Un compagno ha bisogno di aiuto

È un bel po’ che di questo blog non rimane che un archivio. Ma vi chiediamo un ultimo sforzo finale per uno di noi che se la sta passando molto male, e che ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fare altro che linkarvi il crowdfunding messo su dalle persone a lui più care e sperare nella solidarietà militante di cui ci facciamo parecchio vanto.

Salve a tutti. Siamo Elena, Varxh e Chiara, tre persone molto vicine a Den. Abbiamo deciso che quest’ultima se la cavava meglio con le parole, e le abbiamo chiesto di parlarvi di lui. 

È sempre strano cercare di strizzare in qualche riga tutto quello che si dovrebbe sapere di un essere umano, ma per amor di sintesi tenteró. Conosco Den da qualche anno, e mi è sempre sembrato una persona fantastica. È comprensivo, pirotecnico, folle il giusto, e curioso di tutto. In un giornata tipo lo si trova a divorare (metaforicamente) libri di Hawking o di qualunque altro astrofisico conosciuto (la grande passione), o variegati pezzi letterari e non di scibile umano, solitamente circondato da palle di pelo miagolanti. Ha solo 21 anni, e giá ha all’attivo vari articoli su giornali online (argomenti: intersezionalità, femminismo, critica sociale), unapartecipazione mensile su Radio Onda Rossa, vari interventi in eventi di centri sociali romani. Insomma, oltre a essere un umano fantastico è anche molto coinvolto socialmente, cosa che gli riesce benissimo. Scrittore insonne, ha anche un blog, dove trovate poesie e pezzi suoi, scritti probabilmente alle 4 del mattino in raptus creativi improvvisi (con immancabile essere micioso annesso). Beh, immaginate un Baudelaire giovane e post-moderno che al chiaro di luna batte a macchina fantasie meravigliose e avete piú o meno l’immagine che cerco di trasmettere (togliete l’assenzio e rimpiazzatelo con camomilla fumante). Qui e qua troverete il resto che fa. 

Venendo al punto saliente: perché aiutarlo? Se le immagini accattivanti descritte prima non bastassero come motivazione, ne aggiungerei una ulteriore. La vita, giá prima ma recentemente peggio, lo ha preso a sassate innumerevoli volte in molti ambiti diversi. È una persona che, con le adeguate risorse e possibilità sará grandi cose, senza dubbio. E il fatto che per casualità lui non le abbia non mi sembra un buon motivo per cui non dovrebbe riuscire a fare qualcosa di meraviglioso nella vita. Tutti noi quindi abbiamo deciso di aiutarlo, creando questa campagna, con un piccolo contributo da ognuno la situazione migliorerà di sicuro. Spero di avervi fatto conoscere almeno un pó la persona che conosco io.

Ritorniano a noi: aprire un crowdfunding implica avere una posizione precisa. È l’idea che il singolo non debba essere abbandonato a se stesso, che la partecipazione collettiva non debba ridursi a sporadici atteggiamenti di elemosina e pietismo, ma essere un sostegno attivo, permanente, reciproco, umanizzato, solidale: responsabilità verso gli altri. Vogliamo che gli scogli, gli ostacoli di ogni giorno non siano solo un problema di Den e le persone a lui immediatamente vicine.

Da molti anni soffre di gravi forme ansiose e depressive, non trattate perché nessuno si è mai accorto e in ogni caso, nessuno aveva risorse per farlo, ormai diventate ingestibili e pericolose. C’è urgentemente bisogno di un intervento immediato.  Si trova a venire a patti con varie problematiche fisiche – tra cui dolori neuropatici mai arrivati a attenzione medica – che uniti alla sua condizione di autistico annullano drasticamente le possibilità di spostarsi da casa senza un mezzo di trasporto idoneo, non posseduto. Non siamo più disposti a tollerare la marginalizzazione, l’indifferenza, il rimando, l’abilismo di servizi che si sottraggono al prenderlo in carico, individuando nel suo sostegno qualcosa di accessorio e in cui non investire: chiediamo partecipazione di tutti nel garantirgli una psicoterapia, un sostegno medico, mezzi di trasporto idonei, un computer che è l’unico mezzo con cui può lavorare. Tutte cose che non si può permettere viste le disastrose condizioni economiche della sua famiglia.

Speriamo vivamente nella vostra solidarietà <3 

Brioches, ormoni, lotta di classe – ovvero dell’annosa questione del menefreghismo

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Caratteristica comune tra quelle persone transessuali e transgender che esibiscono a vari livelli una forma di politicizzazione, è un dirompente cinismo verso il destino dell’organizzazione politica e sociale della propria categoria. Aprono bocca e senti odore di mandorle amare – è l’odore della disillusione. Eccolo, arriva: “Le persone trans non hanno nulla in comune, le persone trans sono individualiste e pensano solo a risolvere gli affari propri, le persone trans vogliono essere normalizzate, le persone trans non si curano di combattere un paradigma medico e psichiatrico che le patologizza.” Colpo di grazia: “Le persone trans non hanno nessuno scopo collettivo comune”.

È sorprendente notare come a nessun* sembri insensato affermare che la matrice di una lotta che non decolla sia da individuarsi esclusivamente nel proprio soggetto politico, e non negli errori, di analisi e di prassi, di chi, a parole, intenderebbe organizzarlo, nel senso di fornire strumenti – a sé e alla collettività di cui si è parte – per attuare mutuo aiuto, resistenza, e offensive verso le strutture della società che la rendono più che mai improrogabile. Sopratutto, affermarlo senza porsi interrogativi a riguardo. Perché questo accade? Dovrebbe essere una domanda centrale, ma non lo è.

La grande maggioranza di chi si occupa di questioni trans ha a cuore la posizione culturale della transessualità e transgenderismo, nella modalità più astratta possibile dalla posizione sociale ed economica di chi quei vissuti li incarna. Se una critica è essenziale, e lo è, non la si troverà certo in questo panorama desolante. Da una parte c’è l’opportunismo dell’associazionismo gay e lesbico che dà spazio alla lotta trans nei termini a esso più comodi: lontano dalla fascia protetta, subito dopo la torta nuziale. Di fatto, senza dubbi, le richieste della comunità sono soltanto un gettone di presenza, esplicitato qua e là con qualche poster o qualche affermazione, da chi ha i mezzi per permettersi di fare lobbying enormemente più rumorso circa altre cause – esemplificate in pieno dal matrimonio egualitario – che, come è evidente, ritiene prioritarie.  Dall’altra, è pieno di torri di polistirolo erette da chi, in fondo, le sostituirebbe volentieri con quelle d’avorio dell’elitarismo accademico, ma che finché non può o non vuole scalarle, si tiene stretto l’élite controculturale e frattanto, allora, gioca a fare il/la teoric* queer con il corpo, i sentimenti e le istanze, vere e presunte, degli altri e delle altre.

Una persona trans, non una di quelle che si suppone arrogantemente in base ai propri criteri come “politicamente consapevoli”, non una di quelle fortunate e sorridenti,vorrebbe, in primo luogo, non essere costretta a discriminazioni ai colloqui di lavoro o mobbing. Avere un nome e un sesso coerenti con la sua identità di genere – nella carta d’identità, nella tessera sanitaria nel conto corrente e in tutto il resto del mucchio di carta che si affronta di giorno in giorno – senza obbligo di operazione preventiva; averli ufficialmente in un registro di classe e in un libretto universitario. senza dover contare sui magheggi extraburocratici a discrezione di alleati che fanno il possibile, ma che potrebbero non esistere sempre e in ogni dove. Usufruire della sanità nazionale senza doversi esporre per forza anche soltanto per togliere una carie. La gratuità garantita delle prestazioni psicologiche, endocrinologiche, chirurgiche, legali che occorrono per il percorso che desidera intraprendere. Attraversare una strada senza avere gli occhi, se non direttamente le mani, addosso. Ed è molto stanca, dopo tutto questo, di prendere atto che la sua autodeterminazione sia considerata semplicemente una forma di autocentrata stupidità – e non è disposta a prendersi in carico il narcisismo di chi sventola la sua bandiere senza neanche chiedere il permesso.

Ragionevolmente il problema è situato qui, non nel completo disinteresse di una categoria, già socialmente svantaggiata e in piena crisi economica, per battaglie che non colgono l’urgenza del bisogno. Occorre una miopia politica davvero grave per non vederlo, e una strategica della stessa entità per non incominciare a sostenere proposte ponderate in base alle necessità reali, urgenti, quotidiane. Perché privilegio è anche questo: poter pensare che fare politica sia qualcosa di differente dal cercare sopravvivenza. E di brioche, si sa, non si sopravvive.

La vittoria del matrimonio gay non riguarda l’uguaglianza

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Articolo originale qui, traduzione di Agnes Nutter e feminoska, revisione di Jinny Dalloway. Buona lettura!

L’attivista queer Yasmin Nair sostiene che la lotta per il matrimonio gay sia stata guidata da un movimento elitario e conservatore – 26 giugno 2015

La dott. Yasmin Nair è una scrittrice, attivista, accademica e commentatrice freelance di Chicago. È co-fondatrice del collettivo editoriale Against Equality (“Contro l’uguaglianza”) e componente di Gender JUST, un’organizzazione di attivismo radicale di base di Chicago. Figlia bastarda della teoria queer e del decostruzionismo, Nair ha al suo attivo numerosi saggi critici e recensioni editoriali, è fotografa e scrive come opinionista e giornalista investigativa. Ha pubblicato, tra gli altri, su These Times, Montlhy Review, The Awl, The Chicago Reader, GLQ, The Progressive, make/shift, Time Out Chicago, The Bilerico Project, Windy City Times, Bitch, Maximum Rock’n’Roll, e No More Potlucks.

DHARNA NOOR, PRODUTTRICE, TRNN: Benvenut* su The Real News Network. Sono Dharna Noor in collegamento da Baltimora.
Nelle ultime notizie, la Corte Suprema ha emesso una delibera storica secondo cui gli stati non possono proibire i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Appena poche ore dopo che la decisione è stata presa, in tutto il paese coppie dello stesso sesso hanno iniziato a unirsi in matrimonio.
Nel 2013 la Corte Suprema aveva deliberato che ad ogni coniuge, dello stesso sesso o meno, devono essere garantiti gli stessi benefici a livello federale. Oggi la corte si è spinta ancora oltre, stabilendo che il matrimonio omosessuale è un diritto costituzionale. Questa notizia arriva giusto in tempo per i festeggiamenti del fine settimana. Le sfilate del Gay Pride si terranno questo fine settimana in diverse città, come San Francisco e New York. Ma d’ora in poi saranno solo arcobaleni per la comunità queer negli Stati Uniti? In collegamento da Chicago per spiegarcelo, Yasmin Nair. Yasmin è una scrittrice, un’accademica e un’attivista . È co-fondatrice del collettivo editoriale Against Equality (“contro l’uguaglianza”) e componente di Gender JUST, un’organizzazione di attivismo di base di Chicago.
Grazie mille per essere qui con noi oggi, Yasmin.
YASMIN NAIR, CO-FONDATRICE, AGAINST EQUALITY: Grazie a voi. È un piacere essere qui.
NOOR: Dunque, “Contro l’uguaglianza”, eh? Credi che sia giusto che un’istituzione come il matrimonio debba escludere alcune persone?
NAIR: No. Cioè, quello che diciamo è che il movimento per l’uguaglianza, [proprio] per il modo in cui si configura, non ha nulla a che vedere con alcun tipo di giustizia sociale, né alcun tipo di uguaglianza secondo nessun tipo di legge. Ha tutto a che vedere con l’esclusione delle persone da benefici salvavita come – ancora adesso – l’accesso alla sanità, i permessi di soggiorno e molti altri benefici che si potrebbero elencare.
ll movimento per il matrimonio gay ha fatto un uso distorto del termine uguaglianza. Ci siamo volut* chiamare Against Equality prima di tutto per far sì che le persone se ne interessassero, e anche poter dire… sapete, bisogna davvero chiedersi cosa significhi la parola uguaglianza. Uguaglianza per chi, per chi… chi [distribuisce] l’uguaglianza, a quali condizioni, prima di tutto.
NOOR: Quindi oggi il matrimonio gay è passato con il margine di un voto. Ci sono stati cinque sì e quattro no. E tra chi ha votato a favore troviamo un delegato dei Repubblicani, il giudice Anthony Kennedy. Stupisce che qualcuno che è dalla parte dei conservatori quando si tratta di azioni positive e campagne di riforma fiscale, sostenga una causa come questa?
NAIR: Non stupisce assolutamente. Anzi, è inevitabile, perché è proprio ciò che è il matrimonio gay, come ho già detto altrove, ossia un movimento sostanzialmente conservatore. Sono davvero sorpresa che ci sia voluto, ecco… che sia passato solo per il rotto della cuffia. Ma il matrimonio gay è un’istituzione sostanzialmente conservatrice , e i conservatori lo amano.
Conservatori, liberali, persino persone di sinistra, lo amano perché serve a reggere un sistema… un sistema neoliberale dove i vantaggi si accumulano a beneficio di quei privati che hanno maggiori risorse. E’ ciò che ha sempre voluto il conservatorismo, no? Ognun* faccia per sé. Lo stato non si prende nessuna responsabilità per il benessere dei cittadini. Ogni donna o uomo fa da sé. Ecco, questo, fondamentalmente, è uno dei pilastri del conservatorismo.
È un’istituzione – il matrimonio, non solo il matrimonio gay, ma il matrimonio è… è un’istituzione economicamente solida per molti conservatori. Sono loro che l’hanno voluta. Si sa, ne propongono sempre i benefici. Quindi ha perfettamente senso che sia così, che tutto avvenga in questo modo.
NOOR: Hai anche fatto notare nei tuoi scritti che le organizzazioni pro-matrimonio gay hanno usato molte immagini dei leader dei diritti civili neri come Martin Luther King nei loro materiali “promozionali”. Com’è quindi che quando la gente pensa al movimento per i diritti omosessuali pensano più spesso alla faccia di uomini bianchi danarosi come Dan Savage, il creatore del progetto It Gets Better (“le cose migliorano”)?
NAIR: Esatto, esatto. E Dan Savage non è nemmeno… per chiarezza, sai… Dan Savage non è nemmeno uno degli uomini gay più ricchi che stanno dietro il movimento. Il movimento per il matrimonio gay è davvero sostanzialmente – sì, qualcuno mi ha… la gente ha sempre accusato me e Against Equality di comportarci come se il movimento per il matrimonio gay fosse diretto da una cricca di uomini bianchi. Quello che stiamo scoprendo è che effettivamente è proprio vero.
Il movimento per il matrimonio gay è stato finanziato da milionari e multi-milionari. Se consideri uno…un libro come quello di Jo Becker, Forcing the Spring (Imporre la primavera), sul movimento per il matrimonio gay, scopri che – dando un’occhiata a quel libro scopri che gran parte delle risorse proviene effettivamente da persone ricchissime. Non si tratta affatto di un movimento di base. È stato finanziato, sostanzialmente sin dall’inizio, da uomini e donne omosessuali bianch* e ricch*.
Ciò che il movimento per il matrimonio gay ha fatto per controbilanciare questa particolare immagine che continua a emergere è sfruttare e usare i volti e le azioni di leader ed eroi* dei diritti civili come Martin Luther King e Rosa Parks. Nello stesso tempo, il movimento per i diritti omosessuali è anche stato praticamente… e lo è in pratica nella sostanza, un movimento razzista. Dicono spesso… usano slogan come “gay è il nuovo nero”. Le persone omosessuali si compiacciono molto nel dire che gli/le omosessuali sono l’ultima minoranza oppressa del paese.
Chiunque abbia seguito le notizie negli ultimi mesi, incluse quelle sugli eventi di Charleston, ovunque nel paese… Io vivo a Chicago, a Hyde Parke, quindi nel South Side. Chiunque conosca l’effettiva realtà delle cose sa che ciò è semplicemente falso. Ma il movimento per i diritti omosessuali ha sempre amato l’uso delle metafore e delle vite di leader per i diritti civili delle persone nere in un senso che non è per nulla…per non fare altro che appropriarsene, e per coprire il fatto che in pratica, alla base, è un movimento guidato e finanziato da uomini gay bianchi e ricchi.
NOOR: Ecco, persino coloro che sarebbero d’accordo con te sul fatto che alcuni ideali all’interno dell’attuale movimento per i diritti gay sono problematici, direbbero però che ora che abbiamo tolto dalla lista delle cose da fare i diritti omosessuali – ovvero il matrimonio omosessuale, possiamo andare avanti a radicalizzare ancor di più il movimento. A questo come rispondi?
NAIR: La mia risposta è che non è così–i diritti dei gay fanno parte di un movimento economico. E’ un movimento che scaturisce da, e riguarda… riguarda fondamentalmente l’aspetto economico – l’accumulare benefici economici per poch* privilegiat*. E’ fondamentalmente neoliberista. Riguarda il creare un sistema in cui le persone possono accedere alle risorse solo attraverso mezzi privatizzati come il matrimonio, capisci… In modo che – i sistemi economici non funzionano in altro modo – se non allo scopo di smantellare i sistemi attuali e poi andare oltre e creare sistemi ancora più oppressivi.
Il matrimonio gay non è una funzione sociale, è una funzione economica. Giusto? Quindi, già si capisce – questo è… non succederà mai. Quello che non succederà mai è che il matrimonio gay porti a un’ulteriore radicalizzazione delle lotte, o che ora si possa prendere fiato e dire bene, ora passiamo ai giovani queer senzatetto o all’HIV/AIDS. Perché è accaduto negli ultimi 20 o 30 anni che il matrimonio gay ha sottratto un sacco di risorse sia agli etero che ai gay. E le organizzazioni che si occupano di HIV/AIDS, le organizzazioni che si occupano di giovani queer senzatetto e così via, di fatto hanno dovuto chiudere.
Ripeto, non ci si può mobilitare al di là dei matrimoni gay, semplicemente perché il matrimonio gay ha già devastato il panorama economico delle organizzazioni queer. Non ci sono più soldi da ottenere, ed è molto improbabile che i ricchi bianchi omosessuali, in particolare quelli per i quali il matrimonio gay ha rappresentato un tema così importante, ora si accorgano di noi e dicano “sì, ora cerchiamo di lavorare su tutte le altre cose fondamentali”. Loro non hanno motivi per preoccuparsene. Ricordate sempre che i ricchi uomini bianchi omosessuali, in particolare, non hanno mai dovuto preoccuparsi veramente di HIV/AIDS, perché hanno sempre potuto permettersi i farmaci. Quindi è tutto… è proprio – proprio non funzionano così le strutture economiche.
E dobbiamo pensare al matrimonio gay non come un [problema] sociale, non come una questione sociale, ma come un problema economico. E il neoliberismo non funziona in modo da fermarsi e guardare indietro per vedere chi si è lasciato alle spalle. Procede semplicemente per la sua strada.
NOOR: Certo. E abbiamo assistito, negli ultimi anni, a un aumento costante nel sostegno al matrimonio gay negli Stati Uniti. Quindi credo che tu stia dicendo che questo non avviene solo perché le persone stanno diventando più tolleranti, più accoglienti verso le altre persone, più accoglienti verso l’amore.
NAIR: Scusate, mi viene da ridere solo al sentirlo. Ma no. No, l’amore non ha niente a che fare con questo. Penso che molta parte del supporto della sinistra liberale – il supporto francamente delirante della sinistra liberale al matrimonio gay – è dovuto al fatto che il movimento è stato percepito come un movimento che riguarda l’amore. Quindi tutto ciò che vede sono queste dolci coppie gay e i loro figli eccetera eccetera. L’escamotage ha funzionato molto bene. Penso che man mano che le persone verranno a conoscenza delle implicazioni economiche del matrimonio gay e anche di chi sta realmente dietro al matrimonio gay… penso che ci sarà molto meno sostegno per la causa. Naturalmente, ora questo non ha molta importanza, perché la stiamo vivendo ora.
Ma no, penso che il sostegno sia stato dato, ripeto, per l’incapacità di riconoscere il matrimonio gay come una questione economica.
NOOR: Quindi, che tipo di soluzioni politiche consideri efficaci, per sostenere realmente la comunità americana queer, la popolazione gay, la popolazione trans, eccetera?
NAIR: Penso che quello che dobbiamo fare è prima di tutto – penso che vi sia un’enorme componente ideologica e psicologica in tutto questo. La prima cosa che dobbiamo capire è che proprio ora siamo in una posizione terribile. Quindi, fintanto che continuiamo a pensare che il matrimonio gay sia una delle tappe di una lunga storia di successi, siamo… siamo… sto cercando di pensare a una parola che sia abbastanza educata e non sia una parola volgare. Siamo semplicemente fottut*.
Fino a quando pensiamo che possiamo andare avanti, non esiste… non esiste alcuna alternativa sana per noi. Quello che dobbiamo fare da qui in poi, da qui in avanti, è fermarci e prima di tutto riconsiderare il modo in cui pensiamo a ciò di cui hanno bisogno le comunità. Abbiamo anche bisogno di pensare… credo che il problema veramente grande della comunità queer sia quello di iniziare a pensarsi come parte di una comunità più ampia. Come parte di un tessuto più grande, per così dire.
Quindi, fintanto che la comunità queer pensa solo egoisticamente a se stessa e al matrimonio gay come forza propulsiva, per esempio, tutti sono condannati. E penso che andando avanti dovremo cominciare a renderci conto di questioni come il forte razzismo – no? – che esiste in questo paese, che è peggiore – allo stesso livello o peggio, del razzismo schiavista. Questa è la realtà in questo momento. E l’America del 21° secolo è permeata di razzismo schiavista. Dobbiamo pensarci. Dobbiamo pensare alle devastanti politiche economiche e ambientali che abbiamo messo in atto. Tutto questo è collegato alle persone. Non si tratta solo delle persone gay e delle loro problematiche particolari in quanto gay.
Quindi nell’andare avanti dobbiamo pensare in questi modi, oserei dire, collaborativi. Ma dobbiamo anche iniziare a pensare a come ottenere supporto per questioni come, per esempio, i queer senzatetto. O un problema che mi angoscia molto, a cui spesso vedo andare incontro un sacco di mie* amic* più vecch*, le problematiche relative all’AIDS in età avanzata, per esempio. Per la prima volta in molte generazioni, abbiamo ormai un paio di generazioni di uomini e donne che stanno vivendo più a lungo, che stanno invecchiando con l’AIDS, capisci. E […] uomini gay che stanno effettivamente vivendo fino a tarda età, e non sappiamo che cosa fare di loro, perché non possiamo semplicemente metterli nelle solite residenze per anziani, ad esempio.
Questi sono i problemi ai quali dobbiamo pensare, e dobbiamo anche pensare a come finanziare e sostenere tali questioni. Come sosteniamo questo tipo di lotte senza essere concentrati solo sul finanziamento elargitoci da poche persone omosessuali ricche. E questo è stato il problema fondamentale dell’attivismo queer per troppi anni. E questo è successo, perché nessuno ci avrebbe finanziato prima. Nessuno finanziava la ricerca sull’AIDS fino a quando abbiamo costretto il governo a farlo.
Quindi siamo in un altro tempo e luogo. E dobbiamo cominciare a pensare, smettere di pensare al patriarcato gay come l’unica fonte di reddito o l’unica fonte di sostegno. Dobbiamo anche pensare in modo collaborativo. Tutto questo significa che – in realtà da molti punti di vista sarà davvero difficile – sarà necessario smontare e, in qualche modo, interrogare il complesso omosessuale senza scopo di lucro/industriale che è sorto nel frattempo. Questo sarà un compito davvero duro. Sono tentata di dire che sarà impossibile. Dirò solamente che si tratterà di un lavoro duro, semplicemente perché conosco molti mie* amic* che in realtà lavorano nelle viscere di quella macchina, capisci.
Quindi sarà una lotta lunga e dura, e penso che sia delirante per chiunque di noi affermare che ora che abbiamo finito con il matrimonio gay possiamo andare avanti. Il lavoro è molto più difficile perché c’è molto meno denaro, c’è molta meno energia politica, e i tempi sono duri. Il neoliberismo sta mostrando – non solo sta mostrando i muscoli — ha preso il sopravvento e ci sta strangolando.
NOOR: Grazie mille per questa conversazione che ci ha dato molto su cui riflettere, non vediamo l’ora di risentirti in futuro.
NAIR: Grazie a voi, è stato un piacere. Grazie per avermi invitata.
NOOR: E grazie per averci seguito su The Real News Network.

Fine

ESCLUSIONE DI RESPONSABILITÀ: Si prega di notare che le trascrizioni da The Real News Network vengono dattiloscritte da una registrazione del programma. TRNN non può garantire la loro completa accuratezza.

Pramada Menon: Perché la famiglia occupa così tanto i nostri pensieri?

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Famiglia o famiglie? 

Abbiamo deciso di tradurre questa intervista a Pramada Menon (attivista queer e femminista che si occupa di giustizia sociale, genere, sessualità e diritti umani) perché va a toccare uno dei topoi tabù che attraversano in maniera universale l’esperienza umana, ovvero quello della famiglia. Il concetto di famiglia, propagandato come univoco e immutabile, conosce invece al momento attuale svariate declinazioni che ne dilatano il senso, ne ridisegnano i confini e spesso li abbattono nelle pratiche – anche quando queste ultime si trovano a scontrarsi con le resistenze sempre più ostinate di un’ideologia che fa della “Famiglia” un motore immobile attorno al quale orbitano tutte le limitazioni e oppressioni con le quali si cerca di soffocare qualsiasi alternativa al sistema integrato di irreggimentazione (ben esemplificato nel trittico dio-patria e, appunto, famiglia) dal quale tentiamo di liberarci.
Consapevoli che partire dal personale è sempre difficile e problematico, e che nonostante ciò la nostra politica non può farne a meno, proponiamo questo dialogo capace di evidenziare l’attuale movimento dall’idea unica di Famiglia ai tentativi – dalle alterne fortune ma sempre anticipatori di nuovi orizzonti umani – di sperimentare nuovi modi di essere ‘famiglie’, di ‘fare famiglia’ al di là dei vincoli apparentemente imposti dal sangue.

PRAMADA MENON: PERCHE’ LA FAMIGLIA OCCUPA COSI’ TANTO I NOSTRI PENSIERI?
Traduzione di feminoska

Pramada Menon è un’attivista femminista e queer che analizza tutte le questioni che ritiene più complesse. Quando non è impegnata a riflettere e procrastinare, lavora come consulente sulle questioni di genere e sessualità e sui diritti delle donne, e saltuariamente si esibisce in Fat, Feminist and Free, una performance a ruota libera su immagine corporea, sessualità ed esistenza.

Radhika Chandiramani: ‘La Famiglia’. Che ne pensi, Pramada?
Pramada Menon: Perché la famiglia occupa così tanto i nostri pensieri? Perché cerchiamo ossessivamente la comprensione e il supporto dei membri della famiglia, e vogliamo che conoscano ogni nostro pensiero? Forse è perché ci insegnano che queste famiglie biologiche sono noi e noi siamo loro? Cosa succederebbe se non sapessimo nemmeno chi sono i nostri genitori, le nostre zie e i nostri zii, i nostri fratelli e sorelle – proveremmo lo stesso un profondo attaccamento per loro, e cercheremmo ancora la loro approvazione? Me lo domando perché quasi sempre ci viene chiesto di mettere la famiglia prima di ogni altra cosa e la nozione di famiglia è chiaramente definita come quella biologica – una madre naturale, un padre la cui paternità non è mai in discussione, e fratelli e sorelle concepiti da questi genitori. Recentemente questa nozione di famiglia biologica ha lentamente cominciato a cambiare per via della pratiche dell’adozione, della tecnologia riproduttiva e della maternità surrogata. Ma resta centrale l’idea di un nucleo familiare guidato da ‘istinti’ materni o paterni. Una famiglia protettiva, attenta, amorevole e solidale, ma anche punitiva se e quando contestata o tradita.

RC: Consideri la famiglia un’alleata o un’istituzione in opposizione alla libertà sessuale personale?
PM: Le norme e i regolamenti della maggior parte delle nostre famiglie originano dal mondo in cui viviamo, dai costumi dei gruppi o della comunità di provenienza, l’apprendimento dei quali può aver spinto molti di noi a sfidare i codici che ci sono stati tramandati. E le trasgressioni all’interno della famiglia accadono per via delle differenze tra le persone che ne sono parte e delle diverse concezioni del mondo intorno a noi, e delle differenti modalità di interazione con ciò che ci circonda. E’ la famiglia che fornisce ai propri membri una serie di regole da rispettare, riguardo ai corpi e all’espressione della propria sessualità. Queste regole sono codificate, perlomeno nelle teste dei patriarchi della famiglia, e rompere completamente con queste norme non è un compito facile. Le regole di per sé sono molto semplici e si conformano a ciò che la società/cultura dispensa a chiunque: il matrimonio socialmente approvato da consumarsi all’interno della casta/ceto religioso o sociale di appartenenza, preferibilmente combinato; la gravidanza deve seguire il matrimonio; nessuna sperimentazione sessuale durante l’infanzia o la giovinezza; nessun fidanzato/a e ovviamente nessuna relazione romantica o sessuale con una persona dello stesso sesso. Questa è solo una serie di regole. Tutte le altre vengono poco prima o dopo – gli abiti che si possono indossare, dove si può andare, che cosa si può fare in pubblico, gli orari nei quali si può uscire di casa, ecc. Queste regole sono restrittive e sfidarle o trasgredirle risulta quasi sempre nella perdita della propria identità, e in casi estremi, della vita. Se una persona è in qualche modo disabile poi, le regole sono molto più rigorose e controllanti. E, naturalmente, questo discorso ignora quasi sempre il tema del consenso della persona all’interno della famiglia. La sessualità è complicata… tanto più che le nostre decisioni al riguardo sono decisioni individuali. Queste decisioni sono guidate dalla nostra comprensione di ciò che è accettabile per noi e ciò che non lo è, e sono influenzate dagli spazi che occupiamo nella comunità, dalla nostra educazione e dai valori coi quali siamo cresciut* da giovani. Gran parte di tutto ciò cambia anche con il tempo a causa delle interazioni con le persone intorno a noi, i film che vediamo, i libri che leggiamo, le immagini a cui siamo esposti e le storie delle quali facciamo parte. Quello che trovo interessante è come tante delle nostre idee riguardanti la sessualità siano influenzate dalle informazioni che abbiamo ricevuto nella nostra infanzia, e perlopiù l’influenza principale in quel momento è quella della famiglia. La famiglia interpreta ciò che è consentito o meno nelle modalità che meglio si adattano alla stabilità dell’istituzione della famiglia. Non cerca consapevolmente di limitare la libertà dei membri della famiglia, ma solamente di mantenere in vita e ‘pura’ l’istituzione sociale. Con ‘pura’ intendo dire che le famiglie non vogliono in alcun modo esporsi ad un mondo che le critica o le fa sentire carenti in qualcosa. Da ciò deriva tutto il monitoraggio delle attività, comportamenti, pensieri e azioni.

RC: Esistono anche regole riguardo al tacere di alcune cose…
PM: La famiglia considera la sessualità una minaccia, soprattutto quando espressa da giovani al di fuori dei confini delle modalità socialmente accettabili. Eppure la questione degli abusi non è quasi mai sollevata all’interno della famiglia, dal momento che l’autore è quasi sempre qualcuno che la famiglia conosce. I casi di abuso di ragazzi e ragazze rimangono tabù e non se ne può parlare, e la persona responsabile dell’atto non consensuale, molto spesso, continua ad avere accesso al membro della famiglia che ha subito violenza. Non credo che il silenzio sugli abusi abbia a che fare con l’incredulità rispetto al racconto della vittima, ma molto più a che fare con la vergogna e una certa riluttanza a rendere pubblica la storia per paura che la colpa ricada sulle vittime.
Molte famiglie hanno anche un ‘posto segreto’ in casa in cui nascondere tutte le storie percepite come ‘devianti’ rispetto alla norma. Quelle storie pacificamente note ma al tempo stesso celate del figlio gay, la figlia lesbica, lo zio bisessuale, il cugino ‘femminile’ nel proprio comportamento, il cugino che si è sposato al di fuori della comunità, la nonna che lasciò il suo primo marito, la zia ‘zitellona’, il parente che ‘gioca’ con i bambini – la lista è infinita. Queste storie sono magari note a livello privato, ma viene fatto ogni sforzo per nasconderle ad ogni costo nella storia di famiglia.

RC: Pensi che la tua idea di famiglia sia cambiata nel corso del tempo?
PM: Con l’età, si comprende meglio la censura della propria famiglia sulle questioni relative alla sessualità. Parte di ciò ha a che fare con il fatto che le nostre interazioni con la società, le persone e le istituzioni che ci circondano ci spingono a riconsiderare i modi nei quali definiamo noi stess* in quanto esseri sessuali. D’altra parte, molt* di noi hanno rielaborato la propria idea di famiglia, alterandone i caratteri e comprendendo al suo interno persone che in genere non sono percepite come membri della famiglia.

RC: Al giorno d’oggi, né il matrimonio né la procreazione sono essenziali e, inoltre, non devono necessariamente essere inscindibili. Può esistere una famiglia che non sia fondata sul sesso? Una famiglia amicale?
PM: Oggi viviamo in un mondo nel quale strutture familiari ‘altre’ vengono create ogni giorno. Sono finiti i giorni dei bambini nati biologicamente, dei matrimoni esclusivamente pilotati dall’approvazione dei genitori, delle famiglie costruite sulla premessa del matrimonio. Ciò che è cambiato è il modo in cui la gente vuole interagire con le persone intorno a sé, gli intimi, coloro con le/i quali condividono una visione comune del mondo e che sono dispost* a spingere e sfidare presunte norme sociali e culturali. Questo ha portato a nuove relazioni e nuove forme di interazione. Persone dalle preferenze sessuali e identità di genere differenti convivono in relazioni intime e sessuali senza che alcun riconoscimento legale venga ricercato (e in alcuni casi, cercato e ottenuto). Relazioni d’amicizia nell’ambito delle quali creare il proprio gruppo di sostegno sulla base dell’ amore, della cura e della condivisione delle responsabilità. Queste famiglie destabilizzano il concetto convenzionale di ‘famiglia’. Allontanandosi dalla nozione tradizionale, queste forme di interazione ci costringono a riconsiderare ciò che intendiamo come famiglia, chi escludiamo e chi includiamo al suo interno. Sfidano inoltre tutte le norme conosciute di ‘purezza’ e le rendono irrilevanti perché queste famiglie sono create sulla base di amore e comprensione, piuttosto che sulle norme sociali di classe, casta, religione ecc.

RC: Qual è la tua idea di ‘famiglia’?
PM: La mia idea di famiglia si è sempre estesa ben oltre la famiglia biologicamente determinata. Inoltre non ho mai cercato l’approvazione dalla famiglia perché per quanto mi riguarda, i valori che mi hanno instillato mentre crescevo erano proprio ciò che mi ha aiutato a mettere in discussione tutte le nozioni esistenti di giusto e sbagliato secondo le norme socialmente e culturalmente stabilite. I miei genitori sono cresciuti insieme a me, perché sono stati da me costantemente messi in discussione su tutte le questioni relative alla sessualità, e a loro volta, poiché mi amavano, si sono permessi di imparare. Ho combattuto ma anche imparato quando fare marcia indietro. Famiglia per me ha sempre significato i miei genitori, i miei fratelli e sorelle e le amicizie che sono presenti con il loro amore, sostegno e cura per me come io faccio per loro.
Nel mondo di oggi, tutti noi abbiamo bisogno di riconsiderare quello che  intendiamo con il termine famiglia. Si tratta di una nuova era, un’era tecnologica. Si possono avere delle/i figli*, senza mai avere un rapporto. Si ha più bisogno di un laboratorio e di una capsula di Petri, piuttosto che del sesso! C’è stato un tempo in cui l’amore era per sempre e finché morte non ci separi, ora ci si separa per molti motivi e pochissimi hanno a che fare con la morte. Le nostre idee in merito all’intimità sono cambiate con l’uso di Internet, le nostre idee sull’amore sono cambiate, nel mondo di oggi sorelle/fratelli sono adottat* o sono le nostre amicizie, i genitori possono essere un uomo e una donna, un uomo e un uomo, una donna e una donna, due uomini e una donna, e così via – perché dunque facciamo difficoltà a riconsiderare le nostre idee sulla famiglia? Forse se ci lasciassimo la possibilità di immaginare, potremmo sognare diverse mutazioni e combinazioni per creare la nostra famiglia, e poi forse impareremmo a guardare con soddisfazione a quella biologica, e a cercare comunque il sostegno, la cura e la comprensione di quella non biologica. Questo per me rappresenterebbe una nuova era!

Deconstructing i generi assortiti di Dan Savage

savage2Stavolta proviamo con un testo un po’ particolare, una lettera e una risposta. Diciamo che decostruiamo un dialogo; siamo più attenti alle parole dell’illustre interlocutore, ma sempre una specie di dialogo è. Appare sulle pagine di Internazionale, una delle poche cose periodicamente stampate e leggibili in questo paese: la rubrica di Dan Savage – detto per inciso – meno male che c’è. Il che non significa che sia sempre da accettare benevolmente qualunque cosa ci sia scritta. Per esempio, questa. [Attenzione: i nostri commenti sono sempre quelli tra parentesi quadre, indipendentemente dal corsivo.]

Generi assortiti

Forse non sei la persona giusta per rispondermi [bell’inizio, complimenti], ma magari possono aiutarmi i tuoi commentatori [ditemi voi perché Savage dovrebbe continuare a leggere già dopo queste quindici parole, ma vabbè]. Voglio bene ai miei amici transgender, e li sostengo [sembra il classico “io non sono razzista, ma”], ma non capisco tutti i miei amici fra i 18 e i 21 anni che si dichiarano “di genere neutro” [attenzione: “tra i 18 e i 21″, né più né meno. Se lo dici prima o dopo, tutto a posto]. Io sono un po’ più grande, e la cultura e la storia queer mi sono sempre interessate molto. Ma loro mi sembrano aver dimenticato, o non aver mai saputo, che le lesbiche butch che si mettono gli strap-on restano comunque donne [embè? Mica hanno detto “di sesso neutro”, ma di genere neutro. Magari ci stanno pensando su, no? Si stanno mettendo alla prova chissà in che modo. Che ne sai tu?], o che esistono molti uomini etero che indossano intimo di pizzo [continuo a non capire perché questo esempio, o l’altro, andrebbero contro la frase de “i miei amici fra i 18 e i 21 anni”]. Ho l’impressione che non sappiano che è possibile non conformarsi a un genere preciso senza per questo rinunciare al genere del tutto [sì, va bene, ma forse semplicemente stanno sperimentando. O serve per forza un’etichetta che vada bene a te? Non basterebbe chiederglielo?]. Essendo così giovani, e avendo preso tutti questa decisione contemporaneamente [amico mio, contemporaneamente sembra a te, e ti credo: parli solo di un intervallo di tre anni!], a me sembra un po’ una moda [questo non vuol dire nulla. Anche scrivere a Savage su Internazionale è, recentemente, diventato di moda]. Magari qualcuno di loro si rivelerà trans, che va benissimo, ma ho il forte sospetto che nel giro di un paio di anni alcuni diventeranno totalmente convenzionali [che sarebbero comunque affaracci loro, così come sono affaracci loro metterci tutto il tempo che pare a loro e partendo dall’età che pare a loro. Ma di che stiamo parlando? Che c’è l’orario ferroviario per farsi domande sul proprio sesso o sul proprio genere? Se non lo fai fra i 18 e i 21 anni perdi il transtreno?]. Dirgli che è solo una fase sarebbe sgarbato e arrogante [scusa eh, non vorrei fare il parolaio, ma tra dire “è solo una fase” oppure per esempio “è una fase”, già ci vedo una grossa differenza. Quel “solo” io lo vedo sì, sgarbato e arrogante], e non lo farei mai, ma davvero non capisco che senso abbia definirsi di genere neutro [scusa, ma non stai parlando di un movimento d’opinione che vuole imporre a tutti il genere neutro. Parli di ragazz* che probabilmente ci stanno pensando su. Che problema c’è?]. Cos’è cambiato negli ultimi anni che possa spiegare questo boom? [EH? E su quali basi statistiche, a parte la tua personale conoscenza, parli di boom? E sempre su quale base questo sarebbe un cambiamento negli ultimi anni? Sta parlando uno storico ufficiale del movimento queer?] – Longtime Reader [no, appunto.]

Ah, l’identità di genere. Di questi tempi ci vuole un file Excel per starle dietro. [E’ una battuta? E’ una critica?]
Ci sono quelli di genere neutro, ci sono i bigender, ci sono gli agender. E poi ci sono i pangender, i no-gender, i genderfluidi e i genderqueer. Ci sono anche i gender-non conformi, i gender-critici, i gender-variabili, e pure i genderfuck, i trigender e gli intergender (Quali vogliono il trattino e quali no? E chi cazzo lo sa?). Aggiungi a ognuno di questi generi del giorno il suo aleatorio, imprevedibile e sempre mutevole assortimento di preferenze in materia di pronomi, e il risultato sarà una bufera di fiocchi di neve iperspecializzati, tutti pronti a farsi offendere alla prima microagressione reale o immaginata, per poi fiondarsi su Tumblr a darne macro-sfogo. [Scusa Savage, commentare così è certamente lecito, ma non è corretto. Non si possono mettere insieme una serie di comportamenti singoli e commentarli come se fossero parte di un movimento organico e compatto, come se fossero una specie di deviazione culturale. Che ci siano dei cretini in giro è ovvio, ma dire che il cretino è di moda o che tutti sono cretini è una banalità molto peggiore dei comportamenti che hai descritto. E poi il lettore diceva “tra i 18 e i 21”, tu no. Perché?]

Cos’è cambiato negli ultimi anni? Che di genere oggi si discute di più, LR, e questo è un bene [e ok]. Perché le regole di genere imposte culturalmente sono assurde [e ri-ok], e la sorveglianza sull’espressione e sull’identità di genere è oppressiva e spesso violenta [e va bene così, anche se comincio a chiedermi che c’entra]. Questa fondamentale e necessaria discussione sul genere ha suscitato grande interesse – e, in alcuni settori, generato grande solidarietà – nei confronti di persone che non soltanto discutono di genere, ma ci combattono, lo affrontano e lo ridefiniscono [sssì, ma si parlava di “tra i 18 e i 21”, no?]. Solo che “l’interesse” e la “solidarietà” nei confronti di una questione tendono anche ad attrarre persone per le quali detta questione è soltanto una posa, o un modo per cercare attenzione [eh? Quindi tra i 18 e i 21 decidiamo unilateralmente che è soltanto una posa?]. Non è una novità. Se presti attenzione a un piatto di crocchette di patate per un po’ di tempo, a un certo punto anche quello finirà per attrarre poseur e gente a caccia di attenzioni [fin qui quasi tutto bene, anche se manca una precisazione: tutto ciò non c’entra né col gusto delle crocchette, né col fatto che possano liberamente piacere o non piacere. Il lettore non chiedeva niente di questo tipo. E poi, ancora: il lettore chiedeva di qualcosa tra i 18 e i 21, mentre Savage sta andando a ruota libera. Di nuovo: perché?].

Ma siccome è (quasi sempre) impossibile distinguere i poseur a caccia di attenzione da chi fa sul serio [e no. Bastano cinque minuti di chiacchiere per distinguere i poseur. Altrimenti, Savage, non ha senso che tu scriva di cose di genere, e che arrivino fino a ‘Internazionale’, no?], LR, la cosa migliore da fare, quando qualcuno si dichiara di genere neutro – o bigender o pangender o ecceteragender – è sorridere, annuire, chiedere che pronome personale preferisce, segnarsi mentalmente di stare attenti ad aggettivi e participi, dopodiché cambiare discorso [cioè trattarlo da matto o da cretino – o entrambe le cose. A prescindere. E quell* che non sono poseur? E quell* fra i 18 e i 21 anni? E quell* che, tra i 18 e i 21, magari da Savage si aspettano qualcosa in più?].

Ricapitola bene il mio amico Frantic: «Il nostro Savage accusa implicitamente la presunta marmocchieria frocia di millantare la sua frocità “iperspecializzata” (sic) e gli appioppa una pignola lamentosità – peccato che quest’ultima sia pressoché lo stesso pattern che il nostro amico c’ha in tutto ciò che ha scritto; in pratica se sono un povero giovane stronzo minoritario e faccio polemica sono un (falso?) finocchietto irascibile, lo stesso atteggiamento, se ce l’ha un opinionista maschio bianco cis (anche se ghèi) che ha già raggiunto da tempo la maggiore età, è oro colato».

Aggiungiamo due link un pochino più cattivelli di noi. Buona lettura.

http://fucknodansavage.tumblr.com/

http://forgetpolitics.tumblr.com/post/22929360770/the-top-6-reasons-why-you-should-hate-dan-savage

Prima froci, ora anche vegan: Satana è fra noi?

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Articolo originariamente apparso su Liberazioni e Antispecismo, ripubblicato per gentil concessione di Grazia Didio.

La pubblicazione in Italia del Manifesto Queer Vegan di Rasmus Rahbek Simonsen rappresenta, credo, un piccolo sforzo utile ad avviare riflessioni con ripercussioni sia teoriche che a livello di attivismo politico. Ma l’aspetto più sintomatico del fatto che Simonsen qualche cosa di significativo l’abbia effettivamente detto è rappresentato, paradossalmente, da una recensione firmata da tale Lupo Glori, alias Rodolfo De Mattei (un vero anti-identitario!), pubblicata di recente su un sito di ispirazione cattolica tradizionalista, diretto nientepopodimeno che da un ex vice-Presidente del CNR, Roberto De Mattei.

Lupo Glori sembra sinceramente spaventato dalla pubblicazione di questo librettino rosa. In effetti, l’”ideologia del gender” è già abbastanza destabilizzante di per sè per chi parla di famiglia “naturale”; l’antispecismo è già di per sè una “delirante visione”, “finalizzata a mettere sullo stesso piano gli uomini e le bestie” (sic). Figuriamoci se provano a dialogare fra loro…

“Cosa hanno in comune la teoria queer e l’animalismo vegano”? chiede Lupo. Molto semplice rispondere: sono entrambi fumo negli occhi per l’ortodossia cattolica. Ma se fosse solo questo non sarebbe molto interessante accostare le due parole, queer e vegan, in un saggio, come fa Simonsen. Per fortuna, qualche idea in più su cosa abbiano in comune questi due termini, Simonsen sembra averla.

De Mattei mostra di aver compreso bene quali siano questi elementi sottolineati dall’autore del Manifesto. Veganismo e femminismo queer condividono un’“orgogliosa rivendicazione della devianza, intesa come comportamento antisociale e antinormativo”, una critica radicale all’identitarismo, una “resistenza metaforica e materiale all’ordine sociale dominante”. Entrambi attaccano le istanze essenzializzanti condensate nell’idea di “contronatura”, un’idea non a caso applicata sia all’omosessualità che al veganismo. Entrambi sono oggetti di pratiche di discriminazione (De Mattei denuncia – pardon, cita – l’omofobia e la vegefobia).

Insomma, Satana è fra noi… vegetariano e frocio. Un vero finocchio.

E non poteva certo lasciare indifferente un giornale diretto da un vice-Presidente del CNR contestato perchè ha detto che il terremoto in Giappone è stato un segno della bontà di Dio o che la caduta dell’Impero Romano è stata causata dagli omosessuali.

A dare retta a gente come Simonsen, dice Glori, non si sa dove si va a finire. Si comincia con la dissoluzione della famiglia tradizionale, per arrivare alla morte della società e della specie umana, passando per un’allegra orgia interspecifica. Eh sì, perchè alla fine della sua invettiva, il Nostro evoca lo spettro della zoorastia: umani che sodomizzano animali e – orrore ancor più grande – animali che sodomizzano umani. In effetti, su un sito di De Mattei (Roberto…) l’allarme era già stato lanciato da tempo: i rapporti sessuali con animali dilagano ed è “davvero sorprendente la faccia tosta degli animalisti che anziché sdegnarsi per il fatto in sé rivendicano ancora una volta i pseudo diritti degli animali e ne denunciano la violazione”.

Insomma, Glori-De Mattei-Lupo-Rodolfo è davvero terrorizzato. Anche se, a leggere la sua fedele descrizione degli spunti di Simonsen, il suo appassionato riassunto dei temi più originali del libro, la sua padronanza delle tesi più ardite di Lee Edelman, sembra quasi che ne sia affascinato. Forse, questo “queer vegan” sotto sotto attrae anche gente insospettabile…

 

Grazia Didio

Deconstructing le gender contraddizioni

contradictionOh, finalmente anche le grandi menti prendono posizione nei confronti della fuffa. Che l’ideologia gender sia una fuffa inventata da chi teme di perdere potere, e da questi ben orchestrata lo si sa ed è stato ben dimostrato, e ci siamo divertiti anche noi spesso a farlo capire. Però è bene ricordare che ci sono giovani e valenti studiosi impegnati nel lodevole tentativo di farla esistere comunque, perché è uno spauracchio che serve alla loro, questa sì, ideologia: quella della “vita”, quella cattolica, quella della natura, insomma quella intollerante, per capirci. Questa intolleranza, per ammantarsi del ruolo di difesa eroica, quando non di vittima che resiste, deve demonizzare il suo avversario, e tratteggiarlo in maniera insieme netta ma opaca, forte ma vaga, con pochi princìpi ma tutti sbagliati. L’ideologia gender in sé non viene mai definita, non vengono citati articoli o libri, e ci mancherebbe: non esiste. Vengono solo ben nominate le sue supposte teorie, i suoi fantasiosi assunti – peccato che nessuno li abbia stabiliti se non quelli che se la sono inventata. Cioè i suoi detrattori, come questo genio qui.

Le tre contraddizioni dell’ideologia gender [oh, finalmente uno preciso: sono tre le contraddizioni di una teoria che non esiste, né più né meno]

L’ideologia gender non esisterebbe. Sarebbero tutte menzogne. Tutto terrorismo psicologico. Tutte paure messe in giro da fanatici ed incompetenti [no, i fanatici incompetenti sono quelli come te che pensano che esista: quelli che dicono che non esiste davvero, ma che è un’invenzione di fanatici incompetenti, sono fior di studiosi e studiose]. La replica più frequente a coloro che osano discutere taluni innovativi “progetti educativi” – conformemente a collaudate prassi totalitarie [le prassi totalitarie sono vietate dalle legge, e infatti non c’è stato nessun caso di persone arrestate perché predicherebbero l’ideologia gender, dato che non esiste], che riconducono qualsivoglia critica alla patologia – si sostanzia in un invito al ricovero ospedaliero [non è vero, a me e a tanti basta che stai zitto e che accetti o di non capirci niente o di essere in malafede. Non credo che tu sia matto, ma ipocrita – o venduto. Scegli pure tu, in piena autonomia]. Se si è tuttavia abbastanza forti da sopportare quest’allergia al dissenso [che eroe], risulta in realtà semplice non solo individuare il nucleo ideologico della teoria gender, ma anche le insanabili contraddizioni che la paralizzano. Per quanto riguarda il primo aspetto – il riconoscimento dell’ideologia – è sufficiente osservare come il tentativo di combattere le discriminazioni anzitutto di matrice sessista conduca sempre più spesso al voluto equivoco secondo cui, per contrastare le diseguaglianze fra uomo e donna, occorrerebbe negare alla radice le differenze fra i sessi [chi l’ha detto? Mai letto in nessun testo seriamente femminista o queer, nessuno nega le differenze tra i sessi – e notate come il nostro campione d’ignoranza inconsapevole o di calcolata ipocrisia passi dalla parola “sesso” alla parola “genere” come se fossero sinonimi – e senza dire che rapporto c’è tra loro]. Differenze che quindi, nella misura in cui fossero anche solo oggetto di semplici studio ed osservazione [lo sono storicamente proprio per i femminismi più diversi, che le studiano come il pensiero generalmente maschilista non s’è mai sognato di fare], diverrebbero potenziali alibi per trattamenti iniqui [quali? Non si sa. Come le prassi totalitarie più sopra, un nome minaccioso e altisonante che non vuole dire niente].

Si spiegano così meraviglie come la svedese Egalia, scuola materna di Stoccolma dove già anni or sono si è pianificata l’abolizione dei sessi [EH? Ma stai fuori? L’abolizione dei sessi? Questa è la loro pagina in inglese, e con Google potrete trovare molto materiale. Non c’è nessuna abolizione di niente in quella scuola, a parte dei pregiudizi tipo i tuoi] coniando persino un pronome neutro, «hen», in luogo dei vetusti – e verosimilmente ritenuti sessisti [non sono ritenuti sessisti, sono solo dei pronomi. Semplicemente, connotano qualcosa che dovrebbe essere consapevolmente scelto, cioè il genere e non il sesso. L’abolizione dei sessi è una frase senza senso, vorrebbe dire che lì evirano i bambini o cose del genere] – «hon» e «han», e prescrivendo per i piccoli il dovere di chiamarsi fra loro «amici», bandendo parole come “bambino” o “bambina”, termini da consegnare al passato insieme alla differenze sessuali [no, quelle scelte linguistiche servono a preservarli per una scelta consapevole, e per non inquadrare i/le bambini/e in ruoli stereotipati che non hanno scelto. E’ un tentativo di insegnare una libertà, per consegnare loro un migliore senso si sé, per non dargliene uno preconfezionato dai luoghi comuni sociali]. Per quanto possa apparire sorprendente e prima che in una panoramica che pure sarebbe agevole fra autori che teorizzano quanto la scuola materna di Stoccolma ha poi messo in pratica, l”inesistente” ideologia gender è tutta qui: nell’ostinata negazione delle difformità attitudinali fra i sessi [NON E’ VERO, è per questo che si chiamano STUDI DI GENERE (GENDER STUDIES), dato che sono approcci diversi e non ideologie rigide; basterebbe leggersi la bibliografia citata da Wikipedia per capirlo], da presentare al mondo come vergognose diseguaglianze di genere [ma de che], laddove il genere – qui sta un passaggio fondamentale – non include la mera possibilità d’essere uomini e donne [e invece sì, alla faccia tua, basterebbe leggere]; non solo. Una liberazione compiuta dall’oppressione impone infatti anche il superamento della prospettiva binaria maschile e femminile attraverso la forgiatura di un’identità sessuale fluida, definita solamente da una individuale e sempre riformabile percezione di sé [mescolando in allegria cose mal capite e mal riportate della teoria queer].

Al di là di comprensibili perplessità [se esponi le cose a cacchio in questo modo, e certo che ci sono, le perplessità], questa prospettiva si scontra – lo dicevamo poc’anzi – con molteplici contraddizioni. La principali sono essenzialmente tre. La prima concerne la logica definitoria che il concetto di genere vorrebbe oltrepassare e nella quale, in verità, continuamente ricade. Risulta infatti poco sensato da un lato respingere come limitante la distinzione fra maschi e femmine e poi, dall’altro, accettare che per esempio ci si debba riconoscere in una delle 70 differenti opzioni di genere che Facebook mette a disposizione dei propri utenti [il problema che non vuoi accettare è che non è una logica definitoria, ma una libertà da scoprire. Se non la vuoi sono problemi tuoi, non cercare di argomentare le contraddizioni altrui invece dei tuoi limiti di comprensione]. E se un soggetto si percepisse simultaneamente come appartenente a più generi o avvertisse come proprio un genere non contemplato da alcuna classificazione [ma se è questa la situazione alla quale i gender studies vogliono rispondere!]? Con quali argomenti, se non ricorrendo all’imposizione [ma CHI la pretende questa imposizione, chi? Ce lo dici?], si potrebbe chiedergli di definirsi? Occorre decidersi: o il genere è davvero libero, oppure è solo una volgare parodia di quella distinzione sessuale che si vorrebbe superare. Il problema è che, accettando coerentemente di non poter definire il genere, non solo si archivia il concetto di sesso [solo per i cervelli come il tuo che non possono o non vogliono accettare che genere e sesso non sono la stessa cosa] ma si pensiona anche quello d’identità [EH? E che c’entra adesso l’identità?]. Parlare di identità di genere [cosa che non hai argomentato, che salta fuori adesso come se niente fosse] rivela così tutta la sua insostenibile portata ossimorica [bei paroloni, ma per ora s’è solo vista la portata ossimorica della tua ignoranza, che pretende di formulare agli studi di genere domande sbagliate, formulate con lessici inesatti e sostenute da convinzioni erronee. Di ossimorica c’è solo la tua pretesa di averci capito qualcosa].

Una seconda contraddizione dell’ideologia gender emerge in quello che pretende di denunciare, ossia l’ingerenza ambientale nella genesi della propria identità [formulato male, ma almeno s’è vagamente capito]. Se finora è esistita una più o meno netta distinzione fra maschile e femminile [notate come cambiano i termini a seconda della convenienza: adesso sono spariti sesso e genere, adesso ci sono il maschile e il femminile: che sono, spiriti? Concetti? Idee platoniche? Eau de toilette?] – sostiene la prospettiva gender – ciò non è avvenuto in ragione di una natura maschile o femminile, che sarebbe inesistente [mai detto da nessuna gender theory, ovviamente], bensì a causa di una data cultura [no, non è affatto così. Gli studi di genere – è importante dire che sono molti e non solo la prospettiva – studiano i significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere, non la natura dei sessi – quello lo fa la biologia, forse]. D’accordo, ma se le cose stanno così [e invece non stanno così], se è l’ambiente il responsabile di come ci siamo finora percepiti [no, non è così banale, devi definire bene l’ambiente, se no finiamo a parlare di scie chimiche], com’è possibile non sospettare che sia sempre l’ambiente – e precisamente la cultura occidentale nel 2014 veicolata da università, parlamenti e redazioni, il famoso “Pensiero Unico” – la vera origine della teoria gender? [Certo, è lo stesso metodo per cui la voglia di stuprare la mette la minigonna, vero? Sempre il solito giochetto di scambiare gli effetti con le cause, vero? Anche di queste frittate abbiamo già parlato.] Sulla base di quali elementi, anche senza necessariamente tornare al concetto di natura umana, possiamo con certezza affermare che le imposizioni culturali che si vogliono far uscire dalla porta non rientrino poi dalla finestra con la pedagogia gender [non so, io ho la vaga idea che se evito di dire ai bambini che potranno fare tutto nella vita ma alle bambine che possono solo fare le infermiere, le maestre, le mamme, certa merda non rientrerà dalla finestra]? Chi e come può garantire totale liberazione da coercizioni esterne [non è quello che si ripromettono i gender studies, chi te lo ha detto? E soprattutto, che cacchio vuol dire garantire totale liberazione da coercizioni esterne? Che è, ‘na scuola zen?]? Anche qui dunque urge intendersi: o le influenze esterne sono sempre negative oppure, se lo sono solo alcune, stiamo ragionando in termini etici; se è così diciamolo, evitando di sbandierare una neutralità di facciata [e quando facciamo meno gli ipocriti ed evitiamo di porre tutte le questione come “o bianco o nero”, per non ammettere di non aver capito tutte le altre sfumature di colore? Costa l’umiltà, eh?].

L’ultima, vertiginosa [in sottofondo, mi raccomando, l’ossessionante musica di Bernard Hermann] contraddizione della prospettiva gender, strettamente collegata alla precedente, riguarda il metodo scelto per la nuova educazione contro qualsivoglia discriminazione: un metodo inevitabilmente a base di cultura, conferenze, libri, incontri nelle scuole [e che vuoi farci, per la telepatia di massa la RAI ci nega i permessi. Rendetevi conto di che critica sta facendo questo tizio]. Un metodo oggi così promosso ma che domani – questo, in fondo, si augurano gli artefici della nuova educazione – sarà la stessa famiglia, o quel che ne resterà, a mettere in pratica organizzando insegnamenti [le famiglie? Organizzando insegnamenti? Ma che roba ti cali? Ma dove hai mai letto che gli studi di genere prospettano un futuro di famiglie indottrinanti? Quello è il cattolicesimo, casomai] che impediscano ai giovani di credere che esistano fondamentali, notevoli ed anche arricchenti differenze fra uomo e donna [di nuovo, ‘sta panzana non si trova in nessun testo che si occupa di questioni di genere]. Ma in questo modo si soffocherà il fondamentale principio della libertà educativa [attenzione, stiamo assistendo al rivoltamento di frittata #2: adesso i gender studies sono quelli che vanno contro la libertà educativa, certo, come no, lo dicono sempre], andando tragicamente a concretizzare, fra l’altro, quanto lo psichiatra Wilhelm Reich (1897–1957) [ma sì, tiriamo fuori la citazione e facciamo vedere che un nome grosso lo sappiamo], nel suo Psicologia di massa del fascismo [sappiamo pure er titolo, tiè], scriveva della famiglia come realtà organica all’autoritarismo, definendola «la sua fabbrica strutturale ed ideologica» [una bella citazione «che non c’entra un cazzo ma che piace ai giovani» (cit.), tanto per unire confusamente gender studies e fascismo, inventandosi un legame inesistente, tanto per fare paura]. Cosa che non era e soprattutto non è affatto, considerando la dichiarata ed odierna diffidenza di molte famiglie verso la cultura di genere [e te credo, se se la fanno spiegare da te], ma che purtroppo potrebbe diventare, dando quasi un secolo dopo fondamento ai timori di Reich e a quelli dei non entusiasti di una nuova era gender [complimenti per la sintassi, è lo specchio della chiarezza d’idee che l’ha prodotta].

Non so dire se le contraddizioni dell’ideologia gender sono tre, perché non esiste. Ma quelle dell’ignoranza e della malafede, uh!, non si contano.

L’archivio della Primavera Queer 2014

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Ci raccontavamo in quei giorni a Chieti, con Laura Corradi, che in Italia una cosa come la Primavera Queer non s’è mai vista.

Un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcun* dei quali già attivisti nei collettivi Laboratorio Le Antigoni e La Mala Educacion) ha promosso a Chieti la Primavera Queer come momento di autoformazione, incontro e discussione intorno alla teoria queer. Il progetto è stato presentato al bando 2013 per le attività socio-culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, selezionato e finanziato. Docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in sei giorni di seminari e laboratori.

Non nel senso che in Italia non s’è mai fatto nulla di queer, ci mancherebbe: ma non ci ricordavamo di nulla che durasse una settimana, che sia stato voluto e costruito dagli studenti e finanziato da un ateneo italiano. Speriamo di essere smentiti, ovviamente.

Adesso in questa pagina stanno raccogliendo tutti i materiali completi di quei giorni, per costruire un archivio più che utile in un paese che ha difficoltà anche solo a sapere che esiste la parola “queer”. E’ importante diffondere il più possibile le parole di tutti quelli che sono intervenuti, in presenza o connessi dalle loro sedi, e conservarli, perché in giro su questi argomenti c’è ancora molto poco; e perché realtà molto efficaci sul territorio ancora conoscono poco di quello che si fa di buono anche a pochi chilometri di distanza.

Il video del mio intervento, Il linguaggio sessista: riconoscerlo, neutralizzarlo, decostruirlo dura quasi un’ora e venti quindi vi consiglio di non sorbirvelo tutto insieme perché potrebbe farvi male 🙂 aggiungo però il file ODP con le slide che ho usato; questo invece è l’abstract del mio discorso. Qualsiasi domanda o commento vogliate fare mi sarà molto utile e ve ne ringrazio fin da adesso.

Spero che ci siano presto altre Primavere Queer in tante altre città.