Già una volta ebbi a dire qualcosa (però, come parlo bene) sulla figura del direttore responsabile, e proprio riguardo quello di cui parliamo oggi. E’ un’occasione più unica che rara, perché i direttori responsabili di solito non parlano molto, ma manco scrivono. Quando di tanto in tanto lo fanno, noi siamo pronti a raccoglierne il messaggio e a codificarlo per voi, povere menti che non capite, che non sapete, che non volete – ah, la vita del direttore responsabile.
Antefatto: le parole che riportiamo sono solo quelle che Peter Gomez ha aggiunto in questo post, dove uno dei blogger de “Il Fatto” s’è accorto, diciamo così, che non tutti i blogger della testata mantengono il suo stesso standard di serietà redazionale; e che quindi il suo lavoro viene messo alla stregua di quello del ‘copincollàro’ più banale. Diciamo che non l’ha presa benissimo, e in virtù di ciò, con molta educazione, dice che gli può bastare, grazie. Il nostro direttore responsabile, ovviamente, sente come suo dovere spiegare al(l’ex-)collaboratore e ai lettori il disdicevole equivoco con le parole che solo un direttore responsabile può avere in questi casi.
Caro Dario,
ho sempre pensato che in qualsiasi campo chi ha buoni argomenti (e tu ne hai) ha il dovere di farli valere [quindi anche se copincolla qua e là, caro Dario, se ha buoni argomenti vale anche quello]. Ilfattoquotdiano.it [avete capito bene, Gomez ha messo il link allo stesso sito nel quale sta scrivendo – un vero maestro, non c’è che dire, per raccogliere click] non è una rivista scientifica [ti dirò, Gomez, il sospetto lo avevamo avuto] e sopratutto lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dove chiunque scrive si sottopone al giudizio dei lettori [traduco: non c’è alcun criterio redazionale, vale tutto, è ‘na camboggia, basta che cliccano e leggono]: sia esso uno scienziato, un filosofo, un politico o un leader religioso [notate l’anticlimax: uno che parla per fatti dimostrati, uno che teorizza su fatti diciamo discutibili, uno che notoriamente è ipocrita di mestiere, poi il ciarlatano acclarato]. Lo spazio dei blog non fa sentire tutte le campane, permette solo alle campane di suonare [appunto: non si tratta di dare spazio a cose sensate, ma di preparare un teatrino dove tutti possono dire la loro – quindi vince chi strilla di più] (se la loro musica non è diffamatoria o violenta [a insindacabile giudizio de Il Fatto: i negazionisti del femminicidio non sono quindi giudicati né diffamatori né violenti]).
un abbraccio [e du’ click]
Peter Gomez
Una risposta a “Deconstructing il direttore”
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