Dice che Robin Thicke c’ha il cazzo grosso

Un ineccepibile articolo scritto dal nostro pluritalentuoso amico Sdrammaturgo: Enjoy!

In this Country, you gotta make the money first.

Then when you get the money, you get the power.

Then when you get the power, you get the women.

 Da Scarface di Brian De Palma

 

Il problema non è la valletta nuda. Il problema è il presentatore vestito.

C’è questo videoclip di tale Robin Thicke.

thicke

L’idea è semplice: fondo bianco, tre modelle nude dall’occhio vacuo che fanno balletti scemi e ammiccano intorno a tre cantantucoli trendy e cool che la sanno lunga.

In fondo sono sempre grato ai video rap sessisti: mi fanno scoprire ogni volta nuova passera mitologica di cui altrimenti avrei ignorato l’esistenza. E infatti in questo caso la brunette pallida è subito balzata nella zona Champions delle mie donne preferite.

Tralasciando la qualità della canzone in sé, che naturalmente è lassativa, il problema di questo videoclip non è tanto il sessismo, quanto il fatto che si tratta di un’occasione persa.

Pensate quanto sarebbe stato meglio così: nella prima parte, ragazze nude che fanno balletti scemi intorno a uomini vestiti di tutto punto. Nella seconda parte, cambio: ora le ragazze sono vestite eleganti e stavolta tocca ai ragazzi essere nudi e fare balletti scemi. Poi, tutti vestiti prima del gran finale in cui olé, tutti nudi.

Altrimenti, Robinthì, con questo video che m’hai voluto dire? “Sono ricco e famoso, sono un maschio alfa, sono pieno di figa sottomessa”.

Capirai che novità. A ‘sto punto sarebbe bastato un fermo immagine di quattro minuti e trentuno secondi sul tuo estratto conto.

E poi quella scritta, “Robin Thicke has a big dick”. Guarda che l’altro giorno negli spogliatoi della palestra in cui vado c’era uno che si vantava con un amico di avere il cazzo grosso.

Ma come, “sono un cantante famoso”, “vado alle feste con le modelle di intimo”, “frequento la gente che conta”, “Hugh Hefner me fa ‘na pippa”, per poi esprimere gli stessi concetti di uno che va in una palestra sulla Tiburtina?

E annamo, e daje.

E bada bene, non ti sto facendo la solita morale veterofemminista sulla mercificazione di qua e il corpo delle donne di là e l’omologazione dei canoni estetici di sopra e l’interiorità di sotto.

Io tra Emma Goldman e Melissa Satta uscirei con Melissa Satta, figurati.

Ho gusti estremamente convenzionali. L’occhio vacuo me piace pure. E ti dirò, la trovata delle modelle strafighe che fanno balletti scemi non mi sa manco male.

Di 73.272.161 visualizzazioni che hai ottenuto, 73.272.160 sono le mie.

RobinThicke-BlurredLines

L’arrapamento mi ha fatto pure passare sopra alla presenza dell’agnello spaurito. Come dire, talvolta il mio antispecismo finisce dove comincia il mio testosterone.

Probabilmente ho più cose in comune con te che con un responsabile di un centro antiviolenza.

Mi piace la figa quanto te. Anzi, pure più di te, considerando che ne ho molta meno di te, data la mia posizione sociale.

Pensa che non riesco nemmeno ad avercela coi manifesti pubblicitari sessisti, perché uscire ed essere circondato da culi sodi mi mette fondamentalmente di buonumore.

Quello che mi offende dei manifesti pubblicitari non è l’uso del corpo femminile, ma la pubblicità. Se sui cartelloni ci fossero donne bellissime fini a loro stesse che non pubblicizzassero nessun marchio se non la propria stessa avvenenza, non avrei niente in contrario. E poi vedere veterofemministe scandalizzate è per me sempre motivo di gaudio.

Bellezza gratuita a mo’ di memento: “Ricordati che tutto sommato vale la pena vivere”.

Di contro, la pubblicità anche senza l’uso del corpo femminile mi esorta ad augurarmi l’estinzione della specie.

Però mi chiedo: perché solo e sempre le donne? Perché noialtri dobbiamo rimanere sempre vestiti?

Certo, perlopiù siamo quasi tutti brutti, sono d’accordo. Ma di uomini che meritano di avere la propria nudità esposta ce ne sono, eh.

Tu stesso sei un bel ragazzo, non ci sarebbero state affatto male le tue chiappe in bella vista accanto a quelle delle tre superbone.

Il paritarismo a cui anelo io piacerebbe pure a te, sono sicuro: tutti nudi.

Quindi, visto che tanto ti sono eternamente debitore per avermi messo al corrente delle tette di Emily Ratajkowski, per il prossimo videoclip chiamami e ci penso io. Qualche idea più originale di quella la escogito di sicuro.

Non temere, ti garantisco che ci saranno persino ancor più modelle ignude. Ma mi auguro che quanto appare scritto nel tuo video non sia una cazzata, perché con me il mondo scoprirà la verità.

Deconstructing le avances

macchina da scrivere2 Questo articolo è stato decostruito “live” all’incontro tenuto alla Città dell’Utopia (Roma) martedì 18 Giugno, “Media vs Femminicidio”. Ci tengo a dire che l’ho scelto in maniera casuale tra i tanti raccolti da Bollettino di Guerra, e che s’è dimostrato perfettamente adatto a fare d’esempio per comprendere il titolo dato alla serata. Come volevasi dimostrare, non c’è bisogno di scegliere esempi di sessismo nei media: basta pescare a caso.

Bidello uccide la prof di religione a scuola perché era indifferente alla sua passione [la maggior parte delle persone che legge i quotidiani si ferma solo sui titoli. Il titolo dice, malgrado ciò che seguirà, che lei era indifferente e che lui aveva passione. Tenete a mente queste due parole]

RAGUSA – Scene da far west in una scuola elementare del Ragusano. Un bidello, Salvatore Lo Presti, 69 anni ha sparato cinque colpi di pistola contro Giovanna Nobile, insegnante di religione, di 53 anni, uccidendola. L’uomo è stato arrestato per omicidio volontario.

IL MOVENTE – Avrebbe ucciso l’insegnante perché se ne era invaghito [viene scelto non “se ne era innamorato”, “la desiderava”, ma se ne era invaghito, verbo che è anche un giudizio], ma lei si era sempre dimostrata indifferente alle assurde avances del bidello [attenzione a queste due parole: indifferente – è un atteggiamento ben preciso, significa che lei sapeva e che non voleva, e assurde, giudizio e qualifica delle avances che però non viene spiegata:perché assurde? Non ci verrà detto]. Questo il movente dichiarato da Lo Presti, padre di cinque figli. L’uomo ha confessato davanti al dirigente della Squadra mobile Francesco Marino. Sarebbe stato «colpito dalla sua indifferenza» per «sentimenti assolutamente non ricambiati» anche perchè mai espressi in maniera evidente e pubblica [COSA? Scusate, ma come si fa a essere indifferenti a qualcosa che non si è capito o conosciuto? Allora lei non era indifferente, semplicemente non sapeva. Perché questa frase non è tra virgolette? E’ una deduzione di chi scrive?]. È il delitto, quindi, per una «passione senza riscontro» [dagli con la passione] quello commesso dal bidello. Lo ha confessato lo stesso omicida spiegando di avere premeditato il delitto [reo confesso di omicidio premeditato, quindi]. Secondo gli investigatori è stata «una lucida follia» [EH? Ma come, avete appena detto che lui ha premeditato! La “lucida follia della premeditazione” non si può sentire, ma per favore], l’insegnante era all’oscuro dei sentimenti dell’uomo o ne aveva avuto solo un parziale accenno [e allora le avances non ci sono state! Non erano assurde, erano proprio inventate! Perché scriverlo allora?].

FAR WEST – La tragedia si è consumata nella scuola elementare «Pappalardo» di Vittoria. La sparatoria è avvenuta all’interno dell’istituto mentre era in corso una riunione del corpo docenti. È stata un’azione fulminea, quella messa in atto dal bidello, noto come «il poeta», a pochi giorni dalla pensione [cosa la cui importanza verrà fuori tra poco]. Cinque colpi di pistola hanno raggiunto la donna. Un sesto colpo è stato sparato in aria per l’intervento di un altro bidello, che ha alzato il braccio dell’uomo facendo cambiare la traiettoria al proiettile, che si è poi conficcato sul tetto. «Poteva fare una strage [perché? Ha scaricato la pistola contro la donna, non voleva fare una strage, è evidente che volesse colpire solo una persona – perché permettere a un testimone di fare illazioni, e riportarle senza il minimo commento?], l’ho bloccato d’istinto, ma non ditemi come ho fatto perchè non lo so neanche io. Sono stanco e provato da questa assurda giornata», dice Salvatore Gallo, 56 anni,

COLPO AL FEGATO FATALE – I sanitari hanno fatto il possibile per salvare la vita all’insegnante . «Quando è arrivata in pronto soccorso trasportata dall’autoambulanza – dice il medico Giuseppe Marino – le sue condizioni erano disperate perché due colpi di arma da fuoco le avevano provocato una forte emorragia addominale. Un colpo aveva raggiunto il fegato. Siamo riusciti a rianimarla ma non ha superato l’intervento chirurgico».

INCONTRO DI FINE ANNO – L’insegnante si era recata a scuola per un incontro di fine anno scolastico. Dopo aver firmato delle pratiche in segreteria stava lasciando l’istituto, quando l’uomo l’ha raggiunta sulle scale, armato di pistola, sparandole contro. L’aggressore è uscito dalla scuola, ma è stato fermato poco dopo dalla polizia in strada.

MOMENTI DI TERRORE – È sconvolta Giovannella Mallia, preside vicaria dell’istituto. «Mi trovavo nella stanza accanto alla segreteria e dopo aver sentito i colpi mi sono precipitata per vedere cosa fosse accaduto», racconta. «Ho visto Giovanna Nobile a terra che già non dava segnali di vita, ho provato a rianimarla ma ho capito subito che la stavamo perdendo e quando è arrivata l’autoambulanza aveva perso già i sensi». «Stavo sistemando i registri – aggiunge l’insegnante – e i colpi di arma di fuoco che ho sentito sono stati uno dietro l’altro. La segretaria Concetta Insaudo e altri due applicati di segreteria gridavano perchè avevano assistito in diretta al ferimento della collega e non si davano pace. Ho avuto paura e non riesco ancora a razionalizzare come sia potuto accadere. Tra il bidello e la docente di religione – sottolinea Mallia – c’era stato in passato qualche discussione ma cose normali in un istituto. Che la cosa potesse degenerare non era ipotizzabile [un bell’aiuto, neanche troppo implicito, alla tesi della lucida follia]».

IL DIRIGENTE: «SONO SCONVOLTO» – Arriva sconvolto il dirigente scolastico dell’istituto, Sebastiano Lima. «Stavo facendo esami in una scuola di Acate – dice – quando mi hanno telefonato. Stentavo a crederci. Non so cosa sia scattato nella sua mente [altro aiuto alla tesi della follia –  eppure la premeditazione l’ha confessata l’assassino!]. Il primo caldo, la rabbia per dovere andare in pensione anticipatamente [IL CALDO? LA RABBIA? Con quale autorità il dirigente scolastico fa queste ipotesi? Perché sono semplicemente accostate, nell’articolo, a tutte le altre parole, senza una spiegazione, una parentesi esplicativa?] perchè poteva ancora rimanere ancora in servizio». «Ecco, questo era un suo chiodo fisso, ma da qui a sparare ce ne vuole [altra illazione, altro collegamento logico tutto da verificare. Intanto però è messo lì, come fosse plausibile malgrado le stesse parole dell’assassino]… Questa tragedia – conclude Lima – mi sconvolge, non ce la faccio proprio a sostenere il peso di questo dramma».

SCUOLA SOTTO CHOC: ARRIVA SQUADRA PSICOLOGI – Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha chiamato la preside vicaria Giovannella Mallia a cui ha voluto testimoniare la sua vicinanza e le ha annunciato l’invio di una squadra di psicologi a sostegno dei ragazzi e degli insegnanti.

SOSPESO FESTIVAL JAZZ – In segno di lutto per l’omicidio, a distanza di un mese dalla tragedia del muratore Salvatore Guarascio che si era dato fuoco perché la sua casa era stata messa all’asta [perché citare un evento che, con tutto il rispetto, non c’entra nulla? Un suicidio poi], il sindaco della città Giuseppe Nicosia, di concerto con gli organizzatori, ha deciso di sospendere il concerto in programma per sabato sera del Vittoria Jazz Festival.

IL PM: «TROPPE ARMI DETENUTE LEGALMENTE» – «Ancora un femminicidio [la parola importante c’è una sola volta, contro le due di passione di cui una nel titolo] con un movente oscuro [OSCURO? Ma se lui ha parlato di premeditazione, di sentimenti non ricambiati, e il testo ha parlato di avances – perché le parole finali del PM smentiscono tutto? Ma chi legge, che idea si fa?]». Così il procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia, interviene sul dramma di Vittoria. Il magistrato invita poi a riflettere su un dato: «Ci sono troppe armi detenute legalmente senza una precisa ragione, occorre un loro censimento [ah, alla fine di tutto la colpa è delle troppe armi in giro? Quindi se non avesse avuto la pistola, Lo Presti non avrebbe premeditato? Che cosa fa dire al PM che senza pistola lui non l’avrebbe strozzata, picchiata a morte, investita, accoltellata? Niente, non lo sapremo, l’ultima di tante altre cose che quest’articolo non dice o non fa capire chiaramente.]».

Deconstructing il direttore

Mega-Direttore-Ereditario-Dottor-Ing.-Gran-Mascalzon.-di-Gran-Croc.-Visconte-Cobram-e1333802657523 Già una volta ebbi a dire qualcosa (però, come parlo bene) sulla figura del direttore responsabile, e proprio riguardo quello di cui parliamo oggi. E’ un’occasione più unica che rara, perché i direttori responsabili di solito non parlano molto, ma manco scrivono. Quando di tanto in tanto lo fanno, noi siamo pronti a raccoglierne il messaggio e a codificarlo per voi, povere menti che non capite, che  non sapete, che non volete – ah, la vita del direttore responsabile.

Antefatto: le parole che riportiamo sono solo quelle che Peter Gomez ha aggiunto in questo post, dove uno dei blogger de “Il Fatto” s’è accorto, diciamo così, che non tutti i blogger della testata mantengono il suo stesso standard di serietà redazionale; e che quindi il suo lavoro viene messo alla stregua di quello del ‘copincollàro’ più banale. Diciamo che non l’ha presa benissimo, e in virtù di ciò, con molta educazione, dice che gli può bastare, grazie. Il nostro direttore responsabile, ovviamente, sente come suo dovere spiegare al(l’ex-)collaboratore e ai lettori il disdicevole equivoco con le parole che solo un direttore responsabile può avere in questi casi.

Caro Dario,
ho sempre pensato che in qualsiasi campo chi ha buoni argomenti  (e tu ne hai) ha il dovere di farli valere [quindi anche se copincolla qua e là, caro Dario, se ha buoni argomenti vale anche quello]. Ilfattoquotdiano.it [avete capito bene, Gomez ha messo il link allo stesso sito nel quale sta scrivendo – un vero maestro, non c’è che dire, per raccogliere click] non è una rivista scientifica [ti dirò, Gomez, il sospetto lo avevamo avuto] e sopratutto lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dove chiunque scrive si sottopone al giudizio dei lettori [traduco: non c’è alcun criterio redazionale, vale tutto, è ‘na camboggia, basta che cliccano e leggono]: sia esso uno scienziato, un filosofo, un politico o un leader religioso [notate l’anticlimax: uno che parla per fatti dimostrati, uno che teorizza su fatti diciamo discutibili, uno che notoriamente è ipocrita di mestiere, poi il ciarlatano acclarato]. Lo spazio dei blog non fa sentire tutte le campane, permette solo alle campane di suonare [appunto: non si tratta di dare spazio a cose sensate, ma di preparare un teatrino dove tutti possono dire la loro – quindi vince chi strilla di più] (se la loro musica non è diffamatoria o violenta [a insindacabile giudizio de Il Fatto: i negazionisti del femminicidio non sono quindi giudicati né diffamatori né violenti]).

Nello spazio a destra del sito, come sai, viene invece seguita una linea editoriale [“udite udite”; peccato che il direttore non ci dica qual è. Accontentiamoci del come sai, evidentemente sono affari loro].  E mi pare che – tranne in un unico caso (a volte anche noi come gli scienziati sbagliamo)  – su quella linea ci sia stato veramente poco da dire [anche perché ti guardi bene dall’esprimerla, quindi…]. Non penso poi che un biologo serio non debba andare a un convegno di creazionisti [capito? A ‘Il Fatto’ permettiamo solo alle campane di suonare, però c’abbiamo pure un’opinione su come si fa il campanaro]: se ci va, visto che ha la ragione dalla sua parte, e li affronta con umiltà e convinzione forse farà mutare parere e convinzioni a qualcuno di loro [Dario, hai capito? Per raccogliere click non devi fare solo lo scienziato, ma pure fare proseliti]. E se ci riesce la sua vittoria avrà la stessa dignità e importanza di una scoperta scientifica [eccola la linea editoriale: la scoperta scientifica è importante quanto il giudizio dei lettori. Proprio l’idea che aveva Galilei, per esempio].
Per questo credo che dovresti ripensarci. Niente è facile, né nella vita, né nella scienza [tiè, Dario, beccati pure la frase da carta di cioccolatino, te che fai tanto lo scienziato].

un abbraccio [e du’ click]
Peter Gomez

Deconstructing il progetto di Dio

questione-di-dio Non ci vuole molto a sapere chi è Costanza Miriano, basta usare Google. Questo suo post l’ho ritrovato ripostato da un altro sito, perciò ne sono venuto a conoscenza soltanto un mese dopo la sua uscita.

Qui non si tratta solo di un “deconstructing” al fine si svelare meccanismi retorici sessisti – qui anche omofobi. Questo testo è, per ammissione dell’autrice, ciò che lei dice ai suoi figli a proposito dei matrimoni tra omosessuali. All’opera vedremo quindi non solo meccanismi retorici, ma anche pregiudizi, falsità, ipocrisie che ci si dovrà sforzare di non credere essere fatte in malafede. Perché di una cosa sono sicurissimo: Costanza Miriano crede in ciò che dice, non vuole ingannare nessuno. Ed è proprio questo, per come la vedo io, l’aspetto più agghiacciante della faccenda. Ciò che ci sarebbe da decostruire, qui, non è un post, non è una costruzione linguistica lunga poco più di una pagina: è un sistema di pensiero, un’abitudine passiva, un’intera cultura. Non posso farlo da solo, ma penso a quei bambini esposti a questo tipo di violenza – sì, cercherò di far capire che parlare ai bambini in questo modo è una forma di violenza – e qualcosa devo fare, anche se ridendo, anche se in forma di satira.

Credo sia giusto aggiungere che io so per esperienza personale che non tutti i cattolici sono così come Costanza Miriano appare in questo suo post. Indubbiamente però molti ci si riconoscono, e fanno di lei una persona da portare ad esempio.

Le nozze omosessuali spiegate ai miei figli (età media 9 anni) [le nozze, non “il matrimonio” o “le unioni” omosessuali, ma le nozze, in modo che sia evidente anche ai bambini che s’intende possibile solo che qualcuno sia supino e coperto da un altro – bella scelta iniziale, non c’è che dire]

Cari ragazzi, come sapete nella nostra casa è vietato parlare male delle persone [tutti giustificati a priori a casa Miriano, wow! Immagino i latitanti che cerchino asilo da lei quanti possano essere], o almeno ci proviamo, a non farlo. Se qualcuno sbaglia sono affari suoi, tra lui e Dio [se sbaglia e fa male ad altre persone, chissenefrega. Pensate a fare di questa frase un dettato costituzionale, che spasso]. A meno che non ci sia un compagno, che so, che si sporge troppo dalla finestra, o che attraversa la strada con gli occhi sull’iPod mentre passa un motorino. In quel caso, visto che rischia di farsi male, potete dirgli qualcosa, direttamente a lui, e possibilmente senza frantumarvi nessun osso [principio di sussidiarietà applicato alla divina provvidenza – e solo per i compagni eh, e solo se non rischi niente, eh].

C’è un solo caso in cui del male degli altri bisogna proprio per forza parlare, anche a costo di prendere un palo in testa, ed è quando rischia di andarci di mezzo qualcuno più debole, che non può difendersi da solo.

È proprio per questo motivo che il babbo e io ce la prendiamo tanto per i cosiddetti matrimoni omosessuali [quindi: nei matrimoni omosessuali c’è qualcuno debole che ci va di mezzo. Chi? Uh, lo so che avete già capito, però è divertente vedere di quante false premesse indimostrabili c’è bisogno per sostenere un’assurdità], che poi matrimoni è una parola che in questo caso non si può dire perché viene da munus e mater, cioè il dono che si fa alla madre [segnatevelo: l’etimologia conta. Quindi nozze era proprio detto apposta], e tra due uomini o due donne non può comunque esserci una mamma [vallo a dire alle due donne…].

Quindi di cosa facciano gli omosessuali nel privato non ci occupiamo proprio [premessa inutile: chi te l’ha chiesto?], non è una cosa che ci riguarda [come per qualunque altra persona, no?], e tra l’altro pensiamo che anche loro non la dovrebbero sbandierare troppo [non dovrebbero sbandierare che cosa? “La” è scritto, e non c’è altro. La cosa? Non c’è scritto, si allude solo!], come facevano quei signori che avete visto a Parigi l’estate scorsa, con le piume e i sederi di fuori [cosa si sbandiera con le piume e i sederi di fuori? La gioia, la felicità? La televisione è piena a tutte le ore di piume e sederi di fuori, cosa sbandierano? Sempre la cosa?]. Tra l’altro, avete mai visto me e il babbo andare in giro in mutande [Miriano, che schifo! Voi del privato non ci occupiamo proprio e poi ci parla di lei e suo marito in mutande? E poi andare in giro dove? In casa non fa parte del privato? E allora perché ci tiene a dirlo? Vuole proprio vantarsi che i suoi figli non hanno idea di come sono fatti i corpi della madre e del padre?]? Comunque, se loro lo vogliono fare noi ci limiteremo a passare da un’altra parte, visto che non erano proprio eleganti i signori con le banane gonfiabili e le signore senza reggiseno [a parte che non c’è bisogno di dare giudizi di eleganza – chi è lei per farlo, Miriano? – rimane il fatto che non c’erano solo signori e signore. Se portasse i suoi figli a un gay pride, per esempio qui a Roma, potrebbero incontrare i miei figli]. Capiamo anche che se sentono il bisogno di farsi vedere vestiti in quel modo forse non sono tanto felici [sulla base di cosa inferisce la felicità altrui da ciò che, evidentemente, non sa giudicare con obiettività? Di nuovo, come si permette? La sua opinione è lecita, ma darla come giudizio di valore a un bambino è quantomeno scorretto. I suoi non sono valori assoluti, lo sa? No, non lo sa – e nemmeno i suoi figli. Però è chiaro perché voi dovete passare da un’altra parte: vedere persone che ridono e ballano sarebbe dura da giustificare con l’infelicità], e quindi se ci capiterà di averne uno vicino, che ne so, al lavoro o in vacanza, cercheremo, se lui o lei vuole, di farci amicizia [uh, che teneri, addirittura? Troppa grazia…].

Il problema che ci preoccupa tanto però è quello dei bambini e delle famiglie. Noi crediamo che le leggi, come vietano alle persone di ammazzare, rubare, ma anche di parcheggiare sulle strisce pedonali o mettere la musica altissima alle tre di notte, cioè di fare quello che può danneggiare gli altri, debbano impedire assolutamente di confondere la famiglia con tutti gli altri modi di stare insieme [a parte che già lo fanno, dovresti anche dire perché questo c’entra con i matrimoni omosessuali]. Modi liberi e magari bellissimi, per chi vuole, ma diversi dalla famiglia [no. Sarebbe corretto dire “dalla mia idea di famiglia”, e allora le leggi non c’entrano]. La famiglia è il luogo in cui devono [dovrebbero, casomai, ed è comunque una tua opinione] crescere i bambini, e infatti in Italia sono stati chiusi gli orfanotrofi [non certo per quel motivo! Cosa c’entra?], e si cerca di far vivere i bambini senza genitori in case famiglia, che non saranno il massimo, ma è meglio di prima [ma cosa c’entrano le case famiglia con i matrimoni omosessuali? Perché parlare a un bambino di queste cose? Non stai cercando d’impaurirli, vero Costanza?].

Un babbo e una mamma sono la condizione minima per i bambini per crescere bene [è inutile sottolineare che questa è l’opinione personale di Miriano; ciascuno può divertirsi con Google a trovare decine di studi che smentiscono categoricamente quest’idea, e altrettanti che la confermano]. Certo, ci sono anche tanti genitori che non sono sempre bravi, infatti abbiamo detto minima: non basta che ci siano, devono anche impegnarsi un pochino per essere buoni genitori [sempre troppa grazia]. Ma se non ci sono, per un bambino è impossibile crescere in modo sano, equilibrato, felice [ecco, questa è una vera e propria falsità: non è vero che è impossibile, perché i bambini cresciuti senza uno dei due genitori o senza entrambi sono milioni e sono diventate persone equilibrate e felici. Ha paura di dirlo ai bambini, Miriano?]. Vi immaginate se il babbo non ci fosse più, e io mi fidanzassi con una signora [questo è puro terrorismo psicologico – perché l’ipotesi che le disgusta la fa immaginare ai suoi figli su di sé? Perché non portare l’esempio di altre persone? Perché far loro immaginare che la propria famiglia cambi? Per terrorizzarli di più? Complimenti Miriano, complimenti]? Non fate quelle facce terrorizzate [oh, ma guarda], sto dicendo per dire [no, lo stai dicendo proprio per quel motivo: farli terrorizzare]. O se invece di me ci fosse un amico del babbo [aridàje]? (Siete meno terrorizzati? Già vi figurate pomeriggi senza ripasso di grammatica e niente crisi isteriche per i fumetti scaraventati a terra [uh, che spiritosa]?)

Comunque, tanti dottori che studiano le teste delle persone dicono che è normale che la cosa vi sembri tanto strana [sono gli stessi che lo direbbero della tua scelta di esempi], perché è giusto che voi vogliate un babbo maschio e una mamma femmina [no, non è affatto né giusto né naturale, è il risultato della cultura nella quale crescono e dei genitori che si sono trovati ad avere – anche questo direbbero i tanti dottori che studiano le teste delle persone, ma tu li interpelli solo quando ti fa comodo], anche se a scuola cercano di dirvi il contrario (va di moda, ma non vi preoccupate) [forse a scuola cercano di insegnargli che il mondo non è fatto solo di mamme terrorizzanti e di padri preoccupati che passano da un’altra parte – e non è la moda, è la natura: forse a scuola glielo dicono che anche tra gli animali non umani esiste l’omosessualità, come pure il cambio di sesso, per non parlare della possibilità di crescere bene senza “mamma e papà”].

Vi diranno che non siete d’accordo perché andate in chiesa [mi raccomando non gli dire che è una questione religiosa, di confessione, no no, dàgli con l’eufemismo “andare in chiesa”, quello invece non va di moda?], ma noi pensiamo che sia solo buon senso [continua a negare che la religione c’entri qualcosa, bene così, negare sempre, anche questo va di moda]. Sono le regole di funzionamento delle persone [eh? Ma parla per te!!!] (è vero, le ha fatte Dio [no, a me m’ha fatto mamma, però magari sono io l’eccezione], ma funzionano comunque tutte allo stesso modo [giusto un bambino puoi ingannare col discorso che “funzioniamo” allo stesso modo, non potendo dire né che siamo tutti uguali – perché allora il tuo castello di carte cadrebbe: se siamo tutti uguali, perché il matrimonio gay no? – né che siamo tutti diversi – e allora il castello di carte cadrebbe di nuovo: se siamo diversi, perché il matrimonio gay no?], non è questione di credere: se non credi nella benzina e metti la Fanta nel serbatoio la macchina si rompe [il giorno che le automobili avranno una religione, una cultura e una psiche e potranno avere problemi di genere, allora il paragone reggerà. Per ora è una delle cose più stupide che si siano mai sentite]). Noi non siamo contro nessuno [no, vi limitate a passare da un’altra parte], ma come diciamo al compagno di non sporgersi dalla finestra siccome siamo cristiani [no, cattolici – Miriano… non tutti i cristiani la pensano come i cattolici, diglielo ai bambini, perché non glielo dici?] dobbiamo continuare a dire, quando ci è possibile, senza offendere o attaccare nessuno, qual è il modo per non farsi male, nella vita [secondo te, Miriano, secondo te. Tutto il tuo discorso non sarebbe violento se non ti dimenticassi di dire ai tuoi figli che questo è il tuo modo di pensare ma ce ne sono altri ugualmente “corretti”. Una piccola dimenticanza che fa un’enorme differenza]. Il progetto di Dio sul mondo è la famiglia [il progetto del TUO dio sul TUO mondo, Miriano, grazie, per miliardi di persone non è così e se la cavano benissimo], un meccanismo faticoso ma affascinante, in cui si mettono insieme le differenze [certo, l’importante è passare da un’altra parte], prima di tutto quelle tra maschi e femmine [tertium non datur], e si cerca di funzionare tutti al meglio. Questo è l’uomo a denominazione di origine controllata [COSA? Se le dicessi solo per te, queste cose, pazienza. Ma dirle ai bambini, che esiste l’uomo a denominazione di origine controllata, è veramente un violenza, senz’altri termini]. Poi ci sono gli ogm, ma i loro semi sono sterili (i semi delle piante create in laboratorio vanno ricomprati ogni anno [paragone vergognoso e incommentabile – questo è il trattamento riservato a chi non fa parte del progetto di Dio sul mondo]): allo stesso modo due maschi e due femmine non possono riprodursi [ma possono amarsi e crescere tutti i figli che vogliono – ops]. Quando cercano di ottenere dei bambini, non per dare una famiglia a dei bambini, ma perché li desiderano loro [altra opinione personale spacciata per realtà, e di nuovo un concetto vergognoso e incommentabile], devono fare delle cose che fanno stare male tante persone: le mamme che prestano la pancia, quelle che danno l’ovetto, i babbi che danno il seme da mettere dentro, e soprattutto i bambini che non sapranno mai da quale storia vengono [questa è la peggiore di tutte, e dire che Miriano dovrebbe crederci, nell’inferno], non sapranno che facce avessero i nonni e che lavoro facessero i bisnonni, e poi avranno due mamme, due babbi, insomma una gran confusione, dove a rimetterci sono i bambini [servono a qualcosa i milioni di persone che vivono tutto il contrario, in tutto il mondo? No, nessuno potrà evitare a due bambini una visione delle cose gretta, meschina, povera e violenta. Complimenti].

A noi dispiace tanto se le persone dello stesso sesso che si vogliono bene non possono avere bambini [certo, come no], e rispettiamo e capiamo la loro tristezza [s’è visto sia come la rispetti che come la comprendi], ma è la natura [no – ti sei ben guardata dal distinguere, nelle tue chiacchiere, cosa è natura e cosa è cultura, perché allora avresti avuto ben altre difficoltà], e noi abbiamo il dovere di difendere quei bambini che non possono farlo da soli [è quello che faccio anche io, con i miei figli: li porto sempre al gay pride e a casa di amici omosessuali, in modo che sappiano difendersi dagli omofobi, da chi li terrorizza, da chi gli racconta bugie]. Ci sarebbe da dire poi che lo stato dovrebbe aiutare le famiglie, che sono moltissime moltissime di più (e forse per questo non ci aiutano, è più difficile risolvere qualche problema alla maggioranza [si, avete letto bene, sta chiedendo soldi allo Stato in quanto famiglia facente parte del progetto di Dio sul mondo]), ma questo è un discorso che abbiamo fatto tante volte… (Tanto si sono già alzati tutti da tavola, e sto parlando da sola come al solito [lo spero tanto per i tuoi figli]).

Io queste parole di Costanza Miriano normalmente le chiamo ipocrisia. Quando le vedo usate per spiegare le cose a un bambino, però, le chiamo violenza. Soprattutto pensando – un esempio tra i migliaia che si possono raccontare – a Sophia Bailey Klugh. Vallo a dire a lei che l’amore che prova, e l’amore che riceve, non fanno parte del progetto di Dio.

Deconstructing lo scienziato

Frankenstein_Junior

Ci sono tanti modi per argomentare, e tanti modi per sostenere le proprie opinioni. Qui leggerete all’opera uno scienziato coi fiocchi che dimostra – a suo dire – che la cultura maschilista è una delle tante cause dei femminicidi, ma non l’unica, e che incide tanto quanto le altre; in questo senso quindi che quella cultura è sopravvalutata da molti, nei suoi effetti. Come ci sarebbe riuscito lo sa solo lui, io non l’ho ancora capito. Potete aiutarmi?

Violenza sulle donne: alcune cause secondo studi scientifici [studi scientifici, vi rovino la sorpresa, che non sono né linkati né citati. Complimenti al metodo scientifico]

L’orribile feminicidio di Corigliano Calabro ha suscitato una comprensibile mole di commenti, molti dei quali centrati sul suo rapporto con la cultura maschilista ancora fortemente presente in Italia. Pochi, mi pare, hanno sentito il desiderio di consultare gli studi scientifici e sociologici disponibili [lui i desideri li capisce dai commenti. Però, hai capito lo scienziato]; o almeno pochi li hanno citati [notoriamente, si cita sempre quando si fa un commento, in rete fanno tutti così]. Gli studi in materia sono invece numerosissimi ed esiste persino un giornale scientifico interamente dedicato a questo problema [di cui il nostro scienziatone non mette né link né il titolo – complimenti]; nonostante questo, o forse proprio per questo, trovare i dati di rilievo è difficile [embè, caro mio, se non li nomini manco tu che dici di usarli, continuerà sempre ad essere difficile], perché sono sepolti in un numero enorme di pubblicazioni [è per quel motivo che esistono i link, non t’è giunta la notizia?]. Che la cultura maschilista sia ampiamente diffusa nel paese è evidente, basta pensare alle nostre consuetudini di tutti i giorni. Ad esempio noi riteniamo normale che la donna sia condotta al matrimonio dal padre che la consegna allo sposo: che debba cioè essere “consegnata“ da un uomo ad un altro uomo. Meno evidente è il peso di questa cultura nel determinismo dei fatti di sangue [il determinismo dei fatti di sangue è un’espressione inventata di sana pianta: il determinismo è la concezione della concatenazione non casuale degli eventi della natura, concezione trasportabile alla storia umana con molte difficoltà. Applicarla ai fatti di sangue forse vuol dire che non è detto che la cultura maschilista sia una delle cause dirette dei femminicidi. Forse. Se ho capito bene. Perché non l’ha detto lui? E che ne so, lo scienziato è lui] rispetto agli altri fattori sociologici e psicologici quali la povertà, l’etilismo, i tratti caratteriali violenti, fino alla personalità psicopatica, o la gelosia, che è sentimento prima che cultura [sì, ma quando la ”gelosia” viene difesa e promossa come un possibile movente per un omicidio – il famigerato “delitto passionale” – e pure considerata un’attenuante, allora è cultura. Forse, sempre forse eh, se ne parla in questo senso].

In una delle mailing list alle quali sono abbonato ho trovato il link a uno studio su questo argomento e ho fatto una piccola ricerca. Purtroppo non tutti gli studi che citerò sono accessibili gratuitamente [e perché non mettere lo stesso titolo e autore? Perché non presumere che io lettore sia pronto a spendere per documentarmi? E’ così che si divulga la scienza? Complimenti]. Un buono studio dal quale partire è quello della Divisione di statistica delle Nazioni unite [il link c’è]. Questo studio pone gli aspetti culturali tra le proprie premesse, ma è soprattutto interessante per le tabelle statistiche che riporta, dalle quali emerge chiaramente [emersione della quale non ci viene data la benché minima traccia da seguire] che la correlazione tra violenza sulle donne e reddito pro-capite è molto forte se si confrontano i paesi più ricchi con quelli più poveri del mondo, debole se si confrontano paesi relativamente ricchi: ad esempio la Germania e la Danimarca hanno tassi alquanto elevati, superiori non solo a quelli di Italia e Francia, ma anche delle Filippine. Interessante è anche il dato sulla violenza sulle donne commessa dal loro partner: la frequenza in Italia supera quella della Danimarca ma è inferiore a quella della Germania; è molto elevata nei paesi più poveri, sebbene con varie eccezioni [tutto chiaro, no? No. Tipico dello scienziato è che voi dovete capirlo al volo].

Se ci si limita agli studi su singoli paesi e si eliminano quindi le grandi disparità culturali e di affidabilità dei dati che derivano dal confronto di statistiche di paesi diversi [traduco: facendo finta che non esistano alcune importantissime condizioni di partenza per cui i dati sono da prendere con le molle e bisognerebbe andarci molto piano a sfornare deduzioni…], si isola la (prevedibile) correlazione positiva tra violenza sulle donne, povertà e alcolismo (si veda ad esempio questo studio sulla rivista Lancet [il link c’è]), nonché una correlazione negativa tra scolarità e violenza [due ovvietà. Dove la qualità della vita è peggiore la violenza è superiore tutta, quindi anche quella di genere – sempre che la si rilevi opportunamente, ma di questo non si dice nulla. Dove la popolazione è più acculturata, all’inverso, la violenza è minore. Embè?]. Si trovano però anche dati alquanto sorprendenti: ad esempio alcuni studi riportano che gli sportivi maschi di alto livello sono più inclini dei maschi “normali” alla violenza contro le donne. E’ possibile che questo fenomeno sia collegato all’uso illecito di steroidi anabolizzanti. Viene alla mente la recente uccisione di Reeva Steenkamp da parte del suo compagno, Oscar Pistorius [oppure, senza scomodare la chimica organica, viene da pensare che gli ambienti sportivi, notoriamente molto “machi”, sono il classico ambiente culturale maschilista dove la violenza di genere può facilmente diffondersi, giustificare e alimentare comportamenti violenti. Ce ne sono di studi anche in questo senso, ma perché leggerli quando c’è la chimica a spiegare tutto? E quando c’è un fatto di cronaca che possiamo buttare lì come fosse una prova – e non lo è?].

La cultura maschilista del nostro paese è certamente un fastidioso retaggio del passato [mica tanto passato, direi], del quale dovremmo cercare di liberarci: ad esempio dovremmo sentirci offesi, anziché divertiti, delle avventure del nostro ex, e speriamo non futuro, premier Silvio Berlusconi [che cosa c’entri lo sai solo tu – ah già, siamo su Il Fatto]. La violenza contro le donne però, come tutti i drammi sociali, riflette un intreccio di motivazioni causali, alcune sociali, altre legate alle singole persone dei colpevoli, e la nostra cultura è solo una tra queste. La povertà, l’alcolismo, la droga, la sofferenza psichiatrica, la bassa scolarità sono fattori almeno altrettanto importanti [no, nel modo più assoluto. Qui si fa confusione tra diverse cose: la cultura maschilista non è una delle cause dirette dei femminicidi, ma l’ambiente nel quale quei particolari delitti trovano più facilmente modo di realizzarsi. Le altre cause, infatti (la povertà, l’alcolismo, la droga, la sofferenza psichiatrica, la bassa scolarità) hanno una correlazione ovvia con tutti i delitti, e non con il femminicidio in particolare. Nessuno le sottovaluta come cause, ma non è neanche corretto metterle sullo stesso piano del maschilismo. Se la prima persona con cui se la prende il povero, l’alcolizzato, il drogato, lo psicotico, l’ignorante è una donna, non è forse colpa di un sistema che gl’insegna che lei è l’anello debole del sistema sociale? Ma perché farsi questa domanda, quando ci sono la chimica, la fisica, la geometria e l’astronomia a darci tante risposte pronte? E a fare in modo che i femminicidi non siamo considerati come un fenomeno unico, ma come tanti delitti diversi provocati da tante cause diverse, lontane, vaghe?].

Se ne sentiva proprio il bisogno, di questa chiarezza scientifica. Grazie davvero per la lezione di metodo, del metodo migliore per generare “fact screwing”. Uno scienziato meno vago si esprime così: “Alla base dei fenomeni di violenza contro le donne, i più recenti studi scientifici hanno individuato 130 possibili variabili, ma di fatto i detonatori sono prevalentemente i fattori socio economici, ambientali e culturali acuiti dalla crisi economica e dall’uso di alcol e stupefacenti”. Sembra la stessa cosa, ma non lo è affatto.

Il compagno sessista (a volte ritornano)

 

Marina Jinesta, 1936
Marina Jinesta, 1936

Alla luce di questo spassoso siparietto apparso in uno spazio facebook di certa e sicura origine comunista,  “ma no comunista così, communista cosììììì!!”, ripropongo un testo scritto più di due anni fa a proposito di una certa figura tipica: il compagno sessista. Il comunista convinto e certo delle proprie convinzioni di sinistra “dura e pura” che però, al primo contatto critico con un genere diverso dal suo, ripropone l’arsenale retorico sessista del più classico potere maschile. Sapevo che non è un tipo umano destinato a una rapida sparizione, ma ritrovarselo così spesso, vi dirò, non è che mi metta di buonumore. Questo che segue, dunque, è quanto ho già scritto su Questo Uomo No. E’ ancora validissimo, purtroppo.

Stavolta m’è uscita una specie di lettera per un tipo di maschio che proprio non sopporto. Pensavo da un bel po’ a questo tipo – un po’ di nicchia, lo ammetto – che mi da’ parecchio fastidio. L’ho incontrato spesso, e devo ammettere che ha la notevole qualità di non sembrare affatto meno stronzo né col passare degli anni miei né col passare degli anni suoi. Meno male, perché mi dispiacerebbe proprio essere più tollerante solo perché il tempo passa.

Il compagno sessista è una figura molto più comune di quanto si pensi. E’ un maschio di sinistra, fortemente schierato; si professa comunista orgogliosamente, specie se ha già superato i quaranta, oppure anarchico «da sempre». Il compagno sessista veste con una specie di divisa riconoscibile, fatta di accessori e colori che nella sua città «significano» l’appartenenza alla sinistra militante, anche con qualche punta d’anarchia, perché no. Anche se non più giovane, riconoscerete senz’altro nel suo abbigliamento quelle caratteristiche comuni, irrinunciabili, con le quali si vuole distinguere.

Se ha un lavoro fisso e stabile il compagno sessista fa spesso lunghi discorsi critici sulla situazione socioeconomica attuale, anche ben argomentati, partendo da quelle situazioni quotidiane, «di base», che vive in prima persona; che sono, immancabilmente, l’ovvia triste conseguenza di scelte politiche folli votate da una maggioranza che non lo rappresenta e decise da una classe politica che lui disprezza, indipendentemente dall’etichetta di partito.

Forse è un nostalgico di partiti che non ci sono più, e pur apprezzando qualche esponente «rimasto», ne compatisce il glorioso passato rispetto a un presente privo di prospettive e di potere. Se invece è giovane e non ha di questi ricordi, il compagno sessista disprezza apertamente qualunque dirigente di partito sopra il livello regionale, lasciando un po’ di speranza a qualche esponente locale – di cui ha diretta conoscenza in comizi, manifestazioni, campagne – che si salva perché ancora non corrotto dalla politica più alta.

Sotto o intorno i trenta, il compagno sessista è di un attivismo inarrestabile. Non si perde un convegno, un’assemblea, un’iniziativa, una manifestazione; mette in moto relazioni, amicizie, collegamenti, usando tutti i mezzi di comunicazione, soprattutto i più nuovi, per smuovere cose e persone. Organizza, comunica, spende parole forti; ha sempre la testa al «dopo» ma spara giudizi sul momento; mangia beve fuma con la stessa passione frenetica con la quale parla, convince, condanna, studia e rielabora.

Il compagno sessista è molto attento al suo linguaggio. Fiuta la reazione e il razzismo lontano un miglio e condanna senz’appello il militante destrorso, sia attivo che passivo, soprattutto nelle sue espressioni. Pesa e sa pesare bene le parole, ed è molto attento a dire cosa a chi, perché conosce molto bene la forza del linguaggio e sa quanto può colpire e servire alla causa la parola giusta al momento giusto.

Ma c’è un ma.
Eh sì, compagno sessista, c’è un «ma».

Ma quanto ti dà fastidio quando le compagne gestiscono un’iniziativa, un’occupazione, ponendo problemi che non ti sono venuti manco in mente e proponendo soluzioni che ti costringono a ripensare un po’ il tuo ruolo. Ma quanto ti rode se da certe discussioni sei escluso, o comunque ammesso con le dovute riserve, perché uomo e in quanto tale non è che proprio ne puoi capire di certi argomenti. Ma cos’è tutta st’importanza al patriarcato, al machismo, alla violenza di genere? I problemi sono altri, queste sono chiacchiere che fanno perdere di vista l’obiettivo, l’idea, la cosa importante.

Ecco, io dico questo uomo no.

Tu, compagno sessista, hai sviluppato un naturale orrore per espressioni come «sporco negro» o «terrone di merda», ma non esiti a dare della «zoccola» alla donna al volante di una macchina davanti alla tua, della «puttana» all’assistente che ti interroga, «troia» alla giornalista in tailleur che non fa le domande che hai in mente te, «mignotta» alla deputata che rilascia dichiarazioni ridicole e inopportune, «bocchinara» alla discinta protagonista televisiva di turno, «pompinara» alla collega che lavora più e meglio di te. Poi hai spazio anche per un affettuoso «troiette» per le compagne che propongono una mozione diversa, e «puttanelle» per quelle del centro sociale che chiedono spazi e ore per le loro iniziative – che gentile, una nota di riguardo la sai dare.

Beh, compagno sessista, lasciatelo dire: sei un fascista. Sì, proprio fascista. Perché se non vuoi capire – e non lo vuoi capire, perché sei in grado di capire tutto il resto tranne questo! – che cosa significa il sessismo, è perché non ti fa comodo. E’ perché uno spazio nel quale esercitare il tuo potere di maschio fascista ti piace, lo vuoi conservare, e te lo prendi, alla faccia di tutte le compagne. Che, allora, lì, in quel momento, non sono compagne: sono zoccole. Neanche donne, parola che proprio non t’interessa. Perché dietro il negro e il terrone c’è l’uomo, e allora lo capisci che se dici negro e terrone offendi anche l’uomo che tu sei; ma se dici mignotta no, non lo vuoi capire. Insomma, compagna fino a che non rompe i coglioni: poi mignotta va bene. Questo uomo no.

Caro compagno sessista, non mi freghi. Puoi avere il Che tatuato in fronte, falce&martello cuciti sulle mutande, il Capitale nella tua libreria nell’edizione originale e saper cantare l’Internazionale in russo, ma per me sempre fascista rimani. Perché il potere del maschio ti piace, te lo tieni stretto; non m’importa di che colore te lo rivesti: sempre schifo mi fai. Questo uomo no.

Deconstructing il moralismo

moralista

Come saprete senz’altro già per vostra esperienza personale, tra le cose peggiori che si possano trovare in giro sui media del nostro ‘belpaese’ sono i discorsi o le prese di posizione confuse e ambigue su alcuni termini importantissimi. A me non interessa – lo dico subito e nero su bianco – difendere qualcuno; a me interessa chiamare le cose con il loro nome, e far notare dove questo non si fa. Si chiama politica anche questo. Perciò faccio una premessa per quanto segue, e ve la scrivo bella grossa per evitare che ve la possiate scordare.

SE NELL’USO CORRENTE E ‘DISCORSIVO’ DEL LINGUAGGIO LE PAROLE “ETICA” E “MORALE” SONO FREQUENTEMENTE USATE COME SINONIMI, ESSE NON LO SONO AFFATTO. ETICA E MORALE NON SONO LA STESSA COSA.

Come al solito basterebbe Wikipedia per farsene un’idea, ma siccome vi so pigri almeno quanto me, vi ricopio qui il passo che m’interessa teniate a mente: “L’etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. Essa pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell’atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere. […] Ma l’etica si occupa anche della determinazione di quello che può essere definito come il senso (talvolta indicato con il maiuscolo, ‘Il Senso’) dell’esistere umano, il significato profondo etico-esistenziale (eventuale) della vita del singolo e del cosmo che lo include. Anche per questo motivo è consuetudine differenziare i termini ‘etica’ e ‘morale’. Un altro motivo è che, sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l’uso del termine ‘morale’ per indicare l’assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola ‘etica’ per riferirsi all’intento razionale di fondare la morale intesa come disciplina non soggettiva”.

Qui c’è l’articolo con le parole di Boldrini che Mancuso critica. Come potete leggere, Boldrini fa un discorso di etica: il problema individuato da Boldrini non sta nei valori soggettivi ma nelle regole da dare a manifestazioni pubbliche e comuni – come la pubblicità – che veicolando un messaggio di utilizzo del corpo delle donne possono veicolare violenza: «Una donna oggettivizzata, resa cioè oggetto, la si tratta come si vuole e la relativa violenza è a un passo […] non è solo una questione di leggi, ma lo Stato deve prendersi la propria responsabilità: il legislatore deve introdurre maggiore attenzione alla realtà, perchè c’è odio contro chi è più libero, contro chi non appartiene alla collettività. È anche una questione di formazione: è nelle scuole che i ragazzi vanno educati non nel rispetto delle diversità ma soprattutto nel rispetto degli esseri umani». Ora, si può discutere anche di questo, senz’altro: ma non è una forma di moralismo. E’ ‘la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri’, cioè etica.

Bene; detto ciò, addentriamoci quindi nell’analisi di questo pezzo di Aurelio Mancuso.

Cara Boldrini, la violenza sulle donne non si sconfigge con il moralismo [il moralismo, invece, è “una degenerazione della morale usata con eccessiva intransigenza per una severa, talora ipocrita, condanna degli altri” (sempre Wikipedia). Quindi Mancuso dice a Boldrini: la violenza sulle donne non si sconfigge inasprendo i valori morali fino all’intransigenza. Ché uno potrebbe pure essere d’accordo – il problema è che Boldrini non ha parlato di morale. Continuiamo.]

Il femminicidio è un dramma troppo serio perché si apra una discussione moralistica sull’uso del corpo delle donne nelle pubblicità [di nuovo, siamo d’accordo: ma prima dovremmo aver accertato che il discorso di Boldrini sia moralistico – e non è così]. Il rischio, dietro l’angolo, è che ancora una volta si dividano le donne per bene e per male, un errore politico e culturale così praticato in questi anni da tante associazioni femminili e femministe che non ha stoppato alcun omicidio di odio nei confronti delle donne [aspetta, fermi, calmi, bòni tutti. Dividere le donne per bene e per male era fatto con lo scopo di stoppare gli omicidi di odio nei confronti delle donne (dire femminicidio no, eh)? Non mi pare, è una pratica politica ma anche culturale che si fa da sempre, nell’occidente. Più o meno da quando qualcuno ha diviso il mondo in Marie e in Maddalene. E non era certo un’associazione femminile o femminista]. Si dice che solo nel nostro Paese vi sia un uso così sfrontato e inqualificabile del corpo delle donne nelle pubblicità, e questo può esser vero, ma da qui bisogna partire? [E perché no? E’ un problema evidente, è diffuso, tocca un nodo economico-culturale importante… complimenti al coraggio di affrontare un nodo del genere. Alternative? Mancuso per ora non ne fa. Dice solo che questa è moralistica e che non bisogna partire da qui.]

Il possesso machista che si risolve contro l’autodeterminazione delle donne, dilaga nel nostro Paese, per oggettive tare culturali che non possono esser affrontate solo da un lato, ovvero dalla censura [censura? Quale? Boldrini ha parlato di censura? Non mi pare. Il limite di velocità nelle strade urbane è considerato censura alla libertà di movimento?], dalla moralizzazione dei costumi [I costumi qui non c’entrano nulla. Si tratta di un’attività economica e di comunicazione molto precisa, la pubblicità. Che c’entrano i costumi? Oppure regolare le attività non si può fare? E allora lo IAP, è anch’esso censura o moralizzazione dei costumi?], dalla sottrazione dei corpi svestiti o lascivi per fini commerciali. Perché l’altro lato è proprio il moralismo ipocrita, la madonizzazione delle donne che persiste a causa di visioni ecclesiali cattoliche ed ecclesiali laiche, prima fra tutte quella della sinistra istituzionale [Cioè, Boldrini invita a darsi una regolata nello sfruttamento dell’immagine delle donne nella pubblicità e automaticamente questo è moralismo ipocrita? Certo, è un lato del problema, ma perché non affrontarlo? E perché tacciarlo di moralismo, che non c’entra nulla?].

Quando non si avrà più paura del sesso [Boldrini ha paura del sesso? Mancuso, scusi, ma da cosa l’ha dedotto?], della sua veicolazione come elemento essenziale della vita [scusi Mancuso, ma secondo lei questi manifesti mi veicolano un elemento essenziale della vita?], dell’identità delle persone, dei generi, degli orientamenti sessuali, allora un pezzo importante della sessuofobia che porta alla castrazione sociale, nei rapporti intimi, nella rappresentazione e gestione dei poteri, sarà spazzato via [Mancuso, qui il problema non è la paura del sesso – è il suo uso strumentale. Non mi pare proprio che tanti pubblicitari ne abbiano paura, anzi; Boldrini ha fatto notare che sarebbe ora di smetterla di usarlo così. Le pare moralismo?]. E di pubblicità non dovremo più discutere, perché il “mercato” riterrà non remunerativo ostentare corpi femminili [sì, certo, “nel boschetto della mia fantasia” (cit.)]. Parliamo di educazione sessuale obbligatoria nei programmi scolastici (meglio l’educazione alla salute e alla consapevolezza di sé [magari – ma le pare che Boldrini non sarebbe d’accordo? Ma l’ha letto il suo CV? E poi lo dice anche lei, proprio nel link che ha messo!]), di narrazione pubblica che permetta la demitizzazione della sessualità, imprigionata ancora dall’immagine classica dell’impurità del corpo [e certo, la situazione è questa grazie ai moralismi di Boldrini, no?], di elemento esterno alla volontà razionale, di promozione scientifica delle differenze dei generi e degli orientamenti.

Insomma, fare un discorso unilaterale, comodo e anche rassicurante [non è unilaterale, è solo uno dei discorsi da fare, Boldrini non ha negato gli altri – e poi, come sarebbe comodo? Ma se Boldrini s’è presa vagonate di merda!!!], che tende a eliminare i conflitti [EH? Casomai li fa emergere, finalmente, spazzando un po’ d’ipocrisia], ci riporta indietro, non aiuta l’individuazione concreta anche di strumenti di prevenzione e di tutela. E in ultimo si continua a girare intorno alla questione centrale: la violenza contro le donne è un problema degli uomini [eh, chissà chi sono la maggior parte dei pubblicitari e del loro pubblico di riferimento], in quanto tali, così come sono oggi pervenuti dopo i millenari vaneggiamenti antropologici sulla superiorità intellettuale e fisica.

Lo scatenamento della strage delle donne, ha dentro un elemento di vittoria evidente: i maschi sono finalmente entrati in crisi, l’autonomia delle donne li fa agire come i loro antenati, perché sono i ruoli che stanno crollando [non sarei così ottimista, Mancuso, a me pare che vanno ancora alla grande, boh – e sa che anche il tono della sua frase è parecchio ambiguo?]. È necessario punire i reati, attrezzare di strumenti veri i centri donna, la polizia, ma anche oltre, aprire una discussione sulla necessità di come rieducare gli uomini [è quello che ha detto Boldrini, infatti, e comunque: con meno cartelloni sessisti in giro secondo me sarebbe più facile, no?], perché il femminicidio è la manifestazione violenta di una patologia sociale e culturale diffusa: il machismo [che ha, tra i suoi effetti, portare gli uomini a criticare i discorsi politici delle donne bollandoli di moralismo – io un esempio ce l’avrei, sa?].

Poveri per legge

King

Un breve racconto del nostro amico Sdrammaturgo, basato su fatti a lui accaduti recentemente. Buona lettura!

Per capire che lo Stato è un’istituzione fondata sull’abuso inventata dalla classe dominante per schiacciare la popolazione e che la legge è la voce del padrone atta a incatenare lo schiavo, non servono le stragi, le guerre, l’ingiustizia sociale, il capitalismo, le multinazionali, le galere, la scuola, la Diaz e Bolzaneto: basta salire sul treno.
Nella mia vita mi sarei aspettato di incappare anche in una pioggia di rane, in uno sbarco alieno, perfino nell’agognata fine delle battute sulla droga. Non si sa mai cosa può succedere, le meraviglie del possibile offrono infinite eventualità. Ma a questo, francamente, non ero preparato. La mia fantasia, pur avvezza alla science fiction distopica, si è rivelata non all’altezza della realtà più fantasmagorica concepibile nell’universo conosciuto: le regole del regime democratico.
George Orwell aspetta Machiavelli, si incontra con de Sade, passano a prendere il conte Vlad, tutti e quattro vanno a cena da Predator e insieme creano Trenitalia.
Questo è ciò che mi è successo stamattina sulla tratta Roma Tiburtina-Orte, treno delle 9.07.
Nel vagone passa una ragazza a chiedere l’elemosina. Le do trenta centesimi. Si alza un ferroviere davanti a me.

– Lo sa che lei è passibile di multa?
– Eh?!
– È vietato dare soldi a chi fa la questua. Il personale ferroviario potrebbe farle la multa.
– Ma se io le voglio dare trenta centesimi perché mi sta simpatica?
– Io gliel’ho detto, poi lei faccia come vuole.
– Infatti, con i miei soldi faccio quello che mi pare.

È ILLEGALE DARE SOLDI AI POVERI.
I trenta centesimi che scossero l’establishment.
Praticamente è obbligatorio l’abuso sul più debole.
Ho delle interessanti proposte di legge da fare al nuovo Governo:

1) divieto di nutrirsi se si ha un reddito inferiore alle aspettative del più vicino concessionario di BMW;
2) vietato soccorrere un individuo colto da malore qualora sprovvisto di carta di credito;
3) severamente proibito salutare passanti che non presentino indosso indumenti firmati.

Confesso che mi ha sorpreso. Non lo sapevo. E nemmeno lo immaginavo. Ma la legge non ammette ignoranza.
Una volta ho prestato cinque euro a un mio amico. Rischio l’ergastolo.
 

Deconstructing Don Riccardo

doncamillo

Pochi giorni fa Loredana Lipperini, sulla sua bacheca Facebook, mette questo link nel quale Costanza Miriano, correttamente, non risponde a quanto Lipperini e Murgia hanno scritto su di lei. Correttamente perché non ha letto il libro L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!; e lascia la parola a “Don Riccardo Mensuali, del Pontificio Consiglio per la Famiglia – in pratica gli esperti del Vaticano sul tema”. Don Riccardo, come vedremo, non è esperto solo di famiglia, ma pure di un certo modo di comunicare, che – tipico, a mio parere, degli esponenti in divisa di un qualunque culto – va accuratamente discusso affinché nulla sia dato per scontato. Perché se sei corretto ma dai la parola a uno che lo è un po’ meno, forse non sei stato tanto corretto manco tu. No?

Se il potere è il servizio [titolo, permettetemi, parecchio complicato: che vuol dire, per i non esegeti di Miriano? Niente – e non ci verrà spiegato neanche dopo]

Nel loro interessante pamphlet “L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!”, Loredana Lipperini e Michela Murgia se la prendono un po’ con Costanza Miriano [da questa frase pare che nel pamphlet – definizione che vi chiedo di ammirare nel suo uso di giudizio preventivo – le due autrici non facciano altro]. Lo fanno a pag 47 [ah. Una pagina sola]. Siccome il saggio ha come scopo, opportuno e prezioso, quello di “imparare a parlare di femminicidio” [grazie, ma non era meglio dirlo subito? E allora, forse, non è un pamphlet], cioè far luce sulla violenza contro le donne della nostra società [eh, no, non è proprio lo stesso. Per questo scopo certo non basta un pamphlet – sempre ammesso che questo lo sia; qui si tratta solo di riflettere su certe pessime abitudini linguistiche e quindi culturali, sullo sfondo della complessiva violenza di genere], “Sposati e sii sottomessa” è, dalle due autrici, messo all’indice [addirittura! Lipperini e Murgia hanno, nel loro pamphlet, costruito un indice di libri! Accidenti che dono di sintesi – riescono a far luce sulla violenza contro le donne della nostra società e a costruire un indice di libri tutto in un pamphlet]. Mi accorgo adesso che il correttore ortografico non conosce la parola femminicidio [quindi non t’è mai capitato di scriverla prima. Interessante per uno degli esperti del Vaticano sul tema della famiglia. La dice lunga sul livello di consapevolezza di quegli esperti]. Ragione in più per apprezzare il lavoro delle signore Lipperini e Murgia. Che però, io credo, non hanno letto i libri di Costanza Miriano [cioè le due autrici hanno messo all’indice un libro che non hanno letto. Bel complimento. E siamo all’inizio, signori!].

Anche io trovo che viviamo in un mondo duro, violento e crudele, soprattutto verso i più deboli: donne, anziani, stranieri, bambini [La mossa del giaguaro, fase #1: sono d’accordo con te sulla supposta “base” dell’argomento]. Il libro delle due autrici non avrebbe 80 pagine ma 800 se solo avesse avuto capitoli sulla violenza contro le donne nel resto del mondo [La mossa del giaguaro, fase #2: quell’argomento è vasto, e infatti tu non hai detto nulla riguardo una certa cosa]. Molti preti, e non solo, sono ancora scandalizzati da quel sacerdote ligure che osò affiggere in parrocchia una locandina nella quale esponeva la tesi secondo cui, in fin dei conti, una parte della violenza sarebbe da imputare alla colpa delle donne [La mossa del giaguaro, fase #3: ti tranquillizzo, guarda che sono dalla tua parte eh? Guarda che sono d’accordo, eh?]. Con questi discorsi, subito del resto censurati dal Vescovo incaricato della censura, il vescovo diocesano [abbiamo capito], si getta solo discredito sulla Chiesa [eh, non ce n’è certo bisogno]. Così, per chiarire [per chiarire cosa? E a chi? E che bisogno ci sarebbe, di chiarire? Glielo devo ricordare io, il latinorum di “excusatio non petita…”].

Scrivo però queste righe perché Costanza Miriano verrà a parlare al “Pontificio Consiglio per la Famiglia” il prossimo 29 Maggio, partecipando ad un seminario sul tema “L’Amore Imperfetto: un padre e una madre, l’educazione dei figli”. A lei abbiamo affidato il titolo: “La ricchezza della differenza”. Non so ancora cosa Costanza dirà. O forse sì, un po’ lo so. Ho letto i suoi libri [Capito? IO HO LETTO I SUOI LIBRI, mica come certe due autrici di nostra conoscenza – La mossa del giaguaro, fase #4 – la botta all’improvviso]. Il contrario della differenza non è uguaglianza. È uniformità. La povertà dell’uniformità, potevamo darle anche questo, di titolo, specchio dell’altro [non è affatto lo specchio, casomai l’opposto, e non vuol dire affatto la stessa cosa, ma vabbè].

Secondo Lipperini e Murgia, Costanza Miriano sarebbe convinta [che vuole farci, padre, hanno supposto che avendo scritto delle cose, ne sia anche convinta, di quelle cose. A lei non risulta, dato che usa il condizionale?] che “il problema della violenza e della morte delle donne nasca dalle scelte delle donne stesse, che rifiutandosi di “stare sotto”, quindi di porsi come pilastro portante dell’intera impalcatura del sistema di dominio patriarcale, fanno crollare l’armonia iniziale stabilita alle origini del cosmo, da Dio o dalla natura stessa. Chi ha fatto propria questa visione pretende di partire da un atto incontrovertibile – che la donna e l’uomo siano fisicamente differenti – per fondare su questa differenza una gerarchia di poteri e una pre-assegnazione di ruoli e di attitudini” [le confesso, padre, che questa cosa non l’ha detta solo Miriano, ma anche un certo numero di testi che, data la divisa che porta, le dovrebbero essere noti].

In sintesi, secondo Lipperini-Murgia [lui ha letto il libro, quindi questa è LA sintesi, non la sua sintesi], Costanza [certa gente si nomina per cognome e col trattino, certa altra per nome] dilapiderebbe secoli di fatiche [avete letto delle fatiche, voi, nel passo sopra?] per tornare indietro nel tempo riassegnando [ri-assegnando? E chi l’ha fatto prima?] alla donna un posto molto più in basso nella “gerarchia di poteri”. Un anti-femminismo di femmina [mi scusi Don Riccardo: la parola femminismo non è nella citazione che ha riportato. Le sembra che abbia un significato univoco per tutti, tanto da poterla usare così, al volo? E con tanto di prefisso e provocatoria specificazione? Mi scusi ma non credo che lei sia il più autorevole a dire cos’è il femminismo; figuriamoci un anti-femminismo (semmai esista) praticato dalle donne. Siamo alle astrazioni di terzo grado, ma per favore…], quindi più pericoloso [più: quindi di suo il femminismo lo è? Di nuovo complimenti, padre, per il suo equilibrio e il modo corretto di scrivere. E meno male che lei sarebbe uno degli esperti], se è possibile estremizzare [lo hai già fatto, furbacchione – La mossa del giaguaro, fase #5: traggo conclusioni ma le premesse non ci sono!]. Mi permetto di consigliare alle autrici del breve e intenso saggio [ecco, già è meglio di pamphlet, ma ormai non importa più a nessuno], di rileggere, quanto meno, le pagine di Costanza Miriano [quindi o non le hanno lette, o le hanno lette male – se dico che è almeno un po’ troppo paternalista, padre, s’offende?]. Vi troveranno invece dei grandi personaggi femminili [e che c’entra, scusi? Quando abbiamo cominciato a parlare della presenza/assenza di grandi personaggi femminili?]. Scopriranno che c’è un’eroicità della libertà di essere donne cristiane [MA COSA C’ENTRA? Nessuno nega la libertà di culto, né l’eroismo di alcun* cristian*; però, caro Don Riccardo, dovrebbe spiegare allora perché dice cristiane e non ‘cattoliche’. Intende anche  anglican*, ortodoss*, protestantI? Perché di eroi ce ne sono anche lì, ma ho idea che sul femminismo, le donne e il matrimonio le posizioni non siano proprio univoche. Ne vogliamo parlare o lo diamo per scontato?]. C’è – eccome – una gerarchia di poteri nelle pagine di Miriano. Ma non è la gerarchia a cui allude “L’ho uccisa perché l’amavo:falso!”. È il suo opposto [quindi le due autrici non hanno proprio capito niente, chiaro?]. C’è un potere nel “servizio” che rende libero il matrimonio [il matrimonio? E chi ne stava parlando? Si parlava di donne, di corpi e persone, non di istituzioni. O per lei sono lo stessa cosa, padre?] di respirare, di crescere, di esistere e di resistere [sì, il matrimonio, non le donne – quelle invece pare che soffochino, regrediscano, muoiano e cedano, le risulta?]. Il cristianesimo o è eroico o non è [sì, le storie dei santi le sappiamo anche noi – ma lei dovrebbe dire cosa c’entrano qui]. E tutte le mogli dei libri della Miriano sono eroiche, libere, spregiudicate, divertenti e ironiche perché superiori avendo scelto di essere “inferiori” [parere vostro, e sono le mogli, non le donne], capaci di lottare e di riposarsi, di imporsi e di rispettare, di correre e di fermarsi [ammesso che sia vero, osa davvero credere che quelle siano TUTTE LE MOGLI? E alle donne che mogli non sono, non ha nulla da dire? Miriano anche, non le considera?]. Le trovo piene di libertà. E se rispettano i loro mariti, lo fanno come suggerisce loro l’etimologia del verbo rispettare: vuol dire guardare due volte [e chissenefrega. Non si stava parlando di matrimonio, né di mogli – ma di donne. Per lei fa differenza? No? Beh, per qualcun* sì]. Costruiscono, queste donne [e no, padre, La mossa del giaguaro, fase #6 non passerà. Lei non può usare mogli e donne come fossero sinonimi], famiglie solide perché aperte, a Dio e al mondo. Chiedono, propongono, esigono. Se c’è qualcosa che non sono è tiepide, “né calde né fredde” (Ap 3,15), che mi sembra la malattia del nostro mondo [quale delle due autrici ha accusato qualcuno di indifferenza, o di ipocrisia? Cosa c’entra questa citazione? Niente, ma ormai siamo a ruota libera]. Fanno tornare alla mente le parole di Benedetto XVI pronunciate al Parlamento tedesco il 22 Settembre 2011: “La ragione positivista… non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto” [passo che, le dirò, si avvicina molto di più a Lipperini-Murgia che alla sua cara Costanza. Sono le due autrici a voler parlare di una differenza naturale da considerare come tale, e non da interpretare come la manifesta costruzione di un potere politico o istituzionale, sacralizzato nel matrimonio come lei lo intende. Qual è allora la ragione positivista, quella che incastra la natura nell’istituzione matrimoniale a scopo funzionale o quella che vuole liberarne le potenzialità e sancire pari diritti della differenza? Oppure vogliamo dire che il matrimonio è naturale come i nostri corpi? E su, padre, “manco le basi der mestiere” (cit.)].

Se si ha la pazienza di guardare dentro le case dove vivono i personaggi di Costanza Miriano scopriamo case e famiglie aperte al vasto mondo di Dio. È questo, credo, che le rende libere [non lo metto in dubbio. Ma quelle famiglie non sono tutte le famiglie, Don Riccardo, e la maggior parte delle donne esistono fuori di quelle famiglie. Anche se non le piace, è così. E se la sua soluzione alla violenza – e quella di Miriano – è diventare come quelle famiglie, abbia almeno la decenza di smettere di parlare di libertà].

Sono certo – insomma – che, leggendo bene Costanza, anche le amiche Lipperini e Murgia dovrebbero prenderla con sé, sul carro nobile della battaglia contro la violenza (in genere) e la violenza che subiscono le donne [perché, Lipperini e Murgia si sono messe alla guida di quel carro? E quando lo avrebbero fatto,sempre nello stesso pamphlet? E perché dovrebbero dispensare la licenza per salirci? Ma dove l’ha vista tutta questa roba, padre? Lascio la parola all’amica Serbilla: “immagino Lipperini e Murgia sopra a ‘sto carro di madreperla econ colonnine ioniche, vestite come delle dee greche, con la fascetta sulla fronte, la tunica. Circondate da una luce dorata, e un coro che ripete: “OOOOOOOOOO”, acutissimo. E’ proprio un’immagine esilarante, come l’intento di far accettare nel club Miriano e far fare la pace alle bimbe”. A proposito di paternalismo, padre Riccardo]. Ce n’è molta – di violenza – anche nell’imporre alle donne di non fare le donne, le mogli, le mamme, le nonne – mi pare [e che c’entra? E che vuol dire? E chi l’ha detto, dove? Cosa sta insinuando? Vi ricordo che, all’inizio dell’articolo, padre Riccardo ha ammesso di non aver mai scritto “femminicidio” prima d’ora]. È uscito in questi giorni, per PIEMME, “Un domani per i miei bambini”: è la storia di riscatto e di vittoria sulla malattia di una giovane donna del Malawi, Pacem Kawonga. Una donna che da sottomessa alla violenza disumana ha imparato a “mettersi sotto” la vita di tanti, diventandone quella roccia salda su cui siamo chiamati a costruire una vita degna (Mt 7,24) [MA COSA C’ENTRA? Prima parla di matrimonio come se fosse equivalente alla donna in sé, poi adesso questa sventurata del Malawi e la sua vittoria sulla malattia. Vuole avere la cortesia di spiegare almeno una delle sue scelte argomentative?]. Allora benvenuta la gerarchia di poteri, se, come insegna Papa Francesco, il potere è servizio [e la vita è morte, l’alto è il basso, la pace è guerra, il nero è bianco – cos’è, un manifesto surrealista? Ma vuole spiegare almeno una delle cose che dice?]. La gerarchia di servizi potrebbe essere l’impalcatura per costruire un mondo migliore [speriamo che al Ministero dello Sviluppo Economico non la leggano, Don Riccardo mio!]. Anche per gli uomini. Grazie per l’accoglienza. Ci vediamo il 29 Maggio [ciao].

Don Riccardo Mensuali [Lorenzo Gasparrini (grazie a Feminoska e a Serbilla)]

Deconstructing la censura

voltaire La polemica su Fabri Fibra escluso dal concerto del I° Maggio la conoscete già senz’altro. Prima di commentare questo articolo che riassume un punto di vista molto condiviso, sarà necessaria qualche premessa.

Uno. La censura, dice il vocabolario (significato 2) e qualche libro di storia, è esercitata dall’autorità pubblica, ed è atta a impedire o la diffusione di un particolare prodotto dell’espressione (un libro, un film, etc.) o tutto ciò che è riferibile a una persona, oggetto di censura. Basta questo a far capire che Fabri Fibra non è stato oggetto di censura, e che quella degli organizzatori del concertone non è una forma di censura: la festa è la loro e decidono chi invitare, punto. Non è che se non t’invito al mio compleanno ti sto censurando – mi stai antipatico per quello che fai e/o per quello che dici, è la mia opinione, è la mia festa, tu non ci vieni. Ciao. Fabri Fibra – forse i difensori del libero pensiero a tutti i costi non se ne sono accorti – non ha annullato nessuna sua data, né sono stati ritirati i suoi dischi dal commercio. E’ libero di esprimersi come e più di prima, beandosi anche di tanta pubblicità gratuita. Non è stato affatto censurato.

Due. Per l’ennesima volta: Voltaire non ha mai detto «disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo», né «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo». Sono due bufale – nonché due scemenze. Infatti fascisti e razzisti in genere non vanno difesi, perché difendere la libertà delle loro opinioni significa – la storia lo insegna – sancire la fine delle proprie, dato che, come s’è visto innumerevoli volte, l’opinione dei fascisti e dei razzisti in genere è: “vale solo la mia opinione”. Non a caso Voltaire, che di opinioni, pensieri e storia ne sapeva, due stronzate del genere s’è ben guardato dal dirle.

Tre. Il SEO (Search Engine Optimization) è un’attività richiesta a tutti I blogger del mondo da parte dei loro editori, e consiste nel rendere i propri testi accattivanti per i vari automatismi che rendono la pagina web molto cliccata e molto citata in più link possibile, nel web. Uno dei metodi più noti e facili di SEO è fare titoli e testi pieni di parole “calde”: che ne so, per esempio, Fabri Fibra, donne, pericolo.

Quattro. Il linguaggio sessista non è un’opinione: esiste, c’è una definizione, è un problema noto da decenni. Se uno lo adopera è perché lo vuole adoperare, oppure perché non gli interessa non adoperarlo. Quindi non è che “qualcuno pensa” che il linguaggio di Fabri Fibra sia sessista – lo è, non c’è dubbio su questo. Quindi che a qualcuno non piaccia è molto meno soprendente del fatto che a qualcuno non piaccia che quel linguaggio non piaccia. Se è un artista, come dicono in tanti, allora potrebbe usare tanti altri linguaggi espressivi; invece usa quello. E’ certamente libero di usarlo nei suoi dischi e nei suoi concerti, nessuno lo ha censurato – come io sono libero di rifiutarlo non ascoltandolo più di una volta, e come chi organizza un concerto è libero di non volerlo invitare.

Cominciamo.

Fabri Fibra è censurato. Ma sono “queste” donne il vero pericolo [ecco, appunto. Un bel titolo acchiappa click e di grande profondità – vabbè, lo ammetto, sono prevenuto. Magari è stato il titolista a esagerare.]

Se il femminismo italiano avesse ancora qualcosa di libertario [Però! Cominciamo bene: il femminismo italiano, a detta dell’autrice, non ha nulla di libertario. Libertario, dice sempre il sig.Treccani è sinonimo di anarchico; e certamente non tutto il femminismo italiano lo è stato, né lo è ancora. E’, come tutti i femminismi in tutti i paesi, pieno di sfaccettature, differenze, varianti, e non tutte queste diverse espressioni del femminismo prevedono libertà totale sempre e ovunque (posto che politicamente tutta ‘sta libertà abbia un senso)]; se vivesse nelle strade, dove le donne si scontrano con i problemi reali [quindi, dice sempre l’autrice, il femminismo italiano non vive nelle strade, con buona pace di tutta la miriade di realtà femministe che, per esempio, conosco io – ma io non faccio testo, si sa, io c’ho un problema], e non nei salotti avvezzi alle elucubrazioni ideologiche di una falange armata di corporativismo [salotti che esistono senz’altro, ma che certo non sono il femminismo italiano, che come tale non esiste, essendo composto, come detto da parecchie correnti anche di vedute inconciliabili tra loro]; se ancora ci fosse l’anelito della lotta [no no, che anelito: le femministe che conosco io per strada ci vanno e la lotta la fanno sul serio, giuro, ci sono pure io qualche volta, pensa un po’] e non la ricerca della rendita [no guarda, se del femminismo si campasse avremmo svoltato. T’assicuro che i salotti che dici tu i soldi li prendono altrove, non dal femminismo], allora sì che si leverebbero le proteste vere [guarda che ci sono le proteste vere , informati], in istrada e sui giornali, con un unico obiettivo: difendere il sacrosanto diritto di espressione di un cantautore [come detto sopra, quel diritto non l’ha toccato nessuno, tantomeno le femministe. Le femministe hanno, come tutti, il diritto di sollecitare chi organizza manifestazioni a non invitare chi non gli sta bene, il quale può continuare a esprimersi come gli pare – e infatti lo fa. Qui non è stato calpestato alcun diritto d’espressione, basterebbe informarsi per capirlo. Ma informarsi, mi sa, non fa SEO].

Fabri Fibra è oggetto di una clamorosa censura [NO, NON E’ VERO, e sopra ho scritto il perché] ad opera di quanti, dagli organizzatori in giù, si sono lasciati condizionare [non si sono lasciati condizionare, non sono deficienti – hanno tenuto conto delle proprie priorità, che a casa loro decidono loro, pure se non ti stanno bene] dalle proteste di una associazione intitolata “Donne in rete contro la violenza”. I testi del rapper marchigiano sarebbero troppo violenti, di questi tempi si potrebbe dire “un incitamento all’odio femminicida”. Del resto i reati di opinione, forieri di censura, [nessuno ha contestato un reato a Fabri Fibra, altrimenti altro che primo maggio. E, ripeto, non c’è stata alcuna censura. Ma sì, alziamo la voce, dàje!] si fregiano degli orpelli più tecnicamente efferati. Ormai, se uccidi una donna, il reato è “femminicidio” [non è ormai, è un bel po’ eh], come fosse qualcosa di distinto [lo è; la legge ne prevede un sacco di assassinii distinti da espressioni diverse, servono a comminare una giusta pena e a inquadrare meglio le eventuali aggravanti o attenuanti], e forse di più grave, rispetto all’”omicidio” di un uomo [questa è l’opinione tua e di un sacco di maschilisti negazionisti che, nell’ipocrisia di un linguaggio paritario mal compreso e mal usato, prendono le distinzioni necessarie come ghettizzazioni. Immagino che tu preferisca leggere di centinaia di raptus all’anno; complimenti]. Nella distinzione lessicale si ravvisa una china culturale ormai allarmante [su questo sono d’accordissimo, per questo mi batto per usare le parole utili e per usarle quando serve: per esempio, con questa faccenda la parola “censura” non c’entra un bel niente].

Così, se D.i.re inscena la protesta (le avete viste, vero, a centinaia in istrada…) [ah ah ah, che spiritosona – qui c’è un’utile lettura sull’umorismo di D.i.re], la Cgil si inchina alla volontà femminea [ma quando mai? E ancora complimenti per il linguaggio, eh] e vieta ad un cantante già invitato di esibirsi in un concerto pubblico [il concerto non è pubblico, non lo organizza lo Stato, non confondiamo pubblico con gratuito, a proposito di linguaggio].

Non si sa se sia più offensivo ritenere che qualche verso acceso di una canzone possa plagiare gli uomini e indurli meccanicamente a bastonare le rispettive compagne [sarà pure offensivo, ma si chiama cultura anche quella veicolata da Fabri Fibra,e sì, ti devo dare questa notizia, è la cultura a rendere una persona consapevole, per esempio, che bastonare le rispettive compagne si può fare], o se piuttosto ad essere vilipesa non sia, ancora una volta, la dignità di quante non si sognerebbero mai di interdire al proprio figlio o al proprio fratello l’ascolto di una canzone del temerario Fabri Fibra [dignità che nessuno ha toccato, dato che Fabri Fibra continuerà a fare i suoi concerti tranquillo, a vendere i suoi dischi tranquillo, e verrà tranquillamente trasmesso da tutte le radio – quindi non c’è nessuna interdizione]. Che paura. Sì, queste donne fanno paura [verissimo – ma mi sa che non c’intendiamo sul chi sono “queste”].

Per la cronaca, ecco cosa dice il diretto interessato su facebook, con i miei commenti:

Concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni: nemmeno quest’anno sarò su quel palco. Mi sembrava strano. In effetti, l’invito entusiasta da parte di Marco Godano mi aveva sorpreso, era una bella novità. Invece poi non sono gli organizzatori che decidono chi suona in piazza [ah no? E chi? Non lo dice, anche Fabri Fibra ha paura della volontà femminea?]. Nei miei testi forse non tutti ci leggono l’impegno politico o sociale necessario per eventi del genere [aspetta, fammi ricordare qualche verso: “ho 28 anni ragazze contattatemi scopatemi / e se resta un pò di tempo presentatevi / non conservatevi datela a tutti anche ai cani / se non me la dai io te la strappo come Pacciani”. Eh no, non ce lo vedo tutto st’impegno politico e sociale – sono proprio un bacchettone femminista maschiopentito zerbino.]. Nel 2013, per alcuni, il rap e i suoi meccanismi artistici sono ancora da interpretare e da capire fino in fondo [grazie per la considerazione – e non hai idea del sessismo, quant* siamo in pochi a capirlo!]. Qualcuno voleva che io suonassi e qualcuno no. Nonostante il tentativo, non si fa nulla. Il Primo Maggio è ancora soggetto a certi schemi che in altri circuiti live non ci sono o comunque non ci sono più [così ci piaci, vago e oscuro – a quando una bella predizione sull’Apocalisse?]. Penso in ogni caso che i concerti siano una bella occasione per i ragazzi di vivere esperienze musicali reali [è la definizione di concerto – vuoi vedere che invece Fabri Fibra il vocabolario lo legge?]. Ci vediamo comunque in tour quest’estate e quest’autunno [proprio le parole di uno censurato. Ah, grazie per averci ricordato il tuo costante impegno contro la violenza di genere].