Deconstructing Veronesi – l’estetica spiegata con la biologia (Micromega #7)

piccola_veronesi Lo ammettiamo: tutta questa lunghissima esegesi (o pippa) sul numero di Micromega l’abbiamo fatta solo per parlare del pezzo di Veronesi, intitolato “Il corpo delle donne dalla mortificazione all’emancipazione”. Che meritava di essere inserito nel suo degno contesto, per essere veramente apprezzato come merita.

Intanto la scelta dell’autore. Dopo tutto il porno e la prostituzione di cui non avevamo bisogno, arriva questo articolo, centrale, anche nella posizione, con una sezione tutta per sé intitolata “Memoria”, insomma è il più importante, quello che ci dà la “cifra” di Micromega sul tema del corpo della donna. E lo affidano a Veronesi, beh, sì certo. Ci sembra logico.

Ma d’altronde se ci ritroviamo un patriarcato ancora in piedi dopo 4.000 anni non è mica perché uno ha sbagliato una virgola, piuttosto perché oggi la politica ha estromesso tutte le istanze sociali ed economiche importanti dal discorso pubblico (Salvini a Roma e Renzi posta la vittoria dell’Italia sulla Scozia ma è tutto a posto) e una rivista come Micromega non ha più senso di esistere, quindi per vendere e fare rumore si affida al nome di grido con dietro il vuoto (su tutti Nappi e Siffredi) oppure alla pura conservazione, alla restaurazione dell’ancient regime.

Il gioco è fatto, dalla fine dell’impero all’inizio della monarchia, il nuovo senso di micromega

è quello di dare una veste “onorevole” a vecchi e ammuffiti retaggi che con tutto il resto erano stati cacciati giustamente nelle fogne dal femminismo.

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L’introduzione:“ha dedicato tutta la vita a curare il tumore femminile per eccellenza, quello al seno” [Sara: sono paranoica, lo ammetto. A me scatta già un campanello di allarme, c’è un tunnel davanti a me con un bel titolo gotico: “Il tumore femminile per eccellenza” ho i brividi, mi sento condotta verso il buio] “un corpo che è strumento di seduzione e il cui uso disinvolto non è in contraddizione con l’emancipazione delle donne” [perché chi l’ha detto, chi lo sostiene? Mhm, non sarà mica l’ennesima bordata alle femministe, quelle che hanno rinunciato al corpo… bla bla bla?] “il più grande oncologo italiano spiega perchè è convinto che il mondo  va verso un potere tutto al femminile [interessante] e perchè il proibizionismo, su tutti i fronti – prostituzione compresa – non funziona [ah ma allora è un ritornello che non si può smettere di cantare. Sembra che le uniche due attività libere che sono concesse alle donne dopo anni di lotte siano la prostituta e la pornostar, dovevano spiegarglielo prima!] non funziona [prima frase buttata là: il proibizionismo con la prostituzione non funziona, dove andrà a parare? Visto che abbiamo letto Nappi a monte, un dubbio che si vada in quella direzione ci viene.]

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Nella prima parte del breve articolo il professore racconta della sua scelta di medico, di come abbia aperto la strada alla via conservativa del seno colpito dal tumore a differenza della tendenza dominante allora. Il rispetto per le donne è nato dalla figura materna, guida assoluta dopo la morte del padre. Qui la prima pietra teorica della sua convinzione: “il corpo femminile è simbolo della procreazione, della continuazione della specie, in altre parole è il simbolo dell’umanità e lo scempio di questo simbolo era per me inaccettabile” [quindi il corpo della donna è un corpo simbolico simbolo dell’umanità e questo come c’entrerebbe con l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne? A noi sembra tutto un piedistallo e un destino costruito dalla parte maschile dell’umanità].

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Nel paragrafo successivo il professore ci illustra la concezione del corpo della donna contro cui ha dovuto combattere mettendo a punto la sua tecnica conservativa. Gli allarmi sorti in noi quando ha inizialmente parlato della biologia come destino della donna si placano al suono di queste parole (nel brano sono scambiati vecchio e nuovo testamento): “Nel Nuovo Testamento la donna è quasi assente perchè considerata un essere secondario, a metà strada fra l’uomo e l’animale, senz’anima, era un gigantesco utero, un semplice strumento per la riproduzione”[Sara, lo ammetto, ho sospirato di sollievo], [addirittura, come professore da par suo egli ci indica le motivazioni di storiche di tale secondarietà della donna nell’antichità]: “L’ossessione del popolo ebraico era, infatti la propria possibile estinzione, visto che si trattava di un piccolo gruppo sempre esposto a guerre, carestie eccetera, per cui procreare era un dovere divino. Procreare ad ogni costo, anche con l’incesto se necessario” [Beh, finalmente un uomo colto che come uomo di scienza, usa la sua autorevolezza e la sua sapienza per spiegare che il presunto destino procreativo della donna è un concetto inventato per le esigenze di un popolo vissuto migliaia di anni fa che oggi non ha nessun fondamento e che viene strumentalizzato contro le spinte emancipazioniste e di miglioramento della condizione femminile infatti ecco che aggiunge]: “ Di tutta questa cultura della donna ridotta a strumento di procreazione è rimasto ancora oggi qualche residuo, per esempio il femminicidio, che è un sintomo del disagio maschile davanti all’emancipazione del genere femminile. Ormai però la strada è segnata.”

Ma perchè il professore è così ottimista? perchè lui ha vissuto con le donne, conosce la psicologia femminile “come forse nessuno al mondo” [ma non fa l’oncologo? Mah] e sa che sono migliori degli uomini in molte mansioni e a parte  singole eccezioni “amano la pace, non uccidono” [Sara: possiamo tradurlo con “sono depositarie di un istinto conservativo?” Lorenzo: io tradurrei con un mitico “sono buone di natura”] per cui gli uomini si devono rassegnare perché semplicemente “Siamo metà uomini e metà donne e al potere ci devono essere metà uomini e metà donne” [Ah, ecco]. Ma è un’altalena di emozioni però, che fatica fino a quando poche righe subito sotto arriva la mazzata che fa perdere tutta la logica dell’articolo e svela senza troppi giri di parole il senso del pensiero schizofrenico di Veronesi:] “Certo, questo percorso di emancipazione porta con sé anche delle contraddizioni, perché la donna si ritrova a dover conciliare la sua funzione principale, che è quella di procreare e allevare figli, con il desiderio/diritto di lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività” [Sara: personalmente ho dovuto rileggere il pezzo più volte perché pensavo di aver letto male. Questa “contraddizione delle donne” non è nulla rispetto a quella che il professore ha espresso con tranquillità in questo articolo. Lorenzo: e pensando di dire loro qualcosa di straordinariamente intelligente: ricordiamoci che lui conosce la psicologia femminile come forse nessuno al mondo]. E questi vostri desideri/diritti, badate bene donne, secondari rispetto alla vostra funzione principale che è procreare e allevare i figli, “crea dei problemi sociali non indifferenti: le donne si sposano sempre più tardi, [e non è perché le donne sono sole davanti ai loro impegni a casa e in famiglia no, è perché hanno questi desideri/diritti che creano un sacco di problemi], si diffonde l’infertilità femminile [questo esattamente che connessione ha con “lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività? Ad essere buoni va almeno spiegata, così pare una specie di virus], aumenta il ricorso alla procreazione assistita [Sara: ma non sarà  anche perché prima non si poteva fare? Lorenzo: e poi, anche nella procreazione assistita, non sono sempre donne a procreare? O Veronesi sa qualcosa che noi non sappiamo?] e si fanno meno figli di un tempo [quindi l’emancipazione femminile è la causa della caduta della natalità. Complimenti!]. Ma, altro fiore di follia, a rallentare questa spinta, che comunque è inarrestabile secondo Veronesi, chi potrebbe essere? “L’immigrazione islamica, perché il mondo islamico è ancora cauto su questo fronte”. [Sara: Complimenti, davvero complimenti vivissimi. Lorenzo: Veronesi, e le scie chimiche? Niente sulle scie chimiche?].

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Atterriamo nuovamente nel terreno della prima personalità di Umberto Veronesi: “L’emancipazione della donna si fonda sul principio – in cui io credo fortemente e che guida tutte le mie riflessioni sui temi etici e sociali, dalle droghe all’eutanasia – dell’autodeterminazione di ogni singolo individuo” [“Autodeterminazione: Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”, Enciclopedia Treccani], anche sul proprio corpo la donna ha diritto di scegliere in propria autonomia e libertà [anche se la sua funzione principale è quella di procreare e di allevare i figli, dovete soffrire come noi!!!].

A cosa si riferirà per esempio qui il professor Veronesi, per esempio al diritto di poter abortire? Assolutamente no, subito dopo aggiunge: “L’abbellimento del corpo femminile ha un fondamento biologico, perché la seduzione è la parte preliminare della procreazione [Lorenzo: ha detto solo “femminile”, confermando scientificamente che l’òmo ha da puzza’. Grazie Veronesi] e dunque l’attenzione al proprio corpo fa parte degli istinti biologici primari per la conservazione della specie” [sì amiche, avete capito bene. Vestiti, scarpe, calze, trucco TUTTO ciò che usate per guardarvi allo specchio, piacere e piacervi è tutto finalizzato non a sentirvi ammirate, non a sentirvi bene con voi stesse, non a trovare una persona che vi apprezzi, ma a procreare, è più forte di voi].

Di qui la riflessione che, capirete, è spontanea: “Dov’è il confine  tra libertà di disporre a piacimento del proprio corpo e mercificazione dello stesso? Difficile dirlo. La prostituzione femminile, per esempio, è quasi inevitabile vista l’assurdità biologica per la quale la donna ha poche decine di ovuli  e li conserva per la vita [sta stronza] mentre l’uomo ha una potenzialità procreativa enorme e inutile: ogni masturbazione manda fuori mililoni di spermatozoi, quando ne basta uno per procreare. Da questa asimmetria biologica deriva un diverso bisogno dell’uomo di fare sesso, che sta alla base della prostituzione [giusto e quindi poi la donna se ne approfitta, no? Ah, già ma quella non era la tesi di un luminare della medicina, era quella della pornostar Valentina Nappi, sì, dai quella che ha anche un blog su micromega da settembre 2014]. E qui il nostro valente medico cita fior di filosofi a supporto delle sue tesi: “Persino sant’Agostino accetta la prostituzione [come se avesse potuto, lui da solo, impedirla], considerata come un male minore, visto che nella famiglia l’uomo non poteva trovare soddisfazione alle sue esigenze sessuali. E’ una posizione comprensibile, se si tiene conto di questo assurdo potenziale procreativo dell’uomo”. Capito? La prostituzione, quindi, è al naturale conseguenza di una caratteristica naturale: l’uomo eiacula come un geyser, poverino, e la prostituzione è la cura sociale a questa sua disgraziata condanna naturale.

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Pensate che il nostro abbia finito? Poveri illusi. La sua megalomania è inarrestabile: “Io conosco bene il mondo delle prostitute, perché da ragazzino per andare a scuola passavo in una zona dove ce n’erano parecchie. Loro mi vedevano passare, mi accarezzavano, mi davano le caramelle, poi quando sono cresciuto sono state loro che mi hanno istruito sul sesso”. [Sì, lo ha detto proprio Umberto Veronesi, ex ministro della sanità, tra le tante cose. La sua statura di studioso gli permette anche paragoni audaci, metafore ardite:] “Quanti sono gli uomini che si prostituiscono davanti ai propri superiori per fare carriera? Durante il fascismo tutti gli italiani si prostituivano: il 90 percento aveva la tessera in tasca senza credere nel fascismo” [biologia, storia, femminismi, psicologia: ma quante ne sa, ma quante ne dice di scemenze? Tante, e tutte di squisita fattura. Non per niente siamo su Micromega].

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Pronti per i fuochi d’artificio finali? No. Nessuno può essere pronto.

Tornando al tema dell’uso del corpo, quante donne sposano un uomo solo per la sua ricchezza? Anche questa è una forma di prostituzione, e anche questa con un suo fondamento biologico perché i soldi permettono di allevare meglio i figli: la donna sfrutta il proprio corpo, la propria bellezza, per sedurre l’uomo che le consentirà di allevare al meglio i figli.

E voi lì a rompervi la testa e le scatole col patriarcato, e Lonzi e Braidotti e Haraway – tutto inutile: sposare uno ricco è biologia. Sei cessa? Sei povero? Cazzi vostri, la biologia vi condanna.

E questo accade anche in politica: molte donne hanno dimostrato di essere brave in politica, al di là di come hanno iniziato la loro carriera. E’ inutile fare gli ipocriti: le donne hanno una marcia in più, che non è necessariamente legata ai canoni standard della bellezza, perché la seduzione può trovare mille vie [scusate allora: se sei cessa qualcosa la puoi fare, ma se sei povero niente, ti rimane il caro vecchio Onan]. Per cui non vedo contraddizione tra l’uso anche spregiudicato del proprio corpo ed emancipazione femminile.

E via così, l’oncologo che costruisce l’ontologia berlusconiana. E perché mai dovresti vederla, Veronesi, una qualsiasi contraddizione?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing l’impressione

MAMMA MIA CHE IMPRESSIONE_2Mamma mia, che impressione! Era il tormentone di un personaggio pensato e creato da Alberto Sordi in un suo film, giovane imbranato e fessacchiotto che divenne subito popolare più per i suoi tic che per la graffiante carica satirica che aveva, e che avrebbe avuto poi. Questo personaggio, come altri di Sordi, piacque perché tutti si sentivano superiori a lui, senza accorgersi quanto invece gli somiglino. Alla lettura di questo articolo apparso nel ghetto rosa del Corriere, “La 27° Ora”, il titolo mi ha subito suggerito la vicinanza col personaggio di Sordi in quel film: peccato che il contenuto dell’articolo non faccia ridere per niente, anzi.

Che impressione i genitori che baciano sulla bocca i figli

Parlo da spettatrice, non avendo figli [complimenti per l’inizio, da manuale. Già un bel po’ di lettrici e lettori hanno cliccato altrove]. Ma da spettatrice perplessa. Perché va bene l’amore incondizionato dei genitori, va bene la tenerezza infinita che suscitano i bambini, specie se piccoli, va bene anche che i tempi sono cambiati e le abitudini pure [ok, abbiamo capito, evviva i bei tempi andati], ma vedere – sempre più spesso – genitori che baciano sulla bocca i loro piccini, il più delle volte dicendo loro anche un bel “ti amo“, fa scattare in qualcuno (tipo me) un brivido freddo che corre lungo tutta la schiena [la prossima volta copriti. Già che siamo partiti di nostalgia, due parole sulla “maglia di lana”?].

Ora a molti sembrerò crudele e insensibile [e nostalgica, “se stava mejo quanno se stava peggio”], senza contare che non “posso capire fine finché non avrò figli” (jolly preferito da tutti i genitori afflitti da manie obiettivamente sconcertanti [complimenti per l’obiettività della diagnosi]), ma fino a qualche tempo fa le cose non funzionavano così [e questo invece non è un jolly di chi è afflitto da qualcosa?]. Quanti di noi (e per noi intendo gente abbastanza adulta da leggere un blog [sempre grazie per l’elitarismo di fondo]) può dire di aver ricevuto attenzioni simili dai propri genitori [io, per esempio, embè?]? Io grazie al cielo no [Estiqaatzi. Estiqaatsi penserebbe che non è giusto fare di impressione personale regola universale]. Mio papà non mi ha mai baciata sulla bocca e neanche mia mamma e credo che se mi avessero detto “ti amo” mi sarei messa a piangere per la vergogna [certo, perché tu da bambina avevi già un sistema di valori morali e un linguaggio dell’eros sviluppati; tanto da cogliere il contrasto tra etica pubblica, vita sentimentale e rapporto genitoriale, cortocircuitati da una frase apparsa contestualmente deleggittimante il tuo diritto a essere appunto bambina. Invece, semplicemente, di fidarti dell’amore che arrivava da loro, in qualunque forma. Eh sì, i tempi sono cambiati e le abitudini pure, adesso per esempio non ci si rilegge più per controllare bene cosa si va scrivendo].

Come loro facevano anche i genitori dei miei amici [ok, siete tutti un bel gruppo elitario uniti dagli stessi valori nostalgici, complimenti]. E non è che fossero generali prussiani [Estiqaatzi. Estiqaatsi penserebbe che siamo tutti diversi, non si possono mettere a confronto storie di genitori diversi tra loro e farne categorie]. Anche noi (oggi trentenni) eravamo coccolati e i nostri genitori non si limitavano a una vigorosa stretta di mano per farci capire che ci volevano bene [complimenti per l’immaginario affettivo e il lessico simbolico. ‘Na cosa meno militare no? E forse – ma forse, eh – ci sono più di due sfumature per manifestare affetto genitoriale. Forse]. Ci prendevano in braccio, ci abbracciavano, stavamo seduti vicini sul divano… insomma, c’era un discreto corredo di tenerezza [discreto corredo di tenerezza, ma non sarà un’espressione troppo forte per il Corriere? Beh, ma in fondo i tempi sono cambiati e le abitudini pure, adesso si può osare di più]. Ma c’erano anche dei limiti. Limiti che, essendo naturali [i famosi limiti naturali all’espressione dell’affettività, come no], non venivano neanche vissuti come tali [perché si chiamano pregiudizi culturali, ecco perché non venivano e non vengono vissuti come tali] e che ho ritrovato nel candore delle risposte di mia mamma a un paio di domande fatte (da me) a tradimento [la domanda a tradimento alla mamma, altro che “doppio cieco” o CSI per sapere la vera verità] proprio per capire un pochino di più come sono cambiate le cose [e poi in che senso ritrovato, se stai parlando sempre dei tuoi genitori? Che t’aspettavi?]. Ieri al telefono, così, a freddo, le ho chiesto:

Mamma, perché quando ero piccola non mi davi i baci sulla bocca? Una frazione di secondo. Poi lei: “Ci mancherebbe, è anti-igienico [e questo non è un altro jolly preferito da tutti i genitori afflitti da manie obiettivamente sconcertanti? Anche se non hai figli, bastava chiedere a qualcuno che ha avuto figli e diverso da tua madre]”. E perché non mi dicevi “ti amo”? “Ma cosa ti salta in mente?”. Rispondi. “Ti dicevo ti voglio bene, che senso aveva dirti ti amo? … Che poi i bimbi lo ripetono [ecco, non sia mai che i bambini dicono ti amo a qualcuno! ORRORE!]. Era più giusto dire ti voglio bene [era più giusto. Poi la discussione su quale sia questa giustizia non la facciamo, la discussione sul perché in italiano ci sono due espressioni diverse di quello che in altre lingue viene detto con la stessa lasciamola cadere, la discussione sul senso di dire più spesso ti amo proprio lasciamola perdere. Ancora complimenti per le occasioni mancate per fare un articolo interessante]”.

Sono virgolettati testuali, apprezzate la cronaca di un normale scambio madre-figlia [apprezziamo il normale, mi raccomando, e ricordate quanto detto all’inizio: chi bacia in bocca figlie o figli non è normale]. Va bene che è mia mamma, ma io colgo quello che – almeno fino a qualche tempo fa – era un pensiero diffuso (magari con altre varianti) e comune. Sensato, aggiungerei anche [il giorno che la quantità farà la qualità deve ancora sorgere. Hitler è stato eletto a maggioranza, sembrava una cosa molto sensata anche quella]. Non tanto per l’igiene, quello no [e con un poderoso colpo di reni l’estremo difensore sventa in calcio d’angolo!!!]. Ma piuttosto per il fatto che troppo spesso i figli diventano i bersagli di attenzioni un po’ troppo oppressive, asfissianti, quasi una agghiacciante proiezione di quei rapporti invadenti che hanno certi genitori con i figli ormai adulti, ma trattati sempre e comunque come teneri cucciolotti [EH? Dall’abitudine di baciare bambini sulla bocca siamo passati a una storia familiare di oppressione affettiva, ai bamboccioni di Padoa Schioppa? Ma di cosa parla questo articolo? E con quali competenze ci si permette di tracciare linee di demarcazione nette tra sviluppi psicologici, gesti abitudinari e lessico familiare?].

Sento mamme che dicono che il proprio figlio è “il mio fidanzato” oppure “l’unico vero uomo (o amore) della mia vita”. Ma vale anche al contrario. I papà non sono da meno nel travolgere di attenzioni e dichiarazioni d’amore i loro figli. Che è bello e giusto [e se è bello e giusto allora che cacchio stai dicendo?]. Come quando sento un mio amico dire che lui bacia sulla bocca i suoi figli “perché è una bella sensazione. Senza contare che i baci sulla guancia li dai a tutti, quindi darli a loro sulla bocca è come riservare delle attenzioni più esclusive”. Ma senza esagerare [ma esagerare rispetto a cosa? Vuoi dare dei criteri? Vuoi tracciare dei limiti? Perché non dirlo chiaramente, assumerti una responsabilità e invece darli per scontati perché ribaditi dalla tua mamma?]. Che tutto questo derivi dal fatto che molto spesso oggi i figli rappresentano una certezza mentre i rapporti da cui nascono no, può essere una spiegazione [ma sarà una spiegazione per te, che fai psicologia d’accatto. Ma che spiegazione è? Un link, dei dati? Qualcosa che faccia sembrare tutto questo avvicinabile al giornalismo?]. Ma non è meno inquietante [ma sarà inquietante per te, e chissenefrega non ce lo metti?].

Non è riversando sui figli tutte le proprie attenzioni che gli si trasferisce più amore [e non è l’ennesimo jolly pure questo?]. E forse far capire loro che esistono dei limiti, delle forme diverse di manifestare il proprio affetto [è italiano eh: un limite non è una forma espressiva. O c’è un limite – e allora saresti pregata di giustificarlo e comprovarlo in qualche modo, grazie – oppure c’è solo la forma del tuo pregiudizio, ma di quello ce n’eravamo già accorti, grazie], alcune adatte ai figli, altre meno, potrebbe essere un insegnamento utile [a chi? Per che cosa? A parte il parere della tua rispettabile mamma, si può avere dell’altro?]. Per toglierci qualche dubbio su questo cambiamento dell’affettuosità tra genitori e figli, ho chiesto un parere ad Anna Oliveiro Ferraris, psicologa dello sviluppo [ce l’abbiamo fatta: quello che dovrebbe essere all’inizio dell’articolo invece è alla fine, ancora complimenti]. Che ha detto: “Ormai sono i genitori che spesso cercano nei figli un appoggio e l’affetto dei figli diventa un elemento centrale nella loro vita: puntano al loro affetto per sentirsi protetti, cercano sicurezze quando dovrebbero essere loro a darne” [pensiero rispettabile e immagino comprovato da fior di letteratura sull’argomento, ma ancora non ci è stato detto perché baciare sulle labbra un figlio è segno di genitori che cercano nei figli un appoggio e tutto il resto].

Sarebbe bene dunque porsi dei limiti anche nell’affettività con i propri figli o non è necessario [ma cosa c’entra una domanda così generalizzante? Si voleva parlare di un solo gesto come quello che fa impressione, e lo si prende a sintomo e prova di un superare i limiti nell’affettività con i propri figli? Ma che modo di argomentare è?]?

“E’ bene non esagerare per non dare vita a quello che definirei “un incesto emotivo” [UN CHE COSA? Ma sì, spendiamo il parolone della psichiatria per un bacio, via con la diagnosi al volo, dopotutto è lo sport nazionale]. Il compito dei genitori è anche quello di rendere sempre più autonomi i figli, invece ci sono madri a cui sembra normalissimo che i dormano nel lettone con loro. Questo crea una forma di dipendenza molto forte da cui poi è difficile liberarsi, anche da adulti” [di nuovo, tutto vero, ma non è pertinente. Qui non si è descritta una madre o un padre affettivamente invadenti, si voleva parlare, almeno credo, dell’impressione suscitata dal vedere un bacio sulle lebbra tra genitore e figli*].

E che ne pensa dei baci sulla bocca? [Capita la tattica del grande giornalismo? Prima spendo gli psicoparoloni che mettono paura, poi rispondo alla domandina che doveva essere la prima e l’unica – e indovinate un po’ che risposta sarà?] “La bocca è una zona erogena: sarebbe bene che i piccoli capissero che la forma di piacere che si prova quando qualcuno ti bacia in quel punto del corpo non va ricercata con il proprio genitore ma con altre persone [capito? I bambini devono capire le zone erogene – ma non bisogna dirgli ti amo perché se no lo dicono agli altri. Interessante modello educativo] e, soprattutto, quando si è più grandi. Il problema è che i baci sulla bocca, il dire “ti amo”, sono tutte storture degli adulti che trattano i bambini come immagini di loro stessi in miniatura: attribuiscono degli schemi validi tra persone grandi ai bambini [lo fanno gli adulti, tutti, sempre, ovunque – chiaro? NESSUNO di quelli che bacia figlie o figli è immune, TUTTI trattano i bambini come immagini di loro stessi in miniatura, e lo fanno perché non sono come la mamma della giornalista, come i genitori dei suoi amici e come la dottoressa].

Non che esista una morale su questa questione [NOOOOOOO, figurati, la tua mica era una morale, no no]. Ma può essere uno spunto per rifletterci su. Voi che ne pensate?

[Io che ne penso? “Che impressione il giornalismo che si mette sulla bocca un linguaggio ipocrita.”]