In quanto individuo che ha a che fare con la fatica perpetua datami dall’ansia, una delle punizioni verbali più creative e dannose che mi sono solertemente rivolto finora, è quella di non essere abbastanza produttivo – sentendomi di conseguenza travolto dai sensi di colpa. Questa convinzione possiede una discreta popolarità presso moltissime altre persone, in particolare coloro che hanno a che fare con il disagio psichico, o persone con disabilità. Lasciatemi dire che si tratta di un concetto ad alto tasso di balordaggine.
La nozione della produttività è radicata nelle idee capitaliste ed abiliste sul valore di un individuo. È assolutamente importante che si sia produttiv*, e non solo al lavoro, ma ogni maledetto istante. E cosa significa essere produttiv*? Quando siamo sever* con noi stess* per non essere produttiv* abbastanza, che significa? Possiamo provare a definire cosa significa la produttività per noi su un livello individuale, ma qualunque sia tale definizione mi riesce difficile separarla dalle già citate idee oppressive. Penso che questa sia una delle maniere più subdole, comuni e incontrastate di internalizzare l’ideologia borghese e perpetuarla verso noi e gli altri.
Definire cosa significa produttività potrebbe essere un attimino più semplice se guardiamo a cosa non è. Stare online tutto il giorno, videogiocare, guardare un film, dormire, rilassarsi, compiere qualsiasi azione considerata passiva; sono tutte cose frequentemente bollate come non produttive, quando vediamo della gente autocriticarsi per come usano il proprio tempo non-lavorativo, non strutturato. Cose che non hanno un obiettivo predefinito. Sembra che non avere una lista delle cose da fare, cosa che peraltro io ho e aggiorno pedissequamente per via di una mia certa tendenza ossessiva alla pianificazione, sia una specie di crimine contro l’umanità nel peggiore dei casi e una imperdonabile perdita di tempo nel migliore.
Produttività, per alcun*, potrebbe significare impegnarsi in uno o molteplici interessi e passatempi, fare delle commissioni. Potrebbe significare lavorare senza sosta per quattro lavori diversi, ognuno con meno garanzie e più sfruttamento dell’altro; potrebbe significare fare ricerca, o avere moltissimi progetti in corso, organizzare e partecipare a manifestazioni, condurre un workshop dopo l’altro, scrivere articoli, mettere a posto l’armadio. Essere produttiv*, però, non include mai quella serie di gesti, azioni e comportamenti legati alla cura di sé. Vedo molte, moltissime persone (creative in particolare) essere particolarmente dure nei loro confronti per non produrre abbastanza, specie se la ragione per cui ciò accade ha a che fare con le lotte che loro stesse ingaggiano per mantenere una buona salute fisica e mentale. Come fossimo catene di montaggio in miniatura, che subconsciamente si paragonano a fabbriche per la produzione di massa, che però non riusciremo mai a replicare per via delle ovvie, intrinseche limitazioni dell’essere un singolo individuo.
Il capitale è così profondamente immerso negli ingranaggi delle nostre vite che non capiamo nemmeno cosa diciamo davvero quando diciamo di volerci costringere a essere più produttiv*, o quando ci vergogniamo per non esserlo stat* abbastanza. Ci dimentichiamo di prendere tutto il tempo che ci serve per rilassarci e farci del bene perché siamo occupat* a raggiungere la quota immaginaria di produttività giornaliera. Perché i rituali quotidiani di cura di sé sono in opposizione ai nostri ideali di quella che è la produttività? Perché non è produttivo badare alle nostre necessità di animali umani?
Basta spingerci oltre ogni nostro limite, basta con la nozione della produttività e basta con l’idea che il nostro valore stia in ciò che riusciamo ad aver terminato a fine giornata. Il rispetto per noi stess* non è a cottimo. Cominciamo a lavorare sull’amarci quando ci diamo respiro.