Tanti fuochi, un giorno, dovranno pure ardere all’unisono

shutterstock_224210650Vorrei che il 2015 portasse via la precarietà, sarebbe bello se bastasse davvero un desiderio, un rintocco di lancette per spalare via tutta questa merda ma non è così, nessun cambiamento è mai arrivato in modo semplice ed indolore.

Alla fine dell’estate scorsa ho perso il lavoro. Non ne andavo fiera. Lavoravo a nero e con uno stipendio che sfiora l’assurdo, ma l’ho accettato perché non potevo dire di no. Essere indipendenti, ma rettificherei scrivendo “provandoci ad esserlo”, non è facile se attorno a te non trovi che sfruttatori/trici che fanno leva sul tuo bisogno per proporti lavori ad orari e stipendi assurdi. Quando ho provato a parlare della mia condizione c’è stato chi mi ha capito, chi si è mostrat@ solidale e chi, invece, mi ha detto che era colpa mia, che, infondo, me lo meritavo perché, accettando, avevo alimentato il mercato del lavoro a nero. Credo che si tratti delle stesse persone che, se vieni stuprata, ti dicono che te la sei cercata, come quando il poliziotto che ti ha spaccato il muso e rotto la testa ti dice che “se stavi a casa tua questo non succedeva”. E’ sempre colpa della vittima, lo abbiamo capito.

Da quando ho perso il lavoro ho provato a mantenere la calma e fare mente locale su tutte le possibilità che avevo a disposizione. E’ iniziata così la ricerca estenuante di un lavoro. Ho risposto a non so quanti annunci, messo non so quanti volantini per strada, ma ben poche sono state le chiamate ricevute.

Mi hanno chiamata per dare ripetizioni a due bambini per 50 euro al mese ciascuno, ma, almeno in questo caso, la famiglia era davvero con le pezze al culo quindi il prezzo era tale per impossibilità. Poi è stato il turno di una donna che pretendeva la stessa cosa nonostante non fosse per nulla indigente. Ho rifiutato entrambe le “proposte”, ma, non mi vergogno a dirlo, solo per la prima ho provato dispiacere.

I mesi passano e i pochi soldi che avevo risparmiato iniziano a decimarsi. Ero così al verde che ho dovuto chiedere al mio compagno, con cui ho una storia a distanza, di accettare il fatto che, per alcuni mesi, fosse solo lui a venire a Napoli a trovarmi perché non potevo più neanche permettermi il regionale per raggiungerlo.

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Intervista sull’asessualità

Pubblichiamo con molto piacere l’intervista a Lea, che ringraziamo per la disponibilità, su un argomento di cui, effettivamente, si parla poco, l’asessualità. Speriamo che questa intervista sia solo l’inizio di un discorso, sempre più ricco e approfondito, sul tema. Intanto vi auguriamo buona lettura invitandovi a dirci la vostra.

Cosa significa “Asessuale”?

Una persona asessuale è una persona che non prova attrazione sessuale per nessun*.

Essere asessuale implica un disinteresse totale nei confronti del sesso (anche masturbatorio, ad esempio) o il disinteresse nei confronti di una relazione sessuale con altre persone?

Essere asessuale significa che si prova per tutt* ciò che un uomo etero o una donna lesbica provano verso gli uomini a livello sessuale, o una donna etero o un uomo gay verso le donne. Semplicemente non c’è un trasporto a livello sessuale. Ma non significa necessariamente non avere una libido, anche se alcune persone asessuali non hanno neanche quella e quindi non hanno nessun bisogno fisico.

Il sesso, per alcune persone, è l’elemento che gli/le permette di distingue le relazioni. Ma non è sempre così per tutt@. Tu come differenzi le relazioni nella tua vita?

In realtà molte persone credono che il sesso sia ciò che permette loro di distinguere una relazione romantica da altri tipi di relazioni, ma poi quando si fa loro notare che ci sono spesso rapporti di amicizia che includono il sesso, si rendono conto che non è esattamente l’atto fisico che caratterizza una relazione “speciale”, ma il sentimento che con esso si vuole esprimere. Se si è innamorat* di una persona, l’intimità (sessuale o meno) è percepita in modo diverso. La situazione non cambia per le persone asessuali: se si è innamorat* di qualcun*, lo si capisce dalle proprie emozioni.

Come esprimi la tua affettività?

Sono una persona molto affettuosa se ho confidenza con qualcun*, e mi piacciono molto le coccole. Semplicemente non vedo le coccole come un “aperitivo” per un “pasto più importante”.

Come vivi la tua libido?

Sono una di quelle persone che non ha una libido, quindi non posso rispondere personalmente a questa domanda. In generale, molte persone asessuali hanno una libido, proprio come le persone non-asessuali. Anche tra le persone etero, omo o bisessuali ci sono quelle che hanno una libido più alta, una libido “nella media” o una più bassa, ed è lo stesso per chi è asex. Solo che la libido nel loro caso non è indirizzata verso nessun*, e si preferisce generalmente prendersene cura da sé con la masturbazione, così come farebbero, per esempio, la maggior parte degli uomini etero se fossero eccitati ma in un luogo con solo altri uomini, piuttosto che avere rapporti sessuali con qualcuno da cui non sono attratti.

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La storia di Enrico tra classismo e abusi di potere

nenesQualche giorno fa leggevo la storia di Enrico, un FtM che si è visto rifiutare dal giudice, a causa del suo basso reddito, l’autorizzazione per eseguire gli interventi di mastoplastica e di rimozione dell’apparato riproduttivo. Mi spiego. Il CTU, ovvero lo psichiatra incaricato dal tribunale per dichiarare se la perizia, fatta da altr@ suoi@ collegh@, fosse in regola o meno, ha pensato bene di chiedere un anticipo che il giudice gli avrebbe concesso mettendolo a carico del richiedente (Enrico ha diritto al gratuito patrocinio). A tali richieste l’avvocato di Enrico ha dovuto ricordare, manco ce ne si fosse dimenticat@, che chi si avvale del gratuito patrocinio lo fa perché non può sostenere certe spese, e che quindi la richiesta era assurda. Di fronte al rifiuto, lo psichiatra decide di non erogare alcuna prestazione, nonostante sia pienamente cosciente che ciò implica il blocco del percorso di Enrico, che dovrà a questo punto attendere chissà quanto altro tempo per ottenere l’approvazione del giudice. Trovo questo atteggiamento un vero e proprio ricatto, un abuso di potere che mai dovrebbe esser concesso a nessun@.

Questa storia mette in evidenza due elementi importanti: l’accesso alla sanità, diverso per classi, ed il potere che alcun@ specialist@/professionist@ hanno sulle nostre vite. Che la sanità pubblica stia subendo uno smantellamento a favore di quella privata è sotto gli occhi di tutt@. Che alcuni servizi siano esclusivi di alcune fasce di reddito anche. Conosco persone che, per una visita dentistica, soffrono le pene dell’inferno perché non hanno i soldi neanche per il ticket e quindi attendono di poterli racimolare, o che attendono mesi, prima di poter essere visitat@, perchè la lista di attesa è lunghissima. E’ palese come chi ha soldi può permettersi cure tempestive e migliori, rispetto a chi stenta anche a pagarsi il ticket – e non perché le prestazioni di chi lavora nel pubblico siano di minor valore rispetto a quelle dei privati, ma perché l’organizzazione, nelle strutture pubbliche, lascia molto a desiderare.

Chi ha soldi, chi appartiene a classi sociali cosiddette “alte”, non saprà mai cosa significa dover girare come una trottola in diverse regioni per ottenere un’interruzione di gravidanza, dato che potrà rivolgersi senza problemi ad un privato – che forse nel pubblico fa l’obiettore di coscienza; non conoscerà mai quella paura di non avere soldi a sufficienza per comprarsi la pillola del giorno dopo, perché si ostinano a non renderla gratuita oltre che a renderti un inferno tutto il processo per ottenerla; non conoscerà mai l’umiliazione di dover fingere di aderire a certi schermi preconfezionati perché, altrimenti, l@ psicolog@ da cui vai per la perizia che ti permette di accedere al percorso di attribuzione di sesso non ti rilascerà mai quella cavolo di approvazione; non conoscerà mai l’attesa di chi aspetta che il consultorio pubblico, a cui si è rivolti, smaltisca le visite e forse, se tutto va bene, tra due settimane ti permetterà di farsi una visita ginecologica; non saprà mai cosa vuol dire uscire da un medico privato con una cifra a tre zeri, anche a nero, e la rabbia di sapere che tutto questo lucrare sulla salute e il dolore degli/lle altr@ fa davvero schifo.

Ma oltre ad un accesso a due corsie nella sanità, c’è anche la questione del potere che viene concesso a quest@ specialist@/professionist@ che possono decidere se puoi o meno cambiare genere, se puoi o meno ottenere la pillola del giorno dopo, se puoi o meno abortire e scegliere il modo in cui farlo, senza mai chiedere il parere della persona su cui stanno legiferando. Se questa non è sovradeterminazione ditemi voi cosa lo è. Mai nessun@ dovrebbe avere il potere di decidere sul corpo e sulla vita di un’altra persona, mai nessun@ dovrebbe esser mess@ in grado di agire un abuso di potere, quindi un ricatto bello e buono, consci@ del fatto che, senza la sua prestazione, quella persona sarà in difficoltà. Quello che è accaduto ad Enrico, ma che accade quotidianamente sulla pelle di tante soggettività, dimostra come la medicalizzazione abbia permesso, a certe professioni, di avere il controllo assoluto sulle nostre vite, sui nostri desideri troppo spesso discriminati.

Ma questa storia parla anche di un iter legislativo autoritario, che, lungi dal concedere libertà, costringe le persone a subire il ricatto di specialisti operanti in diversi campi. Come la 194 ha al suo interno il meccanismo stesso del proprio sabotaggio, ovvero l’obiezione di coscienza, così la legge 164, che regola l’attribuzione del genere, costringe le persone trans a subire un continuo ricatto, da quello dell’approvazione di un psicolog@  – che attesti la tua sanità mentale e al contempo uno squilibrio – fino alla sterilizzazione forzata, condizioni indispensabili per poter vedere riconosciuta la propria identità di genere. Violenza, non c’è altro modo di definirla.

La storia di Enrico mi ha permesso, però, anche di conoscere questo sito  su cui sono raccontate molte altre storie interessanti, tra cui quella di Diego, che parla di spese mediche e legali insostenibili e di un bisogno di cambiare la cultura prima ancora che la legge. Come dargli torto? Non si può più accettare questa psichiatrizzazione, basata su una dicotomia del tutto culturale a cui si è costrett@ ad aderire per vedersi riconosciuta la propria identità di genere. Per questo credo sia importante supportare questa petizione che chiede di poter ottenere l’attribuzione di genere senza sottoporsi alla mutilazione genitale, ma anche di iniziare un percorso che porti alla depsichiatrizzazione della transessualità e di tutto ciò che viene definito “deviante”, esclusivamente in base all’esistenza di un’idea di ‘norma’ che ormai non è condivisa né rappresenta un numero sempre maggiore di soggett@.

Non ho mai creduto che le leggi potessero generare un reale cambiamento, dato che esso è e sempre sarà proprio della cultura, ma per ora, nel sistema in cui viviamo – sistema che per altro non amo né supporto – possono permettere a molte persone di sopravvivere. Per vivere ci toccherà lottare per una rivoluzione molto più ampia e radicale.

Intervista ad Edmondo, professore libertario

banksyCon grande piacere vi proponiamo un’interessante intervista fatta ad Edmondo, professore libertario e autore del blog scuola libertaria, con la speranza che ciò generi dubbi su come stiamo educando i/le nostr@ bambin@ e sul ruolo reale della scuola tradizionale. Buona lettura!

1)  Cosa si intende per pedagogia libertaria? E quando e come è nata? Come la pedagogia libertaria si differenzia da quella tradizionale?

La tua prima domanda richiederebbe lo spazio di un’enciclopedia. Ogni bambino porta con sé un proprio progetto di vita, come anche proprie esigenze, proprie emozioni, proprie aspettative e desideri, una gamma di singolarità psicofisiche che lo rendono unico e irripetibile. Al contrario di quanto fanno le pedagogie autoritarie che operano opportunisticamente dall’esterno per omologare e annullare ogni individualità, la pedagogia libertaria si concentra sulle singolarità, rispetta le caratteristiche di ogni individuo, crea l’ambiente relazionale più consono affinché le attitudini possano emergere e svilupparsi. La pedagogia libertaria educa persone, non addestra sudditi. Ogni persona deve poter esprimere pienamente se stessa per diventare se stessa, e non qualcosa che altri hanno deciso. Quel progetto di vita che la natura ha fornito ad ognuno di noi deve potersi realizzare, e questa realizzazione si raggiunge soltanto attraverso un contesto libero, tra esseri umani liberi. In buona sostanza, la pedagogia libertaria educa a essere, non a dover essere.
Rispettare l’essere umano in quanto tale, nella sua totalità, di questo si occupa la pedagogia libertaria, e in questo senso la sua nascita affonda le radici nelle prime critiche all’esistente autoritario. Se ad esempio penso a un Diogene, non posso non vedere in lui uno dei primi educatori libertari. Tuttavia, il primo teorico a scagliarsi metodicamente contro l’istituzione scolastica tradizionale è stato il filosofo illuminista William Godwin. I suoi scritti -ancora oggi all’avanguardia- sono la reazione sintomatica di una malattia preesistente.

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Transgenitorialità: intervista ad Egon

 Siamo felici di potervi proporre un’interessante intervista fatta ad Egon, genitore transessuale, che ha, gentilmente, accettato di rispondere a delle domande sulla transgenitorialità, argomento di cui si parla, si legge e quindi si conosce ben poco. Buona lettura!

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1) Quando è iniziata la tua transizione?

Ufficialmente la mia transizione è iniziata nel 2011, con la presa in carico del mio caso da parte dell’ospedale Careggi di Firenze, dove, presso il reparto di endocrinologia, c’è un centro specializzato nei “disturbi di genere”.  In realtà quello è stato solo il momento in cui ho scelto di affrontare questo mio sentire, che in realtà mi ha accompagnato, in vari modi e in varie fasi, per tutta la vita. Il mio rapporto con quello che credevo fosse la mia parte oscura, ha un’immagine ben precisa: era come se dentro di me ci fosse una porta, con scritto sopra a caratteri cubitali, “non aprire”, ed io mi ero attenuto a questo divieto, girandoci solo intorno, spiando dalla serratura, finchè un giorno la porta si è spalancata, e quello che è uscito fuori non è più voluto rientrare. Il divieto che mi impediva di oltrepassare quella soglia e conoscerne il contenuto era fatto di paura, paura di essere troppo diverso, di perdere tutti gli affetti per colpa di questa diversità inconcepibile, di perdere i miei genitori, di perdere la possibilità di vivere nel mondo, nella società e di morire quindi solo e abbandonato, nella indigenza più assoluta.  Quindi evitavo di domandarmi perchè, fin da piccolissimo, avrei voluto essere un maschio, perchè nei miei giochi di fantasia io fossi esclusivamente un personaggio maschile, perchè, quando scendeva la sera, io non vedevo l’ora di andare a letto e giocare, così disteso, ad essere un ragazzo, ed inventare da fermo strane avventure. Poi venne anche la scrittura, ed anche nelle mie storie io ero sempre un eroe maschile. Alla fine cominciai a vedere, nella mia immagine riflessa allo specchio, quella di un mio doppio maschile, che mi guardava beffardo ed inarrivabile, una specie di fratello cattivo che mi tormentava con la sua bellezza…stavo lunghi momenti ad ammirarmi schiacciandomi il seno, estasiato dal mio busto piatto…  Come donna mi sentivo completamente inadeguata, disarmata, non capivo le regole e le necessità della socializzazione al femminile, e detestavo ed invidiavo al contempo le rappresentanti del mio sesso biologico che sembravano invece padroneggiarla con disinvoltura…qualche volta fingevo di essere come loro…  Mi piacevano i giochi maschili, fisici, o i giocattoli come le macchinine, mentre detestavo le bambole…quando ad 11 anni ho voluto le prime barbie, facevo finta che fossero ragazzi e creavo storie complicatissime che li vedeva protagonisti.  Ho creduto spesso di essere pazzo, schizofrenico e piangevo molto: mi chiudevo nella mia camera e piangevo per ore, inconsolabile, sentendomi assai solo. Odiavo di me anche questa necessità irrefrenabile di piangere, salvo scoprire molto più tardi che questa capacità mi ha salvato, facendo sfogare fuori tutto questo mio mondo interiore che non capivo e di cui ero profondamente spaventato ed imbarazzato.  Ho vissuto alcuni anni da lesbica bucht, sentendomi bene perché le “mie” donne mi trattavano da uomo, ma anche in questa esperienza c’era qualcosa che mi metteva a disagio, c’era qualcosa di falso, di incompleto. Oltretutto a quei tempi il mondo lesbico era assai separatista, ed io che mi dichiaravo bisessuale ( l’unica cosa di cui sono stato sempre sicuro) venivo visto come un traditore, un insicuro. I bisessuali non erano concepiti allora nel mondo omosessuale, c’era il detto “bisex now, gay later”. Poi è cominciato il tentativo di adeguarmi, di cercare di vivere secondo quello che il mondo si aspettava da me. Ho conosciuto, sul lavoro, un ragazzo più giovane di me, un ragazzo di cui avevo molta stima, bravo nella sua attività, onesto, intelligente e di un moralità assai rigida. Nonostante la nostra diversità, un giorno lui mi disse che si era innamorato di me. Mi cascò il mondo addosso: avevo raggiunto un equilibrio, in quel momento ero single ed avevo una vita sessuale abbastanza libera, il lavoro andava bene, il divertimento anche…ma a quel ragazzo così onesto, così per bene, ricco, come potevo dire di no, sottrarmi a questa fortuna? Era come un treno che passava ed io dovevo montarci per forza. Lui si stabilì nella casa che io avevo in affitto ed abbiamo avuto una storia di 9 anni: ci siamo sposati, abbiamo fatto due bambini che io desideravo, abbiamo creato un’attività insieme, ma quella persona, che per me rappresentava la stabilità che io non avevo, il punto fermo di affetto incrollabile che io cercavo non avendolo trovato nei miei genitori, era sopratutto una gabbia.  Lui ha creato intorno a me una prigione, talmente soffocante da essere, credo, il detonatore che ha aperto per sempre quella porta che fino ad allora non mi ero deciso ad affrontare. Quando ho ricominciato, a 39 anni , a vivere solo nel mio mondo di fantasia, a fare finta di essere un uomo, ho finalmente accettato di indagare quello che  stavo facendo, a volergli dare un significato.  Tra l’altro, per resistere alla quotidianità, avevo cominciato a bere. Mi rivolsi dapprima ad una terapeuta con cui ebbi il coraggio di parlare del maschio che viveva dentro di me e da lì presi la decisione di rivolgermi ad un centro specializzato.  Ero spaventatissimo, ma ero anche stanco di scappare. Così, al Careggi, ho affrontato 9 mesi di incontri con gli psichiatri; mi sono stati somministrati test lunghissimi per valutare la “disforia di genere” (questo è il termine per il transessualismo), per fare diagnosi differenziate, mi hanno dato psicofarmaci per combattere l’ansia e la depressione che avevo (che ho accettato di prendere solo per amore dei miei figli, perchè non volevo che mi vedessero più piangere disperato per ore), ed alla fine dei 9 mesi è stata “emessa” la diagnosi di transessualismo.  Così mi sono potuto rivolgere all’endocrinologo (che fa sempre parte dello staff del centro specializzato) per avere la cura mascolinizzante, a base di testosterone, che pian piano ha modificato il mio corpo: sono cresciuti i peli, i muscoli, il viso si è scavato, il grasso spostato, il clitoride è aumentato di volume, così come la libido. Dopo un anno e mezzo di ormoni (che comunque dovrò prendere per tutta la vita) e dopo un iter lunghissimo al tribunale, mi sono operato di mastectomia (rimozione del seno) all’ospedale Cattinara di Trieste.

Per “finire” il percorso, e cambiare i documenti, dovrò anche fare l’isterectomia. Contestualmente a tutto ciò è stato per me fondamentale il lavoro psicologico fatto con la psicologa del consultorio Trans Genere di Torre del Lago, che mi sostiene dall’inizio del percorso e che è una delle mie principali risorse per affrontare tutte le difficoltà di questo lungo cammino.

2) Quando hai iniziato il tuo percorso FTM eri già genitore di due figli: avevi paura della loro reazione rispetto al tuo cambiamento? E se sì come sei riuscito a superarla?

Quando ho iniziato la transizione mia figlia aveva 3 anni e mio figlio 5. Loro stati la roccia dura su cui io ho potuto appoggiare i piedi…tutto intorno a me franava e l’unica cosa certa era la loro presenza, il fatto che, così piccoli, loro avevano bisogno di me, della loro mamma, e che questa mamma funzionasse.  Non riuscivo a vedere niente del mio futuro, l’unica immagine che mi teneva a galla era quelle di me, transizionato, che crescevo i miei figli, in un posto mio, con la fatica del mio lavoro, qualsiasi fosse.  Per loro, come ho detto, ho accettato di prendere, per un periodo, antidepressivi ed ansiolitici, perchè non potevo continuare a farmi vedere da loro disperato come lo ero in quel  momento, senza la capacità di riprendermi.  Il fatto di avere avuto l’esperienza di una mamma depressa, mi è stato da memento: quando la madre soffre i bambini non possono stare bene. Inutile rimandare o non fare delle scelte per proteggere i bambini, quando poi queste cose ti schiacciano e ti impediscono di vivere serenamente il ruolo di genitore. Avevo però enormemente paura per loro, credevo che avrei potuto creargli dei danni permanenti vedendo la loro madre trasformarsi sotto i loro occhi, e le persone intorno (nonni, zie) rinforzavano questa mia paura ed alimentavano in tutti i modi i miei sensi di colpa, facendomi sentire un genitore indegno e cattivo. E’ stato solo per l’intervento della psicologa del consultorio se sono andato avanti. Lei mi ha fatto lavorare lungamente su me stesso e mi ha fatto capire che i miei figli non correvano alcun pericolo, gli unici problemi sarebbero venuti caso mai dall’esterno, dall’impatto con la società non matura per accettare certi fenomeni esistenziali. All’inizio non le credevo, ero terrorizzato per loro, fui sul punto di tornare indietro, ma il rapporto terapeutico era solidissimo e io mi sono affidato a lei ed il tempo le ha dato ragione.

3) Aldilà delle tue paure, come in effetti i tuoi figli hanno poi vissuto la tua scelta? Come hanno vissuto il tuo cambio di nome e di aspetto? Hanno avuto problemi a scuola, tra gli amici/che?

La psicologa che mi segue mi aveva dotato di semplice regole per affrontare la transizione con i miei figli: essere sinceri, non confonderli e continuare a svolgere il mio ruolo di madre, fargli sentire che la loro madre era sempre lì, che non se ne sarebbe andata via anche se cambiava aspetto.

In effetti è proprio questo di cui hanno paura i bambini piccoli: se un genitore cambia, il genitore va via.

Così vanno sempre rassicurati su questo punto, fargli sentire tutto il nostro amore per loro, fargli sentire che questo dato non  cambia, anche se la mamma non ha più le trecce ma i capelli rasati.

Un altro consiglio era quello di aspettare sempre le loro domande e poi spiegargli come stavano le cose.

Quindi i miei bambini hanno cominciato a chiedermi perchè le persone mi chiamassero con il tal nome e non più con il nome che loro avevano conosciuto sino ad allora e perchè mi dessero del maschile. Io ho spiegato tutto con tranquillità e sincerità, mettendogli a parte dei miei sentimenti. Loro adesso sanno e comprendono chiaramente che la loro madre si “sente” uomo pur essendo nata in un corpo femminile, che gli ha permesso di essere la loro madre, e che per questo suo sentire ha cambiato delle cose fisiche, come avere più muscoli e più peli ed aver tolto il seno. Benchè vedano questo chiaramente, nella percezione che hanno di me nulla è mutato, perchè per loro io sono sempre la stessa mamma, che si cura di loro, li ama e li protegge e a cui loro sono attaccatissimi.

Per adesso non hanno avuto nessun tipo di problema, né a scuola né con il resto della famiglia, ma non dubito che questo momento arriverà, cosa di cui ho una grande paura e di cui mi sento responsabile, ma ho anche imparato a non preoccuparmi delle cose prima che accadano perché spesso sono assai diverse da come ci si immagina.

4) Puoi raccontare qualcosa riguardo i cambiamenti – se ci sono stati – nel tuo linguaggio e in quello che sentivi attribuito a te dagli altri? In questo senso cos’è accaduto con le istituzioni e nelle occasioni pubbliche (riunioni tra genitori a scuola, sul luogo di lavoro, palestra/supermercato/bar…)?

Mi stupisco sempre del fatto di come mi sia venuto naturale, da subito, parlare di me al maschile dopo quasi 4 decenni di socializzazione al femminile; saranno state le ore e ore di gioco protratto fino, ed anche oltre l’adolescenza, in cui mi “immedesimavo” nella parte del maschio, cercando di modularne anche la voce ( e che gioia il fatto che adesso la mia voce sia effettivamente maschile, senza sforzo né finzione). Per le persone intorno, invece, è determinante l’aspetto fisico e l’abitudine. Quando ti cresce la barba e non hai più il seno, diventa difficile che qualcuno ti dia del femminile. Per me il passaggio definitivo, il momento in cui al di fuori il tuo aspetto non dà adito a dubbi, è coinciso con la mastectomia, la rimozione del seno. Da quel giorno, per il mondo, sono un uomo.

In famiglia invece è diverso. I miei figli continuano a chiamarmi mamma e a darmi del femminile, cosa che ritengo nel loro pieno diritto e che non mi disturba, ed anche i miei genitori hanno enormi difficoltà ad abbandonare il concetto di me come donna, come loro figlia. La mastectomia ha comunque segnato però un passaggio anche in  questo caso, con mia madre che comincia almeno ad affrontare il “problema” del mio nuovo nome e genere, mentre prima dichiarava che non avrebbe mai smesso di chiamarmi con il mio nome di battesimo e mai mi avrebbe considerato un uomo.

Nel luoghi “istituzionali”, quelli cioè in cui hai bisogno di esibire il tuo nome anagrafico, quindi tutto ciò che a che fare con la burocrazia, che sia un ufficio postale, una banca, una richiesta medica, si creano situazioni che possono avere del comico o essere tragiche per chi le subisce.

Comunque il passare da essere considerato donna a essere percepito come uomo, porta con sé dei cambiamenti che sono molto interessanti per far emergere come ancora la nostra società non sia egualitaria tra i sessi. Agli uomini ci si rivolge più volentieri, più direttamente, si scelgono come interlocutori privilegiati, e non devono subire lo sguardo indagatore degli astanti, che ti fanno sentire perennemente preda e sotto esame.

5) Credi che l’età dei figli possa giocare un ruolo importante nel modo in cui si apprende la scelta di transizione di un proprio genitore? Oppure è solo una questione di educazione/cultura, ovvero che, se questa società non fosse così transfobica (oltre a tante altre cose), la questione del possibile “trauma” non sussisterebbe?

Secondo me è impossibile ragionare di società altre rispetto a quella in cui viviamo e di cui dobbiamo subire/agire le dinamiche. Molto probabilmente se la nostra società non fosse transfobica, non ci sarebbero differenze di reazione di fronte ad un genitore transessuale dipendenti dall’età della prole.

Dal momento invece che nel “nostro” occidente, la transessualità è spesso considerata un evento imprevisto e dissacrante, non sano, non umano, non “naturale”, al di fuori di ogni convenienza e convinzione, l’età del figlio è determinante per accogliere la notizia che sua madre o sua padre sono transessuali.

Un bambino piccolo è ancora fluido, le rigide categorie della nostra normatività non sono ancora monoliti cristallizzati. Se il vissuto dell’esperienza del genitore transessuale viene raccontato ed esperito con serenità, diventa un dato del reale assolutamente tranquilizzante, come ogni altra caratteristica del genitore. Se la mamma ed il papà sono buoni genitori, se mantengono il loro ruolo di figure accudenti e di riferimento, al bambino/a non importa che forma abbiano.

Quello che al bambino interessa è che i genitori siano fonte di amore, cura e sicurezza.

Fondamentale è quindi restare vicino ai bambini nel proprio ruolo e esprimersi con i bambini con sincerità e chiarezza su quanto sta succedendo. Non bisogna imbrogliare i bambini, bisogna metterli a parte di quello che mamma o papà stanno facendo, aspettando però che siano loro a chiedere spiegazioni.

Sicuramente i problemi verranno poi da fuori, quando i bambini/e potranno essere derisi per il genitore “diverso”. Compito della famiglia credo sia allora quello di rendere i/le piccol* forti e preparat* a questa evenienza, e forse questa precoce esperienza della diversità in seno alla famiglia, anzi proprio in una figura amata, possa dare una marcia in più ai nostri figli/e.

Arriva un momento che i bambin* possono essere derisi per tutto, perchè grassi, o con il naso lungo, o troppo bassi o troppo alti, perché portano gli occhiali o l’apparecchio…avere visto come ci si confronta in modo positivo con la diversità in un mondo non troppo accogliente può rendere questi bambini/e più saggi e forti.

6) Oltre all’aiuto di esperti, cosa credi si possa fare per aiutare chi ha già dei figli e vuole transitare o chi ha già intrapreso questo percorso e desidera avere dei figli? Esiste una rete per la trasgenitorialità dove trovare info e supporto necessari?

Credo che, come in ogni altro momento della transizione, il confronto tra pari sia fondamentale. Spesso i cosiddetti “esperti” non sono affatto preparati su certi argomenti, tanto che a molti genitori transessuali dicono essere casi rari e difficili, salvo poi scoprire un grande numero di genitori transessuali  (certo una minoranza rispetto ad una norma e rispetto anche alle persone transessuali in genere). Per questo considero l’esperienza di mettersi in rete tra genitori transessuali molto interessante ed è quello che ho cercato di fare io sin da subito. Ho così conosciuto tante madri e tanti padri trans, tante esperienze da scambiarci che ci hanno aiutato a superare i momenti difficili. Infatti il mutuo aiuto può essere uno strumento validissimo, chi ha già affrontato e risolto certe situazioni con i figli/e, può mettere la sua esperienza a servizio degli altri. Non si tratta di sostituirsi a certe figure e fare terapie, ma “solo” di raccontarsi con apertura, umiltà e responsabilità e mostrare come “ce l’abbiamo fatta”. Un momento assai importante per me di questa rete è stato quanto sono stato invitato a unirmi alla “rete genitori raimbow”, associazione di volontariato presente in varie regioni d’Italia, che ha lo scopo di supportare i genitori che hanno avuto figli/e da precedenti relazioni etero.

7) In Francia una legge permetterà alle coppie gay e lesbo di sposarsi e adottare dei figli. In Italia questo non è ancora possibile ma quando se ne parla si declina il tutto rispetto all’omosessualità e il lebismo. Perché pensi che le persone trans siano escluse e come ti poni rispetto alla possibilità di allargare tali diritti anche per i/le trans?

L’immagine comune della persone trans, oltre al fatto che sia una prostituta, è quella di una persona omosessuale e che ripudia le sue caratteristiche genitali, per cui un candidato impossibile alla genitorialità. Quale donna che si sente uomo potrebbe accettare una gravidanza e quale uomo che odia il suo pene potrebbe diventare padre?

Quindi il problema della genitorialità transessuale non viene neanche minimamente in mente nelle persone “comuni”. Benchè la realtà sia ben differente, è certamente vero che per le persone transessuali la genitorialità è di fatto proibita una volta iniziato il percorso di transizione. La terapia ormonale femminilizzante, nel casi delle mtf, distrugge in pochi mesi la capacità riproduttiva e non si dà nessuna informazione alla persona che inizia, sulla possibilità di congelare i suoi gameti prima che la produzione di spermatozoi venga distrutta per sempre, cosa che avviene invece in altri paesi. Comunque, se ci fosse rimasto un dubbio, per cambiare i documenti in Italia è richiesta la sterilizzazione chirurgica. Così, anche nel caso degli ftm, le cui gonadi potrebbero “ripartire” se la terapia mascolinizzante non viene portata avanti a lungo, si richiede l’isterectomia per essere sicuri che non ci siano uomini che facciano bambini, come invece succede negli “scandalosi” Stati Uniti.

Così, il transessuale, anche se giovane, deve rinunciare all’idea di diventare genitore.

In effetti l’esperienza dei genitori transessuali, qui in Italia, è proprio quella raccolta da associazioni tipo “rete genitori raimbow”, cioè persone che sono diventate genitori prima di intraprendere il loro percorso e spesso in seno a situazioni “tradizionali” come matrimoni o comunque relazioni monogame etero.

Nel caso dell’adozione, quando una persona trans ha rettificato il sesso e i documenti, ha gli stessi diritti di una persona biologica, quindi se in coppia con una persona di sesso opposto, ha sulla carta più diritti che un single o una coppia omosessuale, ma nella realtà, il tribunale dei minori, ben si guarda da dichiarare idonea all’adozione una persona con tale trascorso.

Dal momento che è ormai palese come il ruolo genitoriale non dipenda dal sesso della persona, né dalla forma della coppia, bensì dalla capacità di assolvere la figura di accoglimento-contenimento del bambino/a, bisognerebbe sganciare la figura del genitore e del benessere del bambino/a dalla forma della famiglia triade (mamma, papà, figlio/a) che non è affatto una forma data e costituita per “essenza” della famiglia umana, ma solo una declinazione di famiglia frutto di una certa congiuntura economica e sociale. Nella storia e nei luoghi sono esistite tante altre forme di famiglie assai diverse dalla nostra mononucleare ed eterosessuale che si è imposta negli ultimi cento anni, che hanno adempiuto il loro ruolo di crescere la prole come ed in alcuni casi meglio delle nostre “sacre famiglie” tanto decantate.

Quindi mi sentirei di dire che le persone sono importanti, non la norma, e che i bambini crescono bene tra persone libere, soddisfatte ed equilibrate.

Ringraziamo Egon per la disponibilità e speriamo che la sua testimonianza sia di aiuto per tante persone!

Intanto, se ne volete sapere di più, vi riportiamo dei link/video segnalatici da Egon.

Il vero vincitore è il moralismo

La notizia la conoscete tutt@: Silvio Berlusconi è stato condannato a 7 anni e ha ricevuto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ma la condanna è di primo grado, quindi ha tutto il tempo di mischiare le carte.

Premetto che, vada in carcere o meno, a me non interessa minimamente, non credo nel carcere e quindi non lo augurerei a nessun@. Credo invece nella riabilitazione, nella possibilità di comprendere i propri sbagli e cambiare, ma sfortunatamente questa “rieducazione” non è prevista nell’istituzione carceraria. Lì dentro, in quei 8 mq, non si insegna altro che la regola del “vince il più forte” e, in questo caso, lo Stato e le forze dell’ordine, ma è sempre una questione di dominio, chi ne ha di più riesce a sbattersene anche dello Stato. In sintesi è un braccio di ferro, un gioco a chi ce l’ha più grosso. Roba machista che ci dovrebbe far venire i conati di vomito.

Ma, a parte la violenza insita nel carcere, la giustizia che dovrebbe “tutelarci” e che è stata da molti lodata per questa sentenza, in realtà è la stessa che condanna chiunque decida di lottare per il diritto alla casa, contro la privatizzazione delle scuole e lo smantellamento dell’istruzione pubblica, per la salvaguardia della propria terra che i potenti vorrebbero violentare riversandoci rifiuti di ogni genere o traforandola per un progetto del tutto inutile di “alta velocità”, la lotta contro la violenza di genere che si dimentica troppo spesso essere agita anche da tanti tutori della legge, per mantenere luoghi occupati/liberati, per condizioni di lavoro migliori, perché a lavoro si continua a morire, contro la precarietà che ci schiaccia e ingabbia e tanto altro. Questa giustizia è la stessa che ha assolto gli assassini di Stefano Cucchi, e assolto i torturatori della Diaz e Bolzaneto, che ha preso di mira i/le compagn@ No Tav, che per condannare le 10 persone processate per i fatti di Genova ha riesumato reati dal codice Rocco, che adesso processa 18 compagn@ per i fatti del 15 ottobre a Roma ed ect., potrei continuare all’infinito ma penso che non serva, che questi fatti siano noti. Quando si parla di giustizia è questo quello a cui penso.

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Dubbi sul queer: alcune risposte

imagesRiportiamo con piacere la risposta di Mina a questo articolo che pone dei dubbi sul queer. Invitiamo, chi lo desidera, a dirci cosa ne pensa. Buona lettura!

Nota: le frasi presenti in parentesi quadre sono da attribuirsi a Mina e non all’autrice dell’articolo in questione

Cara Anacronista,
volevo controbattere ad alcuni punti del tuo articolo. Tipo a tutti, ora che ci penso.
Parto col dire che mi auto-colloco nella sfera queer e con questo non significa che sono uguale ad altre persone che si definiscono queer, con cui magari arriviamo a conclusioni anche abbastanza diverse. Questo, perché, il movimento queer è ben lungi dall’essere un modello in quanto, nonostante alcuni punti di partenza comuni, non offre un prototipo identitario o comportamentale o un’universalità di precetti, ma include tutte le forme che sfuggono o si pongono in maniera problematica verso le forme di essere e di relazionarsi “permesse” dalla società. Di seguito risponderò punto per punto alle tue osservazioni:

Allo Sfamily Day, si paventava – in modo piuttosto accennato e sfuggente – la possibilità di un legame tra la precarietà del lavoro e quella delle relazioni.

E’ un’ipotesi, si può argomentare, condividere o meno (io personalmente riconosco questa correlazione)

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Sulle calze antistupro

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Riportiamo con piacere la segnalazione fattaci da Mina sulla notizia delle “calze antistupro” che, aldilà del fatto che sia vera o meno, alimenta uno degli stereotipi peggiori che riguardano lo stupro: la bellezza. Alcuni anni fa lo stesso Berlusconi disse “servirebbe un militare per ogni bella donna” come se le molestie e gli stupri avvenissero per una questione di estetica.

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Queeresima: proiezione del documentario “Difficult Love” di Zanele Muholi al Macomer

Condividiamo con piacere il programma dell’iniziativa che si terrà al Centro Servizi Culturali Macomer venerdì 21 giugno alle ore 21;30 durante la quale verrà proiettato il documentario “Difficult Love” di Zanele Muholi. La proiezione si inserisce nella Queeresima, un percorso di quaranta giorni ricco di riflessioni, incontri, approfondimenti volti a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei diritti LGBT e che si concluderà con il Sardegna Pride del 29 Giugno a Cagliari. Buona lettura!

996854_399130436867320_1219850231_nFotografa lesbica nera sudafricana, Zanele Muholi coniuga la produzione artistica con l’impegno politico, dando vita a quello che lei stessa definisce “attivismo visuale”: le sue fotografie danno visibilità ai corpi e ai volti delle lesbiche nere e costruiscono un archivio della comunità LGBTQI sudafricana attraverso tracce visuali di una storia collettiva delle soggettività lesbiche, gay e trans, cancellate dalla storia ufficiale.

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Dalla razzista alla fascista: questa la scelta del governo italiano contro la violenza di genere

ImmagineNon è trascorso neanche un mese dalla delega come sottosegretario alle Pari Opportunità di Michaela Biancofiore, scelta che ha indignato molte persone dato che, la Biancofiore, era nota per le sue frasi razziste e omofobe. A causa, dunque, di tanto dissenso il governo decide di revocarle la delega e spostarla alla pubblica amministrazione, perché mandarla  a casa pare brutto – in fondo al governo abbiamo interi partiti razzisti, una in più che male può fare?

Dopo neanche 31 giorni il governo, che ha ampiamente dimostrato in tutti questi anni quanto tenga alla lotta contro la violenza sulle donne (valga uno per tutti il taglio ai finanziamenti dei centri antiviolenza), nomina come consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio Isabella Rauti, persona che, secondo le dichiarazioni di Alfano, sarebbe stata “individuata per l’alta professionalità e per il costante impegno nel settore”.

Ma chi è Isabella Rauti e di quale impegno parla Alfano? Partiamo con le notizie che probabilmente saprete tutt@: la signora è figlia di Pino Rauti, sì quello del MSI, e moglie di Alemanno, sempre sì, l’ex sindaco di Roma (lui perde il posto e la moglie lo trova.. lo so, lo hanno già detto tutt@, ma dovevo sottolineare questa tempistica dato che per noi precar@ non è mai così).  Imbevuta di cultura fascista, capiamo fin da subito come questa nomina sia sbagliata a priori, ma la Rauti ha anche delle qualifiche non da poco.

Innanzitutto è antifemminista. Lo ha dichiarato lei stessa in un’intervista che vi invito a leggere, per capire con chi abbiamo a che fare e quanta ignoranza vi sia in questa donna. Vi dico solo che per lei, uno dei grandi errori del femminismo è stato il voler eliminare i ruoli di genere e cancellare l’identità maschile e femminile. Capito? Tanti anni a discutere sull’origine culturale della violenza di genere, che si basa su quei fottutissimi ruoli di genere, dove per genere si intende un costrutto sociale spacciato per naturale, ed arriva la Rauti a dire che so minchiate e che le ragioni saranno altre. Del resto mica ci educano fin da bambin@ a esser da una parte “maschi che non devono chiedere mai” e dall’altra “angeli del focolare”? Ma Rauti crede fermamente nella biopolitica, tant’è vero che dichiara che sarebbero state loro, le donne antifemministe di destra, a inventare un primo “pensiero della differenza” dove, per chi non lo sapesse, tra le tante cose si incatena la donna al suo ruolo di utero.

Sull’utero delle donne, concordo con Alfano, la Rauti ha un’attenzione quasi maniacale. Ricordiamo, infatti, che è la seconda firmataria della ddl Tarzia nel Lazio con cui si voleva permettere ai pro-life l’ingresso nei consultori, e che era in prima fila alla Marcia per la Vita. Quindi, facendo un primo sunto, la Rauti è fascista, antiabortista e non ritiene i ruoli di genere un problema, anzi, se li rivendica con forza, tanto che per lei la donna DEVE esser utero. Se questo non è sessismo cosa lo è? Se il fascismo non è violenza, violenza anche di genere, cosa lo è? Se una donna che sfila accanto a chi vuole decidere per le altre donne, che vuole obbligare tutte noi ad esser uteri per una patria ed un Dio su cui pisceremmo volentieri sopra, che si è macchiato [chi?] di omicidi come quello di Giorgiana Masi, che alimenta una cultura violenta e sessista ogni giorno, cosa è violento?

Lo abbiamo ripetuto fino alla noia in questi anni, la lotta alla violenza di genere non può che essere antifascista, antirazzista e declinata per classe. Ma la cultura del calderone, che ha dilagato in questi ultimi periodi, ha permesso a tante donne, fasciste e razziste, di ripulirsi la faccia e proporsi come paladine di una lotta contro una violenza che loro stesse, insieme ai loro partiti, hanno alimentato continuamente.

E parlando di calderoni come non ricordare il fatto che la Rauti è stata tra le promotrici del gruppo del One Billion Raising? Ve lo ricordate quell’evento mondiale che in tanti paesi ha generato discorsi seri e molto acuti sulla violenza di genere e in Italia e stato ridotto a qualunquismo e ad un balletto sincronizzato? Si sono fatte tante prove per andare tutte all’unisono, ma il tempo per farsi una domanda su chi promuoveva questo evento in Italia non lo avete trovato? Preciso che non sono contro la forma in sé, ballare piace anche a me che mi muovo malissimo, ma sono i contenuti che mancavano. Le parole qualunquiste , i discorsi nazionalpopolari che parlano di una lotta alla violenza senza mai nominare chi e cosa la genera (Stato, chiesa, cultura, media), non solo non servono a nulla ma sono nocivi perché da un parte consentono a persone come la Rauti di spacciarsi come paladina delle donne, mentre dall’altra affossano il lavoro che molt@ di noi fanno quotidianamente e che punta ad una lotta radicale (o tutt@ saremo liber@ o non lo sarà nessun@).

Alla Rauti quindi vanno queste mie domande:

  • Come intende affrontare la violenza che le leggi razziste operano nei confronti delle migranti? Conosce le condizioni in cui vivono le donne e le trans rinchiuse nei CIE? Sa che in quei lager si violano numerosi diritti umani? E’ consapevole che è una violenza l’esser rinchiuse per non aver commesso nessun reato ma perchè  si è sprovviste di un permesso di soggiorno che lo stato italiano rende in ogni modo impossibile da ottenere? Crede che le donne che scappano da guerre, condanne a morte, padri o famiglie violente, da matrimoni combinati, dalla miseria, debbano ricevere accoglienza e sostegno? Oppure appoggia le leggi che le costringono alla clandestinità e quindi ad ulteriore violenza?
  • Come intende tutelare tutte le donne vittima di lesbofobia? Ritiene giusto che una donna debba essere discriminata per il suo orientamento sessuale? Come si pone rispetto ai matrimoni lesbici? E sulla transfobia? Come crede di contrastare la discriminazione che le persone trans subiscono? Quali azioni crede che si debbano intraprendere per supportare il loro percorso di transizione? Sulla possibilità di adozione da parte di persone trans o lesbiche cosa crede si possa fare?
  • Crede che esista un solo tipo di famiglia? Pensa sia giusto tutelare giuridicamente solo la famiglia considerata “tradizionale”? Sulle coppie di fatto che opinione ha? E sulle coppie che convivono? Sul poliamore e tutte le altre forme di famiglia non convenzionale? Crede che debbano restare discriminate o intende fare qualcosa per cambiare lo status quo?
  • Come intende affrontare il problema della violenza domestica? Crede anche lei, come suo marito, che non sia un problema dei sindaci? Sa che uno dei problemi su cui si fonda tale violenza è la mancanza di autonomia economica da parte delle donne? La precarietà in cui i governi precedenti insieme a quest’ultimo ci hanno destinate impedisce a molte donne di denunciare e quindi abbandonare una situazione violenta, cosa pensa si debba fare? Come pensa di affrontare il problema di classe che dilania il paese e colpisce due volte le donne? Lo sa che la pillola del giorno dopo può venire a costare 45 euro (tra ricetta più pillola) cifra che per alcune di noi, me in primis, è proibitiva?
  • Lo sa che molte donne non vogliono esser madri? Sa che è una violenza imporglielo? Sa che l’unico modo per diminuire gli aborti è informare i/le ragazz@ sul sesso e sulle precauzioni che devono prendere per limitare i rischi di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili? Sa che gli aborti clandestini esistono ancora? Sa che in alcune regioni l’obiezione di coscienza è così alta da impedire alla legge 194 di essere attuata? Pensa che la disinformazione clericale sulla pillola del giorno dopo, che non è abortiva ma viene spacciata come tale, e sui metodi da usare invece del preservativo (coito interrotto o calcoli di temperatura o giorni) non solo non proteggono dalle malattie ma mettono a rischi le ragazze a maternità indesiderate? Non crede che questa sia violenza perché con la disinformazione si cerca di controllare i corpi e la sessualità altrui esponendo giovani ragazze a rischi che potrebbero benissimo evitare? Non crede che lottare contro la possibilità di aborto sia una violenza contro l’autodeterminazione delle donne? Inoltre, per  chi invece vorrebbe avere dei figl@ ma non può, cosa ne pensa della legge 40? Non crede sia ora di porre fine a questa violenza che ha come obiettivo il controllo del corpo femminile?
  • Lo sa che uno dei problemi del nostro paese è la cultura moralista-cattolica? Cosa risponde a chi divide le donne in sante e puttane? Pensa che una donna debba avere il diritto ad una libera vita sessuale senza che essa sia a scopo riproduttivo? Non crede sia ipocrita una società che tappezza le città e le tv di corpi femminili erotizzati (a scopo eteronormativo) e poi censura tutto ciò che è considerato pornografico (cazzi e fighe messi in mostra)? Non pensa che i corpi delle donne e la loro sessualità siano usati come strumenti per eteronormatizzare la società? Non crede che bisognerebbe liberare i desideri censurati e i corpi dalla strumentalizzazione a cui sono sottoposti? La libertà sessuale per lei è stata raggiunta o c’è ancora tanta strada da fare? Crede che esista un effettivo immaginario fascista di bellezza? E se sì, come intende contrastarlo?
  • Come si pone contro la violenza che le forze dell’ordine e lo stato operano rispetto alle donne? Considera lecite le cariche della polizia rispetto a quei soggetti, quindi anche donne, che decidono di autodeterminarsi? Pensa sia giusto ricevere manganellate in ogni dove, essere insultate con epiteti come “puttana” o “troia” dai tutori dell’ordine, diventare il bersaglio di lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo perché si vuole difendere un diritto, quale esso sia (per una casa, per la salvaguardia di un territorio, per l’aborto libero e gratuito)? Pensa che alle donne servano tutori che le proteggano e che le menino appena disobbediscono al padre-padrone-stato?
  • Reputa fondamentale l’ingresso delle donne in luoghi di potere? Non crede che la cultura del potere sia nociva? Che differenza ci sarebbe tra una donna al potere rispetto ad un uomo? Pensa che il problema delle donne sia la mancanza di potere o l’esistenza del potere? Non sarebbe meglio lavorare sull’autorganizzazione e non alimentare una cultura basata sulla competizione? Pensa che sia un bene per le donne avere l’opportunità di entrare nell’esercito,  nelle forze dell’ordine e perpetuare le violenze che conosciamo tutt@? Pensa che permettere alle donne di divenire corresponsabili delle brutalità che qualunque istituzione autoritaria compie sia da considerarsi un passo in avanti verso l’autodeterminazione della donna?
  • Reputa giusto che le donne facciano del loro corpo ciò che credono? Crede che il lavoro di sex worker vada riconosciuto come tale? Cosa ne pensa delle leggi proibizioniste? E delle norme che in nome di una “maggiore sicurezza” e “decoro” espongono le sex worker a maggiori violenze? Cosa farà per contrastare la tratta? Lo sa che c’è differenza tra tratta e prostituzione autodeterminata?
  • Crede che la conciliazione sia un obbligo della donna? Non pensa che la donna dovrebbe condividere con il proprio compagno, ed entrambi essere supportati a livello della società, rispetto al ruolo di cura che oggi invece le viene completamente scaricato addosso? Non crede sia una vera e propria violenza far basare l’intero sistema di ammortizzatori sociali sul lavoro gratuito delle donne?
  • Reputa fondamentale la presenza nelle scuole della religione cattolica? Crede nel concetto di laicità dello stato? Sa che la Chiesa, da secoli, propone una visione della donna sottomessa all’uomo?  Sa che la religione cattolica è profondamente sessista?
  • In poche parole, crede che la lotta alla violenza di genere vada attuata a suon di leggi e maggiore militarizzazione, oppure con un’operazione di rivoluzione culturale?

La lista può continuare all’infinito, e se volete potete farlo nei commenti e appena posso li aggiungo alla lista. Intanto, penso sia chiaro che considero questa nomina l’ennesima beffa ad una lotta che per me e tante altre persone è fondamentale. Spero che queste scelte vi palesino la necessità di smetterla di chiedere, a chi ci violenta in ogni modo, di trovare modi per contrastare la violenza di genere e iniziare a delegittimare ogni forma di istituzione. Questo governo, fondato su un partito unico, è fascismo e non può, ne mai potrà, debellare la violenza di genere. La dittatura che stiamo vivendo e che si paleserà nella sua brutalità quest’autunno, dato che i segnali sono chiari, non dovrebbe ricevere da nessun@ di noi credibilità né riconoscimenti: chiedereste mai al vostro stupratore di fare qualcosa per smetterla di stuprarvi oppure resistereste con tutte le forze e con ogni mezzo? La risposta la sappiamo tutt@ e, anche se i calderoni di ogni sorta fanno da tappo ad una rabbia che agita diverse generazioni, forse la Turchia non è tanto lontana come sembra. La violenza di genere non può essere affrontata se non in maniera intersezionale, legandola ad altre lotte senza le quali ogni azione sarebbe vana. Non c’è lotta contro la violenza di genere senza antifascismo, antirazzismo e antispecismo e viceversa. Non smetteremo mai di dirlo: la Rivoluzione o è di e per tutt@ o non è rivoluzione!