid Boutayeb, due elementi essenziali di tutte le religioni monoteistiche, e dell’islam in particolare [altra novità sconcertante. Io me n’ero accorto perché le religioni monoteistiche con a capo una divinità femminile sono pochine, ma che volete che ne sappia io, mica scrivo su MicroMega].

Infine un saggio di Siri Hustvedt analizza l’idea di femminilità che pervade le tele di Picasso, Beckmann e de Kooning [prima di invocare ancora Estiqaatsi, una domanda: artiste di cui parlare non ce n’erano, vero?].

Quello che manca è una lunga lista di argomenti dal nostro punto di vista importantissimi quando si tratta del corpo delle donne. Dagli ambiti che concernono l’autodeterminazione come il diritto di scegliere la maternità o di rifiutarla, oppure al diritto alla vita che viene messo in pericolo dalla violenza domestica maschile e da quello che è a volte (troppe) l’esito di questa violenza, il femminicidio. Oppure ancora si potrebbe parlare di quello che attualmente è il dibattito sull’importanza di un’educazione a sentire il corpo, fin da piccoli, con il tocco materno, su quanto questo condizioni il nostro essere propensi alla dominanza o alla partnership. Per non parlare delle discriminazioni che il corpo delle donne subisce in quanto appartenente alle donne, fin dalle scuole materne con giochi, libri e atteggiamenti dei “grandi” tesi a far sedimentare stereotipi di genere fin dalla tenera età. Fino al terribile tema che vede il corpo di 60 milioni di bambine nel mondo essere oggetto di pedofilia da parte di “mariti” promessi che fanno buoni affari, a scapito spesso della vita di queste piccole, anche dopo la prima notte di nozze. E sono i primi esempi che ci vengono in mente.

Si potrebbe obiettare che queste discriminazioni, queste limitazioni, queste violenze e queste uccisioni coinvolgono anche il corpo maschile. A parte che non tutte queste ingiustizie sociali sono vissute dai corpi dei maschi, infinite storie e finanche infinite (ahinoi sempre poche) statistiche ci parlano di quello che invece viene agito dai corpi maschili nella stragrande maggioranza dei casi, e che solo per una minoranza di uomini possono definirsi delle circostanze in cui quelle vengono subite.

Si potrebbe anche obiettare che questi argomenti sono assenti, seppure importanti, ma che molti altri vengono invece sviscerati dalle molte testimonianze presenti nel testo. Però a questo proposito invece c’è una povertà da registrare già in partenza e dichiarata apertamente nel sommario: «un’intera sezione è dedicata alla pornografia». Contando anche le pagine iniziali in cui si interroga Siffredi e Nappi su sesso, pornografia e quant’altro, le pagine dedicate al porno – e dedicate in quel modo, di cui parleremo – sono 84 su 200. Troviamo che questo sia di un’aridità sconcertante. Anche perchè sono seguite a ruota da [numero] pagine sul sesso e [numero] pagine sulla prostituzione. Poi segue la religione, un articolo affidato a Umberto Veronesi di argomento indefinibile, e l’arte.

Non ho citato l’articolo di Giulia Sissa: è l’unico articolo che si interroga sui movimenti (udite udite!) “femminili” sul corpo della donna, ma anche qua, come vedremo, solo riguardo alle “pruderie” delle donne e non sulle conquiste importantissime che il movimento femminista in Italia e nel mondo ha compiuto.

Insomma: MicroMega fa un numero su Il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento e le femministe, i diversi femminismi, non ci sono. Non ci sono negli argomenti, non ci sono tra i nomi degli autori. Femministe? Mai esistite. Ah, no, veramente no, saremmo ingiusti. Se ne parla sì, a proposito delle diverse prese di posizione sul porno. Complimenti a MicroMega per la considerazione e il respiro culturale dato a questo suo numero.
Stay tuned – ne parleremo ancora.

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini