Deconstructing il moralismo

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Come saprete senz’altro già per vostra esperienza personale, tra le cose peggiori che si possano trovare in giro sui media del nostro ‘belpaese’ sono i discorsi o le prese di posizione confuse e ambigue su alcuni termini importantissimi. A me non interessa – lo dico subito e nero su bianco – difendere qualcuno; a me interessa chiamare le cose con il loro nome, e far notare dove questo non si fa. Si chiama politica anche questo. Perciò faccio una premessa per quanto segue, e ve la scrivo bella grossa per evitare che ve la possiate scordare.

SE NELL’USO CORRENTE E ‘DISCORSIVO’ DEL LINGUAGGIO LE PAROLE “ETICA” E “MORALE” SONO FREQUENTEMENTE USATE COME SINONIMI, ESSE NON LO SONO AFFATTO. ETICA E MORALE NON SONO LA STESSA COSA.

Come al solito basterebbe Wikipedia per farsene un’idea, ma siccome vi so pigri almeno quanto me, vi ricopio qui il passo che m’interessa teniate a mente: “L’etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. Essa pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell’atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere. […] Ma l’etica si occupa anche della determinazione di quello che può essere definito come il senso (talvolta indicato con il maiuscolo, ‘Il Senso’) dell’esistere umano, il significato profondo etico-esistenziale (eventuale) della vita del singolo e del cosmo che lo include. Anche per questo motivo è consuetudine differenziare i termini ‘etica’ e ‘morale’. Un altro motivo è che, sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l’uso del termine ‘morale’ per indicare l’assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola ‘etica’ per riferirsi all’intento razionale di fondare la morale intesa come disciplina non soggettiva”.

Qui c’è l’articolo con le parole di Boldrini che Mancuso critica. Come potete leggere, Boldrini fa un discorso di etica: il problema individuato da Boldrini non sta nei valori soggettivi ma nelle regole da dare a manifestazioni pubbliche e comuni – come la pubblicità – che veicolando un messaggio di utilizzo del corpo delle donne possono veicolare violenza: «Una donna oggettivizzata, resa cioè oggetto, la si tratta come si vuole e la relativa violenza è a un passo […] non è solo una questione di leggi, ma lo Stato deve prendersi la propria responsabilità: il legislatore deve introdurre maggiore attenzione alla realtà, perchè c’è odio contro chi è più libero, contro chi non appartiene alla collettività. È anche una questione di formazione: è nelle scuole che i ragazzi vanno educati non nel rispetto delle diversità ma soprattutto nel rispetto degli esseri umani». Ora, si può discutere anche di questo, senz’altro: ma non è una forma di moralismo. E’ ‘la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri’, cioè etica.

Bene; detto ciò, addentriamoci quindi nell’analisi di questo pezzo di Aurelio Mancuso.

Cara Boldrini, la violenza sulle donne non si sconfigge con il moralismo [il moralismo, invece, è “una degenerazione della morale usata con eccessiva intransigenza per una severa, talora ipocrita, condanna degli altri” (sempre Wikipedia). Quindi Mancuso dice a Boldrini: la violenza sulle donne non si sconfigge inasprendo i valori morali fino all’intransigenza. Ché uno potrebbe pure essere d’accordo – il problema è che Boldrini non ha parlato di morale. Continuiamo.]

Il femminicidio è un dramma troppo serio perché si apra una discussione moralistica sull’uso del corpo delle donne nelle pubblicità [di nuovo, siamo d’accordo: ma prima dovremmo aver accertato che il discorso di Boldrini sia moralistico – e non è così]. Il rischio, dietro l’angolo, è che ancora una volta si dividano le donne per bene e per male, un errore politico e culturale così praticato in questi anni da tante associazioni femminili e femministe che non ha stoppato alcun omicidio di odio nei confronti delle donne [aspetta, fermi, calmi, bòni tutti. Dividere le donne per bene e per male era fatto con lo scopo di stoppare gli omicidi di odio nei confronti delle donne (dire femminicidio no, eh)? Non mi pare, è una pratica politica ma anche culturale che si fa da sempre, nell’occidente. Più o meno da quando qualcuno ha diviso il mondo in Marie e in Maddalene. E non era certo un’associazione femminile o femminista]. Si dice che solo nel nostro Paese vi sia un uso così sfrontato e inqualificabile del corpo delle donne nelle pubblicità, e questo può esser vero, ma da qui bisogna partire? [E perché no? E’ un problema evidente, è diffuso, tocca un nodo economico-culturale importante… complimenti al coraggio di affrontare un nodo del genere. Alternative? Mancuso per ora non ne fa. Dice solo che questa è moralistica e che non bisogna partire da qui.]

Il possesso machista che si risolve contro l’autodeterminazione delle donne, dilaga nel nostro Paese, per oggettive tare culturali che non possono esser affrontate solo da un lato, ovvero dalla censura [censura? Quale? Boldrini ha parlato di censura? Non mi pare. Il limite di velocità nelle strade urbane è considerato censura alla libertà di movimento?], dalla moralizzazione dei costumi [I costumi qui non c’entrano nulla. Si tratta di un’attività economica e di comunicazione molto precisa, la pubblicità. Che c’entrano i costumi? Oppure regolare le attività non si può fare? E allora lo IAP, è anch’esso censura o moralizzazione dei costumi?], dalla sottrazione dei corpi svestiti o lascivi per fini commerciali. Perché l’altro lato è proprio il moralismo ipocrita, la madonizzazione delle donne che persiste a causa di visioni ecclesiali cattoliche ed ecclesiali laiche, prima fra tutte quella della sinistra istituzionale [Cioè, Boldrini invita a darsi una regolata nello sfruttamento dell’immagine delle donne nella pubblicità e automaticamente questo è moralismo ipocrita? Certo, è un lato del problema, ma perché non affrontarlo? E perché tacciarlo di moralismo, che non c’entra nulla?].

Quando non si avrà più paura del sesso [Boldrini ha paura del sesso? Mancuso, scusi, ma da cosa l’ha dedotto?], della sua veicolazione come elemento essenziale della vita [scusi Mancuso, ma secondo lei questi manifesti mi veicolano un elemento essenziale della vita?], dell’identità delle persone, dei generi, degli orientamenti sessuali, allora un pezzo importante della sessuofobia che porta alla castrazione sociale, nei rapporti intimi, nella rappresentazione e gestione dei poteri, sarà spazzato via [Mancuso, qui il problema non è la paura del sesso – è il suo uso strumentale. Non mi pare proprio che tanti pubblicitari ne abbiano paura, anzi; Boldrini ha fatto notare che sarebbe ora di smetterla di usarlo così. Le pare moralismo?]. E di pubblicità non dovremo più discutere, perché il “mercato” riterrà non remunerativo ostentare corpi femminili [sì, certo, “nel boschetto della mia fantasia” (cit.)]. Parliamo di educazione sessuale obbligatoria nei programmi scolastici (meglio l’educazione alla salute e alla consapevolezza di sé [magari – ma le pare che Boldrini non sarebbe d’accordo? Ma l’ha letto il suo CV? E poi lo dice anche lei, proprio nel link che ha messo!]), di narrazione pubblica che permetta la demitizzazione della sessualità, imprigionata ancora dall’immagine classica dell’impurità del corpo [e certo, la situazione è questa grazie ai moralismi di Boldrini, no?], di elemento esterno alla volontà razionale, di promozione scientifica delle differenze dei generi e degli orientamenti.

Insomma, fare un discorso unilaterale, comodo e anche rassicurante [non è unilaterale, è solo uno dei discorsi da fare, Boldrini non ha negato gli altri – e poi, come sarebbe comodo? Ma se Boldrini s’è presa vagonate di merda!!!], che tende a eliminare i conflitti [EH? Casomai li fa emergere, finalmente, spazzando un po’ d’ipocrisia], ci riporta indietro, non aiuta l’individuazione concreta anche di strumenti di prevenzione e di tutela. E in ultimo si continua a girare intorno alla questione centrale: la violenza contro le donne è un problema degli uomini [eh, chissà chi sono la maggior parte dei pubblicitari e del loro pubblico di riferimento], in quanto tali, così come sono oggi pervenuti dopo i millenari vaneggiamenti antropologici sulla superiorità intellettuale e fisica.

Lo scatenamento della strage delle donne, ha dentro un elemento di vittoria evidente: i maschi sono finalmente entrati in crisi, l’autonomia delle donne li fa agire come i loro antenati, perché sono i ruoli che stanno crollando [non sarei così ottimista, Mancuso, a me pare che vanno ancora alla grande, boh – e sa che anche il tono della sua frase è parecchio ambiguo?]. È necessario punire i reati, attrezzare di strumenti veri i centri donna, la polizia, ma anche oltre, aprire una discussione sulla necessità di come rieducare gli uomini [è quello che ha detto Boldrini, infatti, e comunque: con meno cartelloni sessisti in giro secondo me sarebbe più facile, no?], perché il femminicidio è la manifestazione violenta di una patologia sociale e culturale diffusa: il machismo [che ha, tra i suoi effetti, portare gli uomini a criticare i discorsi politici delle donne bollandoli di moralismo – io un esempio ce l’avrei, sa?].

3 risposte a “Deconstructing il moralismo”

  1. Tra l’altro, come ho detto altrove, credo che questa distinzione tra morale ed etica sia quanto basta per tacitare i vari gruppi nochoice/prolife e le loro aberranti manifestazioni. Sempre che vogliano ragionare, invece di fare violenza, imho.

  2. La risposta di Mancuso sembra una sorta di azione diversiva: buttiamoci un po’ di tutto dentro, qualche accusa di moralismo, un paio di proposte incocludenti o facilmente condivisibili, e via così… Della reale volontà di affrontare il problema non rimane più traccia!
    Daje, Lore’! 🙂

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