Diversity management: una critica anarcofemminista e trans

1463559_748191905209225_245463739_n

Nell’ambiente queer radicale, si problematizza il diversity management, in quanto strumentalizzazione neoliberista che opera l’assimilazione frocia nel capitalismo, simulando quindi una liberazione che di liberante ha ben poco. Tuttavia vengono individuati alcuni lati positivi, rappresentati principalmente dall’inclusione di marginalità varie, in particolare le persone trans, nel mondo del lavoro salariato (evviva).

Intendo mettere in dubbio l’efficacia di questa presunta inclusione. Mi risulta che i progetti di diversity management abbiano risultati tangibili rispetto ad un numero ridotto di persone trans. Individuo i motivi di questa inefficacia principalmente nell’estrazione di classe e nell’esperienza relativa alla propria identità di genere (le quali tuttavia si influenzano, almeno in parte, vicendevolmente) e nell’intersezione di esperienze ulteriori di cui parlerò più tardi. Questi progetti includono sì transessuali e transgender, ma soffrono di una miopia assassina. Spesso le posizioni disponibili richiedono determinati titoli di studio, di un livello indubbiamente superiore rispetto al semplice diploma di terza media, che è in qualche maniera ancora accessibile più o meno a chiunque. Non è possibile ignorare la difficoltà per una persona trans di accedere a tali titoli.

Le scuole, che oggi come oggi non sono nient’altro che diplomifici, anche se dal mio punto di vista – cioè di qualcuno che sostiene l’idea e la pratica di pedagogia libertaria – lo sono sempre state (e non sarebbe neanche l’unica critica che si potrebbe porre loro,  ma non è il punto su cui mi concentro oggi), rappresentano il ponte (neanche troppo ben fatto) nell’abisso senza fondo del mondo del lavoro. E allora, verrebbe da dire? eh.

L’omotransfobia nelle scuole, fomentata e/o attuata tramite bullismi, innocenti battutine, ragazzate che casualmente finiscono in qualche suicidio (e poi si sa che la colpa non è mai di nessuno, e che uno si suicida per i suoi problemi: mai per quelli che gli causano gli altri) è una nebbia che si taglia col coltello.

Questo ha sul/la giovane trans un effetto negativo di proporzioni maggiori all’effetto subito dal/la giovane omosessuale; non parlo di bisessuali perché anche loro subiscono un’ostracizzazione ulteriore, sia da parte degli omosessuali sia da parte degli eterosessuali, anche se è lapalissiano che non necessariamente hanno a che fare con questioni riguardanti il proprio genere. Se l’omosessuale (e in misura maggiore il/la bisessuale, le cui speranze di integrarsi nella comunità di giovani omosessuali – e di conseguenza lenire la propria solitudine – sono ridotte, per i motivi di cui sopra) si ritrova ingabbiat* dalla costrizione di dover nascondere la propria vita affettiva e sessuale, la persona trans si ritrova ingabbiat* in quella di non poter esprimere neanche sé stessa.

Non è possibile vivere e viversi serenamente dovendo occultare parti importanti della propria identità, e la mancata possibilità di poterla esprimere acuisce la sofferenza della disforia di genere in quanto tale, ma non solo. Condizioni sociali di questo tipo fanno sì che all’esperienza della disforia finiscano per sommarsi altre esperienze, quali: depressione, traumi di vario tipo, ansia e quant’altro, che inficiano in maniera notevole non solo il rendimento scolastico, ma la volontà (e la fattibilità) di proseguire il proprio percorso di studi. Possibilità ad ogni modo in partenza limitata, se non addirittura negata, dalla classe sociale della propria famiglia (nel caso, in età giovanile, di un contesto scolastico meno ostile alle diversità); e, in età adulta, dalle condizioni economiche peggiori inevitabilmente derivanti dalla discriminazione transfobica in contesti lavorativi che non necessitino particolari qualifiche. Condizioni che non permettono di proseguire gli studi, acquisire qualifiche ulteriori, ed ampliare quindi le possibilità di assunzione. Il tutto in quello che dimostra de facto di essere un loop infinito di oppressione classista e transfobica.

Esistono anche problematicità ulteriori. Una donna trans è più svantaggiata rispetto alla controparte FtM, a causa della logica sessista e transmisogina per la quale una «donna» che diventa uomo aumenta il proprio prestigio sociale, mentre un «uomo» che diventa donna squalifica sé stesso. E se entra in gioco la variabile razza? nell’attività di genderizzazione della razza operata dalla società, un uomo straniero agli occhi dei media italiani, bianchi e occidentali, è sinonimo di «ladro», «stupratore» e più genericamente «criminale» e «violento», mentre una donna straniera è una figura debole e delicata, ed è sinonimo di «badante», «prostituta» (che nella variante dell’attivismo abolizionista diventa magicamente «vittima di tratta» sempre e comunque, come se non fosse mai esistita nella storia dell’umanità tutta un’emigrazione dedita alla ricerca di lavoro, sia esso sessuale o non).

In tutto ciò, una donna trans straniera racchiude in sé ogni fonte di discriminazione possibile. La parola trans in molte persone evoca immaginari relativi alla prostituzione, ma il connubio «trans straniera» ne evoca in chiunque, tanto che si potrebbe dire che la donna trans straniera sia in qualche maniera il motivo dell’appioppamento dell’etichetta «prostituta» alla comunità MtF nel suo complesso, e la diffusione di un certo sentimento razzista e anti-prostituzione fra molte trans bianche sembrerebbe confermare. Dove cercare l’origine di questo ruolo? In molte cose, direi, ma soprattutto nella morbosità che vede nel corpo trans razzializzato una molteplicità di «stranezze» che ne potenziano la carica erotica (mi riferisco sopratutto alla «sessualità esotica ed animalesca» che viene attribuita alle straniere in generale, che viene analogamente attribuita alla figura della donna trans non operata, bianca e non) e nella mancanza totale di opportunità diverse dalla strada per il risultato dell’interazione delle di razza, genere e classe il cui funzionamento è stato già almeno parzialmente descritto.

Alla luce di quanto detto, perché non immaginare un antilavorismo trans? è assurdo che in quanto persone transessuali e transgender il nostro finto riscatto (limitato peraltro in sostanza ad una schiacciante maggioranza di  uomini trans bianchi ed eterosessuali) debba passare necessariamente tramite la miseria dell’esistente e le sue ridicole concessioni. Forse rispetto alla disoccupazione imposta parlare di rifiuto del lavoro sembra un po’ ridicolo, ma si potrebbe pensare a rivendicare qualcosa come un «reddito per l’autodeterminazione» qui ed ora, ad esempio attraverso pratiche di neomutualismo dal basso, dal momento che richiedere qualcosa allo stato è come chiedere pane ed acqua al secondino, ed è evidente l’utilizzo del welfare come strumento di controllo. Con tutte le angherie subite mi pare proprio il minimo dei risarcimenti possibili; il tutto certamente non come soluzione, ma nell’ottica di liberarsi un giorno da ogni delirio possibile del capitale. Sul tavolo di una politica radicalmente frocia, e frociamente radicale, questa mi sembra una questione importante da porre.

Genuino clandestino e la Fattoria (in)Felice

233685028_640

Negli ambienti militanti e non, si sta diffondendo la solidarietà e la partecipazione attiva alla campagna Genuino Clandestino, promossa dall’associazione Campi Aperti per denunciare un insieme di norme ingiuste che, equiparando i prodotti contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li rende fuorilegge. La campagna si è nel tempo trasformata in una rete dalle maglie mobili di singol* e di comunità in divenire che, oltre alle sue iniziali rivendicazioni, propone alternative concrete al sistema capitalista vigente.

Andando a leggere il manifesto che è stato discusso nell’estate di quest’anno emergono dei punti assolutamente condivisibili, che però meritano di essere contestualizzati e analizzati per quello che in realtà comportano e per le contraddizioni che fanno emergere.

Leggi tutto “Genuino clandestino e la Fattoria (in)Felice”

25 Novembre – Una violenza enorme che ne oscura tante (più o meno) piccine

shutterstock_127284488-310x415

25 Novembre, e non so cosa dire.

Ogni volta che leggo gli articoli, le riflessioni, i post scritti in  occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della  violenza contro le donne, mi sembra di guardare la Terra da  Plutone. Di più, mi sento ammutolire: perché sento parlare di  femminicidio, di botte e stupri, e io, seppur femminista, di queste  cose non so parlare. Non ne so parlare perché non le conosco, o  meglio non le conosco direttamente, sulla mia pelle o sulla pelle di  chi mi è più vicin@ – e non ho mai assistito (fortunatamente) ad  episodi di violenza estrema e brutale.

Eppure, mentre mi apprestavo a seguire il filo dei pensieri e degli  eventi legati a questa importante giornata da spettatrice, mi sono  resa conto che la violenza sulle donne la vedo agita ogni giorno, da  sempre. Non è una violenza eclatante, da prima pagina dei  giornali, non si chiama femminicidio, né botte, né stupro. Eppure  esiste, è pervasiva, è quotidiana, è come la goccia che scava, scava  e attraversa l’anima, annichilisce persone con costanza e pazienza nell’arco di una vita, in molti casi trasformando chi la subisce in maniera radicale.

Quella agita su tante donne che ho conosciuto e conosco, intrappolate per una vita in rapporti coniugali impari, alla mercé di mariti i quali, seppure non platealmente ‘violenti’, sono quasi sempre freddi, distratti, economicamente e psicologicamente abusanti e inclini ad approfittare di qualsivoglia privilegio patriarcale sia a portata di mano per trattarle come colf, badanti, mammine di ricambio e sex workers, al bisogno e, ovviamente, gratis.
Quella su colleghe di lavoro precarie come me, mandate via alla prima gravidanza in quanto non più pienamente produttive e in alcun modo tutelate – le stesse che, alla notizia della gravidanza, ricevevano il plauso patriarcale della dirigenza maschile per aver ottemperato ai propri impliciti ‘doveri biologici’ di femmine – rispedite prontamente al mittente del lavoro di cura e della dipendenza economica, senza vergogna né rimorso.
E poi c’è quella ubiquitaria che ho sentito sulla mia pelle, su quella di amiche o semplici conoscenti continuamente sottoposte a controllo, giudicate e condannate dall’inquisizione patriarcale che agisce in ognun@ di noi, uomini e donne – sempre troppo puttane, troppo suore, troppo maschiacci, troppo loquaci, troppo sciacquette, troppo serie, arriviste, pazze, stupide, instabili, fragili, grasse, magre, aggressive, audaci, passive, indolenti, indipendenti o dipendenti… sempre troppo o troppo poco di qualsiasi cosa, perennemente fuori posto o talmente al loro posto da meritare in ogni caso solo disprezzo.

Ecco, questa è la violenza che io conosco. E mi spaventa pensarla così ‘normale’, così quotidiana, così pervasiva da diventare invisibile, persino a volte ai nostri stessi occhi. Perché di fronte al femminicidio, di fronte alle botte, di fronte allo stupro, io ammutolisco. Qualcun@ mi direbbe persino che io, ‘al confronto’, sono una donna fortunata. Eppure anche io conosco la violenza, una violenza che accompagna i miei giorni, da sempre: e non mi sento fortunata, proprio no, quando penso a quante volte ho dovuto incassare i colpi di un sistema che mi discrimina in quanto donna.

E allora quello su cui rifletto oggi, in una giornata così importante e simbolica, è che la violenza contro le donne non si riduce al suo estremo, e la violenza brutale non cancella tutte le altre, ma va inserita – concettualmente e politicamente – in un contesto più ampio, quello che richiede un’azione culturale e sociale che nessun provvedimento emergenziale e securitario potrà in alcun modo sostituire.

Auguro a tutte le donne di trovare la forza – in sé stesse e in amic@,compagn@, sorell@ – di riconoscere e opporsi a qualsiasi forma di violenza, anche le più piccole, anche quelle considerate insignificanti, che le riguardi in quanto donne. Perché dalla nostra personale dose di violenza quotidiana, nasca la forza di una resistenza che è anche e soprattutto politica.

Deconstructing la redazione

for-president-tutti-gli-uomini-del-presidente

Lo scorso 21 Settembre sono stato ospite dell’associazione “Io sono bellissima” per una giornata di incontri sul sessismo e sul linguaggio; la mattina un confronto sui giornali e i loro vari sessismi, con la presenza di giornalisti, e il pomeriggio un seminario sull’antisessismo. Una giornata, giustamente, bellissima, di quelle che ti lasciano motivazioni e ricordi politici felici – e non è che capitino spesso, eh.

Tra le persone presenti alcuni uomini e donne di Galatina, particolarmente impegnati sul loro territorio, con cui sono stato ben felice di parlare. Qui un loro comunicato per una iniziativa di domenica 24 novembre. A questo comunicato ha risposto una testata giornalistica locale con un pezzo davvero straordinario, che didatticamente ci fa il favore di raccogliere in un solo brano quasi tutti gli stereotipi e i luoghi comuni sessisti riguardo la violenza di genere – aggiungendoci vistose lacune culturali. E’ il caso di parlarne inseme perché raramente capitano esempi così esemplari dei tipici errori di chi pensa di sapere qualcosa sulle questioni di genere, semplicemente perché appartiene a un genere. E’ firmato “redazione”, e sono convinto che sia così: una persona sola non può infilare una dopo l’altra tutte queste stupidaggini, evidentemente è un lavoro di squadra. Cominciamo.

UNITI CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE… si ma per limitarsi a chiaccherare? [Il titolo promette bene: sembra che a qualcuno non vada bene che ci si limiti alle parole contro la violenza di genere. Pazienza per l’accento mancante, di questi tempi manca ben altro.]

Siamo tutti contro la violenza, e su questo non c’è discussione, sulle donne poi. [Eeeeeh, sì, beh, grazie per la generosità, ma in effetti la discussione c’è, anzi c’è pure parecchia gente che pensa che sia giusto menarle spesso. Ma apprezzo l’entusiasmo, andiamo avanti con fiducia. ]

Se però essa sia il retaggio di una cultura patriarcale, o invece è la conseguenza dei lascivi comportamenti di questa società, è tutto da dimostrare. [Beh, no, ci sono almeno quarant’anni di letteratura femminista, sociologica, filosofica e storica che dimostrano abbastanza bene che i lascivi comportamenti, se abbiamo capito bene cosa potrebbero essere – dato che la redazione non l’ha scritto –  sono il prodotto del patriarcato e non una possibile causa alternativa alla presente discriminazione di genere.] E anche il riferimento al razzismo mi pare che abbia a che fare come il cavolo a merenda. [No, il cavolo a merenda è quello della redazione: il sessismo è una forma di razzismo, quindi il riferimento c’entra eccome. Io non sarei manco d’accordo a definirlo latente, ‘sto razzismo.]

Si ha l’impressione che tutti gridino per far vedere come sono sensibili e bravi, ma che poi nessuno voglia andare a fondo alla questione e dire le cose come stanno. [Oh, e questa è una bella frase che ci sta benissimo dalla cronaca politica, al gossip, allo sport; adesso vediamole, le cose come stanno, adesso la redazione ci dà una lezione di giornalismo. Pronti?]

Anche perchè questo richiederebbe ad ognuno di noi un esame di coscienza serio, approfondito e sopratutto onesto. [Bravi, così si dice, il personale e il politico, un bell’esame di coscienza che è passato di moda perché non fa comodo.] E riconoscere di aver sbagliato, e dirlo pubblicamente e molto difficile per non dire impossibile. [Bene, abbiamo capito, ma sarebbe ora di smetterla con i sottointesi e dire a cosa ci si riferisce, ormai è mezza pagina di rimuginamenti – e s’incomincia a tollerare poco i continui errori di ortografia. Ostacolano molto l’esame di coscienza serio, sapete?] Riconoscere che tante battaglie che da ragazzi ci sembravano sacrosante hanno prodotto tanti guasti richiede un coraggio ed un’onesta intellettuale non comuni. [Pare che l’esame di coscienza serio debba partire da parecchio lontano; da ragazzo mi ricordo sacrosante battaglie per vendere i cornetti a scuola senza pagare la percentuale ai bidelli, e una mezza rivoluzione quando i flipper passarono da duecento a cinquecento lire a partita. Mi sfuggono però in che senso queste sacrosante battaglie abbiano fatto danni alle generazioni successive. Ma leggiamo, forse finalmente arriviamo al dunque.]

Spesso sentiamo dire che la violenza sulla donna  e lo stesso omicidio [immagino intenda dire “e il suo eventuale conseguente omicidio”, ma che ne so, io mica sono una redazione] nascano dalla voglia di possesso, dal considerare una donna come un oggetto [capita molto spesso, e insisto: non è un sentito dire, è proprio sicuro che in molti casi sia così, fidatevi]. E allora ci domandiamo, un uomo che prima uccide la moglie e poi si toglie la vita, lo fa perchè vuol possedere un oggetto? [Sì; se oltre a sentirlo dire lo aveste pure letto da qualche parte, è tutto spiegato in autorevoli testi, nero su bianco. In giro per questo blog pure ci sono molte indicazioni bibliografiche – qui il sentito dire non è molto apprezzato, forse perché non siamo una redazione.] Qualcuno può seriamente pensare che per non perdere un oggetto uno perda la cosa più preziosa, la propria vita? [Sì, lo pensano in parecchi, come detto sopra, e lo scrivono pure. Quel famoso patriarcato cui si accennava prima ti insegna proprio che senza il possesso e il controllo di (almeno) una donna tu non sei un uomo degno, un uomo completo, un “vero” uomo, ed ecco perché quando si vedono lasciati, abbandonati, privi del requisito minimo richiesto dal patriarcato, alcuni uomini non sanno gestire la situazione e annichiliscono l’oggetto ribelle e se stessi.] O invece vi è un disagio più profondo, legata al nostro tempo che non riusciamo a interpretare  a comprendere, o magari non vogliamo comprendere? [Quale? Parliamone, vediamo.]

Nella società tradizionale la donna era il sesso debole [non è che adesso invece sia considerata tanto meglio eh, forse la società è cambiata ma la mentalità ci mette molto di più], e nonostante ci trovassimo in presenza di una società dove il tasso di violenza era certo più alto che ai nostri giorni, “la donna non la si doveva toccare nemmeno con un fiore”. [Oh, bene, così lo diciamo una volta per tutte: “la donna non si tocca nemmeno con un fiore” è un’espressione sessista come poche, perché non solo divide gli esseri umani in due – deboli e forti – a seconda del sesso, ma prescrive pure che è nell’ordine delle cose che uno “protegga” l’altro da ogni forma di violenza, attribuendosi così pure il diritto di decidere cosa è violenza e cosa no. (Se qualcuno non ha capito la frase precedente, mi permetto di pensare che il suo problema non sia la violenza di genere.)] Chi lo faceva era tacciato di vigliaccheria, [leggi: il vero uomo non ha bisogno di ribadire la sua superiorità, gli è dovuta, e se non riesce a ottenerla “con le buone” allora non è un uomo – figuriamoci cos’è una donna che non accetti questa sua inferiorità naturale!] e ogni altro uomo che pure non avesse a che fare con quella donna era legittimato ad intervenire in sua difesa [tutti poliziotti insomma, secondo un codice cavalleresco che, come ricorderete, ha rinchiuso le donne nei castelli per secoli, in quanto beni di esclusiva proprietà del maschio che andava alla guerra – proprio un bel modello di società]. Un uomo che usava violenza su una donna, non era sicuro neppure in galera [succede anche adesso; ma non capisco perché bisognerebbe essere soddisfatti del sapere che anche in galera il codice patriarcale è rispettato].

Poi un bel giorno ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo, [EH? Ci siamo raccontati chi? Mi pare che siano le donne ad averlo detto, e che continuino da parecchi decenni con alterni risultati, purtroppo. E poi perché questo tono da favoletta? In che senso la redazione non crede che la donna è uguale all’uomo? La finiamo con i sottintesi?] che può fare il militare, che può fare la guerra, che quindi è un guerriero, [EEEEEH? Redazione, ma che gente frequentate? Forse – ma forse, eh – queste sono tesi portate avanti da alcuni femminismi, e anche fosse, qui sono espresse molto sommariamente e in maniera del tutto incompleta e fuorviante. Il primo pensiero delle donne è fare la guerra?] e così abbiamo smesso di considerarla una cosa diversa dall’uomo, [MA CHI? MA DOVE? Il voler dare alle donne e ad altri generi i diritti che spettano loro significa che si vuole tutti guerrieri? Ma lo sapete che è il 2013, che questa idea del “tutti guerrieri” quasi manco più i neonazisti la sbandierano? Ma ci vogliamo aggiornare un po’ prima di sparare di queste scemenze?] che doveva godere di una maggiore protezione [ancora con questa storia?], abbiamo smesso di alzarci nell’autobus per cedergli il posto [ah, ecco. La manifestazione pubblica dell’emancipazione femminile dipende dalle aziende comunali dei trasporti urbani. Tesi interessante, davvero], abbiamo deciso che invece della dolcezza, della femminilità, i tratti che dovevano caratterizzare la donna moderna, dovevano essere la decisione, la fermezza [MA ABBIAMO DECISO CHI, MA QUANDO? Ma in base a cosa una redazione si permette di parlare per tutto un genere, per tutta una massa, per tutti? E come non si accorge che se dice una cosa come abbiamo deciso i tratti che dovevano caratterizzare la donna moderna sta facendo razzismo sessista – oltre che dire un sacco di corbellerie?], al centro del suo mondo non più la famiglia, ma la carriera [ma non è vero! Milioni di donne vogliono cose diverse oppure queste – il problema è che non possono liberamente sceglierlo perché non hanno le stesse possibilità di realizzarsi grazie a una cultura patriarcale e maschilista imperante, non quello che ci siamo raccontati]. Non più mogli, amanti, amiche complici…ma donne in carriera, veline, competitori decisi e disposte a tutto [ma parlate per voi! In base a cosa vi attribuite un plurale che personifica decisioni epocali, e ci fate pure semplificazioni sociologiche a dir poco imbarazzanti? Pensate davvero che TUTTI gli uomini e TUTTE le donne siano così banali? O che anche solo “la maggior parte” abbia questa ridicola psicologia? O un esercito di docili sottomesse (mogli, amanti, amiche complici) oppure un esercito di competitori decisi e disposte a tutto? Voi vedete troppa televisione, ve lo dico io].

Poi, ad un certo punto, smarriti, ci siamo chiesti ma come mai la famiglia non funzionasse più [ovviamente è colpa delle donne, no?], come mai sempre più donne usassero la seduzione come arma per far cadere ai propri piedi, non il marito, il compagno, l’amante, ma il capoufficio colui che può dare uno mano per far carriera, per aver maggiore potere da utilizzare non solo su i colleghi, ma anche sul proprio uomo. [E certo che ve lo chiedete smarriti, se pensate che quello che sia successo sia che ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo. Cosa pensate di poter capire con questo schema ridicolo? La seduzione come un arma da utilizzare per far cadere ai propri piedi il capoufficio è quello che vi raccontate perché non volete capire che è stato il patriarcato ad aver instillato anche nelle donne che il potere va conquistato a tutti i costi. Ed è l’uomo – il capoufficio – che decide di dargliene le briciole in cambio di sesso, continuando a mantenere il suo potere. Vi pare il risultato del “femminismo” questo, cara redazione? Se alle donne fosse stato concesso davvero quello che si prende anche l’uomo, allora sarebbero le donne il capoufficio, senza bisogno di avere maggiore potere ottenendolo da un uomo attraverso il sesso, perché lo avrebbero ottenuto col merito. Ma non vi rendete conto neanche di che esempi fate?]

Poi…. un brutto giorno scatta la violenza, a volte la follia omicida, questi uomini, compagni perfetti, ottimi mariti, padri esemplari per una vita, che all’improvviso diventano terribili assassini. [Quindi? Che vuol dire? Cosa significa questa frase qui, che la colpa dello scatta la violenza è della donna che usa lo stesso potere del patriarcato? Non avete neanche il coraggio di dirlo apertamente, vi affidate all’ellissi, alle figure retoriche? Questo sarebbe il risultato dell’esame di coscienza serio, approfondito e sopratutto onesto?]

E noi tutti rimaniamo increduli e incapaci di comprendere [e ti credo, con questa visione delle cose che cosa sperate di comprendere?], e così finiamo per limitarci a piangere sulle tragedie ed ad augurarci che non si ripetano più [ah ecco, alle associazioni rimproverate di limitarsi a chiacchierare, voi invece pianterello e scongiuri. Voi sì che pensate ai fatti], magari lanciando strali su un fantomatico uomo [quale fantomatico, qui si ammazzano davvero, oh!], dimenticando che quell’uomo ci assomiglia, o assomiglia ai nostri uomini, in maniera incredibile [ma assomiglierà a voi, forse, che ancora vi raccontate queste favolette assolutorie e che continuano a colpevolizzare tutto e tutti tranne la cultura patriarcale ancora vigente e le mentalità che produce. Voi non vi limitate a chiacchierare, no no, vi fate proprio portavoce di quella cultura, scambiando la causa con l’effetto. Certo, i femminicidi e la violenza di genere esistono perché ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo e perché sempre più donne usano la seduzione come arma. Ancora complimenti per la profondità d’analisi, proprio quello che ci si aspetta da una redazione].

Per la cronaca, l’iniziativa a Galatina c’è stata ed è andata benissimo. No, loro non si limitano a chiacchierare.

I’m a better manarchist than you!

tumblr_ls4y5aukHx1qdavgxo1_1280
Clicca l’immagine per arrivare alla fonte!

Esplorando il web, abbiamo trovato questa geniale cover di “I’m a better anarchist than you” di David Rovics. Manarchist è una parola inglese usata per riferirsi ad anarchici sessisti, maschilisti e misogini in generale, MRA sta per “Men Rights Activist”, cioè coloro  che ci distruggono le gonadi con presunte misandrie (?) e non si sono ancora accorti che il sessismo al contrario non esiste e non può farlo, dal momento che un sistema di oppressione bidirezionale viola le basi della logica perché un’oppressione implica uno squilibrio di potere, e che le “discriminazioni” che subiscono sono tagliate per loro sulla base del ruolo che il patriarcato appioppa loro – e del quale, però, vorrebbero solo vantaggi e privilegi.  Il resto è abbastanza chiaro, perciò alleghiamo il testo e buon ascolto. 😀

http://youtu.be/XuwI5mQWwKs

I don’t check my privilege
I think that’s fucking gay
I just want to break some windows
While screaming “Fuck the state”
I like to tell racist jokes
And make fun of the queers
I’m not about to stop
Cuz I’ve been doing this for years
I think it’s okay cuz my grandpa was a Jew
I’m a better manarchist than you

I scope out women
Or just their tits and ass
And I think that all oppression
Is limited to class
I’ll mansplain to anyone
Who thinks I may be wrong
Because they all should know
That I knew better all along
All you butthurt women, you just haven’t got a clue
I’m a better manarchist than you

I talk too much at meetings
I always jump the stack
And I shut down other people
Who try to hold me back
All your whining about oppression
I think it is a bore
Because I’ve read Bakhunin
My opinions matter more
I think you’re so divisive with your gendered points of view
I’m a better manarchist than you

I don’t believe in sexism
Except the other way
Cuz I’ve always fought misandry
Since I became an MRA
I fucking hate feminazis
Who want to fuck with us
But I feel so much better
Since I joined Anonymous
I think that matriarchy is a threat to me and you
I’m a better manarchist than you
I’m a better manarchist than you

Perché il femminismo fa male agli uomini

man-alone2

Pubblichiamo la traduzione di questo articolo, “How feminism hurts men”, di Micah J. Murray. La traduzione è di Luciana Franchini, che ringraziamo: la responsabilità di tutto è mia, ovviamente.

 

Ieri qualcuno su Facebook mi ha detto che il femminismo glorifica le donne a scapito degli uomini, che il suo obiettivo di validare le donne castra noi maschi.

Ha ragione.

L’ascesa del femminismo ci ha relegati a uno status di second’ordine. L’ineguaglianza e la discriminazione sono diventate parte della nostra vita quotidiana.

A causa del femminismo gli uomini non possono più camminare per strada senza la paura di essere fischiati, molestati, addirittura aggrediti sessualmente dalle donne. Se viene aggredito, l’uomo viene anche incolpato: per com’era vestito, “se l’è cercata”.

A causa del femminismo non ci sono più conferenze cristiane importanti su come comportarsi da uomini, e dove migliaia di uomini possano celebrare la propria virilità e Gesù (e magari farsi qualche risata con gli stereotipi sulle donne).

A causa del femminismo le convention religiose sono spesso dominate da donne. Gli uomini vengono incoraggiati a limitarsi a badare ai bambini o alla cucina. A volte agli uomini viene persino detto di stare zitti in chiesa.

A causa del femminismo le donne guadagnano più degli uomini a parità di lavoro.

A causa del femminismo è ormai difficile trovare un film con un eroe maschile. La maggior parte dei film da cassetta parla di una donna coraggiosa che salva il mondo e ottiene un uomo oggetto come trofeo per le sue vittorie.

A causa del femminismo gli sport femminili sono un business enormemente fruttifero in cui esse vengono idolatrate su scala mondiale. Gli uomini compaiono solo di sfuggita, di solito prima degli stacchi pubblicitari in cui vengono oggettificati per il loro corpo.

A causa del femminismo tutti i contraccettivi sono gratuiti per le donne senza che debbano aprire bocca, mentre gli uomini devono lottare affinché le loro compagnie assicurative paghino per le ricette del Viagra. E se gli uomini tentano di ribellarsi, i leader della destra “vicina ai valori familiari” li chiamano porci o puttani.

A causa del femminismo il corpo maschile è costantemente sotto esame. Se un uomo appare in topless in TV, scoppia un caso nazionale che finisce con multe enormi e boicottaggi. Le blogger scrivono regolarmente di come si debba essere più attenti alle nostre scelte nell’abbigliamento, poiché potrebbero indurre le donne a peccare. La satira afferma che i pantaloncini “non sono veri pantaloni” e che gli uomini dovrebbero coprirsi, perché “nessuno vuole vedere una cosa del genere”.

A causa del femminismo gli uomini non sono rappresentati alla Casa Bianca, e le donne hanno oltre l’80% dei seggi al Congresso. Quando un uomo si candida per una carica, il suo aspetto fisico e il suo abbigliamento sono oggetto di discussione quasi quanto le sue idee politiche.

A causa del femminismo gli uomini devono combattere per avere voce nella sfera pubblica. Nelle questioni di teologia, politica, scienza e filosofia la prospettiva femminile è spesso considerata quella di default, normale e oggettiva. Le prospettive maschili vengono scartate perché troppo soggettive o emotive. Se ci ribelliamo, spesso veniamo bollati come arrabbiati, ribelli, sovversivi o pericolosi.

Ma siate forti, fratelli.

Un giorno saremo tutti uguali.

Qualsiasi cosa facciate, non leggete Jesus Feminist. È pieno di idee che continueranno a opprimere e danneggiare gli uomini – idee come “anche le donne sono persone” e “la dignità e i diritti delle donne sono importanti quanto quelli degli uomini”.

 

 

Deconstructing il sogno e l’incubo

Spellbound_piccolaLa violenza che hanno fatto a una ragazza di Modena la sapete già. E sapete già, immagino, delle deliranti parole con cui Concita De Gregorio ha voluto commentare a suo modo, dimostrando che in fatto di sessismo l’ignoranza in questo paese è enorme, e tocca anche quelle persone che per estrazione sociale, formazione politica e professione dovrebbero almeno sapere di cosa si sta parlando, e dovrebbero almeno sapere come se ne deve parlare. Invece, come si può leggere nell’ottimo “deconstructing” di Lalla, De Gregorio non fa che collezionare luoghi comuni e stereotipi sessisti. Ricordo a tutti che sì, si chiama sessismo anche il descrivere uomini e donne in base agli stereotipi di genere e ai relativi pregiudizi; soprattutto quelli legati a una “moralità” mai ben precisata – ma sempre custodita da chi scrive, guarda caso – che è solo il rifugio nostalgico (e falso) di chi non ha i mezzi per o non vuole spiegarsi un presente che non gli aggradaNon sto mettendo a paragone e sullo stesso piano il linguaggio, per esempio, di un Massimo Fini con quello di Concita De Gregorio o quello di Mauro Covacich che stiamo per leggere, ma è necessario riconoscere che il sessismo non è fatto solo di violenze fisiche e insulti. Parliamo di un sistema culturale basato su un potere politico, e il condiscendente moralismo – per quanto indiretto o fatto “all’insaputa” di chi scrive, fa parte di quel sistema, perpetua quella violenza e quei pregiudizi. Quindi per me è sessismo anche quello espresso da Mauro Covacich in questo articolo. Seguiamo le sue parole.

Sembrava un sogno

Negli ultimi decenni abbiamo speso ogni nostra energia per allontanare la morale dal sesso, ora guardiamo atterriti il risultato ottenuto. [Scusi Covacich, tanto per cominciare: “noi” chi? Io non ho speso nessuna energia per fare quello che dice, credo, e ne conosco a mucchi di persone che non l’hanno fatto. Poi: che vuol dire allontanare la morale dal sesso? Non è che lei è una di quelle persone che confonde l’etica con la morale? No, perché ci sono arrivati anche su Yahoo Answers a capire la differenza. Andiamo avanti e vediamo.] I ragazzi e le ragazze della festa di Modena dove una ragazza di 16 anni è stata violentata da suoi quasi coetanei, sono i nipoti della generazione che si è battuta per la liberazione del corpo [ah, c’è stata una generazione che si è battuta per la liberazione del corpo? Beh, deve averlo fatto molto male, altrimenti non si spiegano tutti questi stupri, ancora. O forse lei che scrive non ha idea di cosa voglia dire, liberazione del corpo?] e sono i figli della generazione che combatte ogni giorno contro un crimine che i giornali chiamano femminicidio [c’è una generazione che combatte ogni giorno il femminicidio? Covacich, la prego, ce la descriva, ce ne racconti qualcosa: io mi occupo di sessismo da anni ma non la vedo, dov’è? Chi sono?]: con ciò proporrei di escludere il deficit culturale dalla nostra discussione. [Ecco, l’unica cosa importante per comprendere tutti i fenomeni di violenza di genere, com’è ormai noto da anni, è il deficit culturale. E lui, sognando generazioni di antisessisti e di evoluti uomini ed emancipate donne, la esclude. Complimenti. Direi che la confusione tra morale ed etica mi pare il minimo, qui. E s’incomincia anche a capire chi è che sogna.]

A mancare non è la cosiddetta trasmissione di valori. [Infatti: se anche fossero valori ciò di cui stiamo parlando, quelli che mancano sono proprio loro, non la trasmissione.] Forse è accaduto qualcos’altro, qualcosa che unisce gli adolescenti ignoranti e quelli istruiti, i disinformati e quelli consapevoli, i borgatari e i rampolli dei quartieri alti. [Se non avessi escluso a priori il deficit culturale, Covacich, avresti già la risposta. Invece adesso ci delizierai con una serie di stereotipi sessisti.] Innanzitutto l’esaltazione di una sessualità libera e senza pudore come primo elemento di affermazione sociale, per non dire di civiltà. [EH? Ma quale sarebbe la sessualità libera di cui parla? Quello che viene comunemente esaltato è roba alla Antonio Ricci, oppure pornografia commerciale più o meno soft – frutto del patriarcato più becero. Dove sarebbe la sessualità libera? E cosa c’entra il pudore, noto strumento di coercizione psicologica per un intero genere?] Dopo duemila anni di oscurantismo cattolico, [Come dopo? Perché, è finito?] l’occidente ha spianato le pieghe che nascondevano il piacere [MAGARA (i non romani cerchino qui questa parola). L’unica cosa che l’occidente ha spianato è la rappresentazione scientifica e maschilista della meccanica sessuale, in molte varianti. Del piacere non se ne vede traccia, è ancora un grosso tabù. Parliamo di squirting, per esempio, e vediamo se l’oscurantismo funziona ancora o no]. L’educazione sessuale ha dissolto il mistero dell’eros a favore di una concezione sempre più fisiologica e naturista. [COSA? L’educazione sessuale? Ma quale, ma dove? Ma se ancora siamo agli albori di una lotta per averla nelle scuole italiane, dove servirebbe in dosi massicce, ma di cosa stiamo parlando? Quale educazione sessuale, dove l’ha vista? E perché, se anche ci fosse, dovrebbe predicare il mistero dell’eros e non parlare di fisiologia? Oppure sta parlando di quella pornografia commerciale come di una educazione? E non sarebbe il caso di parlarne più approfonditamente, dato che esiste praticamente da sempre? Ma quante cose assume come date per scontate, Covacich, e invece sono solo suoi pregiudizi sessisti?] Le riviste e i media hanno lavorato, da un canto, sull’aspetto salutare del sesso, e dall’altro, sull’aspetto estetico-sociale: fare sesso è diventato “cool”. [E’ diventato? E quando era passato di moda, mi scusi? Non mi pare di ricordare secoli caratterizzati da una scarsa voglia di fare sesso da parte della maggioranza della società. Il problema è che con l’espressione fare sesso si denomina tranquillamente l’espressione di un rapporto di potere del genere maschile su quello femminile, altro che educazione sessuale.]

A questo bombardamento comunicativo diciamo acritico, [e diciamolo, tanto stiamo dicendo la qualunque] di una pratica sessuale al di là del bene e del male, [e dàgli a mescolare concetti morali a cose che morali non sono, si chiama moralismo Covacich, vogliamo smettere?] si è aggiunta la più grande trasformazione dei canali di conoscenza dagli albori dell’umanità, ovvero internet. [NO. Per favore, no. Non ci credo che comincia la solfa che “la colpa è di Internet”.] La rete ha conclamato una società del godimento immediato. [Eh già, che prima della rete quella società non era conclamata abbastanza. Chissà cosa si diceva degli anni ’60 in USA, oppure dei nostri anni ’80.] Qualsiasi cosa io voglia, la compro subito e domani il fattorino suonerà alla mia porta. Non c’è attesa, abbiamo saturato la casella vuota che permette al desiderio di circolare. [Oddìo no, l’elogio della lentezza vent’anni dopo Kundera – che già lo riprendeva da Vivant Denon, 1777 – ma basta con questi luoghi comuni! Il desiderio è anch’esso un costrutto culturale che andrebbe analizzato seriamente, ma ops! Il deficit culturale non c’entra niente, l’abbiamo escluso all’inizio. Che colpo di genio.] Questo vale per l’ultimo gioco della playstation come per un sito di incontri. Cerco uno o una che abbia voglia di farlo ora, possibilmente nel mio quartiere, e mi placo. [Quella si chiama “vòja de scopà” Covacich, e c’era da prima di Internet, te lo posso testimoniare. Quello che non c’era e non c’è ancora è la famosa educazione sessuale.] Il desiderio declassato, secolarizzato a piacere d’organo. [Lo si è sempre fatto Covacich, è una pratica normalizzante istituita da poteri politici per sedare eventuali forze rivoluzionarie. Ha mai riflettuto sul fatto che anche la masturbazione è un tabù? E mai potrà farlo, se il deficit culturale secondo lei non c’azzecca niente con la violenza di genere.]

C’è poi, non ultima, la particolare angoscia di essere un adolescente oggi, quando ti basta un click per vedere tutte le posizioni del kamasutra realizzate da copulatori veri, un click per sapere tutto in teoria, ancora prima di aver dato il primo bacio. [Sapere? Quello al massimo è vedere, e comunque: allora il deficit culturale adesso centra? O non lo è, questo?] Un mondo che ti spinge a buttarti subito, adesso, nella mischia, senza che tu abbia avuto neanche il tempo di capire se ne hai voglia, senza concederti quel lento, prezioso, maldestro apprendistato di cui anche noi, disinibiti e disinibite quarantenni, abbiamo beneficiato. [E’ sempre stato così, Covacich, i mezzi tecnologici non c’entrano. E poi non tutti hanno beneficiato del lento apprendistato anche se non c’era Internet, e nemmeno tutti sono disinibiti e disinibite quarantenni adesso che c’è. Ma non sarà scorretto fare del caso personale la regola generale? Ma davvero lei si sente tanto rappresentativo di una generazione, Covacich? Pensa proprio di essere una persona tanto qualunque?] Ora la velocità detta legge, si passa in un attimo da una stagione di piselli e patatine a una dove ci si ammucchia in tutti i modi possibili. [Di nuovo, Covacich: dove ci si ammucchia, anche minorenni, c’è sempre stato. Non è questo a essere diverso, a essere cambiato con il tempo.] Feste dove, invece di affrontare esitanti il gioco della bottiglia, [ancora questa visione nostalgica? Riporto pari pari un commento su Facebook, di Luce Lu: “ricorda con rammarico i tempi il gioco della bottiglia per scambiarsi un bacio! Che ne sa lui degli uomini di ogni età che ai tempi del gioco della bottiglia ti palpavano sull’autobus, si tiravano fuori il pisello dai pantaloni in mezzo alla strada, ti sussurravano ogni tipo di sconcezze e ti facevano sentire pure in colpa a te, povera ragazzina che portavi ancora i calzini?” La nostalgia dei bei tempi in cui il sesso era bello è anch’essa sessismo, Covacich, perché quei bei tempi sono uno stereotipo sessista.] ci si scambia buchi e protuberanze in figurazioni che ricordano Bosch e il marchese de Sade [Bosch, autore di una delle opere più complesse della storia dell’arte, passato per pornografo; come De Sade, un altro esempio scelto malissimo – rileggersi, prego, “L’oltre erotico” di Octavio Paz. Anche con le citazioni andiamo male Covacich, vogliamo riparlare di questo deficit culturale o no?]. Va detto che la condivisione coatta di questo immaginario [quello di Bosch e di De Sade?] comporta, nella sua vulgata mainstream, il solito squallido assoggettamento del corpo femminile. [E mica solo lì, la vulgata mainstream è cominciata da quando esiste l’Occidente. E’ incredibile come Covacich riesca a scrivere questa frase senza accorgersi di cosa vuol dire. Eppure la parola coatta la usa lui.] Ma bisogna anche aggiungere che i ragazzi e le ragazze sono complici inconsapevoli [i complici inconsapevoli sono come la lucida follia che si cita nei casi di femminicidio: un ossimoro che fa tanto colpo e permette di nascondere l’assenza di analisi e l’ignoranza sull’argomento] di questo assoggettamento (come dimostra l’indifferenza unisex dei presenti alla fatidica festa modenese). [Il solito scambio della causa con l’effetto: è l’indifferenza unisex dovuta (anche) a una spaventosa mancanza di educazione sessuale a portare a certi comportamenti, indifferenza già esistente nell’ambiente culturale nel quale si è cresciuti – ma Covacich ha deciso di escludere il deficit culturale, e allora…]

Una volta disgiunto il sesso dal desiderio – e dalla seduzione – [una cosa successa solo dal 1989 in avanti, da quando esiste il web, no?] la palestra pornografica impone i suoi kata maschilisti, a cui tutti questi nuovi amanti muscolari, senza distinzioni di genere, si applicano diligentemente [sì, ok, hai visto “Eyes Wide Shut”. Ma prima, invece? Negli anni ’50 per esempio, era tutto un fiorire di desiderio e seduzione uniti a un sesso felice, come no, è per questo che sono ricordati come gli anni dell’orgasmo libero, della felicità sessuale di uomini e donne, ah, che bei tempi!]. Ripeto, basta un click e vedi quattro cinque uomini che spargono il proprio seme sul corpo di una donna fiera e sorridente. Un click e vedi ragazzine che si sfidano in una gara di fellatio a una festa di compleanno, secondo un uso drammaticamente frainteso del concetto di emancipazione. [No, non è drammaticamente frainteso, perché se dici così dai la colpa alle ragazzine. Invece continuo a pensare che la colpa sia di chi ha il potere nei rapporti di genere, e non mi pare siano le ragazzine.] Ragazzine indotte a credere [aspetta, come dici? Indotte a credere, sembrerebbe un problema culturale, ma no, lo abbiamo escluso no?] che – ora che non è più peccato, ora che siamo tutti uguali [ma chi?] – devono affannarsi ad aggiungere sempre nuove tacche sulla pistola. Ovviamente “parità di diritti” significa un’altra cosa, ma è come se anche questa espressione fosse stata superata da un salto di livello. [Superata o non capita? Superata o malamente divulgata? Superata o mai correttamente insegnata? Ah, già, dimentico sempre che non è un problema culturale, per Covacich.]

Per fortuna questa volta una ragazza ha capito di essere stata stuprata. Ma molte altre al posto suo penseranno che funziona così. Quasi nessuno sa sottrarsi al ritmo scandito dall’epoca. Violenze e abusi, esattamente come la solidarietà mancata o la condanna degli amici stupratori, appartengono a un mondo dove valeva ancora il giudizio morale. [NO, apprtengono al mondo in cui le cose si chiamano con il loro nome e si insegna a distinguerle: sessismo, maschilismo, violenza, stupro, questioni di genere. La morale non c’entra niente, casomai c’entra l’etica. Sarebbe ora che soprattutto chi si laurea in filosofia e scrive libri se ne ricordasse.] Qui siamo entrati nella dimensione oltreumana annunciata da Nietzsche: la trasvalutazione di tutti i valori, [e poteva mancare una citazione a vanvera del povero Federico? Eppure basta Wikipedia per capire che quella trasvalutazione la stiamo ancora aspettando, e i cattomoralismi trionfano ancora] a dispetto del giusto e dell’ingiusto (e delle solite trincee di maschi contro femmine). Sembrava un sogno, invece è un incubo.

Per quel che mi riguarda, l’incubo sono gli intellettuali completamente ignoranti riguardo questioni di genere che si lasciano andare a sproloqui nostalgici senza alcun senso,  pronti e prodotti a sopire le coscienze. Non a caso Covacich vende migliaia di copie.

Deconstructing lo yin e lo yang

YIN E YANG LOGO webLa notizia non è molto recente, ma l’ho trovata solo adesso seguendo altri link che stavo leggendo. Ed è stata una sorpresa davvero piacevole constatare di come ormai si provi in tutti i modi a giustificare il proprio sessismo: stavolta si tirano in ballo le filosofie orientali.

Dunque, andiamo per ordine: questa notizia racconta di come una squadra di basket femminile che conquista il diritto a disputare il campionato di A3 si vede costretta, diciamo così, a fare del proprio corpo un veicolo di marketing per la squadra stessa, seguendo il diktat del suo presidente, Alberto Fustinoni.

Alla fine le ragazze del Lussana Basket di Bergamo hanno abbassato il capo. Se vogliono giocare il campionato di Serie A3, conquistato sul campo nella scorsa stagione, dovranno accettare di indossare le nuove divise ideate dal loro presidente, Alberto Fustinoni: canotta stretta, gonnellino e leggins per dare più femminilità a uno sport da “maschiacci” [calmi, questo è solo l’inizio. Si poteva dire con altre parole, ma in effetti questa è una parafrasi di parole di Fustinoni]. Tuttavia il nuovo abbigliamento non è piaciuto [e te credo] e la scorsa settimana le giocatrici avevano protestato contro la nuova tenuta minacciando di scioperare. Di fronte alla minaccia di ritirare la squadra dalla competizione però si sono adeguate: “Ci siamo guadagnate la promozione in A3 e vogliamo giocare”, dice Valentina Pizzi, 20 anni, una delle ‘dissidenti’ [questa ragazza non si fa manipolare ma il potere – cioè il diritto di giocare il campionato per il quale la ragazza ha sudato un anno intero – ce lo ha il maschione presidente. Quindi a lei rimane il ‘dissidente’ tra virgolette e viene sfruttata, fine].

La scorsa settimana Fustinoni ha presentato al team le divise realizzate con una nota ditta di abbigliamento sportivo di Crespellano, in provincia di Bologna. Ci ha lavorato per mesi con l’intenzione di “rivoluzionare” l’immagine della pallacanestro femminile [hai capito che ideali, Fustinoni, c’avevamo il De Coubertin antisessista e non lo sapevamo], sport che ha solo settemila iscritte nelle squadre giovanili e attrae pochi sponsor e poco pubblico [deduzione: perché fa vedere pochi culi e poche tette. Meno male che c’è Fustinoni]. Per lui è “un modo nuovo di approcciarsi al nostro sport che fino ad oggi era stato preso in prestito dal basket maschile [EH?] senza apportare alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità [la femminilità del basket, il nuovo campo del sapere del quale Fustinoni si fa pioniere]”, scrive sul sito del Lussana Basket. A ilfattoquotidiano.it precisa: “Credo che la femminilità sia una ventata di aria fresca che allieta e che deve essere difesa [SCUSI CHE COS’E’ LA FEMMINILITA’? Ma ha provato a chiederlo a una donna? Potrebbe sorprenderla, sa? O addirittura a una suo giocatrice? Glielo assicuro Fustinoni, parlano anche le donne eh, e di femminilità ne sanno ]. Ho seguito questo obiettivo conservando la decenza [mi raccomando, la decenza, mica come quelle scostumate del beach volley, per dire, brutte zozzone] e mi sento frainteso quando sento usare la parola ‘sexy’, perché le ragazze sono molto coperte [non ci pensavo proprio, Fustinoni: sessista va bene? Sì, va bene]. La volgarità non ci appartiene [giustamente, tu sì che ne sai, mica è volgare che le giocatrici tesserate con la tua società debbano accettare le tue scelte di marketing fatte sui loro corpi, no no, quello è eleganza, classe, stile]”.

Questione di marketing, più che di appeal [ma no]. Infatti dietro ci sono altre ragioni che riguardano alcuni problemi di questo sport: “E’ difficile reclutare nuove giocatrici perché le madri considerano il basket uno sport da maschiacci [ammettendo che fosse vero, se le madri sono imbecilli – sessiste pure loro, piene di pregiudizi – allora ci si adegua al loro cervello bacato?]. Se a Bergamo il campionato under 13 maschile ha quattro gironi, quello femminile ne ha uno che copre mezza Lombardia [questo secondo te è l’effetto dei pregiudizi sessisti o della mancanza di alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità? Scusa, hai già risposto]”, afferma. Poi c’è anche la difficoltà nell’attirare tifosi e sponsor: “I palazzetti sono sempre vuoti [e quindi che facciamo? Facciamo vedere un po’ di sana carnazza, sai come arrivano! Che genio]”. Quindi a giugno, prima della pausa estiva, Fustinoni ha posto una condizione alle giocatrici [a casa mia si chiama in un altro modo]: “Ho detto loro che se volevano partecipare alla stagione successiva dovevano accettare l’incognita delle divise diverse, sennò c’era tempo di trovare una nuova squadra. Avevo garantito che non sarebbe stata messa in dubbio la dignità [la dignità di sportive è senz’altro in dubbio, anzi è del tutto calpestata, visto che non potevano sindacare la tua decisione né partecipare in qualche modo alla tua bella idea], avevo incassato i loro consensi e mi sono sentito autorizzato a continuare [quando pongo una condizione da una posizione di potere, io non mi sento autorizzato a continuare, io sto facendo quello che mi pare e basta]”.

Le ragazze però avrebbero voluto dire la loro sulla concezione della nuova tenuta [ma guarda tu queste, aho]: “Gli abbiamo chiesto di vedere il modello, ma lui voleva che fosse una sorpresa [che tenero!]”, dice Valentina Pizzi, tra le ultime ad adeguarsi. La scorsa settimana dopo aver visto le divise le ragazze hanno protestato e minacciato lo sciopero: “Mercoledì ci siamo tutte rifiutate di giocare così e lui ha detto che avrebbe ritirato l’iscrizione al campionato [vedete con quale garbo Fustinoni si senta autorizzato a continuare]. Molte hanno cambiato idea perché vogliamo giocare in A3 dopo essere state promosse [e vedi un po’]”. Alla fine sono rimaste tre ‘disobbedienti’ che sarebbero state messe fuori dalla rosa se avessero saltato l’allenamento di venerdì [mettere tesserat* fuori rosa è l’atteggiamento tipico di chi si sente autorizzato a continuare]: “Ci siamo presentate tutte tranne una, che poi si è adeguata”, continua Pizzi. Per questa stagione, che comincerà il 12 ottobre, le cestiste dovranno giocare con i leggins scomodi e caldi e una gonna che “è inutile, ma è stata promessa allo sponsor tecnico”, dichiara. Alle ragazze non resta che la speranza di avere un po’ più di attenzione: “Avere pubblico solo per le divise? – conclude la ventenne – Sarebbe stato meglio averlo per i meriti sportivi”.

Già tutto questo fa abbastanza innervosire, ma Fustinoni pensa bene di scrivere sul sito della squadra una giustificazione filosofica per la sua decisione, smaccatamente di puro marketing sessista. E attenzione perché arriviamo a qualcosa di fantastico, di meraviglioso, di assolutamente imperdibile.

YIN E YANG E LE NUOVE DIVISE DEL LUSSANA FEMMINILE [sì, avete letto bene]

Perché vi voglio parlare del più importante concetto del Taoismo cinese come lo yin e lo yang? Cosa c’entra con le nostre nuove divise? [dai Fustinoni, facce impazzì]

Il fatto è che le nostre nuove divise non sono solamente “diverse” dalle precedenti, ma rappresentano una vera novità nel concepire il lato esteriore del basket femminile [il lato esteriore, non ‘estetico’, attenzione, è proprio quello di fuori]. Un modo nuovo di approcciarsi al nostro sport che fino ad oggi era stato preso in prestito dal basket maschile senza apportare alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità [tu pensi a una regola nuova, a un nuovo movimento tattico, a una diversa divisione dei tempi di gioco. Che sciocco]. Insomma, una brutta copia del basket maschile [ma perché brutta copia? Non mi risulta che chi segue la WNBA si lamenti di niente del genere] con conseguente scarso appeal di pubblico che si traduce in pochissimi tifosi e praticanti [quindi invece il grande successo di pubblico del basket maschile è dovuto agli splendidi corpi, alti, grossi, veloci e agili e potenti, dei maschioni che competono? Se con gli stessi corpi giocassero a domino si sarebbe lo stesso pubblico? Fustinoni, che vai dicendo? Vabbè, non anticipiamo].

Il concetto yin e yang viene utilizzato per spiegare tantissime cose del mondo che ci circonda, ma in particolare si concentra sull’energia . Su questo argomento sono stati scritti libri interi e si potrebbe parlare per ore e ore.  [Forse perché è un pochino più complesso di si concentra sull’energia. Forse.]Io voglio limitarmi ad esporvi in poche parole i concetti più importanti per poter giungere velocemente al punto, ossia, aiutarvi a capire il lato positivo di questo nuovo modo di concepire il look del basket femminile mostrandovene i vantaggi più reconditi, e aiutarvi a superare questo grosso ostacolo legato al cambiamento guardando al futuro con energia, fiducia e gioia. [Ricapitoliamo: lui ci spiega yin&yang -> capiamo il bello di cambiare la divisa delle giocatrici di basket -> superiamo IL NOSTRO pregiudizio -> la vita è bella. Voglio provare anche io quello che si cala quest’uomo.]

Tutto ciò che ci circonda é caratterizzato da un dualismo. Per ogni cosa esiste il suo contrario. Se esiste l’alto esiste il basso, per il buon c’è il cattivo, per il bianco c’è il nero per il maschio la femmina per il fuoco l’acqua e così via con infinite coppie di opposti. [Buoni, calmi, è solo l’inizio.]

E grazie a queste forze opposte si genera la cosa più importante dell’universo: L’EQUILIBRIO. [Che cacchio lo danno a fare il Nobel a Higgs? Cinque frasi e abbiamo capito l’universo.]

Il logo qui sopra riportato esprime molto bene il concetto del dualismo. Ma se lo guardate con attenzione noterete che in esso sono contenuti altri due importanti concetti. [Arriva il difficile, attenzione.]

Il primo di questi viene espresso dal puntino nero che sta nel mezzo al bianco e dal puntino bianco che sta in mezzo al nero. Ciò ci dice che niente è mai completamente yang e niente è mai completamente yin. In ogni realtà c’è sempre un pizzico del suo opposto. Niente è mai completamente buono e niente é mai completamente cattivo….e questo vale anche per le nostre divise… [e forse anche per i puntini di sospensione… ma non vorrei portarvi troppo lontano… siamo appena passati dall’universo alle divise della squadra…]

Il secondo concetto espresso da questo logo è la dinamicità dell’equilibrio. Le due aree danno chiaramente l’idea di movimento. Ciò che oggi è bianco domani è nero e alla notte segue sempre il giorno e il regolare alternarsi di queste due opposte energie crea l’equilibrio. [E’ ufficiale, Higgs, Rubbia e Einstein erano proprio delle gran pippe.]

Ed è questo uno dei più importanti concetti taoisti. Il radicarsi su posizioni fisse, avere dei convincimenti inamovibili, restare attaccati alle solite abitudini e comodità non è una cosa buona. [PIGRONI PIENI DI PREGIUDIZI che non siete altro!] Non è una cosa che porta ad un equilibrio duraturo. Si potrà avere un equilibrio momentaneo, statico, ma con il passare del tempo si avranno i normali mutamenti energetici e chi resterà attaccato ad un convincimento inamovibile (come per le vecchie divise) resterà disorientato. [Capito? E’ la legge dell’universo! Tu pensavi di essere antisessista e di non farti sfruttare da un marketing legato a culi cosce e tette? NO, stai contrastando il moto equilibrante dell’universo. Non restare attaccat* ad un convincimento inamovibile, oppure resti fuori rosa e ti opponi all’energia dell’universo.]

L’unica cosa fissa e immutabile deve essere l’obiettivo da raggiungere: l’equilibrio. Il come raggiungerlo varierà di volta in volta. [Ma mica lo decidi tu, il come raggiungerlo: lo decide il tuo presidente Fustinoni. Chiaro? Se no non giochi.]

Per noi occidentali uno dei simboli utilizzati per esprimere la forza è l’albero della quercia. Questa immagine viene utilizzata anche in oriente ed è associata all’immagine dello yang ossia del maschio. Tuttavia la cultura cinese ha sviluppato anche l’esatto opposto: la canna di bambù, la donna. La canna si piega al vento e alle intemperie, ma passata la tempesta torna nuovamente dritta. La canna di bambù anche durante i peggiori uragani non perde di vista l’obiettivo e non appena possibile tornerà al suo equilibrio. Non è fantastico? Cosa preferiste essere? Una quercia secolare forte, fortissima o una canna di bambù? Ognuno darà la sua risposta, certo é che seppur forte una quercia non può resistere alla furia di un uragano…la canna di bambù si! [CAPITO DONNE? VI DOVETE PIEGARE, così dicono i cinesi. Poi – un giorno, domani, la prossima stagione, altrove – tornerete al vostro equilibrio, ma ADESSO VI DOVETE PIEGARE.]

Sono cresciuto sin da ragazzo con il motto insegnatomi dal Prof. Fiumara [antico maestro del pensiero che pochi fortunati hanno conosciuto] che diceva sempre :” Io sono duro… mi spezzo MA NON MI PIEGO” e ancora oggi ne apprezzo la validità [perché sono fatto così: mi faccio stare bene tutto e il contrario di tutto, se mi serve]. Tuttavia ho capito che è assolutamente nobile anche l’esatto opposto:” io mi piego… MA NON MI SPEZZO” [Fustinoni è veramente pieno di risorse, ma come farà?]. Perché sono belle e vere entrambe queste frasi sebbene opposte? Perché la prima è yang e la seconda Yin: due facce di una stessa medaglia. [Quindi va bene tutto: il sessismo e l’antisessismo, la merda e la cioccolata, l’importante è l’equilibrio. Come su due staffe, insomma.]

Continuando nei ragionamenti legati a questo concetto si evince che tutto è fatto da coppie. Quindi se c’è un corpo c’è anche uno spirito e se il corpo é fuori lo spirito é dentro. [V’ha fregato, eh? Io ve l’avevo detto che è bravo. Lo spirito esiste ed è dentro, perché ci sono le coppie: se c’è il corpo fuori, c’è lo spirito dentro. ‘Sti cristiani lì a farsi mille problemi, che ci voleva?]

Il maschio esternamente é forte, muscoloso, duro ma internamente é fragile, delicato e debole. La donna esternamente è fragile, delicata e debole, ma internamente è forte, solida e determinata. [FANTASTICO.] E la durezza esteriore del maschio viene presa e vinta dalla morbidezza della donna proprio come l’acqua spegne il fuoco. [INSUPERABILE. MERAVIGLIOSO. Un vero manuale di pregiudizi sessisti, compendia un mucchio di libri – Fustinoni aveva ragione che ce lo spiegava in poche parole!]

E veniamo a noi: voi siete donne e siete delle atlete. Il fatto di essere in palestra a correre e sudare con tenacia e determinazione mostra il vostro carattere interno, che come detto è forte, solido, determinato. Ma perché tenere nascosto il vostro carattere femminile con indumenti larghi e privi di grazia. Temete che il vostro carattere, carisma e determinazione possa andare perso? Temete di dare un’immagine diversa di quello che siete? Temete di venire confuse con delle smorfiose che pensano solo a trucco e unghie ? Non é rinunciando alla vostra femminilità esterna che potrete convincere gli altri circa il vostro vero spirito. Così facendo non troverete mai il vostro vero equilibrio. [Capito donne? Ve lo dice un uomo che cosa siete, ve lo dice Fustinoni, l’uomo occidentale che fa filosofia orientale. Un’altra coppia. Tutto quadra, è STUPENDO.]

Se avete capito la teoria dello yin e yang, allora capirete che l’energia che si libera da un perfetto equilibrio tra interno ed esterno è infinitamente più grande e di ciò non ne gioverete solo voi ma tutti coloro che vi circondano. L’energia si diffonde senza limiti e pervade le persone. [Non ditemi che non la sentite che m’offendo. In effetti la sento anche io, ma più che energia mi pare la rabbia di quando vengo preso in giro , non mi vorrei sbagliare.] Non sto dicendo niente di strano. Chi potrebbe negare che stare in un ambiente positivo con persone allegre e serene faccia bene alla salute e un ambiente di pessimisti possa portare anche ad ammalarsi? [E chi potrebbe mai? Prima dico baggianate, poi me le faccio garantire da un’evidenza che non c’entra niente.] L’energia entra nei nostri cervelli sotto infinite forme: colori , musica, immagini, onde elettromagnetiche e tante altre ancora [EH? COSA? Allora m’infilo la USB tra le chiappe e mi ci ricarico il cellulare, Fustinoni?]. La “grazia” e la “bellezza” sono forme di energia e chi più delle donne ne è pieno? [Sono iniziati con questo assunto i più tragici atti e commenti sessisti della storia.]Trovando il vostro equilibrio tra lo yang interno e lo yin esterno non solo troverete infinito benessere per voi ma ne procurerete a chi vi sta vicino. [Ci leggo un invito alle donne a stare seminude sempre e ovunque, ma io sono così, cattivo e perverso.]

Le nostre nuove divise si propongono di raggiungere questo obiettivo. Permettere a voi di mostrare il vostro carattere interno yang durante il gioco e contestualmente il vostro carattere esterno yin attraverso la grazia e l’ armonia del vostro corpo. [E io, brutto antisessista, che pensavo servissero solo a far vedere chiappe e tette.]

Rinunciare a questa infinita energia, sarebbe un grosso sbaglio.

Alberto

[Massima solidarietà alle giocatrici del Lussana che devono tenersi questo tipo di “energia”. Maschilista.]

Sì vuol dire sì

220px-Margaret_Cho2Grazie a Margaret Cho, a “Yes means yes” e a Drew Falconeer per la sua traduzione.

Mi sorprendo sempre quando penso a quanto sesso ho fatto in vita mia che avrei preferito non fare. Non lo considero propriamente stupro, e nemmeno “date rape”, quanto semmai una specie di stupro dello spirito – una rappresentazione disonesta del mio desiderio per compiacere un’altra persona.

Ho detto di si’ perche’ sentivo troppo complicato dire di no. Ho detto di si’ perche’ non volevo dover difendere il mio “no”, qualificarlo, giustificarlo – meritarlo. Ho detto di si’ perche’ pensavo di essere cosi’ brutta e grassa che dovevo fare sesso ogni volta che me ne offrivano la possibilita’, perche’ chissa’ quando me l’avrebbero offerta di nuovo. Ho detto di si’ a partner che non avevo mai desiderato, perche’ dire di no dopo aver detto di si’ dopo cosi’ tanto tempo avrebbe reso la nostra intera relazione una bugia, cosi’ ho dovuto continuare a dire “si’” per poter conservare il mio “no” come un segreto. E’ un modo veramente incasinato di vivere, e un modo orrendo di amare.

Cosi’ oggi dico di si’ solo quando voglio dire si’. Questo richiede vigilanza da parte mia, per essere sicura che non mi scatti il pilota automatico e le persone facciano quello che vogliono, e mi costringe a essere veramente onesta con me stessa e gli/le altr*. Mi fa ricordare che amare me stessa significa anche proteggermi e difendere i miei confini. Dico di si’ a me stessa.

Margaret Cho, “Sì vuol dire sì”

9781580052573“I am surprised by how much sex I have had in my life that I didn’t want to have. Not exactly what’s considered “real” rape, or “date” rape, although it is a kind of rape of the spirit – a dishonest portrayal or distortion of my own desire in order to appease another person.
I said yes because I felt it was too much trouble to say no. I said yes because I didn’t want to have to defend my “no,” qualify it, justify it – deserve it. I said yes because I thought I was so ugly and fat that I should just take sex every time it was offered, because who knew when it would be offered again. I said yes to partners I never wanted in the first place, because to say no at any point after saying yes for so long would make our entire relationship a lie, so I had to keep saying yes in order to keep the “no” I felt a secret. That is such a messed-up way to live, such an awful way to love.

So these days, I say yes only when I mean yes. It does require some vigilance on my part to make sure I don’t just go on sexual automatic pilot and let people do whatever. It forces me to be really honest with myself and others. It makes me remember that loving myself is also about protecting myself and defending my own borders. I say yes to me.”

Margaret Cho, “Yes means yes”

Deconstructing “la tua opinione”

Copia di emmanuel-mouret-beato-tra-le-donne-nella-commedia-fammi-divertire-147593 I fatti li conoscete senz’altro: Beppe Grillo se ne esce con l’ennesima frase sessista. Siccome in giro c’è ancora molta ignoranza su cosa sia il sessismo, perché a scuola non si fa nessun tipo di educazione alle questioni di genere, perché i media generalisti se ne fregano di contrastare il patriarcato vigente, perché sul sessismo pensano tutti di avere un’opinione autorevole solo in quanto hanno un sesso, e infine perché anche la pagina di wikipedia, ammettiamolo, richiede di voler capire quello che c’è scritto. Vediamo allora di concentrare il nostro deconstructing non su un intero discorso, ma su una sola frase, cari amici sessisti: “in forma ridotta, per venire incontro alle vostre capacità mentali” (cit.)

Leggi tutto “Deconstructing “la tua opinione””