Non so se lo sapete – il tipico inizio di chi presuppone che i suoi lettori siano già d’accordo con chi scrive, ed è per questo che vi amo così tanto – ma da qualche tempo pare che ‘sta polemica sul “gender” abbia passato un po’ il limite. Anzi, ne ha passati diversi, perché come insegna il buon Carlo Cipolla, «sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione». E questo ha delle conseguenze, soprattutto se, com’è facile dimostrare, a trarne vantaggio sono sempre i soliti banditi – per usare ancora la terminologia di Cipolla.
L’extracomunitario stupido in divisa (avvisate Salvini)
In questa immagine potete vedere l’inizio di una comunicazione che un parroco di Cerveteri ha pensato bene di diffondere sul suo territorio, presa da questo luogo virtuale su facebook. Leggiamo che:
…i vostri figli saranno istigati all’omosessualità […] saranno invitati alla masturbazione precoce fin dalla culla […] obbligati ad assistere alla proiezione di filmati pornografici […] obbligati ad avere rapporti carnali con bambini dello stesso sesso.
Il tutto, secondo questo genio, accadrebbe in corsi presenti nel Piano di Offerta Formativa della scuola, cioè in un documento ufficiale di una struttura pubblica. E in più, il suo delirio di stupidità non è proiettato al futuro, ma è storia ed esperienza, perché
Queste cose sono già accadute nelle scuole in cui il gender è stato sperimentato, Italia compresa, producendo nei minori pianti, svenimenti e danni psicologici irreparabili!
Ovviamente, nessuna prova a riguardo. Perché prove non ce ne possono essere, dato che si parla di una cosa che non esiste né è mai esistita. Un qualunque avvocato, anche non particolarmente esperto di questi argomenti, potrebbe facilmente convincere il genitore ingenuo ma ancora fedele alla parrocchia che:
1) quel parroco si è reso colpevole del reato di diffamazione verso tutte quelle persone che lavorano nella scuola e per la scuola alla costruzione del P.O.F., dato che non può provare nulla di quanto afferma gravemente, gettando così discredito sulla sua persona e sull’istituzione che rappresenta (che poi questo non interessi manco alla suddetta istituzione è un altro discorso, ma vabbè);
2) il parroco non capisce niente di leggi e cita a vanvera le norme nazionali e internazionali sul diritto all’istruzione scelto dai genitori: una volta che hai iscritto la prole a una scuola, hai esercitato il diritto. Punto. Questo non si estende direttamente agli argomenti e ai contenuti, altrimenti ai miei figli avrei prescritto almeno cinque ore settimanali di storia dell’A.S. Roma.
Di solito a un extracomunitario in divisa che pensa di capirci qualcosa di questioni di genere e di diritto all’istruzione – e invece è solo, nei termini cipolliani, uno “stupido” perché col suo agire arreca danno a sé a agli altri – rispondo abbastanza esagitato che “l’ideologia gender non esiste” passando ad argomentare punto per punto le sue castronerie.
Ma così facendo rischio di essere stupido anche io. Passiamo a un argomento più serio. Dura poco, promesso.
Ma ‘sta ideologia gender esiste o no?
Dice molto saggiamente l’amico Alessandro Lolli che sia “ideologia” che “gender” sono diventate parolacce a causa del loro uso politico da parte di una ben precisa cerchia di persone, che avevano e hanno ancora un interesse specifico affinché queste parole, sia separatamente che insieme, siano connotate negativamente – a questo tipo di persona affibbio il nome cipolliano di “banditi”.
E tuttavia quello che affermano gli studi di genere è una visione del mondo, di un mondo non presente, una visione rivoluzionaria di un mondo a venire. Non dobbiamo credere alle paranoie delle maggioranze accerchiate, questa immagine è falsa e offensiva. È terribilmente offensiva perché i nazisti, che sul tema erano sicuramente più vicini alle posizioni di Miriano e delle Sentinelle in piedi rispetto a quelle dei movimenti LGBT, hanno sterminato migliaia di omosessuali. È palesemente falsa perché la società occidentale è ancora dominata dal maschio bianco eterosessuale e le sue categorie strutturano le menti delle donne e degli uomini. La maggior parte delle persone crede che ci sia qualcosa di naturalmente maschile come la determinazione, l’aggressività e la passione per gli sport e qualcosa di naturalmente femminile come la dolcezza, la remissività e la mania dello shopping. Quello che De Beauvoir, Belotti e Butler, pensano delle donne e degli uomini, e di conseguenza quello che Chiara Lalli, Pasquale Videtta e Simona Regina riassumono nei loro articoli, è tutt’oggi enormemente distante da ciò che ne pensano le donne e gli uomini comuni.
In effetti tutti quegli stupidi che straparlano di gender senza averci mai capito niente si fanno rispondere che, come ho detto anche io spesso, la teoria del gender non esiste. Questo però tecnicamente non è esatto, perché anche quella proposta e difesa dalla chiesa cattolica è una ideologia gender, una delle tante possibili: “la natura ci fa uomini e donne eterosessuali, il resto è un’offesa al creato cioè a Dio, vallinferno punto”. Dire che non esiste è una tattica produttiva?
Ma se sono delle tattiche bisogna capire se funzionano, se raggiungono gli obiettivi. Forse localmente questa tattica è vincente, forse negare la propria radicalità per entrare nelle scuole, nei festival, negli ospedali, nelle istituzioni è efficace; ma ho dubbi sulla bontà strategica di questa ritirata nella non-esistenza. Mi ricorda una delle mosse che ha fatto la sinistra italiana per raggiungere la propria estinzione negli ultimi vent’anni.
Méttece ‘na pezza… (per gli esterni al GRA, la traduzione è: “non è facile da confutare, questo punto di vista”). E a proposito di pezze, a sostenere che l’ideologia gender non esiste si corre un altro rischio, come sottolineano Federico Zappino e Deborah Ardilli:
Sarebbe poco interessante replicare alle argomentazioni di ciascun negazionista, così interessato a sostituire idraulicamente la teoria del gender con gli irenici “studi di genere”, o con i programmi scolastici di “educazione alle differenze” volti alla decostruzione degli stereotipi o alla promozione di un maggior rispetto per le “diversità”, o a bacchettare col dito alzato sulla parola “teoria”, sostituendola con il plurale “teorie”, o con il rocambolesco “teorizzazione”. Sarà sufficiente digitare su qualunque motore di ricerca “la teoria del gender non esiste” per avere una panoramica sufficientemente ampia dell’allucinato dibattito in corso. Quale che sia il nostro giudizio sugli “studi di genere”, sulle “teorie” al plurale, sulle equilibriste “teorizzazioni”, sulla bontà della decostruzione degli stereotipi o sull’auspicabilità di una società più rispettosa, reputiamo innanzitutto più importante rinunciare a fare atto di sottomissione ai termini del discorso così com’è impostato, poiché attraverso questo discorso l’eteronormatività tenta di mettere una pezza ai problemi che essa stessa ingenera.
E anche questo è vero: a furia di dire che non esiste si assume come valido il paradigma discorsivo di chi il gender non lo vuole, e certo non si fa un favore a quel modo di vedere il mondo liberatorio e auspicabile per tutt* che invece l’eteronormatività continua a volere per sé, “concedendolo” più o meno e in vario modo a chi eteronormale non è. Rimane il fatto che non si può parlare allo stesso modo col parroco di Cerveteri e con Marzano e Muraro, che negano – loro sì – l’esistenza di qualunque gender non corrisponda alla loro ideologia. E allora?
Diceva qualcuno: tattica ed etica
Faccio un esempio personale, a proposito di esistenza o meno di ideologia gender.
Qualche settimana fa trovo sul solito gruppo facebook di difensori della famiglia naturale e di tutte le altre cose belle della chiesa loro ma non delle altre un link a questo documentario norvegese, nel quale il comico Harald Eia avrebbe fornito prove per le quali «il governo norvegese ha ritirato il finanziamento al Nordic Gender Institute nato a sostegno dell’ideologia del gender». Facciamo finta che queste parole abbiano un senso, e chiediamoci: mo’ che faccio?
Io ho fatto una cosa credo molto sensata: ho chiesto a una persona affidabile che sa il norvegese perché vive in Norvegia di aiutarmi a capire se quello che viene detto nel documentario, e ciò che si racconta di esso, è vero ed è andato proprio così. Con facebook è facile eh, è fatto apposta per conoscere gente. Non lo usate solo per farvi gli affari degli altri, ogni tanto usatelo per fare anche i vostri. Ne è risultato che, parole di Cinzia Marini che ringrazio per l’aiuto,
il centro di ricerca interdisciplinare per gli studi di genere non è stato chiuso. Nel 2012 il Consiglio nazionale per le Ricerche norvegese ha tagliato temporaneamente i fondi ad uno specifico programma di ricerca di genere, integrandolo in un programma di ricerca più generale. Il centro è ancora aperto e attivo come vedi dalla versione inglese del loro sito. Dopo il programma di Eia, che era tendenzioso nella scelta degli interlocutori ma ben fatto, sono divampate le polemiche. Quello che ha evidenziato sono debolezze non negli studi di genere tout court, ma indubbiamente in certi ricercatori, nelle loro attitudini e nel modo di esprimersi, che naturalmente hanno portato all’assurdo certe differenze di paradigma. Le critiche fatte in Norvegia sono soprattutto riferite all’impenetrabilità di certa ricerca e al linguaggio usato, oltre che alla mancanza di aperture verso il paradigma biologico, ma non hanno mai messo in discussione l’esistenza e la necessità degli studi di genere. Cathrine Egeland e Jørgen Lørentsen, i due ricercatori intervistati, sostengono che Eia ha tagliato passaggi centrali dalle loro interviste. Secondo me non ci fanno una bella figura. Cathrine Egeland lavora oggi all’istituto per al ricerca sul Lavoro dell’Università di Oslo, sempre su studi di genere. Nel 2012, dopo il programma, ha tra le altre cose pubblicato questo rapporto. Jørgen Lørentzen, l’altro ricercatore, ha fatto ricorso al Comitato etico dei Giornalisti accusando Eia di aver tagliato e redatto gran parte della sua intervista. Su questo sito, purtroppo in norvegese, puoi vedere i due spezzoni (quello intero e quello redatto) a confronto: Dette sa Lorentzen til «Hjernevask». Lørentzen parla ad esempio molto del fatto che alcune teorie riducono l’essere umano al suo genere, mentre la faccenda è molto più complicata. Registri, emozioni, capacità di cui veniamo privati. Dice anche chiaramente, a proposito di domande precise sulla biologia, “questo non lo so, non è il mio campo”.
L’ideologia gender esiste anche se forse i due ricercatori norvegesi non l’hanno sostenuta molto bene, e anche se un comico con grossi pregiudizi – il suo documentario era certamente orientato verso una tesi da dimostrare a tutti i costi – prova a sostenerne l’infondatezza. L’uso strumentale, arbitrario e in evidente malafede della faccenda è un’ovvia conseguenza, quando si hanno amici politici come il parroco di Cerveteri.
In questo caso ci vuole un po’ di attrezzatura in più del solito – compresa un’onesta amica che vive in Norvegia – ma rimane il fatto che chi costruisce discorsi oppressivi alla fine viene fuori chi è, anche se invece di inventarsi balle, diffamare e parlare a vanvera oppure cantilenare ipocrisie perché sta in cattedra fa un bel documentario tecnicamente perfetto e apparentemente oggettivo.
Bene, la critica l’ho capita e starò più attento: invece di dire l’ideologia gender non esiste dirò «queste stronzate che vai dicendo sono solo pietose difese, non sai neanche di che stai parlando quando usi quell’espressione», oppure «non provare a rigirare le cose come ti fa più comodo, sai solo manipolare le chiacchiere», o anche «egregi* professor* non provi a nascondere o a dedurre cose perché non ci casco, lei è un* ipocrita». Il tutto seguito da argomenti convincenti non su qualcosa che non esiste, ma su qualcosa che esiste e che evidentemente è molto fastidiosa per chi ha un qualche potere patriarcale.
Anche io, in fondo, sono un ideologo del gender.