Un compagno ha bisogno di aiuto

È un bel po’ che di questo blog non rimane che un archivio. Ma vi chiediamo un ultimo sforzo finale per uno di noi che se la sta passando molto male, e che ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fare altro che linkarvi il crowdfunding messo su dalle persone a lui più care e sperare nella solidarietà militante di cui ci facciamo parecchio vanto.

Salve a tutti. Siamo Elena, Varxh e Chiara, tre persone molto vicine a Den. Abbiamo deciso che quest’ultima se la cavava meglio con le parole, e le abbiamo chiesto di parlarvi di lui. 

È sempre strano cercare di strizzare in qualche riga tutto quello che si dovrebbe sapere di un essere umano, ma per amor di sintesi tenteró. Conosco Den da qualche anno, e mi è sempre sembrato una persona fantastica. È comprensivo, pirotecnico, folle il giusto, e curioso di tutto. In un giornata tipo lo si trova a divorare (metaforicamente) libri di Hawking o di qualunque altro astrofisico conosciuto (la grande passione), o variegati pezzi letterari e non di scibile umano, solitamente circondato da palle di pelo miagolanti. Ha solo 21 anni, e giá ha all’attivo vari articoli su giornali online (argomenti: intersezionalità, femminismo, critica sociale), unapartecipazione mensile su Radio Onda Rossa, vari interventi in eventi di centri sociali romani. Insomma, oltre a essere un umano fantastico è anche molto coinvolto socialmente, cosa che gli riesce benissimo. Scrittore insonne, ha anche un blog, dove trovate poesie e pezzi suoi, scritti probabilmente alle 4 del mattino in raptus creativi improvvisi (con immancabile essere micioso annesso). Beh, immaginate un Baudelaire giovane e post-moderno che al chiaro di luna batte a macchina fantasie meravigliose e avete piú o meno l’immagine che cerco di trasmettere (togliete l’assenzio e rimpiazzatelo con camomilla fumante). Qui e qua troverete il resto che fa. 

Venendo al punto saliente: perché aiutarlo? Se le immagini accattivanti descritte prima non bastassero come motivazione, ne aggiungerei una ulteriore. La vita, giá prima ma recentemente peggio, lo ha preso a sassate innumerevoli volte in molti ambiti diversi. È una persona che, con le adeguate risorse e possibilità sará grandi cose, senza dubbio. E il fatto che per casualità lui non le abbia non mi sembra un buon motivo per cui non dovrebbe riuscire a fare qualcosa di meraviglioso nella vita. Tutti noi quindi abbiamo deciso di aiutarlo, creando questa campagna, con un piccolo contributo da ognuno la situazione migliorerà di sicuro. Spero di avervi fatto conoscere almeno un pó la persona che conosco io.

Ritorniano a noi: aprire un crowdfunding implica avere una posizione precisa. È l’idea che il singolo non debba essere abbandonato a se stesso, che la partecipazione collettiva non debba ridursi a sporadici atteggiamenti di elemosina e pietismo, ma essere un sostegno attivo, permanente, reciproco, umanizzato, solidale: responsabilità verso gli altri. Vogliamo che gli scogli, gli ostacoli di ogni giorno non siano solo un problema di Den e le persone a lui immediatamente vicine.

Da molti anni soffre di gravi forme ansiose e depressive, non trattate perché nessuno si è mai accorto e in ogni caso, nessuno aveva risorse per farlo, ormai diventate ingestibili e pericolose. C’è urgentemente bisogno di un intervento immediato.  Si trova a venire a patti con varie problematiche fisiche – tra cui dolori neuropatici mai arrivati a attenzione medica – che uniti alla sua condizione di autistico annullano drasticamente le possibilità di spostarsi da casa senza un mezzo di trasporto idoneo, non posseduto. Non siamo più disposti a tollerare la marginalizzazione, l’indifferenza, il rimando, l’abilismo di servizi che si sottraggono al prenderlo in carico, individuando nel suo sostegno qualcosa di accessorio e in cui non investire: chiediamo partecipazione di tutti nel garantirgli una psicoterapia, un sostegno medico, mezzi di trasporto idonei, un computer che è l’unico mezzo con cui può lavorare. Tutte cose che non si può permettere viste le disastrose condizioni economiche della sua famiglia.

Speriamo vivamente nella vostra solidarietà <3 

Scopiamo fino a innamorarci

Dal nuovo libro di Ana Elena Pena, Vamos a follar hasta que nos enamoremos

Autoprodotto, curato fin nei minimi dettagli, pieno di rabbia, emozione, passione e poesia.

La prima cosa che penso leggendo questo libro, riflettendo sulla mia iniziale diffidenza, è che usare la parola “amore” non deve essere facile, un termine contenitore svuotato di un valore proprio, quasi sicuramente fraintendibile. Eppure sono proprio queste premesse caotiche a renderlo perfetto per esperimenti di risignificazione. Ana Elena Pena non si formalizza troppo nel farlo e lo riempie di se stessa.

Lancia invettive contro l’ideale di amore romantico che rende marionette e in cui si perdono le forme, i colori, il desiderio. Si schiera contro la ricerca di perfezione emozionale che si trasforma in superficialità, contro quell’ideale che rappresenta l’amore come una esperienza che non sporca, non macchia, non ferisce e che soprattutto non trasforma il nostro modo di vivere nuove relazioni.

Una condivisione di metafore e vissuto in cui ritrovare qualche pezzetto del proprio, per ricordare dove abbiamo fatto proprio l’opposto di quello che era prendersi cura di sé, non lasciando spazio ad alternative.

Riflessione sfaccettata sulle ansie e le delusioni di vivere il sesso come antitesi della complicità, attraverso schemi altrettanto predefiniti che mettiamo in atto come fossimo sconosciut*, lontan*, barricat* con le nostre paure o insoddisfazioni dietro maschere di indifferenza. Sesso che indebolisce e mutila i corpi.

Spunti poetici per risvegliarci dall’apatia individualista o dall’autolesionismo e per ricordarci che scopando si costruiscono affetti liberi o amore, che dir si voglia.

Il libro, insieme alle precedenti pubblicazioni (tutte in spagnolo) lo trovate qui. La versione originale di Vamos a hacerlo è invece pubblicata sul blog.

follar-b

 

Facciamolo lentamente
senza urgenza né pause,
senza rabbia e senza paura.
Facciamolo di fretta, con furia e con forza,
scricchiolando le ossa.
Spensierati e increduli, a colpi e a baci, senza scuse né pretesti,
sul cofano di un’auto, nel letto, sul pavimento,
tra grida laceranti, ma anche in silenzio. Come bambini che giocano, come
pazzi, come malati, con vizio e con lascivia, come animali in calore,
con piacere e godimento.
In un modo selvaggio,
delicato, sporco, lento, e fino all’agonia.
Vieni, andiamo a farlo…
Andiamo a scopare fino a innamorarci.

Ana Elena Pena, traduzione di lafra

L’amante migliore

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Ph Ana Alvarez-Errecalde
L’amante migliore, traduzione di Elena Zucchini, revisione di lafra e feminoska.
Pubblichiamo la conversazione su maternità e sessualità intercorsa tra Helena Torres e María Llopis per l’antologia Relatos marranos (Racconti Marrani). Tra gli altri argomenti, si discute di piacere ed erotismo durante la gravidanza, il parto, l’allattamento e la relazione fisica con il bebé.

Traduzione di un dialogo skype tra María Llopis (1) e Helena Torres. María è un’artista multimediale che propone una visione alternativa dell’identità sessuale e del genere – a partire dalla decostruzione del soggetto del femminismo –  per avvicinarsi al femminismo pro sex o al transfemminismo. I suoi video, performance, interviste, workshop e libri spaziano tra i temi dell’orgasmo e la violenza, della sessualità degli anziani, del sesso virtuale e della performatività di genere. Attualmente porta avanti un progetto sulla maternità sovversiva e sul parto orgasmico. Le note alla fine dell’articolo sono commenti alla conversazione di Aida I. Prada, coeditora di Relatos Marranos.

Helena Torres: Raccontami del tuo progetto sulle maternità sovversive.

Maria Llopis : Sono lanciatissima sul tema della maternità e della sessualità (2). Ho appena tenuto un seminario sulle maternità sovversive ad Olba, vicino Castellón, e si sono presentate tutte le madri punk e hippie neo-rurali con le loro creature e la loro nascita orgasmica, l’allattamento orgasmico, le gravidanze orgasmiche… tutto orgasmico! Io volevo realizzare per gioco una sorta di guida alla nascita orgasmica (dico per gioco, perché è qualcosa di molto più complesso rispetto al seguire specifici passi per arrivare ad un obiettivo), e anche se lo abbiamo fatto, è stato molto diverso da ciò che avevo immaginato. Inoltre sto facendo interviste su parto e orgasmo e stanno venendo fuori molti allattamenti orgasmici. Anche io ora sto allattando al seno e lo sto apprezzando immensamente.

H. Quello che non mi torna del [parto] orgasmico è che si tratta di un’esperienza che non riguarda tutte, per mille motivi che non dipendono solo da noi. Il mio parto, per esempio, era stato preparato tutto nel dettaglio: stavo partorendo in casa e per questo so che è vera questa cosa dell’orgasmo, perché l’ho vissuta, ma sono finita in ospedale e di orgasmico non c’era più nulla. Mentre ero in casa le prime contrazioni mi hanno sorpresa, perché non ho mai sofferto di dolori mestruali e non capivo cosa stesse succedendo, da dove venissero, cosa fare. Ho iniziato a respirare come avevo imparato a fare facendo Kundalini e mi sono dissolta, ho iniziato a volare, improvvisamente mi trovavo da qualche altra parte e non c’erano più dolore, né rumore. Sapevo che c’erano persone e suoni, solo che io non ero lì. Suppongo che questa sensazione sia quella che rende possibile avere un orgasmo e che il dolore si trasformi in piacere. Per questo ciò che trovo più frustrante sentendo parlare di parto orgasmico è che venga vissuto quasi come un obbligo.

M. Sì, capisco, sembra quasi sia obbligatorio averlo, come se non fosse sufficientemente cool partorire senza venire. Se la vedi in questa maniera, è come se dovessi essere Wonder Woman: ogni volta che scopi devi venire e ogni volta che vieni devi eiaculare. Ne abbiamo parlato durante il workshop e una delle cose che abbiamo fatto è stata cambiare il nome in “parto estatico”, invece che “parto orgasmico”. Di fatto esistono molti parti in cui le donne non arrivano a sperimentare un orgasmo, ma durante i quali si trovano in uno stato di estasi, di piacere, che le mantiene sulla soglia del dolore (3). È come fare una scopata fantastica senza venire. È stata una brutta scopata? Assolutamente no! Per questo sto prendendo in considerazione l’idea di cambiare nome al libro. Il parto non deve portare all’orgasmo per essere un’esperienza sessualmente soddisfacente. Forse dovremmo toglierci questa pressione dell’orgasmo, non solo per quel che riguarda il parto, ma anche per quel che riguarda le relazioni”.

H: L’importante è sottolineare che nel parto, come nelle relazioni sessuali, esiste il piacere e che la percezione del dolore, se ci sono le condizioni perché sia un parto estatico, non ha niente a che vedere con la percezione del dolore in un altro stato. In questo momento hai un’altra sensibilità, un altro odore, vedi in maniera diversa, con un’altra intensità… Per questo per me è necessario definire il parto come atto sessuale (4), non solo come orgasmo.

M: Esatto. Capire che fa parte della tua sessualità. Quando ho partorito tutta la parte della dilatazione è stata meravigliosa, mi sono connessa con questa sensualità, con questa sessualità. Stavo a quattro zampe come un’orsa, con Dani sotto, sul letto e io sopra, mordendolo, succhiandolo, godendo e dilatando… Dopo però mi hanno raccontato che lui usciva per prendere aria e rinfrescarsi la faccia, perché mettevo il riscaldamento al massimo e lo tenevo immobilizzato al letto. Avevo letto che dilatare la mandibola fa bene, perché aiuta ad aprire la vagina, l’utero e il collo dell’utero, così io lì, giù di morsi! Insomma, io tutta questa parte me la sono goduta moltissimo, anche se non mi ricordo niente.
Però c’è stato un momento, il cosiddetto “Vaso di Pandora”, che è quando sei completamente dilatata ed entri nella fase dell’espulsione. A quanto pare questo è il momento in cui vengono fuori i leoni, le belve, le farfalle o qualsiasi cosa ti tieni dentro senza saperlo. In questo momento ho avuto la visione di un uomo, da lontano, che era l’Uomo cattivo. Ho iniziato a dire: “È arrivato l’Uomo cattivo” e Dani mi ha raccontato che le ostetriche, che fino a quel momento erano molto sicure di quello che stavano facendo, sono rimaste tipo: “Ahi! E adesso che facciamo? Questo non c’era sul manuale!”. Fortunatamente c’era anche una doula fricchetonissima e fantastica, che è venuta e mi ha detto: “Ok, adesso tiriamo fuori l’Uomo cattivo” e con l’Uomo cattivo è arrivato il dolore, un dolore estremo, allucinante… Quel dolore di: “Ci siamo, ecco la testa del bambino” e tu: “Ma cosa stai dicendo? Che bambino e bambino d’Egitto! Aiuto!”. Ma si trattava della spinta finale: non è durato molto, una o due ore a dire tanto ed ecco che Roc era nato.
Adesso sto intervistando molte donne che hanno avuto parti estatici, in cui hanno provato molto piacere, come sarebbe successo a me se non fosse venuto l’Uomo cattivo, che io interpreto come il Signor Patriarcato. Ci sono donne che sono arrivate a venire dal piacere, però non un venire qualsiasi, l’orgasmo del secolo! Questo ha cambiato la loro sessualità e la loro vita. Adesso c’è un prima e un dopo.

H: Adesso che lo dici penso che anche se non ho partorito è stato a partire dal non-parto (n.d.t.: Helena Torres è ricorsa ad un parto cesareo, per questo afferma di “non aver partorito”, pur avendo un figlio) che ho cambiato completamente il mio modo di vivere la sessualità. Non mi riferisco a con chi scopavo o no, non si tratta di una questione identitaria (quella è venuta dopo), ma al mio modo di sentire il mio corpo e di concepire l’orgasmo. È stato tre anni dopo il mio non-parto che ho iniziato a eiaculare come una fontana. All’inizio non sapevo neanche di cosa si trattasse, col tempo mi sono resa conto che mi succedeva anche quando ero adolescente ma che, per vergogna, lo avevo represso.
Allora è uscito quello che potremmo definire il mio lesbismo segreto, perché me la facevo con le ragazze, ma politicamente non mi sentivo lesbica, non mi sembrava una cosa mia, era fuori dalla mia giurisdizione. In realtà quello che stavo facendo era reprimere la mia sessualità, perché non la stavo vivendo come avrei voluto realmente. Solo che allora non lo sapevo.

M: È molto interessante quello che stai dicendo, perché è una delle cose che sono venute fuori durante il workshop e che mi sembra un tema chiave: il fatto che essere madre, aver fatto quest’esperienza (partorendo o meno) ti fa scopare in maniera diversa.

H: È che il rapporto che hai con il tuo corpo, o meglio, la maniera in cui lo senti, cambia completamente. In una settimana tutto il mio corpo aveva iniziato a cambiare. Non solo le tette, tutto… i fluidi, il modo in cui si muoveva il sangue… Non ho avuto un parto orgasmico, ma la mia gravidanza è stata un orgasmo permanente… scopavo tutti i giorni… e lo stesso con l’allattamento. Il primo anno di bebé non volevo scopare. Non potevo. All’inizio la cosa era frustrante, non la capivo, non mi era mai successa. Parlavo con altre madri e mi dicevano: “Benvenuta nel club!”. Allora mi sono resa conto che non volevo scopare, perché stavo già scopando… con il bebé! Ed era una relazione monogama! Nessun altro poteva toccarmi le tette. Ero completamente innamorata. Stavo ore a guardarlo estasiata. Adesso quando guardo le foto di quando era neonato non lo riconosco. Io vedevo un essere che comprendeva tutto nella sua bellezza e fragilità… È come quando stai con qualcuno con cui hai scopato: si tratta di un altro corpo, ma è anche il tuo corpo (5), è una sensazione che non si capisce molto bene.
Un’amica, un paio di mesi dopo aver partorito, quando ci siamo viste per la prima volta dopo il suo parto, dopo un forte e lungo abbraccio, ha cercato i miei occhi e tra le lacrime ha detto: “È devastante!”. Durante il primo anno questa compenetrazione, questi sguardi, questo capirsi, crea momenti in cui se anche c’è un padre, si tratta di un essere a parte, al di fuori di questa relazione… molti padri si sentono rimpiazzati, perché è come se tu passassi da loro al bebé e neanche il bebè ha realmente bisogno di loro, non come ha bisogno di te e del tuo corpo… insomma, io ero come nella mia bolla e ci sono rimasta per tre anni…

M: Chiaro, il periodo dell’allattamento.

H: Quando ho smesso di allattare ho iniziato a scoparmi anche le pietre… E allora ho capito che è questo che ci tengono nascosto: che quando partorisci hai una relazione sessuale con tuo figlio.

M: Una relazione sessuale soddisfacente. Una relazione sessuale con amore infinito (6)

H: Infinito, sì!

M: Sei innamoratissima, il piacere è massimo, l’altra persona è pazza di te: è la relazione perfetta! Mi ha fatto molto riflettere sulle relazioni romantiche che ho avuto nella mia vita e penso a quanto tempo ho perso con l’amore romantico e con queste relazioni! Era questo che cercavo, questa sensazione di completezza!

H: L’amore è questo! (pum! un colpo sulla tastiera)

M: Stiamo uscendo di testa, Helena, stiamo uscendo di testa! Ci chiameranno biomadri! Ci chiameranno con qualsiasi etichetta! (pum! pum! pum! adesso è un libro sulla scrivania)

H e M: Hahahahaha!!!

M: Tornando al tema dell’allattamento c’è una tradizione che si è persa e che è molto importante, che è la condivisione. Noi lo facciamo con il gruppo di madri con le quali ci siamo riunite, in paese. Io sono stata operata quando Roc aveva quattro mesi e non potevo avere contatti con lui, allora ho pensato: che sia qualcun’altra a dargli la tetta! Ma, come esiste la monogamia nelle relazioni sessuali, esiste la monogamia della tetta.

H: Un tempo c’erano le balie…

M: Ma era diverso. Le signore ricche che non volevano allattare pagavano le balie, sì. Era un servizio sessuale, erano mercenarie dell’amore e del latte. La signora che non voleva avere questa relazione con il suo bebé, perché era molto verginale e molto vittoriana, pagava una puttana che gli desse affetto, sesso, piacere e latte. È un tipo di servizio sessuale che è caduto in disuso. Adesso invece di pagare una balia gli dai un biberon pieno di latte Nestlé.

H: (Quello che segue non lo trascrivo perché più che marrano è politicamente scorretto (7). In breve, abbiamo discusso animatamente della negazione dell’allattamento materno come piacevole atto sessuale, come diritto e non dovere, come possibilità e scelta che non tutte possono o vogliono fare.)

H:Credo che questa relazione amorosa così intensa di cui abbiamo parlato è la base di ciò che verrà dopo, per poi poter iniziare a separarsi. Perché non starai tutta la vita così, questo sarebbe un danno per tutti. Se però questa connessione iniziale è stata molto forte, non scemerà, ma si trasformerà. Impari a lasciar andare. Da questo dovremmo imparare che si tratta di un amore autentico perché non hai più bisogno di stare con l’altra persona: sei già con lei. La possibilità di lasciarti e lasciar andare è in questa connessione. Sempre in questo sta la comprensione che esiste solo con le persone con cui hai avuto una relazione molto intensa e ti capisci molto oltre le parole. Se c’è stata una connessione così forte non è solo che tu, in quanto madre, la capisci, l’altra persona anche ti capisce, anche lei ti conosce.

M: A questo non avevo pensato…

H: È che io lo sto vivendo in questo momento… (snif da entrambe le parti).

M: Occhio a quello che dici, perché allora sembra che una donna che non vuole o non può diventare madre non può sapere cosa sia l’amore… Forse la riflessione da fare è che ognuno nella vita trova le cose in un modo o nell’altro e che la maternità può portare a questo, ma può anche non farlo. Si tratta di non negare nessuna realtà. È importante rispettare le decisioni delle persone, ma non è che per rispettarle neghiamo altre realtà.

H: Esatto. Lo stesso vale per il parto orgasmico: non stiamo impostando modelli o guide di comportamento, ma solo possibilità o esperienze… Non tutte le madri devono amare i loro figli o le loro figlie. Possono crescerli con affetto senza essere perdutamente innamorate. Può succedere, oppure no, non bisogna negare nessuna di queste possibilità. I modelli sono sempre frustranti, lasciano sempre qualcosa fuori. Che succede se provi un senso di rifiuto? Se non sopporti questa creatura berciante, se odi la tua pancia gigante, i passi pesanti e i culi da pulire? Ti fanno a pezzi come fanno a pezzi quella che allatta fino ai tre anni…

M: È che i modelli standard di svezzamento, almeno nella Spagna mediterranea, partono dalla negazione della possibilità di questo innamoramento. Secondo questi modelli di svezzamento al più tardi all’anno inizierà l’asilo nido e quanto prima inizierà la scolarizzazione, tanto meglio. Come se l’obiettivo fosse liberarsi del bambino il prima possibile (8). È un argomento molto delicato. Io credo che tutti i problemi dello svezzamento e della maternità abbiano come origine la relazione di coppia stabile e monogama che non funziona in maternità. Ci sono società in cui esistono altri tipi di relazione e che funzionano meglio in questo contesto.

H: È questo modello relazionale di coppia stabile monogama che ha bisogno di negare la sessualità durante la maternità, ma non solo in questo momento, dopo viene la negazione della sessualità durante l’infanzia. Se ci fai caso quanto ti chiedono quando hai avuto la tua prima esperienza sessuale ti stanno chiedendo del coito, della prima scopata con qualcuno, perché si suppone che prima di questo non esista nessuna sessualità. E poi c’è l’esplorazione dei corpi tra la madre e il bebè… toccarsi, coccolarsi, scoprirsi…

M: Questo fa molta paura… Ho una collega che è terapeuta, si occupa di medicina cinese, ha un figlio e mi raccontava di queste interazioni sessuali con lui, in cui lascia che esplori il suo corpo e le tocchi la fica, insomma… Lei dice che la gente non fa differenza tra chi soddisfa i propri desideri sessuali su un bambino indipendentemente dai suoi desideri, senza nessun riguardo, e chi permette che quest* bambin* esplori la sessualità, aiutandol*. Tra queste due posizioni c’è un mondo. C’è la stessa differenza che c’è tra una relazione sessuale consensuale, in cui tutte le parti si tengono in considerazione, e una soddisfazione del proprio desiderio sessuale calpestando tutte le volontà che non sono la mia. Questo è stupro.

H: È importante anche non perdere mai di vista il contesto. Intendo dire quando la situazione è complicata perché sia la madre sia il figlio vivono in una società in cui questo accompagnamento alla scoperta della sessualità è considerato un’aberrazione. Allora bisogna fermarsi o fare molta attenzione, perché questa persona che stai accompagnando è molto piccola e potrebbe andare in giro a dire che vuole scoparsi sua madre senza capire che il mondo penserà che si tratta di una perversione imperdonabile.

M: C’è un’autrice molto interessante, che parla di crescita e svezzamento, si chiama Aletha Solter, a me piace molto e tratta proprio questo tema. Lei dice che se stai con tuo figlio o con tua figlia e provi il desiderio di abusare di lui o di lei (e dico abusare, che non è la stessa cosa di cui stavamo parlando), non devi aver paura, ma chiedere aiuto, perché è molto probabile che tu abbia subito abusi da piccola. Si tratta di eliminare questo tabù, perché ne consegue la perpetrazione dell’occultare, mentire e tenere sotto silenzio. Quest’autrice afferma anche che, se in preda alla rabbia, ti viene voglia di alzare le mani, non devi flagellarti. Punto 1: non picchiare. Punto 2: chiedi aiuto. È probabile che tu sia stata picchiata da piccola. Pensa a come sarebbe diverso il mondo se potessi andare al bar e dire: “Oggi ho sentito l’impulso di picchiare il mio piccolo… devo affrontare questa cosa, lavorarci su”.
Io credo che l’abuso sessuale, la violenza sessuale in generale, siano molto diffusi durante l’infanzia e sarebbe molto diverso se invece di nasconderlo, se ne parlasse apertamente (9).

H: Per questo il tuo libro è così importante, perché si tratta di dare visibilità a queste esperienze…

M: Ah, che bella è stata questa specie di intervista o come la vogliamo chiamare… mi aspettava un giorno di quelli con dentista, caldo, tutto molto poco glamour… e adesso mi è cambiata la giornata…

H: Potremmo chiamarla così: “Come trasformare una giornata poco glamour parlando dell’ amante migliore.

M: Ahahah! Sì! L’ amante migliore! È questo il titolo!

H: Dici?

M: Senza alcun dubbio! Dai, vado ad allattare.

H: A presto, bellezza.

M: Ciao (10).

Note a piè di pagina di Aida I. de Prada
1 http://www.mariallopis.com/  http://mariallopisdesnuda.com/
2 Mentre scriviamo questo libro, un embrione, che ora si può già dire feto, sta crescendo nel mio utero. È una gravidanza desiderata, un punto di partenza molto importante, e per fortuna non sento nessuno dei malesseri temuti, fisici o psichici. In un primo momento attendevo con impazienza l’annunciata estasi ormonale, come quando si prova una droga per la prima volta e si attende con ansia che salga, ma lo sballo che immaginavo non arrivava mai, perché si tratta di qualcosa di diverso, qualcosa di molto diverso da quello che avevo vissuto finora. Non mi sento sballata, né euforica, ma come se mi trovassi in una capsula protettiva, come nei videogiochi. Mi sento mostruosa, guardo e tocco il mio corpo più che mai, perché diventare un mostro mi dà una sensazione piacevole ed estrema: ora ho due teste, due cuori, 40 unghie e magari anche un micropene.Ho anche due sistemi nervosi e non so se è per questo, ma tutto si amplifica. La percezione è diversa. Non voglio vivere il parto come se fosse un intervento chirurgico ad alto rischio e sto preparandomi per evitarlo, ma non voglio farmi troppe illusioni, come hanno già detto non dipende da come io lo vorrei, anche se si verifica a casa. E mi chiedo: e se non raggiungo il piacere e mi invade questo dolore sconosciuto? Può questo dolore essere comunque soddisfacente?
3 Da quello che dite sembra che questo dolore peculiare sarà sempre presente, estatico o meno. Tuttavia, ciò che cambia in entrambe le situazioni è la percezione del dolore. Se la percezione di quel dolore non ha nulla a che fare con la percezione del dolore nell’altro stato, immagino che la stessa cosa accada con il piacere… e mi chiedo potrebbe essere stato il cocktail di dolore e di ormoni che mi ha portato a uno stato di estasi, che ha reso il parto un’esperienza sessuale estrema? Ciò che mi colpisce è che rimango tranquilla mentre faccio un patto con il dolore. Se il mio utero viene represso da una società patriarcale che rende difficile venire nell’atto di espellere un corpo con la mia fica, adotterò anche io questa prospettiva… e se il piacere non arriva, riuscirò a trovare nel dolore un alleato e non una punizione divina? Per ora, ho cominciato a mangiare un sacco di mele.
4 Alle visite all’Asl mi trattano come se fossi in uno stato ad alto rischio, pericolo! Pericolo! Per fortuna, l’ostetrica che mi visita parallelamente, lo identifica come parte della mia sessualità e non come parte di una malattia, il che cambia completamente il quadro. Tenere a mente che ciò che il mio corpo produrrà durante il parto saranno le stessa cose che potrebbero risultare da una scopata piena di felicità (estrogeni) e amore (ossitocina) è molto diverso dal pensare che stanno per sequestrare il mio corpo e che l’unica salvezza saranno iniezioni di ormoni sintetici e l’anestesia spinale iniettata nel mio midollo.
5 A volte sento di avere “un passeggero”, come cantavano i Parálisis Permanente. D’altra parte, so che non si tratta di un altro corpo, è il mio. Per ora non voglio pensare a me stessa come a due, perché penso che questo approccio prima ancora di favorire la logica cosiddetta “pro-life” potrebbe anche contenere lo scollamento tra la maternità e la sessualità, perché se non si capisce che quel corpo è – o è stato – una parte del tuo, è facile intendere questa sessualità come qualcosa di negativo… Ma ecco un tema troppo grande per me, che dire di quelle maternità che non sono passate attraverso una gravidanza? Come la vivono le madri che non partoriscono, le madri che non si riproducono? Questi argomenti non servono… ci deve essere altro… giusto?
6 Questo per ora non mi tocca, ciò che è chiaro è che già durante la gravidanza, il legame tra maternità e sessualità è una lotta. Tutti mi toccano, e questo mi piace, ma di solito si concentrano sul ventre, ed è un po’ strano che ti parlino guardandoti l’ombelico. I sorrisi degli sconosciuti, anche se mi fanno sentire un po’ un’incubatrice, non mi dispiacciono. Ora, questo sì, tutte queste interazioni le sento totalmente desessualizzate. Io non sono un corpo desiderabile, la cosa buona è la paura degli idioti di turno, ma rende anche difficile collegare la maternità e la sessualità. La bellezza del mostruoso è caratterizzata dai cliché, lo sconosciuto che ti dà la precedenza nei posti a sedere, o il fatto che sia più facile trovare un reggiseno per l’allattamento in un negozio di articoli ortopedici che in un negozio di intimo. E poi, con mio grande rammarico, ho addosso il marchio nazionalcattolico. Esistono molti più riferimenti atti a pensare la maternità come altruismo, purezza e decenza, piuttosto che come sessualità e piacere.  Per fortuna i femminismi mi aiutano a smascherare pratiche e discorsi egemonici.
7 Ultimamente mi capita di restare rapita a guardare chi allatta. Ho notato che, spesso, i bambini cercano l’altro seno con la manina e, a volte, con il pollice e l’indice… strizzano il capezzolo!!! Questa immagine mi rimanda ad un’altra, e sì, mi fa andare in cortocircuito… perché, anche se il latte dalle mammelle può essere un feticcio sessuale, sento che le tette smettono di essere qualcosa di sensuale per diventare distributori di cibo, e che il contrario sarebbe perverso. Forse se non ci fosse questo tabù, se il legame tra sessualità e allattamento al seno fosse politicamente corretto, non sussulterei nel vedere un bambino pizzicare un capezzolo, e allo stesso modo i brividi che mi causa un bambino attaccato alla mia tetta. D’altra parte, penso che non mi piace sempre essere toccata sulle tette… e se mi sentissi lo stesso quando allatto al seno? So che l’ossitocina è coinvolta, ma questa cosa degli ormoni non la capisco…
8 Già prima della nascita, – perché una volta che si resta incinte sembra che il tuo corpo diventi pubblico e tutti hanno voce in capitolo e possono esprimere i propri giudizi – mi ha raggiunto questo avvertimento con frasi come: “hai intenzione di portarlo in uno zaino porta-bimbo? Lo rovinerai, è meglio abituarlo a non essere sempre con te ” ” L’allattamento al seno, senza orari programmati? Lo farai diventare un tiranno! ” ” Hai intenzione di dormire con lui? Oops! Che viziato!”. Leggere i vostri pensieri mi fa pensare che forse queste reazioni sono fotografie della forma egemonica di intendere l’amore come scontro e concorrenza, piuttosto che complicità e cooperazione.
9 Da lì in poi cambia tutto, e anche poterlo dare alla luce tranquillamente, senza aver timore di quello che ti è successo da piccola, perché non tutte le persone che abusano hanno subito abusi, e non tutti coloro che sono stati abusati, diventano abusanti.
10 E’ stato un piacere leggere la vostra conversazione, non tanto per la sua “eccezionalità”, ma piuttosto in quanto strumento per modificare e costruire nuovi sistemi con i quali fissare nuovi parametri.

Non c’è tempo per l’amore: il capitalismo romantico

Al sistema di produzione non importa se sei ubriaca d’amore, arrapata, triste o in lutto. Il capitalismo ci ingabbia, vuole che dedichiamo il nostro tempo al lavoro o al consumo: l’amore è improduttivo. I femminismi reclamano la conciliazione della vita lavorativa e del lavoro riproduttivo, ma abbiamo ancor più bisogno di un modello (di esistenza) compatibile con il piacere e gli affetti.

ph "signora Milton" da  Minerva Magazine
ph “signora Milton” da Minerva Magazine

Se la giornata lavorativa media,
preparazione e trasporto inclusi, è di dieci
ore, e se le esigenze biologiche di dormire e alimentarsi
richiedono altre dieci ore, il tempo libero sarà di quattro
ore ogni ventiquattro per la maggior parte della
vita di un individuo. Questo tempo libero sarà potenzialmente
disponibile per il piacere.

Herbert Marcuse, Eros e Civilizzazione

Quante ore dedichi all’amore? Non a immaginarlo, sognarlo o consumarlo nei film o romanzi, ma a viverlo. Da quanto tempo non passi ore facendo l’amore con il/la tu@ compagn@ di anni, come avveniva in principio? Quanto tempo hai per conoscere gente nuova e incontrare qualcuno che ti piace davvero? Quanto tempo hai a disposizione per avere una storia di quelle che ti sconvolgono la vita e ti sfascia gli orari?
Ne abbiamo poco. C’è poco tempo per l’amore. Per conoscersi, innamorarsi, approfondire, restare delusi, lasciarsi, ritrovarsi, tornare a innamorarsi.

Viviamo in una società molto “amorosa”: alla radio passano canzoni d’amore strappalacrime, al cinema in tutti i film c’è una storia d’amore sullo sfondo o in primo piano, le stelle dello spettacolo escono allo scoperto al telegiornale e ci presentano i/le compagn@, nelle riviste circolano gossip e pettegolezzi sulle/i personaggi famos@ che si innamorano o si separano, i social network sono pieni di gente in cerca dell’amore della vita, su Facebook veniamo a conoscenza dei matrimoni dei conoscenti, in televisione trionfano i drammi sentimentali, e con la pubblicità ci regalano paradisi romantici per venderci case, auto, mobili o deodoranti.
Tuttavia, c’è poco tempo per l’amore, Marcuse ci ha visto giusto: i minuti che dedichiamo al piacere sono molto pochi. La maggior parte del giorno lavoriamo in cambio di un salario, il tempo che ci resta è destinato al sonno e a risolvere le questioni basilari dell’igiene e della nutrizione (e altri mille obblighi della vita urbana postmoderna). Facciamo l’amore alla fine del giorno, prima di dormire, con addosso la stanchezza accumulata di un’intera giornata, e bisogna fare in fretta per finire in fretta e poter dormire sette, otto ore.

Potremmo godere di più se potessimo dedicare giorni interi a chiacchierare, a giocare, a fare l’amore, a mangiare bene, ad ascoltare buona musica in intimità con i/le nostr@ compagn@. Ma gli orari che abbiamo non sono fatti per rilassarci e per godere pienamente dell’amore.
Le nostre agende sono sempre piene di cose da fare, dopo aver lavorato otto ore e averne perse almeno altre due per tornare a casa o spostarsi in qualsiasi altro luogo: andare in palestra, al corso di yoga, portare a spasso il cane, seguire l’assemblea del proprio collettivo, incontrarsi con le amiche dell’università, portare il gatto dal veterinario, lavare la pila di piatti e padelle sudicie, andare dal dentista, rispondere alle mail, fare la spesa settimanale, bagnare le piante, portare ad aggiustare dei pantaloni, andare dallo psicologo, fare la lavatrice, riordinare e pulire, fare la cena o da mangiare per il giorno dopo, parlare su skype con tua sorella che vive all’estero, rispondere alle telefonate o ai whatsapp, depilarti le gambe e i baffetti, controllare la pagella delle/i figli@, partecipare alla riunione di condominio, passare alla posta, andare in banca, portare la bambina a informatica e dopo a inglese, portare ad aggiustare gli occhiali del bambino dall’ottico, portare il computer dal tecnico per farlo aggiustare, fare i conti e sistemare le fatture, studiare qualcosa che ci permetta di crescere o migliorarci professionalmente…

Sì, i nostri obblighi quotidiani sono estenuanti e alla fine del giorno crolliamo sul divano per leggere, vedere la tv o navigare in internet e dimenticarci un po’ le nostre preoccupazioni. In questi momenti forse ci resta solo un’ora utile di vita prima di cadere tra le braccia di Morfeo, e la stanchezza non ci bendispone alle acrobazie in camera da letto con la nostra compagna o il nostro compagno. Secondo la maggior parte delle statistiche, i giorni nei quali le persone si dedicano al sesso sono i fine settimana che, come tutti sappiamo, sono troppo corti per fare tutto quello che una desidererebbe fare: vivere la vita.
Il tempo ci sfugge dalle mani. E lo malediciamo quando ci accorgiamo che sono passati millenni senza vedere la tale amica o senza andare a far visita alla nonna, o senza incontrare la compagnia dell’università. O quando assistiamo a un funerale e ci diciamo: “Cerchiamo di vederci di più, dobbiamo incontrarci anche nelle occasioni allegre”.

La tirannia del tempo che ci sfugge si stempera quando ci innamoriamo selvaggiamente. Ci liberiamo quando l’euforia dell’innamoramento confonde la nostra percezione e relazione con il tempo, come accade con le droghe. Smettiamo di guardare l’orologio, le intense notti d’amore si fanno corte, gli istanti sublimi congelano il tempo e ci fanno etern@.
Sì, l’amore ci fa dee del tempo: sotto l’influsso della passione siamo capaci di assaporare ogni secondo d’amore, acciuffare il presente con le nostre mani, vivere l’ora con una intensità brutale. Il tempo non scorre più allora inesorabile, secondo per secondo verso il futuro, a un ritmo monotono e implacabile. I secondi sembrano ore, le ore minuti: il tempo rallenta (quando aspettiamo una telefonata o il giorno del prossimo appuntamento) o si accelera (quando siamo immerse in momenti d’amor folle), e la vita è più emozionante perché la nostra percezione della realtà si confonde.

Anche il nostro organismo si sconvolge e acquisisce dei superpoteri. La chimica dell’amore è così forte che siamo capaci di passare notti intere senza dormire unit@ alla persona amata, e giorno dopo giorno lavorare e portare a termine i propri impegni come se niente fosse: solo ti tradisce un sorriso permanente sulla faccia, le orecchie arrossate, la pelle luminosa e i capelli lucidi. Di notte ti aspetta un’altra sorpresa, e ti senti capace di tutto: ci riempiamo di energie cosmiche per vivere il presente intensamente.
Quando passa l’ubrichezza dell’amore e torniamo alla vita reale, perdiamo i superpoteri che ci facevano fare l’amore per ore e il corpo risponde male alla mancanza di sonno. Con l’andare dei mesi e degli anni, le coppie si orientano più alle attività sociali che all’intimità, ed è difficile per molti ricostruire questi spazi intimi pieni di magia che fermano il tempo. Sicché, c’è gente che si lamenta che scopiamo di fretta, che scopiamo senza voglia, che scopiamo stanche, che scopiamo poco o non scopiamo affatto.

Se già è difficile ritagliare tempo e spazio da condividere con il/la partner, si immaginino le persone che hanno amanti, o quelle che hanno più compagn@: durante la giornata è quasi impossibile trovare momenti da dedicare all’amore senza guardare l’orologio. Le coppie di adulti possono godere di appena un’ora o due (non c’è tempo per nulla di più), ma anche la gente poliamorosa si trova in difficoltà, perché manca il tempo per avere più compagn@ contemporaneamente: il fine settimana ha solo due notti e tre giorni che volano. Sì, è difficile essere poliamorosa con i tempi che corrono, se vuoi dedicare a tutte le relazioni tempo di qualità, se vuoi godere intensamente della tua vita sociale (la tua comunità, la tua tribù, il tuo vicinato, la tua famiglia), e se hai anche necessità di tempo e spazio da goderti in solitudine.

Viviamo in un sistema produttivo che ci incatena 40 ore settimanali a un lavoro che ci dà un salario generalmente precario (sono molte le persone che fanno 50 o 60 ore settimanali sottraendo ore di sonno o di vita in cambio di niente o di molto poco). Alle imprese non solo diamo molto tempo della nostra vita, ma anche le nostre energie fisiche, mentali ed emozionali. Quant@ di voi hanno dovuto trascinarsi dolorosamente fuori dal letto per andare a lavoro, sentendo che stavate lasciando un po’ di vita nel letto d’amore? Quante persone hanno mai saltato il lavoro perché innamorate o innamorati? Quante volte hai desiderato startene tra le lenzuola a giocare, mentre guardi fuori dalla finestra e conti le ore che ti restano per andartene dal tuo luogo di lavoro? Quante volte hai perduto la concentrazione a lavoro a causa di un amore che ti sta aspettando a casa sua, mentre ti prepara la cena, non riuscendo a finire il tuo lavoro?

Il capitalismo ci ingabbia, anche se non siamo produttive. Al capitalismo non importa se sei ubriaca d’amore, felice, euforica, esultante, arrapata, preoccupata, angustiata, disperata, triste, ansiosa, arrabbiata. Al capitalismo non importa se la tua compagna è in ospedale e tu vuoi accompagnarla e starle accanto. Non importa se devi fare un discorso serio con il/a tu@ compagn@, se soffri per una rottura sentimentale, se vuoi fare compagnia a un’amica o un amico nei momenti difficili. Non gli importa e tu devi andare a lavorare, anche se tua nonna sta morendo. Non gli importa se non hai dormito quella notte a causa dell’influenza di tua figlia o se hai passato la notte godendo lussuriosamente. Tu devi stare lì, adempiere al tuo dovere, anche se non sei produttiva e non rendi niente quel giorno. Se te ne stai per i fatti tuoi è lo stesso. Non puoi permetterti il lusso, in generale, di prenderti alcuni giorni per le tue faccende emozionali, perché allora questo mese non mangi. La catena di produzione non può fermarsi a causa dei tuoi sentimenti e al capitalismo conviene che non si sia troppo felici: la nostra insoddisfazione permanente e il nostro dolore ci rendono più vulnerabili. Cosicché lo sfruttamento delle nostre energie e del nostro tempo è brutale, perché va oltre la questione produttiva. Viviamo in una società repressiva alla quale conviene limitare l’accesso al piacere, all’amore, al gioco e al divertimento. E’ preferibile che ci si diverta consumando, o che si dedichi il proprio tempo al lavoro: l’amore è improduttivo. Poco redditizio.

C’è poco tempo per l’amore, e a volte poche energie. L’innamoramento passionale non è eterno: il nostro cervello e il cuore non possono stare innamorati per anni: è estenuante produrre questo livello di endorfine e anfetamine tutto il tempo. Inoltre il romanticismo resta sempre schiacciato dala tirannia degli orari, della routine, degli obblighi. Molte coppie si disinnamorano perché passano poco tempo assieme: tempo di qualità, tempo senza limiti, tempo per l’amore e l’erotismo.
Oltre a non aver tempo per vivere storie d’amore, non ne abbiamo nemmeno per goderci le nostre figlie e i nostri figli, le persone che amiamo, gli animali domestici: passiamo la maggior parte del giorno fuori casa, producendo per arricchire altre persone che in realtà non avrebbero bisogno di tenerci tante ore lì.

I femminismi reclamano la conciliazione di vita lavorativa e familiare: le otto ore di lavoro quotidiano sono incompatibili con la cura dei bambini, dei malati o degli anziani. E risulta che il 90% delle persone che si dedicano a ruoli di cura nel mondo siano donne. Alcune devono rinunciare all’autonomia economica e al mercato del lavoro, altre si fanno carico di una doppia giornata di lavoro.

Ci sono paesi in cui i lavoratori non hanno diritto alle vacanze pagate (al massimo due settimane all’anno, non pagate), ma ce ne sono altri come l’Islanda o la Svezia che sperimentano nuove misure per migliorare la qualità della vita dei propri abitanti. Nel caso della Svezia, si pensa che non sia il tempo a determinare il livello dell’efficienza lavorativa, ma la motivazione e il benessere delle e dei lavoratori.
E’ stato deciso di introdurre una giornata lavorativa di sei ore senza riduzione di salario, la qual cosa sembra aumentare il livello di soddisfazione, rispetto al lavoro, degli svedesi e delle svedesi; inoltre, migliora la produttività, aumenta il risparmio statale e permette di creare più posti di lavoro. Posso immaginare quanto siano felici le lavoratrici municipali nel conquistare un’ora di vita per amici e amiche, per la famiglia, per la comunità, per gli hobby, per sé stesse, per il proprio tempo di riposo e ozio.

Il tempo è oro: le nostre vite sono molto brevi e abbiamo bisogno di un sistema produttivo più vicino alle nostre necessità vitali, individuali e collettive. Il capitalismo romantico ci regala molti finali felici mentre ci ruba ore di vita: abbiamo bisogno di recuperare il nostro tempo e le energie per goderci la vita.
Necessitiamo di tempo per amare, per godere del piacere in tutta la sua ricchezza. Tempo per ascoltare, per viaggiare, per conoscere, per condividere, per costruire comunità con gli altri. Tempo per aiutare, creare reti, celebrare, apprendere, creare. Tempo per coltivare e nutrire l’unica cosa che sembra dare un po’ di senso alla vita: gli affetti.

Testo originale Sin tiempo para el amor: el capitalismo romántico di Coral Herrera Gómez, da pikaramagazine.com. Traduzione Serbilla, revisione feminoska.

Sentinelle for dummies

Domenica mattina, come molte altre persone, ho contestato la manifestazione delle Sentinelle in piedi, presenti in varie piazze delle città italiane. Ero con le compagne e i compagni mentre una dozzina di persone, dall’altra parte di uno schieramento a quadrilatero di poliziotti in tenuta antisommossa, se ne stava in piedi, in silenzio con un libro aperto, alcuni lo tenevano al contrario, a vegliare nel nome della “morale”.

Le Sentinelle in piedi protette dalla polizia in tenuta antisommossa.
Le Sentinelle in piedi protette dalla polizia in tenuta antisommossa.

Questa che segue è una guida alle Sentinelle, per chi avesse qualche dubbio su di loro.

Le Sentinelle in piedi si ispirano apertamente ai Veilleurs Debout francesi, in italiano Vigilanti in piedi, un movimento contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, e di quel movimento copiano modalità e finalità, oltre che definizioni. Si definiscono infatti “una resistenza di cittadini che vigila su quanto accade nella società e sulle azioni di chi legifera denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l’uomo e la civiltà”, dicono “vegliamo per la libertà d’espressione e per la tutela della famiglia naturale fondata sull’unione tra uomo e donna”, cito dal loro sito, si dichiarano apartitici e aconfessionali.
Riporto le loro parole perché le parole sono importanti. Ma partiamo da uno degli elementi finali. Secondo questo articolo

Il 25 ottobre 2013 il marchio “Sentinelle in Piedi®” è stato depositato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dal sig. Rivadossi Emanuele, che ha eletto domicilio presso la società Jacobacci & Partners S.p.A. di Torino. Presso quello studio di consulenza presta opera in qualità di “partner” Massimo Introvigne, reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica.

La notizia viene confermata anche dal sito riscossacristiana.it e dunque, nonostante a parole si definiscano aconfessionali, nei fatti quello delle sentinelle è un movimento esclusivamente cattolico (Alleanza cattolica è questo) e, dalla fine di ottobre, è anche un marchio registrato, un brand.
Che le Sentinelle abbiano saputo utilizzare i media a loro vantaggio, come fanno normalmente i marchi commerciali, ce ne siamo accort@ tutt@. Il mercato al quale si rivolgono sono i conservatori più retrivi e i sessuofobi più spaventati.

Lo stesso articolo riporta anche i tentativi di appropiazione da parte di Forza Nuova, che ha formato un proprio gruppo di sentinelle, ed è presente con i suoi esponenti a tutte le manifestazioni di “veglia”. Benché vi sia all’interno del movimento cattolico una parte che cerca di respingere i neofascisti.

Come riporta questo articolo

[Vi sono state delle] critiche per impedito ai loro militanti di partecipare con libri come “Omofollia” (che definiscono «appositamente redatto con carattere divulgativo al fine di contribuire alla buona battaglia contro l’ideologia omosessualista») o la rivista “Ordine Futuro”, parlando di «una vera e propria censura, volta ad impedire la visibilità di Forza Nuova all’interno dell’iniziativa».

Possiamo così affermare che quello delle sentinelle è un brand, una marca commerciale, che sa sfruttare al meglio i mezzi di comunicazione; che fa riferimento alla religione cattolica e si trova nell’area di interesse della destra neofascista.
La presenza di alcuni musulmani durante le “veglie”, così come di sedicenti di sinistra, è spiegabile con la comunanza di intenti, intenti che andremo ora a considerare.

La parola sentinella è importante, perché “sentinella” appartiene al lessico militare e posiziona queste persone e le loro intenzioni all’interno di un campo semantico preciso, quello della guerra. Sentinella infatti significa “Soldato armato posto di guardia a luoghi, mezzi, persone”. Autonominatesi o nominate da chi le ha create, soldati e soldatesse, armati di silenzio, vegliano per una guerra, una guerra contro chi? a loro dire contro chi “cerca di distruggere l’uomo e la civiltà”, intendendo con queste parole un’idea precisa di uomo e di civiltà, concidenti con una morale cattolica e neofascista.

Dicono che sono lì “per tutelare la libertà di espressione”. Ma la libertà di espressione è già tutelata nel nostro ordinamento, si ferma solo davanti a fatti ritenuti comunemente pericolosi o ingiuriosi.
Sostengono di essere “a difesa della libertà di espressione messa in discussione dal ddl Scalfarotto”.

Scopriamo cosa dice la proposta di legge Scalfarotto

La proposta di legge Scalfarotto riguarda l’omofobia e la transfobia. Vado a leggere il testo base della proposta e ci trovo, in prima battuta, i concetti di orientamento sessuale e identità di genere, così come sono definiti anche dai manuali di psichiatria, nulla di nuovo.
All’articolo tre si parla di estendere le norme che tutelano le persone da qualsiasi atto discriminatorio, basato sulla nazionalità, l’etnia e la razza, ossia la Legge Reale Mancino del 13 ottobre 1975, n. 654, a qualsiasi atto basato sull’identità di genere e l’orientamento sessuale. Collegandosi, di fatto, a un concetto già presente nella nostra Costituzione all’articolo 3 che tratta dell’uguaglianza di tutti i cittadini.
A questo punto bisogna leggere la legge Reale Mancino, in vigore dal ’75, e le sue estensioni, per cercare di capire dove si minacci impunemente la libertà di espressione delle persone, perché se B estende A, allora bisogna guardare dove è guasta A. In realtà questa legge, come si legge all’articolo 3 della stessa, punisce

chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorita'
o sull'odio razziale

  e

chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a
commettere  o  commette  atti  di  violenza  o  di  provocazione alla
violenza,  nei confronti di persone perche' appartenenti ad un gruppo
nazionale, etnico o razziale.
  E'  vietata  ogni  organizzazione  o associazione avente tra i suoi
scopi  di  incitare  all'odio  o  alla  discriminazione razziale.

Quindi, a meno che non si consideri “libertà di espressione” discriminare le persone per il colore della loro pelle o la nazionalità o l’etnia, oppure costituire un’organizzazione che abbia tra i suoi scopi quello di incitare alla violenza contro persone di etnia o nazionalità o razza diversa dalla propria – ad esempio il Ku Klux Klan – e quindi, per estensione con la proposta di legge Scalfarotto, che inciti alla violenza contro una persona che abbia un’identità di genere o un orientamento sessuale diverso dal proprio; a meno che non si ritenga “libertà di espressione” diffondere idee fondate sulla superiorità e sull’odio di genere, non si capisce in quale modo si limiti la libertà di espressione delle persone (che nel nostro ordinamento non coincide affatto con la libertà di ingiuria) o si cerchi di “distruggere l’uomo e la civiltà” in senso universale.

Ovviamente di ogni cosa si può fare un uso strumentale, come l’uso strumentale che l’etnia maggioritaria può eventualmente fare di una legge contro la discriminazione etnica e razziale nei confronti di una minoranza. Per fare un esempio, l’uso che gli xenofobi fanno del concetto di discriminazione di fronte alle lecite richieste di uguaglianza sociale da parte delle minoranze etniche, e la conseguente accusa di “razzismo al contrario”, pratica e concetto completamente scollegato dalla realtà, come abbiamo imparato anche da questo scritto,  accusa mossa a chiunque faccia richiesta di giustizia sociale. Ogni cosa può essere strumentalizzata, sta alla giurisprudenza correggere le strumentalizzazioni di una legge e alla società civile contenere le spinte manipolatorie.

D’altra parte, quella stessa legge, ha avuto diverse estensioni e nella versione del 25 giugno del 1993 essa tutela anche dalle discriminazioni su base religiosa. Ossia all’articolo 3 la stessa dice

E'  vietata  ogni  organizzazione,  associazione,  movimento  o
gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Non posso, dunque, incitare all’odio contro i cattolici o i musulmani o gli ebrei o qualsiasi credente di qualsiasi religione, perché questo significherebbe mettere in perico la vita delle persone per quelle che sono le loro legittime credenze. Si configurerebbe un reato grave.

Attenzione però, incitare all’odio non significa dire che una determinata organizzazione religiosa evade le tasse, se questo è dimostrabile. Se una tale dichiarazione non è dimostrabile si potrebbe configurare un reato di diffamazione. Appunto la legge tutelerebbe quella istituzione religiosa e le persone che ne fanno parte.

Un uso strumentale del concetto espresso da questa legge è il richiamo alla cattofobia ogni volta che si considera un insegnamento della catechesi niente affatto universale. Un esempio banale, possiamo dire che l’astinenza sessuale rappresenta un valore per la religione cattolica, ma non lo è affatto per tutte le persone. Quindi non si può riscontrare un attacco al cattolicesimo nell’educazione a una sessualità consapevole, la quale non esclude l’astinenza come libera scelta.

Non bisogna dimenticare che l’odio razziale e l’odio religioso, come quello di genere e di classe, sono dei veri e propri ostacoli all’accesso delle persone alle risorse economiche e sociali, come la scuola e il lavoro. Discriminare qualcuno non significa solo non accettare che un nero, un ebreo, un rom, una persona di ceto sociale basso o una donna svolgano un determinato mestiere, ma anche continuare a sostenere, attraverso le strutture socio culturali, la loro inferiorità intrinseca, cioè la loro inferiorità dovuta alla loro natura (i neri sono ritardati perché a loro manca un gene, le donne non ragionano correttamente a causa del ciclo). E questo vale anche per le persone che hanno un orientamento sessuale non corrispondente a quello eterosessuale, ossia le persone omosessuali e bisessuali (esistono anche le persone asessuali), così come chi ha un’identità di genere che non corrisponde a quella comunemente definita come cisgender (qui, qui), ossia una persona che non riconosce come proprio il ruolo di genere che gli o le è stato attribuito alla nascita, cioé le persone transessuali.

Consideriamo a questo punto gli altri due elementi che le Sentinelle in piedi dicono di difendere, quelli mutuati direttamente dai Vigilanti francesi, il matrimonio e  la famiglia naturale.
Mi è capitato di sentir dire in uno dei video che riprendono le dichiarazioni delle Sentinelle, che la famiglia naturale è quella che si rispecchia in Adamo ed Eva. Bisognerà ricordare, anche ai credenti cristiani, che l’Antico Testamento, e quindi il libro della Genesi, ha un contenuto mitico e allegorico, che Adamo ed Eva non sono mai esistiti, non hanno vissuto centinaia di anni e non hanno generato figli che, presumibilmente, si sono uniti tra di loro per generare l’umanità tutta.
Il mito di Adamo ed Eva racconta di una società patriarcale in cui le donne sono destinare all’accudimento dei figli e gli uomini al lavoro, una società in cui, forse, i concetti di violenza famigliare e incesto non esistevano e vigeva una diversa sensibilità, scritti che determinano e rispecchiano in questo modo una separazione netta dei ruoli di genere a partire dalla differenza sessuale (intesa come differenza morfologica degli organi sessuali che genererebbe anche differenze ontologiche).

Cioè, l’osservazione della riproduzione sessuata è all’origine di una struttura sociale arcaica che, a partire da un certo momento, si è diffusa in alcune zone del pianeta. Grazie all’etnografia sappiamo che non tutte le società considerano la differenza sessuale un elemento fondante per la divisione dei ruoli, sappiamo che l’accudimento dei figli può avvenire all’interno di un nucleo ristretto ed esclusivo, come all’interno di una comunità più vasta, che le persone di sesso femminile e quelle di sesso maschile o intersessuali possono svolgere le più varie attività per il sostentamento della propria comunità, da quelle manuali a quelle intellettuali e spirituali.

Senza dilungarci troppo, la famiglia naturale, così come è intesa dalle Sentinelle, non è altro che una tipologia di famiglia, tra le altre e che si affianca a esse.

Bisogna specificare, ed è molto importante, che il richiamo costituzionale alla “famiglia naturale”, art.29 della Costituzione italiana, non ha il suo fondamento in questa visione confessionale, anzi, tutt’altro. La famiglia naturale come la intende la Costituzione, è quella razionale, ossia quella che si da nella realtà, al di là di qualsiasi ideologia che cerchi di condizionare il vivere in comune delle persone. Infatti, il concetto di famiglia condiviso dalla collettività non corrisponde già a quello di presunta “famiglia naturale” come è intesa dalle Sentinelle, per di più fondata sul matrimonio che è una istituzione storicamente determinata, un artificialia. Esiste una tipologia, tra le altre, di famiglia che si riscontra frequentemente nella nostra società, ma che si rimodella costantemente a seconda degli eventi.
Se davvero una famiglia fosse esclusivamente fondata sull’unione di una donna e un uomo, ogni vedovo e ogni vedova si troverebbero nella condizione di doversi immediatamente risposare, pena il non essere più una famiglia, nemmeno alla presenza di numerosi figli, fratelli, cugini, nonni.

Non è unicamente una famiglia quella composta da persone unite dal contratto di matrimonio. Ad esempio io, Serbilla, vivo con persone mie consanguinee, ma non sono sposata con loro, e pure siamo una famiglia, nel nostro sentimento e per la legge.

Non esiste nemmeno la necessità di essere consanguinei per poter definire il proprio nucleo associativo con la parola famiglia, basta che delle persone abbiano un legame affettivo e si trovino a condividere un progetto di vita in comune.

Il Padrino: l'album di famiglia.
Il Padrino: l’album di famiglia.

La rigidità dell’idea di famiglia naturale fondata sul matrimonio eterosessuale, proposta dalle Sentinelle, si scontra costantemente con la realtà degli stessi suoi sostenitori, dato che ad accedere al divorzio non sono certamente solo gli atei o gli acattolici.
Nessuno vieta a queste persone di vivere secondo la loro idea di famiglia naturale, sarebbe una discriminazione.

L’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso non comporta alcun pregiudizio per la pratica del matrimonio in sé, anzi, la rafforza e avvalora come legame significativo.
Nessuno, poi, vieterà alle persone eterosessuali di sposarsi, dato che si tratta di una estensione del diritto a persone precedentemente escluse per via di una discriminazione su base sessuale;  semplicemente potranno farlo anche le persone dello stesso sesso, quelle che decideranno di contrarre il contratto di matrimonio e di ufficializzare la loro unione di fronte alla collettività.

Una nota per quelli che temono di vedere matrimoni interspecie. Il matrimonio è un contratto che può essere stipulato esclusivamente sulla base della consensualità, infatti durante le dichiarazioni si chiede un “sì” nel pieno della propria volontà.
Per quanto una persona e un cane possano sentire di essere una famiglia, per il legame affettivo che li lega, non potranno mai contrarre matrimonio, perché il cane non può acconsentire con esplicitezza, di fronte alla legge, a contrarre matrimonio.

Il passo successivo è ovviamente l’omogenitorialità. Le Sentinelle affermano che un bambino debba essere cresciuto da una madre e un padre, continuando a fare affidamento a quell’idea di famiglia naturale che parte da Adamo ed Eva.
Nella realtà quotidiana ci troviamo continuamente davanti a famiglie composte nel più vario modo, in cui i bambini crescono sani e felici, grazie alla soddisfazione delle loro necessità affettive, educative e di sostentamento. Voi potreste garantire, mano sul fuoco, che esclusivamente i bambini che hanno un padre e una madre sono felici?
Volete vedere come sono le famiglie omoparentali? Nel sito delle famiglie arcobaleno  di storie ce ne sono diverse, un punto di riferimento è anche AGEDO.
Vi riporto il comunicato stampa diramato dall’ordine degli psicologi a seguito delle dichiarazioni della ministra Lorenzin sulla famiglia omogenitoriale:

“Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato e sereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive.” Da tempo infatti ‐ spiega Giardina ‐ la letteratura scientifica e le ricerche in quest’ambito sono concordi nell’affermare che
il sano ed armonioso sviluppo dei bambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso.
La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale ed affettivo.
Ritengo pertanto ‐ conclude il presidente ‐ che bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero ‐ composte senza discriminazioni
e condizionamenti ideologici”.

Bastano cinque pubblicità in cui due donne o due uomini fanno colazione coni propri figli in una bella casa con giardino e la società comincia a cambiare idea. Perché le narrazioni sono importanti, infatti anche la campagna mediatica delle Sentinelle si regge su alcune narrazioni, che poi non corrispondono alla realtà dei loro intenti.

Vedete, la realtà è che “Negli ultimi quindici anni sono stati documentati comportamenti omosessuali che vanno dai giochi sessuali a comportamenti genitoriali in coppie omosessuali in circa 1.500 specie“, è quindi molto molto difficile continuare a considerare “innaturale” la famiglia omogenitoriale e la stessa omosessualità. A dire la verità, anche il cambio di sesso è diffuso nella natura naturale.

Veniamo quindi allo svelamento dei presupposti, cioé all’acqua calda – ma questa è una guida alle Sentinelle for dummies.

La cancellazione della legge Reale Mancino di cui ho scritto poco più sopra, quella che identifica e punisce i crimini di odio, e la cancellazione della legge Scelba, che vieta la ricostituzione di un partito fascista, fanno parte del programma politico di Forza Nuova.
E’ ovvio quindi che essi cerchino di sfruttare a loro vantaggio il brand Sentinelle in piedi.

Questa non è una guida al fascismo for dummies e do per scontato che sappiate perché è così importante essere antifascisti.

 A dispetto delle dichiarazioni di intenti di alcuni rappresentanti del brand (amore, libertà, rispetto e giustizia), le reali finalità di queste persone sono la discriminazione e l’oppressione di una parte dell’umanità. La loro si configura come una resistenza alla tutela della libertà affettiva degli esseri umani. La libertà di parola che essi vogliono difendere coincide con la libertà di igiuria e di istigazione all’odio, entrambe sanzionate dalle leggi e contrarie alla Costituzione. Le loro manifestazioni, benché si svolgano in modo silenzioso e composto, sono atti intimidatori verso la società civile e i legislatori che intendono adeguare alla realtà della collettività l’ordinamento giuridico.

Tolta la maschera della Sentinella, un partecipante dà gratuita dimostrazione del proprio concetto di libertà di parola. Immagine tratta da Google.
Tolta la maschera della Sentinella, un partecipante dà gratuita dimostrazione del proprio concetto di libertà di parola.
Immagine tratta da Google.

A questo punto bisogna domandarsi perché noi, domenica mattina, siamo stat@ respint@ dalla polizia, e loro che affermano concetti contrari alla Costituzione e alle leggi italiane, e rappresentano un pericolo per la società, erano protett@.
Perché noi dobbiamo subire minacce fisiche, come è evidente da alcuni video in cui uno dei rappresentanti delle Sentinelle a Napoli, ci minaccia con una spranga, e loro vengono scortati.

La libertà che vogliono queste persone è quella di poter continuare a dire “ricchione” o “invertito”, come fa una delle Sentinelle a Napoli, nello stesso video, impunemente, più o meno come si può definire troia una ministra.

Leoni Gay. Quando il re della foresta se la fa con un altro re della stessa foresta.
Leoni Gay. Quando il re della foresta se la fa con un altro re della stessa foresta o della foresta vicina. Scopri di più qui.

Mentre ero in strada mi è tornato in mente un epitaffio di Kipling che lessi al liceo, riguardava la Grande Guerra, diceva così:

Faithless the watch that I kept: now I have none to keep.
I was slain because I slept: now I am slain I sleep.
Let no man reproach me again; whatever watch is unkept—
I sleep because I am slain. They slew me because I slept.*

In questo scritto, intitolato Sleepy Sentinel, la sentinella parla di sé stessa e racconta di essere stata uccisa perché dormiva durante la guardia, adesso che è morta dorme e nessuno può più rimproverarla per una guardia non fatta. Alcuni suppongono che sia morta ammazzata dal fuoco nemico, i tedeschi, perché sonnecchiava in trincea, in realtà la sentinella è stata ammazzata dal proprio esercito, per aver disobbedito agli ordini ed essersi addormentata in servizio, punizione prevista dallo Stato maggiore inglese.

La poesia di Kipling è molto ironica e l’associazione con la sua figura non è casuale, anche se le Sentinelle non hanno certamente il carisma della poesia. La fede di Kipling nel colonialismo, l’idea che l’Inghilterra avesse il diritto di impossessarsi del mondo in ragione della propria superiorità razziale, la presunzione del ruolo educativo e morale del colonizzatore, si ritrovano perfettamente nella violenza delle Sentinelle e di chi le supporta.

Se qualcuno ha ancora dei dubbi può esprimerli nei commenti.

P.S.
Solidarietà a MadonnaLiberaProfessionista, io sto con te.

Maternità e identità Trans

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di Frieda Frida Freddy, transfemminista (e lesboterrorista) in cammino. Traduzione e revisione di Serbilla, Elena Zucchini e feminoska.

Il giorno in cui mi dichiarai Trans fu il giorno nel quale vidi e compresi chiaramente che non mi era necessario, né vitale, essere donna o uomo per esistere. Ancora di più, capii perfettamente che non desideravo in alcun modo esserlo per ancorarmi in una delle due categorie sociali, poiché mai mi ero sentit@ felice o a posto in nessuna delle due. Mi rinominai Frieda perché sono più femminile che mascolina, e perché comprendo che mascolinità e femminilità sono solo due poli di indottrinamento che non determinano nulla, e tanto meno definiscono questo “essere uomo” o “donna” che si conoscono nel nostro mondo sociale. Inventai pertanto questo nome, per il potente dittongo che per me rappresenta il ponte sulla dicotomia dei generi, il mio transitare tra Frida e/o Freddy che sono il passato al quale sono stat@condannat@: ragazzo o ragazza. E dal quale sono fuggit@…

E dunque ora sono liber@, sono Trans. Non transgenere né transessuale. Vedete: c’è una percezione diffusa secondo la quale essere trans significhi, diciamo, nascere A e trasformarsi in B, o nascere B e desiderare di essere A. Come dire, nascere biologicamente “uomo” (per via del pene, che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come una donna. O viceversa. Nascere biologicamente “donna” (per via della vulva che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come un uomo. Senza dubbio questo avviene spesso, ma non rappresenta tutte le esperienze.

Quanto detto significa trasgredire, oltrepassare una categoria di genere perché non c’è mai stata appartenenza né identità con i ruoli che sono stati assegnati; significa respingere una costruzione sociale che è stata imposta da una divisione caratterizzata da un tratto genitale, e sicuramente questo è trasgressivo, ma questa pratica continua ad inserirsi in un codice binario. E con questa affermazione non intendo screditare né attaccare chiunque abbia fatto tutto il possibile per modificare completamente il proprio corpo o le proprie apparenze tramite gli ormoni o la chirurgia e che ora si sente a proprio agio con ciò che è o sembra, poiché il solo fatto di sfidare il genere e transitare completamente da A a B, o viceversa, mi pare degno di tutto il rispetto e l’ammirazione di chi si ribella.

Ma io non desidero questo per me. Io più che trasgredire o oltrepassare (e non restare quello che ero), desidero far esplodere i generi. La mia lotta quotidiana è contro la dicotomia di genere, contro la sudditanza. Per questo mi dedico al transfemminismo. Non voglio imprigionarmi nel genere, o nei ruoli, né rafforzarne gli stereotipi. Voglio andare avanti e indietro, fluire, fluid@ come la mia stessa sessualità (nel senso più ampio, non riducendola a mero atto sessuale); la mia sessualità che è viva, e vive con me. Perché voglio imbrigliarla? Perché ho ​​intenzione di soggiogarmi? Non devo farlo. Non sono tenut@ a farlo.

Non mi imprigionerò nella dicotomia di genere, o in qualsivoglia orientamento sessuale. Io vado e vengo. Per questo mi dichiaro Trans come trasformazione dell’idea egemonica, Trans come attraversare l’eteronormatività, Trans come trasgressione al genere e tutto ciò che comporta. Trans che trasgredisce l’obbligo, che annulla l’ordine. Nat@ A e non sarò mai B, ma che la A si fotta. Possiamo essere X o Z, H o T, o un po’ di tutto questo, o qualsiasi cosa ci passi per la testa. A volte essere anche un pò’ B, e poi basta, per esempio. O essere mostr@. O essere non essendo.

E per coloro che a questo punto del testo, stanno già pensando che sono confus@ e in realtà sono queer, ripeto, io sono Trans e per la decostruzione – distruzione della dicotomia di genere metto oltre al mio discorso, il mio corpo. Ho deciso di impiantarmi delle protesi al seno, sto risparmiando per questo. Seni per una decisione politica, come atto performativo. Non quei grandi seni rotondi, “con i quali non ho avuto la fortuna di essere nato”, per diventare femminile al cento per cento, e quindi “la donna” (come logicamente si pensa), ma piuttosto desidero quei seni per confondere, per abitare lo spazio pubblico così profondamente normato e trasgredirlo, terrorizzare. Non sono neanche interessat@ a dimagrire o comprare abiti alla moda, o camicie scollate; il mio atto sarà anche di post-travestitismo.

Con l’operazione ai seni il mio corpo diventerà un luogo espropriato al sistema (che per primo me lo ha rubato con i suoi obblighi), un’arma di distruzione simbolica. Quindi quello che voglio raggiungere attraverso la chirurgia non è un modello di bellezza patriarcale, ma una performance vivente che si muove nel mondo e porta il terrore Trans in tutti gli spazi, le strade, le città. Questo rappresenta la mia autodeterminazione e la mia scelta, come nel caso della donna dal sesso e genere coincidenti ed eteronormati quando decide di essere “madre”. Ma cosa succede dunque a queste decisioni riguardanti il proprio corpo e prese liberamente, nella stessa società, nel medesimo mondo sociale?

Succede che quando io affermo di essere Trans e racconto della mia decisione di modificare il mio corpo, il mondo mi vede come un appestat@, come un@ folle, mentre la donna incinta è vista come trionfatrice, come se si trattasse del più grande successo nella vita. A lei si assegna un riconoscimento sociale e a me il pubblico ludibrio. Alle donne incinte costruiscono un piedestallo sociale e cominciano a vederle così fragili come se si dovessero rompere, mentre la maggior parte dei transessual@, trans e transgender vede crollare la stima e i legami sociali, buttati fuori dalle proprie case in una società che chiude loro le porte in faccia in quasi tutti gli spazi pubblici. Quando una donna decide liberamente di restare incinta, partorire e crescere dei bambin@, il mondo diventa un luogo pieno di elogi, auguri, benedizioni, dolcezza, complimenti, tutt@ non si stancano mai di lodarla, mentre per le persone trans che hanno deciso e scelto liberamente di fare qualcosa con il proprio corpo e con un progetto di vita, le prese in giro non cessano mai, né gli insulti, l’invisibilizzazione, le battute, gli sguardi di disapprovazione, gli abusi verbali e anche fisici.

Nel caso della donna incinta, la famiglia e gli amici – e la società in generale – si prendono il compito di supportarla e prendersene cura, la mandano dal medico e lo Stato la riceve gratuitamente attraverso i controlli prenatali e gli attivisti la sostengono di fronte alla violenza ostetrica (ma dei tassi di natalità elevati e violenti nessuno dice niente).

Allo stesso modo, quando la persona trans comincia ad assumere ormoni o sta per sottoporsi ad un intervento chirurgico, le famiglie, gli amici e la società in generale si fanno meno presenti, la accusano, e lo Stato la riceve con lo psichiatra, che dovrà riuscire a convincere della propria decisione di transitare. Il settore sanitario la accoglie, anche se il più delle volte con disprezzo e abusi, trattandol@ come deficiente e senza dare ascolto ai suoi sentimenti, solamente somministrando iniezioni di ormoni o farmaci (quando ce ne sono), della serie: se non desideri essere un uomo, tieni, diventa donna! O viceversa. Tutto in fretta e furia, senza chiarire quali siano gli effetti collaterali dell’abbassare o alzare i livelli di testosterone o estrogeni in maniera repentina. E questo nelle poche città dove esistono leggi che lo consentono. Se non ce ne sono, le/i trans dovranno pagare tutto di tasca propria, come possono. Dovranno permettersi trattamenti e interventi chirurgici completi, e se non hanno i soldi, l’olio da cucina o l’antigelo per auto aiuterà a far crescere un po’ le natiche o i seni. Qui tutti se la cavano da sol@ e cercano di sopravvivere, nonostante le relazioni annuali, in cui gli attivisti esprimono la loro preoccupazione per i diritti sessuali di ogni singola persona nel mondo e predicano “progresso”.

Quando decido e scelgo di essere Trans, tutt@ mi diagnosticano, senza essere medic@: soffro di “disforia di genere”, sono malat@ di mente e pazz@. Lo dice la scienza e l’OMS l’ha pubblicato nella sua lista delle malattie mentali. Nessun@ parla di violenza culturale, né di cultura della violenza contro di me e la mia libera scelta, perché quello che faccio è “anormale “, naturalmente, mentre quello che fa la donna incinta non è solo “normale” ma anche “la cosa più naturale del mondo”. Questo il quadro a grandi linee. E io non mi sto vittimizzando nel fare queste analogie. Più avanti chiarirò questo punto.

Ciò che la donna incinta sta davvero facendo (per libera e consapevole che sia la sua decisione), è rafforzare ulteriormente la riproduzione di un sistema eteronormativo, un regime eterosessuale che non è orientamento come ci viene detto, ma un sistema di irregimentazione del mondo sociale, controllore dei corpi e delle vite; quello che sta facendo è seguire rigide regole apprese che stigmatizzano e spesso condannano altre biodonne come lei come “mezze donne, donne incomplete o sbagliate”, perché “non si realizzano attraverso la maternità.”

La scelta libera della donna incinta trascende il personale e si ripercuote negativamente anche a livello politico. Rafforza un mondo sociale che sta massacrando me come molte altre persone dissidenti sessuali, compresa lei stessa, ci sta uccidendo letteralmente (femminicidio, transfemminicidio). Allo stesso modo, quello che faccio con la mia decisione libera è fottermene dell’eterosessualità e delle altre finzioni politiche, delle imposizioni sociali, del regime eterosessuale, distruggerlo, decostruirlo, perché questo sistema semplicemente non è ‘normale’ o ‘naturale’.

Perché in tutto il mondo lo Stato sostiene economicamente la gravidanza, anche nel caso di donne non lavoratrici? Perché gli conviene. Si tratta di un investimento a breve termine in questo modello globale di produzione e consumo. Gli conviene continuare a riprodurre il modello di famiglia e, quindi, ottenerne manodopera a buon mercato e produzione di massa; serve anche a mantenere le persone educate, normate, tranquille, passive e apatiche, immerse nella telenovela dell’amore romantico e del “e vissero felici e contenti”. Dopodiché famiglia e Stato, insieme, manterranno più facilmente controllat@/oppress@ le/i dissidenti sessuali, pianificando di catturarli per normarli, smontarli o sterminarli.

Nel modello di produzione-consumo si costruisce anche la Famiglia, che non è l’unico agente di socializzazione, ma il più significativo. Questo modello sostiene la moralità, la buona coscienza, la coercizione, il dominio, la repressione, la violazione dei diritti umani fondamentali e delle garanzie individuali, è un modello di ricatto emotivo-sentimentale ed economico. La famiglia, oggigiorno riprodotta ugualmente dagli omosessuali misogini e maschilisti e dalle lesbiche patriarcali, è un modello oppressivo che funziona in modo molto visibile attraverso botte, insulti e abusi, o forme delicate e sottili come: “figli@ mio, devi raccontarmi tutto e dirmi ogni passo che fai perché siamo la tua famiglia e tra noi c’è fiducia, vero?”. Oppure: “io ti controllo e ti dico come fare le cose solamente perché ti amo e mi preoccupo per te, faccio tutto per il tuo bene, ti rispetto.”

La chiamano ” educazione”. E con essa violano pesantemente la privacy di ogni membro della famiglia: un legame di sangue non rende un oggetto di proprietà. Ma sì, queste forme saranno sempre camuffate da tanto amore, devozione, buone intenzioni e preoccupazione, perché è per questo che esiste “l’amore familiare”.

Esiste una negazione consapevole del fatto che la famiglia (e lo Stato) diano ordini e puniscano chi non li rispetta; il loro irrazionale potere autoconcepito gli fa credere di avere l’autorità che serve per poterlo fare. Le famiglie controllano, soffocano, a volte lentamente, a volte in poche, rapide mosse. È chiaro che lo Stato non smetterà di produrre famiglie, ma le persone possono smettere di farne parte, scegliendo di non esserlo, non semplicemente cambiando loro nome: famiglie diverse, nuove famiglie, altre famiglie, due mamme, due papà, una madre single. Non vedo nessuna lesbica mettere vestitini ai propri figli. Vedo invece molte donne incinte chiamare principessa il feto “donna”, o “mio re”, guardando l’ecografia, per esempio.

Questa stessa negazione consapevole fa sì che si arrivi a dire che lo Stato “ha firmato e riconosciuto” i diritti sessuali e riproduttivi per dare, a tutta questa diversità sessuale eterosessuata (ma non dissente), ciò che stava chiedendo e quindi tenerla buona, di modo che la smettesse di dare fastidio. Bisogna essere consapevoli di quanto possa essere manipolatore un apparato di governo, come lo Stato, che ha dato prove più che sufficienti di quanto meschino, invadente, corrotto, ricattatore, dispotico e infido sia.

Smettere di creare famiglie, però, è qualcosa di semplicemente impensabile per la maggior parte delle persone. Cos’altro potrebbero fare, se non quello che hanno interiorizzato alla perfezione sin da quando sono nat@? Ma allora che ne è di tutte quelle persone che si dicono femministe, e parlano in continuazione delle proprie preoccupazioni sulla violenza di genere e sulla violenza contro le donne? Coloro che citano tanto Foucault e la storia della sessualità volume uno, due, tre, e non si levano dalla bocca il biopotere e la biopolitica, arrivando a dormire con la foto di Simone de Beauvoir sopra la testata del loro letto a due piazze? Il loro eterocentrismo si vede fin dalla luna. I loro discorsi contraddittori dimostrano la loro incapacità di smettere di fare ciò che alla fine dei conti aggredisce e stigmatizza le stesse persone che dicono di sostenere. Staremo mica battendo l’eteropatriarcato capitalista?

Fare del femminismo istituzionale, metter su famiglia e fare richieste a uno Stato che incarna la figura paterna (maschio protettore, padre benefattore) è semplicemente la prima di questa grandi contraddizioni. Eppure si piccano di essere totalmente consapevoli e deseteropatriarcatizzate, parlano di parità di genere, fossilizzandosi, tanto per cambiare, in una dicotomia carceraria.
Tirano su solo bambini e bambine; si riempiono la bocca di parità e di quote; inseriscono grandi donne, libere pensatrici e grandi artefici, in un sistema marcio che finisce per assoggettarle, contaminandole con la sua peste e obbligandole a lavorare alle sue regole e alle sue condizioni. Il problema non è la mancanza di capacità, bensì il modello a cui fanno riferimento. Ma si rifiutano di accettarlo. Si offendono se glielo si fa notare. Non gli bastano le dimostrazioni quotidiane, per strada o negli spazi pubblici. È più importante compilare il modulo, tenere sotto controllo le spese, potersi fare un selfie agli incontri internazionali. Alla fine “è già qualcosa”, dicono.

Per cui, come avrete inteso, quello che sto scrivendo non è un tentativo di vittimizzarmi per chiedere allo Stato di smetterla di trattarmi come una cittadina di serie B: io non voglio niente da lui a livello personale, né sto chiedendo alle femministe attiviste istituzionali di prendersi “maternamente” cura di me durante la mia rinascita Trans. Il mio transfemminismo è anarchico, radicale e autogestito. In ogni caso il fatto che stia suggerendo che lo Stato non dovrebbe sostenere economicamente le gravidanze e ciò che implicano è solo un piccolo contributo che voglio dare, una sorta di omaggio. Chi vuole un figlio che se lo paghi e se lo mantenga a partire da una pianificazione della propria libera scelta. Che sia un suo lusso. Che la si smetta di usare le tasse di tant@ trans per cose di questo tipo, sarebbe anche l’ora di finirla di farci pagare persino la transfobia che subiamo sulla nostra pelle. O per lo meno che, chi vuole diventare “madre”, passi attraverso i colloqui psichiatrici per spiegare il perché di questa sua decisione, in modo da convincere la scienza e l’OMS del perché è sicura di poter partorire, allevare ed educare una nuova persona. L’unico argomento della totale dedizione, della protezione e della premura, radicato in un ruolo di genere inventato, non dovrebbe essere sufficiente. Si tratta meramente di un mito romantico, basato sul regime eterosessuale: pensare che molto amore e molte cure renderanno tutto possibile è solo quello che le è stato fatto credere.

In conclusione, per chiudere qui la mia dissertazione, voglio chiarire alcune cose, visto che una delle lacune del sistema educativo scolastico riguarda proprio la comprensione scritta, e io sono molto stanca del fatto che si dica che io ho detto questo o quello. Per cui questo testo, come avete letto, è totalmente antimaternità, certo, ma non ho scritto da nessuna parte che dovreste smettere di restare incinte e partorire. Quella che sto facendo, qui, è una feroce critica per segnalare qualcosa che pare nessuno voglia dire per paura di suonare politicamente scorrett@, compromettere il proprio curriculum o essere tacciat@ di violenza, di non essere solidale o di aver smesso di esserlo e perdere di conseguenza il sostegno, l’alleanza, essere espuls@ dal collettivo, dalla ONG, fare brutta impressione, o non ricevere più il saluto “fraterno e sorridente” di altr@ compagn@.

Ciò che voglio dire con questo scritto, parlando di quelle che decidono, scelgono e desiderano la maternità e di formare una famiglia, è che si smetta di diffondere nel mondo la chiacchiera per cui una gravidanza, la maternità e il formare una famiglia rappresentano il top, il massimo del massimo, perché anche con i discorsi, il linguaggio e le proprie sciape sensazioni si continua ad alimentare e ricostruire all’ infinito i ruoli di genere nella società.

Ciò che affermo è che bisogna smetterla di raccontarsi fiabe rose e sdolcinate e di comprare happy meal Mcdonalds, e ci si assuma con onestà le atroci responsabilità sociali che implicano la gravidanza, il parto e l’allevamento dei figli@, in un contesto così fortemente capitalista ed eteropatriarcale come quello descritto, e che ci si renda conto, una volta per tutte, che la “libera scelta” di alcun@ non ha luogo nella coppia, né tra le quattro pareti del proprio nido d’amore, né è appannaggio della donna sola, o accompagnata, che decide di farlo: una gravidanza oltrepassa tutto questo e collabora direttamente con il sistema che ci fotte tutt@.

desde el mismo nacimiento la intersexualidad, y después en la socialización del género a la transexualidad, bajo el yugo heterosexual, ¡ahí te encargo!

Io Frieda affermo che la dovete piantare di rispettarmi seguendo la logica del “io non ho alcun problema con le persone trans”, dalla vostra schiacciante posizione di normalità. E di quell@ che, sotto il giogo eterosessuale, tirano su solamente uomini e donne, omettendo dalla stessa nascita l’intersessualità, e successivamente dalla socializzazione di genere il transessualismo: io vi sfido!

Perché siamo le/i trans che la dicotomia di genere non ha potuto normare. E siamo qui, e non staremo zitt@, né ci nasconderemo in un qualche luogo oscuro di modo che le/i vostr@ piccolin@ non si spaventino o “contagino” in qualche modo.

L’importanza dell’aborto, tra diritto negato e strumentalizzazioni

ph Unknown
ph Unknown

Chi legge questo blog probabilmente già è al corrente del fatto che per promuovere il proprio libro Mario Adinolfi ha fondato, nel nome della mamma, dei circoli. Uno scritto e dei circoli contrari ai diritti umani, nello specifico contrari al diritto a un aborto in sicurezza, contrari al diritto a non subire discriminazioni in base al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere, e contrari al diritto di poter morire senza subire accanimento terapeutico.
Le stesse idee misogine, omofobe e autoritarie espresse negli anni passati da Giuliano Ferrara, dalle destre (e pseudosinistre) più o meno organizzate in partiti, movimenti e associazioni, assieme a fanatici religiosi di ogni credo e credenza. In difesa di una presunta “famiglia naturale”. “Famiglia” significa “comunità umana” e, in quanto tale, non può essere “naturale”, con lo stesso significato che diamo all’aggettivo “naturale” quando lo usiamo per descrivere le piante; ormai non esiste neanche più il “paesaggio naturale”, dato che anche ciò che appare come frutto della natura è, in qualche modo, stato oggetto di modificazione da parte dell’essere umano; anche un prato è un paesaggio antropizzato. Il concetto stesso di paesaggio o di pianta è antropico, culturale. La famiglia è, unicamente, culturale. Essa assume forme diverse a seconda del momento storico, in base al quale può fondarsi su valori del tutto estranei alla contemporaneità di chi scrive. Siamo ai fondamentali del ragionamento attorno all’essere umano.

Purtroppo queste persone hanno già segnato punti a loro favore nel momento in cui ci occupiamo delle loro uscite populiste, della loro bassezza umana e pochezza culturale. In più, spararla grossa per creare scompiglio, è una tecnica di imbarbarimento del dibattito, in questi casi il dibattito non esiste nemmeno, siamo ben oltre.

Siamo oltre se una ragazza di diciannove anni se ne sta seduta nella sala di attesa del padiglione di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Martino di Genova, le è stato dato il farmaco per indurre l’aborto. Lei non lo sa ma il medico è obiettore, le infermiere non si interessano al suo caso e per le prossime ore sarà invisibile. A fine giornata dovrà chiamare la polizia per ottenere l’assistenza medica che le spetta di diritto dal Servizio Sanitario Nazionale.

Siamo oltre se una ragazza di venti anni, incinta di circa sette mesi, va ad abortire in una struttura non accreditata dal Servizio Sanitario Nazionale. Lei forse non lo sa ma per la legge è infanticidio (o lo sapeva ma ha voluto rischiare lo stesso, perché se vuoi abortire lo fai e basta, a rischio della vita e della pena prevista dalla legge). Durante i prossimi mesi la sua vita sarà sotto il microscopio, verrà condanna a una pena detentiva, assieme ai complici, il medico e l’infermiere che le hanno interrotto la gravidanza, a chi ha occultato il fatto.

Due storie tra le tante. Mettiamo in discussione il Servizio Sanitario Nazionale, a cosa serve se non fornisce alcun servizio? Se quello che fornisce non è omogeneo sul territorio? Se è afflitto dalla piaga dei nullafacenti – come chiamare altrimenti una persona che percepisce uno stipendio ma non svolge le mansioni per cui è stata assunta? Qual è l’etica del Servizio Sanitario Nazionale? La strada intrapresa è quella di una sanità privata? Allora perché un ginecologo e un infermiere che “privatamente” hanno “aiutato” una donna in difficoltà devono subire una pena? Quale coscienza hanno tutte le persone che lavorano nella sanità? Qual è il compito di un medico? E di un@ infermier@? Che ce ne dobbiamo fare della Legge 194? Siete convinti che la vita si difenda obiettando? Siete convinti che gli aborti si riducano lasciando le donne in una corsia d’ospedale ad aspettare per ore un controllo? Di che cosa parlano queste persone? Dove vivono?
Il medico che si è rifiutato di seguire la ragazza a Genova è stato denunciato, ma la catena di responsabilità non sembra essere chiara.

La scelta di interrompere una gravidanza è oggetto di messa in discussione costante, un fatto scottante, più importante della mancanza di lavoro, della difficoltà ad avere relazioni di valore, della malattia, più importante della morte stessa di quella parte di umanità che chiamiamo donne.

Abortire è un peccato che non si può perdonare, ci fanno intendere. L’aborto “è sempre un dolore”, l’aborto “è una scelta difficile”, per altri l’aborto “è una scelta facile”, l’aborto “non può essere banalizzato”, l’aborto “deve essere regolamentato”, per fare un aborto “bisogna essere coscienti di ciò che si sta facendo”, per fare un aborto bisogna avere “una motivazione valida”, l’aborto è “la negazione della vita”. Ma un aborto è solo un aborto, cosa vi spinge a pensare che sia qualcosa di così importante e speciale, per voi che non lo state facendo? Credete che l’umanità finirà perché alcune donne abortiscono? Credete che i feti abortiti rimpiangano di non essere nati? Credete che le donne che abortiscono non siano vita?
Un aborto ha sempre un significato, per chi lo fa, ma non è detto che sia quello che vi immaginate. E, quale che sia quel significato, l’unica cosa importante è che si tratta di una pratica medica, che deve svolgersi in sicurezza perché, se per voi la vita è davvero importante, allora l’obbiettivo è ridurre il rischio che una donna entri in ospedale con i propri piedi e ne esca in una bara.

Parlare di aborto dovrebbe essere come parlare di colecisti. Come tutti gli interventi, dall’asportazione delle tonsille alla colecisti, prevede un rischio e quindi andrebbe evitato, ma se una persona si trova in ospedale è perché evidentemente è giunta al punto di dover effettuare l’intervento, da lì merita un’assistenza continua, rispetto e comprensione, esattamente come tutt@ gli/le altr@ degenti.

Non ci sono “mamme” come categoria a parte alle quali appellarsi. Le donne sono singole persone, alcune sono anche madri, alcune sono anche lesbiche, alcune sono anche trans.

Aborto. Una storia di scarsa importanza

La metropolitana era affollata come al solito. Alessandra raggiunse uno spazio rimasto miracolosamente vuoto tra una porta e un tubolare, vi si sistemò stringendo a sé la borsa con la biancheria e la copia della cartella clinica. Il day hospital era andato bene, non avvertiva nessun dolore particolare, era solo un po’ stanca. Si chiuse nei propri pensieri, girava attorno all’idea del prossimo viaggio all’estero, doveva scaricare la cartina della metro da quel sito così utile. Si sentì toccare un braccio.
Un ragazzino sui tredici anni, riccioluto e già afflitto dall’acne, le stava cedendo il posto, chiamandola “signora”, probabilmente costretto da sua madre, la donna che gli sedeva accanto e le faceva cenno di sì con il capo.
Ogni volta che qualcuno la chiamava signora si sentiva in imbarazzo. Quanti anni di differenza potremmo avere io e te ciccio? Sgusciò tra i passeggeri e si sedette ringraziando sia madre che figlio annoiato. E’ troppo grande d’età per sedersi sulle cosce di mamma e troppo giovane per darsi un contegno, pensò.

“Viene dall’ospedale?” le chiese la donna. “Ho abortito” disse Alessandra mentre si sedeva. La donna annuì sorridendo. “Anche io l’ho fatto un paio di volte, una prima di lui e una dopo. Abbiamo voluto solo questo” disse indicando il figlio.
“Avevo preso la pillola ma è andato storto qualcosa.”
“Purtroppo a volte succede, l’importante è che ora stia bene. ”
“Sì si, sono solo stanca, ma è andato tutto bene.”
“Mio marito ha fatto una vasectomia, non voleva che dovessi subire altri interventi, la chiusura delle tube è più complessa come procedura.”
“Me l’hanno detto.”

Due fermate più tardi la donna e il ragazzino scesero salutandola, la metro si stava svuotando rapidamente. Alessandra abitava quasi al capolinea.

Un bicchiere e una risata per Riccardo

Pieter Bruegel il Vecchio, "Paese della cuccagna" (Luilekkerland), olio su tavola, 1567.
Pieter Bruegel il Vecchio, “Paese della cuccagna” (Luilekkerland), olio su tavola, 1567.

La notizia, immagino, la sappiate: Riccardo Venturi, tra pochi giorni, avrà l’udienza preliminare per il reato di “Attentato all’onore e al prestigio del Capo dello Stato”.

Le sue parole che raccontano fatti e pensieri sono qui. L’attentato che ha scatenato l’apparato di potere e i suoi kafkiani meccanismi lo potete leggere qui.

Ho avuto il piacere di incontrare Riccardo due volte – che considerando la sua socialità e la mia pigrizia è un record del quale andare fiero. Entrambe le volte in occasioni libere, antifasciste, comuni; momenti felici e intensi per i quali non ci sono parole.

Non posso che invitarvi a leggere tutto il possibile dal suo blog, tutte le sue parole, più che potete: salvatele, diffondetele, conservatele. Non lasciate che si attenti alla vostra libertà: scatenate la sua, e mi raccomando, oggi bevete e ridete pensando a lui, come faremo noi.

A presto, Riccardo, da tutt@ di Intersezioni. Come vuoi tu: verið þið öll blessuð og sæl.

Deconstructing il Queer Bilderberg

muccassassina_672-458_resizeEbbene sì: c’è in atto un complotto internazionale che vuole il mondo abitato da poche persone che non si riproducono e che sono facilmente influenzabili soprattutto nei loro costumi sessuali. Vi lascerà stupiti tutto ciò, eppure è così, ci dicono: è in atto una Rivoluzione sessuale globale e noi siamo ancora qui, seduti davanti a un gelido schermo luminoso invece di copulare a volontà con partners neanche mai lontanamente immaginati. Che imbecilli.

Prima di addentrarci nell’esame del testo rivelatore di questo nefando disegno internazionale, che ci vuole tutti sterili e insensatamente dissoluti, una piccola nota e una raccomandazione squisitamente filosofiche – perdonatemi per qualche riga, poi capirete perché.

Nota: Ratzinger soprattutto ha sostenuto praticamente un giorno sì e l’altro pure della sua carriera anche precedente il soglio papale qual è il male del secolo, ovverosia: altro che AIDS, cancro e guerre sostenute dal capitalismo, ciò che fa tanto male al genere umano è il dispregio di ogni verità assoluta – tipo diopadre, Cristo e altre di queste cose. Il relativismo (questo è il nome del male supremo tra i supremi) è quell’atteggiamento filosofico – non è una dottrina, o si contraddirebbe – che ritiene inesistenti le verità assolute, oppure che non siano conoscibili o esprimibili, o che comunque lo possono essere solo in parte, cioè relativamente a circostanze storiche. A questo modo di intendere e interpretare il rapporto dell’uomo col mondo la chiesa cattolica – ma non solo lei – si oppone, sostenendo ovviamente che invece gli assoluti esistono (sarebbero quelli che dice lei) e dimenticandosi a bella posta che essa stessa è nata in un particolare periodo storico, e che tantissima altra umanità, altrove, ne fa a meno senza farsi problemi.
Raccomandazione: non credete a nulla di quello che “si dice” su Nietzsche. Vi prego.

Ma adesso addentriamoci nel complotto più relativista di tutti.

Rivoluzione sessuale globale

di Antonio Malo (Professore Ordinario di Antropologia nella Pontificia Università della Santa Croce) [Capito? Mica pizza e fichi – qui una spiegazione per gli esterni al G.R.A.]

L’autrice del libro La rivoluzione sessuale globale (Die globale sexuelle Revolution), la sociologa e pubblicista tedesca Gabriele Kuby, è una delle poche voci che con autorità riconosciuta si levano per criticare il relativismo occidentale odierno. [Eccoci qui; la nostra eroina Gabriele, nota al mondo per accusare di relativismo nientepopodimenoche Harry Potter, ha davvero una storia personale interessante e per niente relativista, no no.] A lei si deve, ad esempio, che il ministro federale della famiglia in Germania, Ursula von der Leyen, sia stata obbligata a togliere dalla circolazione il libro di educazione sessuale Corpo, amore, il gioco del dottore, in cui fra altre aberrazioni si invita ai genitori a giocare sessualmente con i loro bambini. [Non voglio mettere link appositamente: se anche voi credete davvero che in Germania sia stata mai autorizzata la stampa e la vendita di un libro di educazione sessuale apertamente pedofilo, siete nel blog sbagliato.]

Il saggio di cui mi occupo riprende alcuni temi di due delle sue opere precedenti [scusate il prof. Malo per il suo italiano, è molto emozionato]: Gender Revolution. Il relativismo in azione (Cantagalli 2008) e Statalizzazione dell’educazione. Sulla via per diventare uomini nuovi (2007). Adesso però la sua denuncia acquista una portata universale. [Prima ce l’aveva solo con Harry Potter, che infatti è noto solo nel suo paese, no?] Da qui il titolo del libro La rivoluzione sessuale globale; una rivoluzione che, come indica il sottotitolo (Distruzione della libertà nel nome della libertà), pretende di cambiare radicalmente le persone e la società facendo leva su una volontà di potenza, di chiara ispirazione nietzschiana. [Notate che non s’è capito né di che rivoluzione si tratti, né cosa c’entra la libertà e soprattutto perché ci deve andare di mezzo sempre il povero Federico.] A partire da questa chiave interpretativa [quale? E soprattutto, chiave interpretativa di che cosa?], Kuby riesce a raccontare la storia, i metodi e le conseguenze di un’agenda globale potentissima [la storia di un’agenda globale, ditemi che ho letto male, vi prego] che cerca di modificare le costituzioni dei paesi, le istituzioni educative e le consuetudini dei cittadini [oh mamma, la SP.E.C.T.R.E.!] con un solo scopo: la costruzione di una società globale in cui le persone siano poche e completamente manipolabili. [Ricapitoliamo: un professore ordinario di antropologia ci dice che trova importante il saggio di una sociologa che prima ha scritto contro le posizioni relativiste sostenute dalla saga di Harry Potter, poi adesso ha individuato un complotto internazionale per decimare la popolazione del globo e renderla idiota. E secondo loro ancora dovremmo starli a sentire.]

A qualcuno potrebbe venire in mente il pensiero: “Ecco, un altro libro sui complotti”. [Antò, guarda, a questo punto di pensieri me ne sono venuti già di ben peggiori.] Basta, però, guardare alla quantità di documenti analizzati, ai fatti e alle statistiche raccolte per capire di trovarci di fronte a un libro rigoroso e oggettivo. [Documenti, fatti e statistiche che qui non vengono citati manco di striscio, purtroppo. Si va a fiducia, che com’è noto non è affatto relativa.] Nonostante la mole di materiale, la lettura del libro, lungi dall’essere noiosa, diventa pagina dopo pagina piena di suspense e di rivelazioni sorprendenti. [Ah, noioso il libro non lo è di sicuro: già solo questa recensione mi sta facendo schiattare dalle risate!] Il lettore viene informato del retroscena, i mezzi e la ragnatela di organizzazioni governative e non governative implicate nella messa in pratica di questa agenda globale. [Che culo, eh? Noi sappiamo tutto – grazie Kuby! – mentre il mondo, ancora ignaro, vive tranquillo.] Nel contempo gli si offrono le categorie antropologiche e sociologiche necessarie perché questi possa fare le valutazioni pertinenti con cui prendere decisioni.[Non bastavano documenti, fatti e statistiche, c’è anche un compendio di antropologia e sociologia che permette a tutti di raggiungere il grado di preparazione necessario a fare le valutazioni pertinenti – senza, le vostre valutazioni non sarebbero pertinenti, eh – e anche a prendere decisioni. Tipo buttare via il libro, per esempio.]

Nella prima parte del libro (capitoli 1-4), l’autrice presenta brevemente l’origine storica dell’attuale rivoluzione sessuale. [NO! Ce la siamo persa! Ecco, succede una cosa interessante e tocca venirla a sapere da un libro di una in odore di beatificazione. Però la rivoluzione sessuale è attuale, se ci diamo una mossa forse facciamo in tempo per l’afterhour.] Dopo aver segnalato la rivoluzione francese come punto di inizio storico della lotta per raggiungere l’uguaglianza, indica il movimento femminista del 68 come tappa precedente all’ideologia di genere, [FERMI TUTTI, un momento. A casa mia, 1968 meno 1789 fa 179 anni. Non è successo niente, in questi quasi due secoli? E poi, che sarebbe l’ideologia di genere? Ah, già, ne abbiamo parlato qui.] secondo cui l’umanità non è fatta di uomini e donne, bensì di un’informe massa di uguali [EH?] che hanno il diritto di costruirsi la propria identità sessuale. [Scusi la critica, prof. Malo, ma la vedo parecchio confusa nel muoversi tra i concetti di sesso e genere. Senza offesa, eh.] Il filo rosso che collega il ‘68 e l’ideologia di genere è, secondo l’autrice, il maltusianismo, cioè il tentativo di diminuire la popolazione mondiale, soprattutto i poveri di Occidente e dei paesi in via di sviluppo. [Premesso che quello cui si riferisce Malo è il neomaltusianismo, non si capisce come questa teoria sia collegata alle questioni di genere: la teoria dice che dovremmo controllare le nascite, non che l’eterosessualità deve scomparire dalla faccia della terra. Questo, casomai, è roba di Kuby.] Da questo punto di vista sono molto interessanti i ritratti intellettuali di alcune figure di spicco, come Margret Sanger, Alexandra Kollonti, Wilhelm Reich, Eddie Bernays, Simone de Beauvoir, John Money, Judith Butler, ecc. [Sì, sono interessanti, ma non hai detto che cosa c’entrano e perché. Poteva essere pure la formazione dello Stade de Reims del ’59.] L’impulso globale della rivoluzione sessuale non procede, però, solo dalle idee, ma soprattutto dalle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite (Pechino, Il Cairo, ecc.) con cui si è tentato di decostruire i diritti umani, la sessualità, la famiglia.[Quindi l’ONU fa parte di – o forse è, sotto mentite spoglie – la SP.E.C.T.R.E.: sono loro che decostruiscono i diritti umani, la sessualità, la famiglia. Cose delle quali, malgrado ci fossero apposite conferenze internazionali pubbliche, s’è accorta solo la Kuby.] Da lì sono partiti alcuni degli slogan che hanno fatto il giro del mondo, come l’aborto è un diritto della donna, il “genere” non va imposto ma scelto. [Ah, ecco, questi sarebbero slogan. E il relativista sarei io.] Nonostante i secoli trascorsi, i metodi della rivoluzione sessuale globale sono gli stessi della vecchia rivoluzione francese: il terrore. [EH? COSA? Il terrore? L’ONU sta imponendo al mondo di cambiare genere sessuale con il terrore? Antò, sei proprio sicuro? Non è che ti sei entusiasmato un po’ troppo?] Oggi, però, la ghigliottina non taglia le teste degli oppositori, ma “solo” il posto di lavoro, la carriera accademica o politica. [Quindi chi si oppone alla rivoluzione sessuale globale viene licenziato, perde il posto, il prestigio sociale e il suo peso politico? MA MAGARI!!! A quest’ora Vladimir Luxuria sarebbe segretaria generale della NATO!]

Nella seconda parte (capitoli 5-10), Kuby continua la sua analisi degli organismi e dei documenti con cui si tenta di introdurre l’ideologia di genere. Fra questi ultimi concede particolare valore ai 29 principi di Yogiakarta, che furono formulati nel 2007 da un gruppo di “famosi esperti” senza autorizzazione né legittimazione in un incontro privato nella capitale indonesiana. [Stiamo parlando di questo segretissimo e inquietante documento che qui vi presentiamo in esclusiva galattica.] Nel marzo dello stesso anno, questi principi furono presentati all’opinione pubblica nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. [Neanche Totò sarebbe riuscito a mistificare le cose come sta facendo Malo.] L’Unione Europea li accolse subito e incominciò a imporli alle istituzioni, ospedali, tribunali… e anche agli asili e alle scuole. [Incominciò a imporli! E da noi quando arrivano?No, perché siamo stufi di vedere ambienti LGBTQI ovunque tranne che in Italia, eh?] Perché, come spiega l’autrice in un altro capitolo, per distruggere il fondamento della famiglia si deve minare l’unione eterosessuale, [che bella novità cattolica, meno male che lo spiega l’autrice] il che non è facile fra adulti nella stragrande maggioranza eterosessuali. [E certo, adesso ad avere un problema di resistenza al sistema sono gli eterosessuali, vero?] Invece i bambini e gli adolescenti possono essere facilmente plasmati, soprattutto se chi occupa il ministero delle politiche familiari condivide quest’ideologia. [Infatti, com’è noto, i ministri delle politiche familiari sono i veri potenti nei governi, mica quelli degli Interni, degli Esteri o dell’Economia che invece non plasmano nessuno con le loro politiche, con la loro comunicazione.] Come documenta Kuby, sempre più spesso nella scuola e nel giardino d’infanzia i bambini vengono sessualizzati con giochi, fiabe, rappresentazioni teatrali. [Sì, ma di rosa e celeste, mica queer!] Essi vengono così derubati dell’innocenza tipica dell’infanzia. Si presenta ai bambini ogni sorta di pratica sessuale deviante come scelta equivalente incoraggiandoli a esperimentarla. [Ci siete ancora? Il professor Malo, supportato dai documenti, fatti e statistiche di Kuby, sostiene che i ministri delle politiche familiari presentano nelle scuole pubbliche ogni sorta di pratica sessuale deviante. E il relativista sono sempre io eh, loro stanno bene così.] Con ciò la loro personalità può subire cambiamenti irreversibili. [Invece Kuby sta a posto, dopo la conversione?] Inoltre, le istanze statali creano strutture per minare attraverso l’educazione sessuale generalizzata e obbligatoria a partire dalla scuola materna il diritto e l’autorità dei genitori. [Siamo allo Stato Queer contro i genitori eterosessuali. Come se Platone e Platinette si fossero coalizzati. Ma dove le prende Malo ‘ste fantasie? Che fumetti legge?] Nell’implementazione dell’ideologia di genere gioca anche un ruolo decisivo la violenza linguistica e la pornografia, definita dall’autrice la nuova piaga globale. [Nuova? La pornografia?] Mediante la creazione di neologismi come “gender”, la sostituzione di parole, come genitore A (padre) e genitore B (madre) e l’attacco al linguaggio non solo si corrompono le parole, ma si dà origine a “nuove realtà”, poiché — come hanno sempre pensato gli ideologi di ogni tempo – “non è la verità a farci liberi, ma la libertà a fare la verità”. [A parte che “gender” non è un neologismo ma casomai un prestito, l’ONU sarebbe anche la responsabile del nostro linguaggio ormai del tutto corrotto verso l’ideologia di genere? E come mai siamo ancora pieni di insulti, stereotipi e luoghi comuni sessisti, allora? E quella cretinata tra virgolette, chi l’avrebbe detta? Chi sono gli ideologi di ogni tempo? Non si sa. E’ un complotto, dopotutto, mica possiamo fare i nomi, bisogna fidarsi, senza relativismi.]

Nell’ultima parte del libro (capitoli 11-15), Kuby analizza le armi che il nuovo totalitarismo usa per combattere i ribelli: l’intolleranza e la discriminazione. [Notate il linguaggio militare, tipico dell’antropologia e della sociologia, si sa.] In questo modo l’autrice sottolinea il paradosso, già accennato nel sottotitolo, di cercar di togliere la libertà nel nome della libertà. [I diritti LGBTQI sarebbero un “togliere la libertà” agli eterosessuali. Certo, come no. Allora Rosa Parks voleva i bianchi tutti in piedi sull’autobus, ‘sta stronza.] Di fronte a questa dittatura relativista che strumentalizza la sessualità per imporre una nuova concezione della persona, l’autrice consiglia di formare la propria coscienza sulla scia della verità. [E indovinate quale verità? Ma quella non relativa, no? LA NOSTRA.] Come antidoto alle derive dell’ideologia di genere, propone di educare non alla sessualità, ma all’amore [aaaaaaah l’amooore / questo folle sentimento che / aaaaaaah l’amooore / più lo fuggo e più ritorna da meeee].

Come scrive Spaemann nella prefazione, [ma sì, buttiamo là un cognome] si deve ringraziare l’autrice per il coraggio di andare controcorrente [uh, guarda, un sacco controcorrente] offrendoci un saggio che illumina ciò che si nasconde sotto i cambiamenti linguistici, le mode pedagogiche e accademiche che ad un primo sguardo sembrerebbero solo una bizzarria, quando in realtà sono strumenti di una volontà di potenza [perdonalo, Federico, perdonalo] impegnata alla costruzione di una nuova umanità [e che è, l’Internazionale socialista?]. Penso perciò che questo libro meriterebbe di essere tradotto nelle principali lingue. [Eh, su questo l’ONU è in vantaggio, bisogna ammetterlo.] A questo scopo, mi permetto di dare due suggerimenti all’autrice. [Malo è partito per la tangente, adesso propone suggerimenti per migliorare il testo di Kuby, sai com’è tra eterosessuali, l’uomo comunque ha un po’ più di ragione rispetto alla donna.] In primo luogo, di rivedere i capitoli dell’ultima parte per darle più unità togliendo ripetizioni [eh eh, Kuby, ti sei ripetuta, eh? Forse Harry Potter, il tuo acerrimo nemico, t’ha fatto l’incantesimo dell’eco]; in secondo luogo, di distinguere fra almeno due tipi di femminismo [ecco, adesso ce lo dice Malo cos’è il femminismo]: quello che ha lottato e continua a farlo per il riconoscimento dei diritti politici e sociali delle donne, cioè per l’uguaglianza della donna come persona [brrr], e quello, invece, radicale, che scimmiotta una sessualità maschile degenere [scusi?] per la quale il sesso si riduce ad un uso della genitalità senza responsabilità. [“genitalità” invece non è un neologismo, no no, non è sostituzione di parole o attacco al linguaggio. E il relativista sono sempre io.] In questo modo apparirà con più chiarezza ciò che costituisce il genio femminile, la donazione, [donna = producifigli, questo sì che è femminismo!] la cui rivendicazione, lungi dall’essere un ostacolo all’amore, ne è la premessa.

Allora? Siete pronti per la rivoluzione sessuale globale? Mi raccomando portate l’amore, lasciate a casa il relativismo e attenzione all’ONU! Non fate tardi eh!

(Ringrazio Chiara per i documenti, i fatti e le statistiche 😀 )

AIDS, non solo il 1 dicembre

Poche parole, oggi, per dire che l’AIDS esiste, esiste tutto l’anno, non solo il 1 dicembre, e non è l’unica malattia a trasmissione sessuale. Controllare la propria salute permette di tenere al sicuro sé stess@ e chi amiamo o chi semplicemente condivide con noi un momento di intimità.
Tutti gli organismi rischiano di ammalarsi, al di là delle predisposizioni, delle debolezze  e delle costituzioni. Bastano pochi gesti per mettere tra noi e alcune malattie, mortali e no, una barriera pressocché sicura. Questi gesti richiedono pochi secondi, possono essere compiuti con il coinvolgimento de@ partner.
Usate il preservativo, maschile o femminile. Usate una protezione per le dita se entrate in contatto con parti intime sanguinanti. Fate il test periodicamente, se donate il sangue vi verrà fatto anche il test dell’HIV.

Qualche link:

Il test dell’HIV come funziona? Qui.
Come si indossa il preservativo femminile? Qui.
Come si indossa il preservativo maschile? Qui.
Come si usano le Dental Dam? Qui.
Come si usa il preservativo digitale? Qui.

P.S.
Anche con il sesso orale bisogna usare il preservativo.