Diventare donna significa diventare una puttana

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Traduzione di questo post di Akynos – aka The Incredible Edible Akynos, performer burlesque e intrattenitrice.

Chi poteva immaginare che diventare donna significasse diventare una puttana?

Di questi tempi, la libertà sessuale delle donne è talmente oppressa, che l’unico modo per essere considerata onesta è quello di adottare una facciata da madonna.

Le donne rispettabili non bestemmiano, né dormono in giro. Passano la vita rincorrendo la speranza di sposare l’uomo dei loro sogni tristi e ottenere qualche lavoro succhiasangue, mentre conservano la loro energia sessuale per quel solo uomo – per sempre. Un uomo che, vorrei aggiungere, a causa della sconcertante doppia morale della nostra società, può ritenere suo diritto divino scopare ogni donna che desideri, solo perché è un uomo.

Umiliata fino alla repressione sessuale, la donna non dovrebbe mai ricorrere ad atti di espressione sessuale, perché verrebbe considerata empia – indegna d’amore, un’emarginata sociale. E di fronte all’opportunità di scopare senza pensieri, non dovrebbe mai cercare un profitto economico.

Dispensare fica gratuitamente, anche se comunque deplorevole moralmente, è leggermente più rispettabile e viene considerato con maggiore indulgenza rispetto all’accettare denaro in cambio di preziosa energia sessuale. Energia che, se priva di adeguato sfogo, può far impazzire chiunque. Sarebbe come cercare di esistere senza il sole; non è possibile!

In una cultura misogina e sessualmente repressiva, nella quale gli uomini guadagnano ancora più delle donne, il lavoro è poco, l’istruzione universitaria sta dimostrando di essere una farsa, e troppi uomini approfittano emotivamente e fisicamente delle donne senza alcuna conseguenza, come può una cagna redimersi?

Può prendere posizione e rifiutarsi di essere trattata come una stupida senza cervello. Nonostante la natura misogina della nostra società, resta il fatto che la fica è ancora potere. E il sesso vende sempre. Le brave ragazze non sono le uniche a realizzarsi. Vendere sesso può essere il modo in cui gli uomini imparano a trattare le donne. E in cui le donne possono comprendere il loro proverbiale valore.

Quando ci si stanca della corsa all’inseguimento di amore e di denaro, una soluzione è quella di tagliarsi le vene – l’altra è ricorrere alla prostituzione. La prima volta che ci si vende ricorda la prima dose di eroina, o il risveglio spirituale di coloro che hanno perso la fede. Ci si rende conto che esiste un potere tra le cosce, nella loro consistenza – nella loro stessa presenza. Si diventa testimoni della guarigione delle anime solitarie che attraversano le nostre porte, anche quando tutto quello che vogliono è una sveltina, e non si avrà mai un’altra occasione di incontrarli.

Si impara a dire di no a situazioni che non si ritengono degne dei propri sforzi perché, puntuale come un orologio, qualcosa di meglio arriva sempre. Si impara che alcuni dei ragazzi più belli non sono sempre i migliori a letto. E che anche i ragazzi più belli pagano per averti.

Cresce in te un amore più grande per te stessa, la fiducia trabocca. Non solo ottieni i mezzi per vivere, ma mentre una volta ti credevi brutta, scopri che molte, molte persone ti trovano così attraente che sono disposte a spendere soldi per te.

Impari che dispensare energia sessuale è un dono che nasce dentro di te. Anche se la società sostiene che sia un modo indegno di guadagnarsi da vivere, ti senti un’onesta cittadina ogni volta che spalanchi le gambe. E capisci che ci sono molti modi di dare energia e che in un modo o nell’altro, siamo tutt* in vendita.

Ti rendi conto dell’importanza del sesso protetto – più che mai. Perché quando uscivi solamente con una persona, spesso ti comportavi da incosciente. Ma ora che il sesso è il tuo mestiere, sei prudente con i tuoi numerosi partner. In quale altro modo potresti pagarti le bollette se fossi affetta da una patologia sessuale che avresti potuto evitare?

Mentre un tempo eri insicura e permettevi all’interesse amoroso del momento di calpestarti, ora ti rendi conto di avere potere – perché hai molte scelte. Perché quasi all’improvviso, puoi ottenere denaro. Ti rendi conto che quando una persona ti paga, è più incline a rispettarti. Comprare sesso dà luogo a una dinamica diversa rispetto a quando viene offerto gratuitamente.

Prima di diventare una puttana eri una bimbetta insicura, regalavi gratis quello che poteva liberarti.
Non eri una donna allora. Ma, accidenti, se lo sei ora!

CORPI REAGENTI – MySlut Walk e qualche considerazione a margine

corpireagenti

Questo weekend segnaliamo, per chi si trova a Torino, un appuntamento imperdibile… anzi due!

A conclusione del progetto ‘What’s Body?’ che il collettivo Sguardi Sui Generis ha portato avanti nel corso dell’anno con diversi incontri, il discorso sul corpo verrà approfondito attraverso due giornate dedicate alla sperimentazione e alla performatività.
CORPI REAGENTI sarà articolato in due giornate:

– SABATO 15 GIUGNO @ csoa ASKATASUNA (corso Regina, 47)
alle ore 15: laboratorio MY SLUTWALK a cura del collettivo femminista Le Ribellule Collettivo Femminista (leribellule.noblogs.org)
…a seguire aperitivo danzante in compagnia de Le Elettrosciocchine!

– DOMENICA 16 GIUGNO @ circolo Maurice (via Stampatori, 10)
alle ore 15: MASCHILITA’ DI CHI? laboratorio di Kinging a cura del Lab. Sguardi Sui Generis
…a seguire merenda queer!

Rimandiamo al post pubblicato da Sguardi Sui Generis per maggiori info sull’argomento.

A prescindere da questa bella iniziativa, alla quale speriamo aderiate numeros*, vorremmo con questo post dare l’avvio ad una riflessione più generale sulla SLUT WALK, sui suoi significati (e contraddizioni) e sulle sue prospettive future.
Abbiamo in proposito tradotto parte di un articolo scritto da Yasmin Nair, che riflette su alcune delle zone d’ombra della Slut Walk: lo abbiamo scelto perché alcune delle questioni sollevate risuonano dei dubbi che a volte ci attanagliano, e perché vorremmo con tutte le nostre forze evitare ciò che la Nair prefigura, quando si chiede:

La Slutwalk rappresenta la fine del femminismo?

‘Senza consapevolezza critica e volontà di affrontare ed agire in merito ai problemi strutturali, economici e politici che devono affrontare le donne e molti altri soggett*, la Slutwalk rischia di diventare l’Halloween del femminismo: quell’unico giorno dell’anno in cui le donne si sentono autorizzate a vestirsi in abiti succinti e a definirsi puttane, ma che le lascia prive di quel potere attraverso il quale realizzare davvero quel cambiamento che va oltre ad uno slogan in stile Obama.’

[…] Nel 2011, mentre sfilavo con migliaia di persone radunatesi in una splendida giornata estiva, e mi trovavo in piedi sopra una tribuna improvvisata a declamare un breve discorso, non ho potuto fare a meno di sentirmi eccitata alla prospettiva di assistere a ciò che per me rappresentava il riaffacciarsi, pieno di significati e importanza, del femminismo, un movimento che consideravo agonizzante – per non dire quasi scomparso.

Ho nuovamente tenuto un discorso alla Slut Walk di quest’anno, e mi sono trovata a chiedermi dove fosse finita tutta quell’energia. I travestimenti erano sempre quelli, così come i cartelli, provocatori e spesso molto divertenti, anche se le persone presenti erano molte meno. Nell’osservare la folla per la seconda volta, mi sono chiesta perché così poco fosse cambiato, e se questa volta, la Slutwalk rappresentasse non l’inizio ma la fine del femminismo.

La Slutwalk è nata a causa di un poliziotto di Toronto, il quale disse che “le donne dovrebbero evitare di vestirsi come puttane, se non vogliono diventare vittime”. Queste parole sarebbero state già gravi di per sé, ma il venir proferite durante un forum di prevenzione della criminalità fu molto peggio, perché implicava che le donne che si vestono in un certo modo meritano quello che capita loro. Tali parole ebbero l’effetto di provocare innumerevoli discussioni, e le donne marciarono in massa per rivendicare e decostruire il termine “puttana.”
La popolarità della Slutwalk, lo scorso anno, ha portato alcun* ad asserire che essa rappresenti il futuro del femminismo.

[…] “Femminista” non è un’etichetta che mi piaccia utilizzare. Mi sono trovata spesso in disaccordo con quello che solitamente viene definito femminismo, soprattutto negli Stati Uniti, dove il termine è purtroppo associato a quelle donne bianche privilegiate i cui interessi sono principalmente il controllo delle nascite e il diritto d’aborto, e oltre a questo poco altro. In realtà, anche il linguaggio dei diritti, nella sua problematicità insita nel privilegiare il singolo soggetto invece di compiere un’analisi sistemica dei rapporti di potere, è stato soppresso dalle femministe americane tradizionali. […] Nonostante tutte questi aspetti problematici, e il fatto che io spesso rabbrividisca quando mi viene chiesto se sono una femminista, di solito rispondo di sì, perché penso ancora che questo termine, così come la parola “queer”, abbia una qualche potenzialità – forse non di rottura, ma che in ogni caso detenga in sé ancora una qualche promessa spettrale o minaccia di cambiamento.

La prima Slutwalk dunque, ha rappresentato la piattaforma necessaria per discutere pubblicamente – e ricominciare a combattere – il sessismo e la misoginia profonda che pervade la nostra vita pubblica e privata, anche nei mondi apparentemente più illuminati della sinistra.

Nei mesi successivi, la Slutwalk è stata sia lodata che criticata. I/le critic* hanno sottolineato che rivendicare la parola “puttana” è problematico, in quanto il termine è spesso usato per sminuire e infantilizzare le donne di colore. Trovo la critica in sé offensiva, poiché presuppone che le donne di colore siano impotenti e passive, per sempre intrappolate nel ruolo delle vittime. E’ anche un argomento essenzialista, che dà per scontato che tutte le donne di colore abbiano le stesse opinioni. Mi sento di affermare inoltre che il privilegio, come ad esempio il privilegio di definirsi una puttana, non è un’esclusiva delle persone bianche; troppa cultura di sinistra sostiene erroneamente che le comunità di colore non vogliano o non possano riprodurre dinamiche di privilegio o non siano in qualche modo influenzate dal capitalismo/neoliberismo.

[…] Molte delle discussioni emerse nell’ambito della Slutwalk sono centrate su narrazioni fortemente personali, che ignorano i modi in cui il femminismo si sia storicamente impegnato a resistere anche contro gli squilibri strutturali, quali la politica ed economia dell’ineguaglianza. Senza consapevolezza critica e volontà di affrontare ed agire in merito ai problemi strutturali, economici e politici che devono affrontare le donne e molti altri soggett*, la Slutwalk rischia di diventare l’Halloween del femminismo: quell’unico giorno dell’anno in cui le donne si sentono autorizzate a vestirsi in abiti succinti e a definirsi puttane, ma che le lascia prive di quel potere attraverso il quale realizzare davvero quel cambiamento che va oltre ad uno slogan in stile Obama.

La richiesta delle persone di non essere molestate – o peggio – in virtù di come si vestono non è per nulla una questione insignificante: ma rivendicare la parola “puttana” deve essere solo l’inizio. Esiste una forma particolarmente insulsa di attivismo che ha invaso il mondo della sinistra progressista, dove persone di colore e  altri gruppi oppressi diventano narratrici/tori di un “racconto”. Questa pratica funziona come i cerchi di tamburi, un lamento infinito dei propri guai personali che ignora le componenti strutturali del capitalismo, e consente la realizzazione di un neoliberismo più feroce e più potente, che sfrutta l’ambito del personale per cancellare in noi la consapevolezza della distruzione delle nostre risorse sociali, politiche ed economiche.

Se il femminismo vuole rimanere sostanziale, deve dunque conservare il proprio carattere di rottura, non perderlo, e deve continuare a mettere in discussione anche ciò che esiste oltre al personale.