Riflessioni sul matrimonio gay

no-marriage-300x300

Lo sappiamo ormai tutt@: l’assemblea nazionale francese ha dato il via libera alla legge sui matrimoni e sull’adozione di bambin@ da parte di coppie dello stesso sesso. Tutt@ a festeggiare, tutt@ a dichiarare la Francia come il paese da imitare quando, a mio avviso, ci sono delle cose sulle quali sarebbe bene riflettere.

E’ evidente che questa legge sia accolta come di importanza capitale da chi crede nel matrimonio come valore e vuole vederselo riconosciuto dallo Stato, o anche semplicemente da chi vuole accedere ai diritti che sono, in questo momento, esclusivi delle unioni fra etero sposati (perché altrimenti non si ha comunque alcun diritto), non mettendo in discussione l’esistenza stessa di tale dispositivo. Il matrimonio, se ci pensiamo bene, è in fin dei conti un contratto che in quanto tale offre molte agevolazioni, vantaggi che diventano ancora più preziosi in un momento di crisi come il nostro. L’aspetto romantico non è da prendersi in considerazione, dato che l’amore, in qualunque forma lo concepiate, non ha nulla a che vedere con diritti, firme, riti e simili … glieli abbiamo attribuiti noi, e sempre a noi tocca liberarlo.

Nonostante le opportunità evidenti che la stipula del contratto matrimoniale prevede, non tutt@ vi possono accedere o vogliono accedervi. Se parliamo di diritti, quelli previsti dal matrimonio monogamico etero dovrebbero essere estesi a tutte le tipologie di relazione, per evitare che si creino discriminazioni, ma il problema è che ciò non solo non avviene ma che quando si verifica, ad esempio nel caso francese, si tende alla normativizzazione.

La questione delle unioni omosessuali è assai spinosa se consideriamo il fatto che automaticamente esclude alcune soggettività, per esempio i/le trans oppure le coppie omosessuali o lesbiche che vogliono semplicemente convivere, o anche le persone impegnate in relazioni poliamorose. Questi soggetti diventano perciò discriminati tra i discriminati e inoltre, sembra assai controproducente creare delimitazioni laddove già ve ne sono a sufficienza. Chi vuole sposarsi vede già il proprio diritto riconosciuto, ma questo non può essere esercitato sulla pelle di altr@.

Perché bisogna per forza sposarsi in cambio di determinati diritti? Il diritto non dovrebbe tutelarci tutt@ in egual misura a prescindere dalla forma esteriore delle scelte personali che compiamo? Non dovrebbe essere il contratto-matrimonio a permetterci di accedere a dei diritti che dovrebbero essere nostr@ e dei/lle nostr@ compagn@ a prescindere dalla forma di unione/amore/relazione che decidiamo di intraprendere.

Questi sono i motivi per i quali non riesco a gioire pensando a chi questo diritto comunque non lo avrà. Penso alle coppie gay di immigrat@ che, se mai questa legge venisse applicata anche in Italia, non potrebbero goderne dato che a loro non viene concesso neanche il permesso di soggiorno. Penso alle/ai transgender ai quali non verrebbe concesso di sposarsi con quella che giustamente è, anche quando non riconosciuta dallo Stato  -se non si operano totalmente (leggeteci sterilizzazione forzata) – la propria identità. Penso anche alle persone, etero o meno, che vorrebbero adottare un/a bambin@ ma non possono perché o sono single o non sono sposate. Ma chi lo ha detto che sia necessario essere in due o essere uniti da un contratto per esser buoni genitori? Tra le grandi escluse si potrebbero citare anche tutte le forme di relazione, che si definiscono facendo ricorso al concetto di poliamore, ma che sono casi a sé, dato che le dinamiche cambiano a seconda della situazione, che, non rientrando nella forma della coppia monogamica, resterebbero allo stesso modo escluse da questa legge. In questo caso, anche l’adozione di un/a bambin@, da parte di tutt@ i componenti della famiglia poliamorosa, diventerebbe difficile. Eppure per quale valido motivo non dovrebbe esser garantita?

Perché dico questo? Sia perché vorrei che venissero tutelati i diritti di tutt@ e non solo di chi si riconosce nel sistema/Stato, sia perché trovo limitante lottare per i diritti di alcune soggettività dimenticandosi la varietà presente in quella famosa sigla “lgbtiq”.

Da anarchica non posso di certo gioire per questa legge, perché non è altro che un riconoscimento da parte di un sistema che io delegittimo, ma anche perché come ogni legge la trovo limitata, dato che è rivolta solo alle coppie monogamiche e alle coppie che accettano di sposarsi. Ma capisco anche che le cose, per il momento, stanno così e che bisogna sopravvivere in questo sistema, cercando però, e questo vorrei che si tenesse ben in mente, di scardinarlo. Se da una parte lottiamo per vedere riconosciuti sempre più diritti rispetto a sempre più soggettività, dall’altra dovremmo iniziare a mettere in discussione l’esistenza stessa di un sistema a cui viene delegato il potere di normare tutto ciò su cui, se ci pensate bene, a decidere spetterebbe solo e soltanto a noi.

Cosa voglio dire? Che bisognerebbe mettere in discussione l’idea di famiglia che, nonostante tutto, resta ancorata a quell’idea congelata che prevede solo due componenti adulti più eventuali figl@. Però per molti di noi non è così, e la famiglia è nella nostra realtà un gruppo di persone, di numero imprecisato e di qualunque sesso, orientamento sessuale e identità di genere, anche non riconosciuto da papà Stato  (di cui faremmo volentieri a meno) che sono legate da affetto/amore e che si prendono cura l’uno dell’altr@. La famiglia è un concetto che va scardinato per permettere a tutt@ di vivere le proprie relazioni liberamente e di accedere a diritti che non dovrebbero essere vincolati da un pezzo di carta. Questo per me è follia. Una cosa è lottare perché si vuole accedere ad un rito che sancisca la propria unione, un’altra è sposarsi perché altrimenti alcuni diritti ci verrebbero negati.

Mi dispiace, ma se è così, io non ci sto. Bisognerebbe lottare affinché a tutt@ siano garantiti quei diritti aldilà del contratto, rito, unione che si sceglie di avere. Ma non è così, ed è per questo che mi risulta difficile considerare la legge francese come una vittoria, dato che ci pieghiamo al volere della società che comunque ti impone un passaggio, che è quello del contratto-matrimonio, e un unico status, ovvero quello di coppia monogamica. E’ come se ci dicessero, okay volete questi diritti? Bene, NOI ve li concediamo ma dovete attenervi alle nostre regole. Si chiama normalizzazione e a me non piace per niente.

Chi vuole sposarsi ne ha tutto il diritto, ma qui sto mettendo in discussione il fatto che per accedere a certi diritti si sia costretti a sposarsi quando se ne farebbe anche a meno. Quindi, sì, questa legge è un passo avanti per alcun@ ma anche un’ulteriore discriminazione per altr@, tra cui, ahimè, mi aggiungo anch’io. Ma in merito a queste riflessioni, del tutto personali, mi piacerebbe sapere voi cosa ne pensate.

Una risposta a “Riflessioni sul matrimonio gay”

I commenti sono chiusi.