Uno degli articoli pubblicati su Intersezioni che ha scatenato, dal suo primo apparire, commenti accesi e forti opposizioni è sicuramente la traduzione de Costruendo un discorso antimaterno di Beatriz Gimeno.
Appare dunque necessaria qualche ulteriore riflessione in merito, in particolare riguardo a quello che pare essere il motivo del contendere, ovvero la scelta di Gimeno di definire questo nuovo discorso come “antimaterno”. Il suffisso anti-, “che si oppone a”, è stato equivocato da più parti. Ci si potrebbe domandare, in effetti, se l’autora non avrebbe potuto descrivere la propria proposta come “non-materna” più che “antimaterna”… sicuramente, da un punto di vista lessicale, questo sarebbe stato forse utile ad evitare molti fraintendimenti, quali quelli in cui sono cadute tante donne (anche femministe) che hanno scelto consapevolmente la maternità, e in quell'”anti-” ci hanno visto di tutto: da un giudizio sulle proprie scelte personali, ad una discriminazione al contrario, ad una valutazione tout court negativa in merito all’esperienza della maternità, ecc.
Nulla di più lontano dalla realtà, in effetti. E non solo perché Beatriz Gimeno, è madre – triste doverlo sottolineare, ma purtroppo alcune hanno pensato di basare in massima parte la propria critica all’articolo sul presupposto (errato) che chi l’aveva scritto non doveva aver provato sul proprio corpo il ‘miracolo della maternità’, e perciò prendeva posizione in merito ad un’esperienza che non conosceva in prima persona; ma anche perché ciò che, almeno a nostro avviso, traspare in maniera cristallina da questo articolo è esclusivamente la necessità di costruire uno spazio di agibilità per un discorso non materno, e questo non solo in seno alla società, ma anche, evidentemente, e forse ancor di più nel discorso femminista.
Alcune hanno definito superflua questa richiesta, portando ad esempio la propria esperienza opposta di donne che si sono viste osteggiate in una legittima scelta di maternità – rendendo pertanto questa opzione molto più sovversiva rispetto alla scelta di non avere figli@. Non volendo mettere in dubbio la veridicità di tali vissuti personali, pare però difficile definire come norma quella che a tutti gli effetti risulta un’eccezione rispetto ad un sistema che si basa, sia a livello sociale che economico, sui ruoli di cura non retribuiti delle donne in qualità di madri, mogli, parenti (o anche retribuiti scarsamente, tra mille disagi e soprusi, come avviene per badanti e colf): sempre pronte, attente e sacrificabili sull’altare dei bisogni altrui.
Inoltre si commette spesso l’errore grave di pensare che una realtà come quella occidentale, nella quale comunque – per quanto poco e male, e tra mille continui tentativi di boicottaggio – un certo grado di agency è appannaggio delle donne, rappresenti la ‘condizione della donna’ attuale a livello globale… E in ogni caso anche la nostra autodeterminazione, tra obiezione di coscienza, assunzione della responsabilità riproduttiva a quasi esclusivo appannaggio femminile, assenza totale di educazione sessuale e all’uso degli anticoncezionali a disposizione – il tutto condito dal precariato galoppante – non se la passa esattamente bene.
Il discorso sulla non maternità è un discorso di libertà quando il discorso dominante punta in tutt’altra direzione. E nella nostra società ancora profondamente patriarcale, impregnata di sessismo, privilegio e discriminazione, è così. Questo perché, a prescindere dall'”hardware” proprio di ogni persona, il software dominante non lascia davvero scampo alle donne – è ovvio, si parla in linea generale, ma la linea generale è, di solito, quella prevalente – addestrate fin da piccole alla predilezione per certi ruoli, incapaci di sottrarsi a certe richieste (la cura, appannaggio esclusivo delle ‘femmine’ – della casa, dei bambini, degli anziani, degli uomini – che si esplicita in senso di dovere o compulsione), richieste sconosciute alla maggior parte degli uomini, e per i quali comunque si configurano, eventualmente, come scelta consapevole e non coazione a ripetere schemi introiettati fin da piccole… schemi a volte odiati, come quando capita di rivedere con rabbia e sgomento, in noi stesse, donne a noi vicine – mamme, zie, nonne, sorelle – che hanno vissuto una vita di infelicità e subordinazione, delle quali dicevamo che “noi non saremmo finite così”.
Il discorso sulla non maternità è ancora necessario quando tante, troppe donne, si sentono oppresse dalle aspettative uterine illegittime di genitori, parenti, compagni, amici, persino datori di lavoro o semplici conoscenti, aspettative che esistono e sono opprimenti.
Aspettative che definiscono coloro le quali non vi si conformano come donne cattive, arriviste, immature o zitelle, lesbiche o acide, donne mancate, sbagliate, incomplete. Soprattutto donne ingrate, egoiste e dissolute alla ricerca dei soli piaceri solipsistici della vita, o al contrario donne danneggiate che riversano su cure alternative (la zoofilia, ad esempio) una mancanza non confessata (che non è mai solo d’amore, si badi bene, ma di quel figlio che non ne ha occupato l’utero per 9 mesi).
Questi discorsi non sono anacronistici, sono la realtà vissuta da tante donne – e comunque donne privilegiate, donne che possono permettersi di non avere figli@, cosa assolutamente non scontata al di fuori dei nostri limitati orizzonti.
Ecco spiegato il motivo della necessità di quell’articolo, e di tanti altri a seguire. Perché l’articolo di Gimeno parla di tutte quelle donne che vivono disagi e discriminazioni perché scelgono di non avere figli@, donne che chiedono semplicemente uno spazio di esistenza legittima.
Il discorso antimaterno non è un attacco alle donne, né alle madri. Non è una guerra tra oppress@, non è una rivendicazione di valore: il discorso antimaterno è una questione di libertà, e se alcune donne dicono di non sentirsi libere di non fare figli@, e di voler lottare per questo, le altre, quelle che le/i figli@ li hanno fatt@ e magari felicemente, dovrebbero sostenere questa istanza. Quello che il femminismo dovrebbe insegnarci è il valore del reciproco ascolto, e non il posizionarsi su opposte e inconciliabili fazioni.
Dunque perché il termine anti- pare comunque adatto a questo argomento, quanto – se non più – del termine non-? Perché il discorso antimaterno va a decostruire non la maternità in quanto esperienza umana legittima, ma quel ‘discorso materno’ – che, attenzione, non è il discorso DELLE madri ma SULLE madri – che è appannaggio del sistema patriarcale, il cui scopo è spingere le donne, per i più svariati fini, a scegliere acriticamente questa opzione come unica valida e degna di rispetto. Sulla base di questo discorso, che è ancora quello dominante, si costruiscono false categorie di valore che relegano molte donne, non così consapevoli, a ruoli di cura solo in apparenza scelti liberamente – ma in realtà mai veramente messi, quantomeno intimamente, in discussione – e altre ad un ruolo di paria per il semplice fatto di non conformarvisi.
Appare dunque evidente che il problema non sta nella scelta o meno di essere madri – perlomeno quando questa scelta è fatta con consapevolezza – ma nella arbitraria assegnazione di minor valore e nel giudizio svalutante che una delle due scelte, di solito quella di non avere figli@, riveste di fronte all’altra.
Per approfondimenti leggi anche: Riprodursi? Anche no!