Ignoranza di genere

dilbert_ignoranzaOvvero: cos’hanno in comune Luciana Littizzetto, Susanna Tamaro, Marina Terragni e Luisa Muraro?

La storia degli studi di genere in Italia, si sa, è difficile e tormentata, e la situazione attuale non è certo delle più rosee. Le responsabilità dell’insindacabile arretratezza dell’Italia in questo campo sono diverse, a volte lontane nel tempo, e il risultato è molto particolare, come riassume Paola Di Cori in un suo articolo significativamente intitolato Sotto mentite spoglie:

Nelle università italiane coesistono e confliggono alternativamente iniziative di alto profilo e corsi assai modesti; e così ottimi programmi di ricerca e di formazione superiore, efficaci insegnamenti introduttivi su specifici aspetti di un universo conoscitivo ormai sterminato esistono accanto e insieme ai prodotti di una offerta didattica generica, frammentata, indefinita, spesso del tutto insufficiente a garantire una buona strumentazione di base, entro la quale insegnamenti di argomento affine sono spesso scollegati l’uno dall’altro e privi di un indispensabile momento di raccordo generale; in alcuni casi sono soprattutto i periodi di studio all’estero a offrire un rimedio alle croniche défaillances della formazione in Italia.

L’articolo racconta anche cos’ha significato e cosa ancora significa provare a fare gender studies in una palude patriarcale e paternalista com’è l’università italiana. Questo penoso stato di cose a livello “alto” non è casuale: gli corrisponde, in un intreccio di cause ed effetti, un’analoga situazione nella scuola e nella società italiane, e il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paese sessista, patriarcale e paternalista apparentemente in maniera cronica. Ciò che sconcerta non è la leggerezza o l’indifferenza con la quale l’opinione pubblica tratta questi argomenti, ma il fatto che una diffusa ignoranza su queste questioni non generi curiosità o desiderio di approfondimento, quando necessario, bensì una manifestazione sempre più evidente d’ignoranza. Ignoranza che però è di molte specie, e vorrei qui mostrarne qualcuna, ben incarnata in esempi noti e notevoli.

1) L’ignoranza crassa: Luciana Littizzetto

In questo suo intervento a “Che tempo che fa” (dal minuto 8:54), sostanzialmente ripetuto anche su La Stampa, Luciana Littizzetto dimostra che del pur noto argomento “linguaggio sessista” non sa e non ha capito nulla:

Qualche giorno fa c’è stato un incontro a Montecitorio organizzato dalla presidente della Camera Boldrini con i responsabili dell’Accademia della Crusca che non è un’associazione vegana che si occupa del transito intestinale, ma l’Istituto per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana. Si sono incontrati per parlare di questo tema pressantissimo: il sessismo nella lingua italiana. Loro dicono che c’è una discriminazione della donna nella lingua italiana. La lingua italiana non rispetta la parità perché ci sono delle parole declinate al femminile e altre no.

Non è proprio così, “Lucianina”, avresti potuto informarti. Ma in fondo, perché farlo? Tanto fai ridere anche così – se non facessi un danno grave, a pensare di fare ironia su qualcosa che non hai capito. Il risultato è che fai ridere altri ignoranti come te. Contenta? Evidentemente sì.

Fino a qualche anno fa le professioni dove non è in uso il femminile erano soprattutto maschili mentre adesso li fanno anche le donne. C’è stato un cambiamento grosso nella società e piano piano cambierà anche la lingua. La nostra lingua è fichissima, mobile, ci fa stare dentro un sacco di roba, anche tante parole straniere, piano piano ci metterà anche i femminili… non mi farei venire tutta sta para, Boldrini.

A una spiegazione apparentemente corretta – le donne che svolgono professioni tradizionalmente maschili sono ancora poche quindi molte parole suonano ostiche perché ancora poco usate – Littizzetto manca di dire due cose fondamentali, che ne inficiano tutto il discorso. Uno: la Crusca non c’entra nulla, la grammatica è lì e da sempre dice quali parole sono corrette e quali no. Il problema dell’uso è dei parlanti, cioè culturale, e qui sono dolori, perché la cultura diffusa in Italia è una cultura tradizionale, reazionaria, sessista.

Io penso che sarebbe tanto bello lottare, e fare convegni, e incazzarsi, per la sostanza, non per la forma. Stesse possibilità di lavoro, stessi stipendi, e rispetto – invece che annullamento – delle differenze. Io che sono donna voglio essere rispettata perché sono DIVERSA da te, non UGUALE a te. So che mi sono attirata le ire dell’Accademia della Crusca.

Due: il problema del linguaggio non è secondario – come lei sostiene con un classico del benaltrismo – a quello del reddito, perché finché le donne non saranno neanche nominate correttamente, cioè riconosciute socialmente e culturalmente come pari, sarà ben difficile convincere chi paga a dare loro quanto un uomo di analoghe mansioni e capacità. Non ti sei attirata le ire di nessuno, “Lucianina”: al massimo fai pena. Per questo, invece, Boldrini si fa “venire tutta sta para”: lei il problema di “uguale” e “diversa” l’ha capito, tu no. Lei chi vuole davvero “l’annullamento delle differenze” l’ha capito, tu no. Queste sono acquisizioni di base per chiunque si sia interessato seriamente alla faccenda: la tua è, “Lucianina”, ignoranza crassa delle questioni in gioco, tutto lì.

2) L’ignoranza colta: Susanna Tamaro

Chiamata a dire la sua sulla triste vicenda delle scuole triestine dove si sarebbero insegnate cose zozze e roba da sporcaccioni ai bambini, Tamaro parte dalla constatazione che ormai le donne, nella società, ce l’hanno fatta:

Il tabù delle professioni solo maschili è caduto ormai da tempo nella nostra società. Ci sono donne nei pompieri, nelle forze dell’ordine, donne che guidano navi da guerra e che pilotano caccia.

Adottando il metodo tipico dell’elite intellettuale (leggi: stronz*) di prendere le eccezioni per regole consolidate, Tamaro prosegue con lo step due della stronzaggine, proponendosi come modello e esempio di bambina qualunque:

Io, ad esempio, ho sempre provato un vero orrore per i costumi femminili, detestavo le principesse, i pizzi, il colore rosa, se c’era un ruolo che rivendicavo per me era quello del comandante di Fort Alamo o di un capo indiano, e in queste attribuzioni – che avvenivano cinquant’anni fa – nessuno mi ha mai preso in giro né represso in modo tale che io me ne ricordi come di una ferita. Non solo, ma giocando mi facevo sempre chiamare con un nome maschile, perché quella era l’energia che sentivo di avere addosso, e tutti intorno a me stavano al gioco.

Quindi siccome certe cose a lei non sono successe, non le crede possibili; e dato che a nessuno che conosce lei sono capitate, allora non esistono. Complimenti per la simpatia e per il paragone azzeccato con la realtà di tanti. Proseguendo nell’ostinata intenzione di non informarsi, perché evidentemente lei si sente depositaria del sapere, Tamaro continua a parlare di un mondo di fantasia:

Ma in che cosa consiste l’educazione sessuale, e soprattutto che cos’ha davvero prodotto in tutti questi anni di diffusione scolastica? Dovrebbe essere servita a far conoscere il corpo e le sue esigenze affettive, oltre naturalmente ad evitare malattie e gravidanze indesiderate. È stato davvero così? Se ci guardiamo intorno, non possiamo non notare che il degrado relazionale è purtroppo molto diffuso tra gli adolescenti.

Quindi secondo Tamaro l’educazione sessuale, in Italia, è diffusa da molti anni. Se vi va, continuate a leggere; finirà con l’elogio del silenzio su certi argomenti, quel silenzio tanto benefico per migliaia di ragazzi e ragazze che poi trovano finalmente in Youporn o Ask il corretto canale informativo per fare esperienza del loro corpo. Complimenti anche per questa ignoranza, nata da una smisurata presunzione intellettuale e dannosa socialmente ben più della precedente.

3) L’ignoranza sbandierata: Marina Terragni

Nel linguaggio sportivo è ormai consuetudine da alcuni anni definire “ignorante” il gesto compiuto senza troppo riguardo né per l’avversario né per la tecnica, quasi per sfogarsi: c’è il tiro ignorante, il sorpasso ignorante, il colpo ignorante. Ecco, per quanto riguarda le questioni di genere, questo tipo di ignoranza è perfettamente rappresentata dalla prosa di Marina Terragni. Che a proposito di educazione sessuale argomenta così:

Fa parte di suddetto cretinismo anche un certo concetto di “educazione sessuale” per infanti e adolescenti, espressione che è quasi un ossimoro perché il sesso è tutto fuorché educato. Basterebbe leggersi un bigino di Michel Foucault per inquadrare la questione: detto alla buona, meno parole si fanno sul sesso e meglio è, per il piacere. Perché poi lui avverte che la sessualità non esiste, esistono i corpi e i piaceri.

Capito? Frasi lapidarie, citazioni fatte “alla buona” perché è come dico io e basta, e chissenefrega della coerenza o di usare parole più adeguate. Evidentemente, anche chissenefrega di informarsi: Terragni sinteticamente fa gli stessi errori madornali di Tamaro, ma lei non ha tempo da perdere con le belle parole e ci tiene a dirlo.

Mi viene la pelle d’oca, quindi, all’idea che dei formatori appositamente formati (il business della formazione oggi è colossale) pretendano di spiegare a dei ragazzini-e come dovranno regolarsi nelle cose di sesso, addirittura come ci si masturba e altre idiozie del genere.

Complottismo, falsi moralismi (nessuno parla ai ragazzini di come ci si masturba): la pelle d’oca viene a chi si spende e spande per diffondere un po’ di coscienza e conoscenza su certi argomenti, e poi si trova deliri del genere sui media senza che nessuno le rida in faccia. Giustamente: quale diffusione dovrebbero avere certi argomenti per far sì che chi scrive amenità di questo calibro venisse istantaneamente seppellito dalle risate? Quella di un altro paese, non certo di questo. Beccatevi il succo del discorso:

Anche il sesso, come i temi eticamente sensibili, vuole il minimo indispensabile di parole.

Quindi in sostanza sbrighiamocela con il classico del potere paternalista: “io so’ io e voi nun sète un cazzo”, e passiamo al prossimo argomento.  Grazie Terragni, è sempre un piacere parlare con lei.

4) La falsa ignoranza: Luisa Muraro

Ulteriore e più raffinato tipo d’ignoranza è quella volutamente costruita da chi scrive di proposito testi distorti in modo da perseguire nient’altro che i propri interessi. Luisa Muraro infarcisce questo articolo di esempi, richiami e citazioni, e dopo un bel po’ si arriva a quello che le sta a cuore:

La differenza sessuale è un imprevisto che falsifica le teorie, ultima la gender theory. Nella prospettiva disegnata da Feyerabend descrivendo la cosmologia greca, la gender theory dei cinque generi ha qualcosa di doppiamente aberrante: perché solo cinque? Potrebbero essere tanti e tante, quanti e quante siamo su questa terra. […] Finalmente, nel suo Undoing gender (2004), recentemente riproposto in italiano con un titolo più vicino all’originale, Fare e disfare il genere (Mimesis, 2014), Judith Butler, nota proprio come teorica della gender theory, intitola così un capitolo: «Fine della differenza sessuale?» E così lo conclude: questa rimarrà una questione persistente e aperta.

Embè? Sono cose arcinote, com’è arcinoto che “la gender theory dei cinque generi” non è di Butler né di nessun* filosof* minimamente degn* di questo nome. Perché Muraro mischia a bella posta il nome di Butler non con la gender theory ma con la “teoria del gender”, quella roba inventata dal Vaticano per i propri meschini interessi di propaganda?

Pensato per gli scopi della ricerca storica, il cosiddetto «genere» è dilagato come uno pseudonimo di «sesso», o come un eufemismo: il «genere» non fa pensare al femminismo e ha l’ulteriore vantaggio che si può adottare nel linguaggio ufficiale e accademico senza suscitare imbarazzanti associazioni sessuali. In breve, la differenza sessuale si avviava ad essere esclusa dalle cose umane, per essere sostituita da un travestitismo generalizzato senza ricerca soggettiva di sé, disegnato dalle mode e funzionale ai rapporti di potere. Insomma: l’insignificanza della differenza e l’indifferenza verso i soggetti in carne e ossa.

Ah, ecco. Muraro s’è sentita di dover difendere la roba sua, il femminismo della differenza, da chi la pensa diversamente, cioè Butler – indubbiamente un pochino più letta di lei anche in Italia. Peccato però che lo faccia usando la pseudo-interpretazione di Butler che ne fa anche Bagnasco: «Il gender edifica un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità». La sua conclusione, dopo questa acrobazia d’ignoranza (c’è proprio la volontà d’ignorare quello che Butler sostiene) è questa:

Ad ogni buon conto, se il nuovo regime politico-economico usa le invenzioni del femminismo per plasmare la soggettività umana, non prendiamo la postura della critica contro, quel NO ripetitivo e sterile, e riprendiamoci quello che è nostro con la spada in mano, se così posso esprimermi.

Muraro riassume così tutte le ignoranze viste qui: di alcune cose non sa, di altre è troppo superiore per occuparsene, su altre ancora comanda lei e basta – ma tutto ciò in maniera più consapevole di Littizzetto, Tamaro e Terragni. Alla stessa che ha tradotto e divulgato Speculum di Irigaray e ha scritto Dio è violent non si può concedere la scusa di scrivere a vanvera.

In sostanza, lei continua a ribadire quello che diceva vent’anni fa in un articolo (Questione di naso, occhio e orecchio, 26 marzo 1996) su «Il Manifesto»: per Muraro gli studi di genere non servono, basta il femminismo. Il suo, però. Complimenti anche alla falsa ignoranza “con la spada in mano”.

Tutto ciò nei media generalisti, e quasi contemporaneamente, in Italia, nel 2015.
Buona giornata.

Deconstructing Veronesi – l’estetica spiegata con la biologia (Micromega #7)

piccola_veronesi Lo ammettiamo: tutta questa lunghissima esegesi (o pippa) sul numero di Micromega l’abbiamo fatta solo per parlare del pezzo di Veronesi, intitolato “Il corpo delle donne dalla mortificazione all’emancipazione”. Che meritava di essere inserito nel suo degno contesto, per essere veramente apprezzato come merita.

Intanto la scelta dell’autore. Dopo tutto il porno e la prostituzione di cui non avevamo bisogno, arriva questo articolo, centrale, anche nella posizione, con una sezione tutta per sé intitolata “Memoria”, insomma è il più importante, quello che ci dà la “cifra” di Micromega sul tema del corpo della donna. E lo affidano a Veronesi, beh, sì certo. Ci sembra logico.

Ma d’altronde se ci ritroviamo un patriarcato ancora in piedi dopo 4.000 anni non è mica perché uno ha sbagliato una virgola, piuttosto perché oggi la politica ha estromesso tutte le istanze sociali ed economiche importanti dal discorso pubblico (Salvini a Roma e Renzi posta la vittoria dell’Italia sulla Scozia ma è tutto a posto) e una rivista come Micromega non ha più senso di esistere, quindi per vendere e fare rumore si affida al nome di grido con dietro il vuoto (su tutti Nappi e Siffredi) oppure alla pura conservazione, alla restaurazione dell’ancient regime.

Il gioco è fatto, dalla fine dell’impero all’inizio della monarchia, il nuovo senso di micromega

è quello di dare una veste “onorevole” a vecchi e ammuffiti retaggi che con tutto il resto erano stati cacciati giustamente nelle fogne dal femminismo.

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L’introduzione:“ha dedicato tutta la vita a curare il tumore femminile per eccellenza, quello al seno” [Sara: sono paranoica, lo ammetto. A me scatta già un campanello di allarme, c’è un tunnel davanti a me con un bel titolo gotico: “Il tumore femminile per eccellenza” ho i brividi, mi sento condotta verso il buio] “un corpo che è strumento di seduzione e il cui uso disinvolto non è in contraddizione con l’emancipazione delle donne” [perché chi l’ha detto, chi lo sostiene? Mhm, non sarà mica l’ennesima bordata alle femministe, quelle che hanno rinunciato al corpo… bla bla bla?] “il più grande oncologo italiano spiega perchè è convinto che il mondo  va verso un potere tutto al femminile [interessante] e perchè il proibizionismo, su tutti i fronti – prostituzione compresa – non funziona [ah ma allora è un ritornello che non si può smettere di cantare. Sembra che le uniche due attività libere che sono concesse alle donne dopo anni di lotte siano la prostituta e la pornostar, dovevano spiegarglielo prima!] non funziona [prima frase buttata là: il proibizionismo con la prostituzione non funziona, dove andrà a parare? Visto che abbiamo letto Nappi a monte, un dubbio che si vada in quella direzione ci viene.]

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Nella prima parte del breve articolo il professore racconta della sua scelta di medico, di come abbia aperto la strada alla via conservativa del seno colpito dal tumore a differenza della tendenza dominante allora. Il rispetto per le donne è nato dalla figura materna, guida assoluta dopo la morte del padre. Qui la prima pietra teorica della sua convinzione: “il corpo femminile è simbolo della procreazione, della continuazione della specie, in altre parole è il simbolo dell’umanità e lo scempio di questo simbolo era per me inaccettabile” [quindi il corpo della donna è un corpo simbolico simbolo dell’umanità e questo come c’entrerebbe con l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne? A noi sembra tutto un piedistallo e un destino costruito dalla parte maschile dell’umanità].

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Nel paragrafo successivo il professore ci illustra la concezione del corpo della donna contro cui ha dovuto combattere mettendo a punto la sua tecnica conservativa. Gli allarmi sorti in noi quando ha inizialmente parlato della biologia come destino della donna si placano al suono di queste parole (nel brano sono scambiati vecchio e nuovo testamento): “Nel Nuovo Testamento la donna è quasi assente perchè considerata un essere secondario, a metà strada fra l’uomo e l’animale, senz’anima, era un gigantesco utero, un semplice strumento per la riproduzione”[Sara, lo ammetto, ho sospirato di sollievo], [addirittura, come professore da par suo egli ci indica le motivazioni di storiche di tale secondarietà della donna nell’antichità]: “L’ossessione del popolo ebraico era, infatti la propria possibile estinzione, visto che si trattava di un piccolo gruppo sempre esposto a guerre, carestie eccetera, per cui procreare era un dovere divino. Procreare ad ogni costo, anche con l’incesto se necessario” [Beh, finalmente un uomo colto che come uomo di scienza, usa la sua autorevolezza e la sua sapienza per spiegare che il presunto destino procreativo della donna è un concetto inventato per le esigenze di un popolo vissuto migliaia di anni fa che oggi non ha nessun fondamento e che viene strumentalizzato contro le spinte emancipazioniste e di miglioramento della condizione femminile infatti ecco che aggiunge]: “ Di tutta questa cultura della donna ridotta a strumento di procreazione è rimasto ancora oggi qualche residuo, per esempio il femminicidio, che è un sintomo del disagio maschile davanti all’emancipazione del genere femminile. Ormai però la strada è segnata.”

Ma perchè il professore è così ottimista? perchè lui ha vissuto con le donne, conosce la psicologia femminile “come forse nessuno al mondo” [ma non fa l’oncologo? Mah] e sa che sono migliori degli uomini in molte mansioni e a parte  singole eccezioni “amano la pace, non uccidono” [Sara: possiamo tradurlo con “sono depositarie di un istinto conservativo?” Lorenzo: io tradurrei con un mitico “sono buone di natura”] per cui gli uomini si devono rassegnare perché semplicemente “Siamo metà uomini e metà donne e al potere ci devono essere metà uomini e metà donne” [Ah, ecco]. Ma è un’altalena di emozioni però, che fatica fino a quando poche righe subito sotto arriva la mazzata che fa perdere tutta la logica dell’articolo e svela senza troppi giri di parole il senso del pensiero schizofrenico di Veronesi:] “Certo, questo percorso di emancipazione porta con sé anche delle contraddizioni, perché la donna si ritrova a dover conciliare la sua funzione principale, che è quella di procreare e allevare figli, con il desiderio/diritto di lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività” [Sara: personalmente ho dovuto rileggere il pezzo più volte perché pensavo di aver letto male. Questa “contraddizione delle donne” non è nulla rispetto a quella che il professore ha espresso con tranquillità in questo articolo. Lorenzo: e pensando di dire loro qualcosa di straordinariamente intelligente: ricordiamoci che lui conosce la psicologia femminile come forse nessuno al mondo]. E questi vostri desideri/diritti, badate bene donne, secondari rispetto alla vostra funzione principale che è procreare e allevare i figli, “crea dei problemi sociali non indifferenti: le donne si sposano sempre più tardi, [e non è perché le donne sono sole davanti ai loro impegni a casa e in famiglia no, è perché hanno questi desideri/diritti che creano un sacco di problemi], si diffonde l’infertilità femminile [questo esattamente che connessione ha con “lavorare e impegnarsi nella gestione della collettività? Ad essere buoni va almeno spiegata, così pare una specie di virus], aumenta il ricorso alla procreazione assistita [Sara: ma non sarà  anche perché prima non si poteva fare? Lorenzo: e poi, anche nella procreazione assistita, non sono sempre donne a procreare? O Veronesi sa qualcosa che noi non sappiamo?] e si fanno meno figli di un tempo [quindi l’emancipazione femminile è la causa della caduta della natalità. Complimenti!]. Ma, altro fiore di follia, a rallentare questa spinta, che comunque è inarrestabile secondo Veronesi, chi potrebbe essere? “L’immigrazione islamica, perché il mondo islamico è ancora cauto su questo fronte”. [Sara: Complimenti, davvero complimenti vivissimi. Lorenzo: Veronesi, e le scie chimiche? Niente sulle scie chimiche?].

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Atterriamo nuovamente nel terreno della prima personalità di Umberto Veronesi: “L’emancipazione della donna si fonda sul principio – in cui io credo fortemente e che guida tutte le mie riflessioni sui temi etici e sociali, dalle droghe all’eutanasia – dell’autodeterminazione di ogni singolo individuo” [“Autodeterminazione: Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”, Enciclopedia Treccani], anche sul proprio corpo la donna ha diritto di scegliere in propria autonomia e libertà [anche se la sua funzione principale è quella di procreare e di allevare i figli, dovete soffrire come noi!!!].

A cosa si riferirà per esempio qui il professor Veronesi, per esempio al diritto di poter abortire? Assolutamente no, subito dopo aggiunge: “L’abbellimento del corpo femminile ha un fondamento biologico, perché la seduzione è la parte preliminare della procreazione [Lorenzo: ha detto solo “femminile”, confermando scientificamente che l’òmo ha da puzza’. Grazie Veronesi] e dunque l’attenzione al proprio corpo fa parte degli istinti biologici primari per la conservazione della specie” [sì amiche, avete capito bene. Vestiti, scarpe, calze, trucco TUTTO ciò che usate per guardarvi allo specchio, piacere e piacervi è tutto finalizzato non a sentirvi ammirate, non a sentirvi bene con voi stesse, non a trovare una persona che vi apprezzi, ma a procreare, è più forte di voi].

Di qui la riflessione che, capirete, è spontanea: “Dov’è il confine  tra libertà di disporre a piacimento del proprio corpo e mercificazione dello stesso? Difficile dirlo. La prostituzione femminile, per esempio, è quasi inevitabile vista l’assurdità biologica per la quale la donna ha poche decine di ovuli  e li conserva per la vita [sta stronza] mentre l’uomo ha una potenzialità procreativa enorme e inutile: ogni masturbazione manda fuori mililoni di spermatozoi, quando ne basta uno per procreare. Da questa asimmetria biologica deriva un diverso bisogno dell’uomo di fare sesso, che sta alla base della prostituzione [giusto e quindi poi la donna se ne approfitta, no? Ah, già ma quella non era la tesi di un luminare della medicina, era quella della pornostar Valentina Nappi, sì, dai quella che ha anche un blog su micromega da settembre 2014]. E qui il nostro valente medico cita fior di filosofi a supporto delle sue tesi: “Persino sant’Agostino accetta la prostituzione [come se avesse potuto, lui da solo, impedirla], considerata come un male minore, visto che nella famiglia l’uomo non poteva trovare soddisfazione alle sue esigenze sessuali. E’ una posizione comprensibile, se si tiene conto di questo assurdo potenziale procreativo dell’uomo”. Capito? La prostituzione, quindi, è al naturale conseguenza di una caratteristica naturale: l’uomo eiacula come un geyser, poverino, e la prostituzione è la cura sociale a questa sua disgraziata condanna naturale.

***

Pensate che il nostro abbia finito? Poveri illusi. La sua megalomania è inarrestabile: “Io conosco bene il mondo delle prostitute, perché da ragazzino per andare a scuola passavo in una zona dove ce n’erano parecchie. Loro mi vedevano passare, mi accarezzavano, mi davano le caramelle, poi quando sono cresciuto sono state loro che mi hanno istruito sul sesso”. [Sì, lo ha detto proprio Umberto Veronesi, ex ministro della sanità, tra le tante cose. La sua statura di studioso gli permette anche paragoni audaci, metafore ardite:] “Quanti sono gli uomini che si prostituiscono davanti ai propri superiori per fare carriera? Durante il fascismo tutti gli italiani si prostituivano: il 90 percento aveva la tessera in tasca senza credere nel fascismo” [biologia, storia, femminismi, psicologia: ma quante ne sa, ma quante ne dice di scemenze? Tante, e tutte di squisita fattura. Non per niente siamo su Micromega].

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Pronti per i fuochi d’artificio finali? No. Nessuno può essere pronto.

Tornando al tema dell’uso del corpo, quante donne sposano un uomo solo per la sua ricchezza? Anche questa è una forma di prostituzione, e anche questa con un suo fondamento biologico perché i soldi permettono di allevare meglio i figli: la donna sfrutta il proprio corpo, la propria bellezza, per sedurre l’uomo che le consentirà di allevare al meglio i figli.

E voi lì a rompervi la testa e le scatole col patriarcato, e Lonzi e Braidotti e Haraway – tutto inutile: sposare uno ricco è biologia. Sei cessa? Sei povero? Cazzi vostri, la biologia vi condanna.

E questo accade anche in politica: molte donne hanno dimostrato di essere brave in politica, al di là di come hanno iniziato la loro carriera. E’ inutile fare gli ipocriti: le donne hanno una marcia in più, che non è necessariamente legata ai canoni standard della bellezza, perché la seduzione può trovare mille vie [scusate allora: se sei cessa qualcosa la puoi fare, ma se sei povero niente, ti rimane il caro vecchio Onan]. Per cui non vedo contraddizione tra l’uso anche spregiudicato del proprio corpo ed emancipazione femminile.

E via così, l’oncologo che costruisce l’ontologia berlusconiana. E perché mai dovresti vederla, Veronesi, una qualsiasi contraddizione?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing filosofi coi pregiudizi, pregiudizi sui filosofi e filosofi dei pregiudizi

lp-village-peoplemacho-man-PDopo Zecchi (uno e due) evidentemente circolano brutte dicerie sui professori di filosofia. Non volendo essere in nessun modo discriminatori, eccone qui uno che ancora non assurto alle glorie televisive è però ben assestato nelle pagine di un noto quotidiano di sinistra che vanta nobili natali e un nome – addirittura! – di derivazione marxista. Tutto ciò che leggerete è stato fatto in occasione dell’otto marzo, occasione nella quale io personalmente mi comporto così. Avviciniamoci con rispetto e una vaga inquietudine a quanto di sublime sta per rivelarci il nostro professore in tema di donne – nel senso di questioni di genere eh, non fate i maliziosi. Ecco qui l’originale di Paolo Ercolani, giornalista e docente di Storia della Filosofia e Teoria e tecnica dei nuovi media all’Università di Urbino.

Restare Donne [Abbiamo dunque un cattedratico di filosofia che scrive sul giornale un invito alle donne a fare qualcosa – restare tali, dice il titolo. Inizia maluccio, ma via, diamogli una possibilità.]

Iste­ri­che, insta­bili, inaf­fi­da­bili, emo­tive, ute­rine, anti-sociali, ferine. Puttane! [Attenzione, l’autore vorrebbe essere ironico. Teniamone conto o ci potrebbero sfuggire alcune parti essenziali del suo raffinato pensiero, per ora espresso anche con insulti sessisti. Però è ironia – chi era quello che diceva sempre che era frainteso e che voleva solo essere ironico?]

La lista seco­lare del pre­giu­di­zio miso­gino è lunga e sem­bra scritta sulla parete eterna dell’umanità per rimar­care l’inferiorità dell’essere fem­mi­nile [sembra, «com’è buono lei» (cit.)]. Infe­rio­rità ine­men­da­bile e irre­cu­pe­ra­bile, tanto da giu­sti­fi­care e anzi ren­dere oppor­tuna e per­sino neces­sa­ria la sot­to­mis­sione al maschio. Quest’ultimo sta­bile, coe­rente, affi­da­bile. Razionale! [Ah, ecco svelata l’ironia. Non ridete? Problemi vostri: l’otto marzo è una festa, no?]

IL PIU’ ANTICO PREGIUDIZIO

Quello con­tro la donna si rivela come il più antico, radi­cato e dif­fuso pre­giu­di­zio che la sto­ria umana è stata in grado di pro­durre. Tetra­gono agli urti del tempo e per­fet­ta­mente in grado di tra­sfor­marsi per poter resi­stere a ogni forma di sana resi­pi­scenza. Anche oggi che quasi nes­suno ha più il corag­gio (e il buon senso) di espli­ci­tare quei pen­sieri sulle donne (e molto spesso sono le donne stesse) [duole constatare che gli ordinari di filosofia, come vuole un altro tetragono pregiudizio, vivono non si sa dove: di maschilisti che esprimono tranquillamente fior di pregiudizi son pieni, tanto per cominciare, i giornali, altro che quasi nessuno], biso­gna sapere che il pre­giu­di­zio miso­gino esi­ste e lavora nell’oscurità dell’animo di ognuno di noi [«senti come pompa il pippero» (cit.) e beccatevi questa condanna senz’appello, lui ha letto un sacco, ne sa di cose]. Essen­dosi tra­sfor­mato in abito men­tale e quindi, come ben sapeva il filo­sofo ame­ri­cano Peirce [che faccio, cito uno noto o uno che ce lo siamo letto in tre? Sono sul Manifesto: devo essere elitario. Quindi, cito quello che ce lo siamo letto in tre], in cre­denza non espressa ma per­fet­ta­mente in grado di eser­ci­tare il suo influsso note­vole e palese sui com­por­ta­menti concreti [oh, siete svegli? Seguite bene: esiste nell’animo di ognuno, poi è abito mentale, quindi credenza non espressa che influisce sui comportamenti. Peccato, speravo ci dicesse da quale orifizio dovrebbe uscire questa roba e anche, più utilmente, da dove nasce il pregiudizio misogino: è innato, così, per default nell’animo di ognuno? Mah. Forse devo rileggere Peirce].

Il pre­giu­di­zio più antico ma anche il più dif­fuso. Che fos­sero atei o cre­denti, pro­gres­si­sti o con­ser­va­tori, rivo­lu­zio­nari o rea­zio­nari, scien­ziati o pen­sa­tori, tutti i più grandi arte­fici della cul­tura occi­den­tale si sono ritro­vati e spal­leg­giati nella con­danna e mor­ti­fi­ca­zione dell’essere femminile [e sempre, apparentemente, per qualcosa che era nel loro DNA: ricordatevi che esiste e lavora nell’oscurità dell’animo].

Ina­de­guata a rico­prire qua­lun­que ruolo che non fosse quello di occu­parsi della casa e alle­vare figli, la donna si è vista sbar­rata per secoli ogni strada che potesse con­durla a qua­lun­que altra atti­vità che non fosse quella di essere ausi­liare (una costola) alla crea­tura prin­ci­pale, al «primo sesso»: il maschio.

Da stu­dioso di filo­so­fia ho spesso pro­vato a imma­gi­nare la delu­sione pro­fonda, il senso di sco­ra­mento, per­fino l’angoscia che potrebbe (e dovrebbe) pro­vare una gio­vane stu­den­tessa, appas­sio­nata di que­sta mate­ria, che si avvi­ci­nasse alla let­tura dei grandi classici [però, che modestia. Potrebbe anche provarla lui questa delusione profonda, e invece no. Potrebbe anche non fregargliene nulla, alla giovane studentessa, la quale potrebbe tranquillamente studiarsi anche solo filosofe donne; ma il professore di filosofia sa bene cosa lavora nell’oscurità dell’animo anche di sessi diversi dal suo].

Sco­pri­rebbe che Pita­gora, Pla­tone, Ari­sto­tele, Sant’Agostino, San Tom­maso, Mar­si­lio da Padova, Bacone, Mon­tai­gne, Locke, Kant, Hegel, il per­fido Nie­tzsche («Se vai da una donna non dimen­ti­care la frusta»)…Tutti, tutti per­fet­ta­mente con­cordi, e con argo­menti sor­pren­den­te­mente con­fluenti, nel con­fer­mare lo sta­tuto di essere mise­re­vole, disgra­ziato, infe­riore che sarebbe la donna [peccato che queste informazioni se le dovrebbe ricavare da sola leggendoli o leggendo testi di filosofe, perché i manuali di filosofia ben si guardano dal raccontarlo – questo quando lo diciamo?].

Nello stu­dio per la ste­sura del libro a cui sto lavo­rando [ah, ecco il perché di tanto zelo], dedi­cato pro­prio a que­sto argo­mento, avrei [perché il condizionale?] poi sco­perto che Chri­stine de Pizan, scrit­trice e poe­tessa italo-francese che scri­veva a cavallo tra il 1300 e il 1400, ini­ziava il suo libro («La città delle dame») pro­prio con lo sgo­mento e la pro­fonda ango­scia pro­vate dalla gio­va­nis­sima pro­ta­go­ni­sta Cri­stina. Appas­sio­nata di filo­so­fia e pro­fon­da­mente tur­bata dalla sco­perta che i suoi amati clas­sici erano tutti con­cordi nel rimar­care con argo­menti duri e vio­lenti l’inferiorità e la neces­sa­ria sot­to­mis­sione della donna [il docente di filosofia scopre ciò che è risaputo da sei secoli e ne fa un libro, di queste sue scoperte. Poi ti domandi perché esistono certi pregiudizi sui filosofi].

L’ORIGINE DI TUTTE LE DISGRAZIE

Del resto, ad essa è stato attri­buito un ruolo disgra­ziato e nefa­sto fin dalla nascita del mondo. Basta leg­gere Esiodo [che come sapete leggono tutti, vende più della Gazzetta dello Sport] per sapere che Zeus aveva creato la donna, per­so­ni­fi­cata da Pan­dora, per punire gli uomini in seguito al furto di Pro­me­teo. Pan­dora era for­nita di un vaso con­te­nente tutte quelle disgra­zie e pene di cui l’umanità era stata dispen­sata fino a quel momento. Postina o amba­scia­trice di morte, malat­tie, fati­che immani, dolori, scon­fitte, Pan­dora finì [finì, da sola, senza l’aiuto di nessuno eh, mi raccomando] con l’essere iden­ti­fi­cata con la donna in genere. Ori­gine e causa di ogni male!

Stessa situa­zione pre­sen­tata dalla Bib­bia. Dio non aveva pre­vi­sto la morte e quella valle di lacrime che è la vita ter­rena per l’uomo. Que­sto poteva esi­stere beato nel giar­dino cele­ste senza la minima preoccupazione.

Sen­non­ché ci ha pen­sato Eva, stu­pida e curiosa, a cadere nel tra­nello del ser­pente e con­vin­cere pure quel mal­lea­bile di Adamo a con­trav­ve­nire agli ordini divini.

Tutti i grandi teo­logi [maschi, ndr, cosa che al professore sembra sfuggire] si sono tro­vati con­cordi nell’attribuire alla capo­sti­pite delle donne la colpa di quel ter­ri­bile atto da cui, peral­tro, sarebbe ori­gi­nata que­sta vita ter­rena magni­fica ma segnata dal pec­cato, e quindi dalla sof­fe­renza, dalla pena e infine da quell’«ultimo nemico» (San Paolo) che è la morte.

L’unico teo­logo che la «difese», attri­buendo la colpa ad Adamo, lo fece con l’argomentazione secondo cui a ella non poteva essere rico­no­sciuta alcuna colpa, per­ché troppo stu­pida e inge­nua [e perché non fare il nome di questo teologo? Peirce, Esiodo e San Paolo sono letture frequenti e diffuse, questo teologo no?]. Adamo, da uomo, avrebbe dovuto pren­dere in mano la situa­zione e respin­gere il dia­volo ten­ta­tore. Eva non aveva gli stru­menti nep­pure per questo.

Pro­prio per sfug­gire ai dia­voli che si attac­cano ai capelli, veniva impo­sto alle donne di coprir­seli con un velo quando si avven­tu­ra­vano nello spa­zio pub­blico. Una pra­tica che, udite udite, era in vigore nell’Atene demo­cra­tica ma non, negli stessi tempi, in Per­sia o Siria, tanto per smen­tire uno dei molti luo­ghi comuni sulle ori­gini delle libertà «occidentali» [ma com’è bravo a rendersi simpatico distillando il suo sapere al momento giusto, sembra proprio Zecchi – la foto degli anni ’60 la mettono tutti senza capirci molto, ma lui è elitario, la prende alla lontana].

Né da tutto que­sto, ovvia­mente, può essere esclusa la scienza, se per esem­pio pen­siamo che il vol­gare pre­giu­di­zio dif­fuso con­tro le donne che non hanno rap­porti ses­suali da molto tempo («iste­ri­che»), non nasce dal senso comune popo­lare ma fu argo­men­tato attra­verso com­plesse ana­lisi bio­lo­gi­che nien­te­meno [dopo udite udite pensavo che rinunciasse a un po’ di retorica, invece ci tocca pure il nientemeno] che da Ippo­crate, medico antico su cui ancora oggi giu­rano tutti coloro che inten­dono eser­ci­tare la professione [io pensavo che, dopo Galileo, questo fosse solo un simbolico giuramento etico. Invece no, evidentemente: devi proprio credere a tutto quello che diceva uno di medicina 24 secoli fa, dice il docente, e immaginatevi che complesse analisi dovevano essere. La storia insegna che lo sforzo “scientifico” fu di confermare i pregiudizi popolari comodi al patriarcato vigente, e non il contrario: questo fenomeno si chiama, oggi, confirmation bias].

Curare i mali del corpo, evi­den­te­mente, non com­porta in maniera auto­ma­tica la facoltà di riu­scire a risol­vere anche quelli della mente e del pregiudizio [dàje che va bene anche un po’ di empowerment, dàje! E adesso? L’articolo potrebbe anche finire qui, con l’empatia per la studente (io dico così, scusate eh) e una tirata d’acqua al mulino dei filosofi. E invece no].

RESTATE UMANE: RESTATE DONNE [Da brividi l’accostamento Jobs/Arrigoni al femminile, eh? E ancora non avete letto il suo libro, chissà che meraviglie ci aspettano.]

Mi fermo qui [magari]. Una rico­stru­zione del pre­giu­di­zio miso­gino che tenti di essere esau­stiva e com­pleta, per di più in forma cri­tica e non com­pi­la­tiva, richie­de­rebbe ben più del libro che sto ulti­mando [sempre modesto, lui]. Figu­ria­moci se può essere esau­rita nello spa­zio di un articolo [eh, in un articolo possiamo combinare ben altro. ‘Spetta lì].

In que­sta sede mi pre­meva sol­tanto rimar­care il seco­lare potere eser­ci­tato da que­sto sor­dido pre­giu­di­zio con­tro la donna.

Il più antico, radi­cato, resi­stente che la sto­ria umana ha cono­sciuto nella sua lunga e con­tro­versa vicenda [sì, ma l’hai già detto, sta poche righe su. Ma allora è vero che i filosofi stanno sempre lì a ripetere le stesse cose! Passo a darti del tu eh, ‘sto post dura da tanto che siamo diventati amici]. Al punto da con­vin­cere per prime molte donne stesse, spesso le più zelanti e severe nel for­mu­lare un giu­di­zio di con­danna verso le pro­prie simili, o anche solo sem­pli­ce­mente nel rite­nere (e nell’affermare senza pro­blemi), che come medico, avvo­cato, pre­si­dente del con­si­glio o anche solo auti­sta di un auto­bus pre­fe­ri­scono un uomo e si sen­tono più sicure con lui [che il sessismo è trasversale ai generi lo sappiamo dagli anni Sessanta. Docente, vieni al sodo, so’ venti minuti che scrivi!].

Si tratta di un ben pre­ciso feno­meno chia­mato «auto­fo­bia» [EH? Questa parola non c’è manco nel Treccani, ma i filosofi sono tanto creativi. C’è qui, ma dice che il significato è un altro], che col­pi­sce pro­prio i com­po­nenti di quei gruppi sociali più col­piti e mor­ti­fi­cati, pri­vati a tal punto di ogni minima spe­ranza di eman­ci­pa­zione e rea­liz­za­zione del sé da rin­ne­gare la pro­pria appar­te­nenza, così da (illu­dersi di) poter pro­vare ad essere accolti e rico­no­sciuti nel gruppo di chi comanda ed elar­gi­sce le stig­mate del bene e del male [a me pare la versione “sociale” della Sindrome di Stoccolma, ma che volete che ne sappia io? Mica sono un professore di filosofia. Io mi limito a leggere Chiara Volpato, ma che volete che ne sappia pure lei].

Rin­vio al libro le con­si­de­ra­zioni più ampie e arti­co­late [e tre. Sì abbiamo capito, ce l’hai detto che stai scrivendo ‘sto libro. Quando uscirà davvero non avremo scampo]. Ma in tale dire­zione, nello spa­zio limi­tato di que­sto mio blog e in que­sto giorno di con­tro­versa cele­bra­zione della donna [non è controversa, non lo è proprio una celebrazione della donna], mi sento di auspi­care per loro (e quindi per noi tutti!) una rea­zione [aspetta: ma noi non eravamo quelli che il pre­giu­di­zio miso­gino esi­ste e lavora nell’oscurità dell’animo di ognuno di noi?] con­tro il pre­giu­di­zio e un’affermazione della pro­pria libertà e dignità non in dire­zione dell’«autofobia», bensì dell’orgoglio e della valo­riz­za­zione dell’essere donna in quanto dif­fe­rente e irriducibile [ma allora parla per te e per gli uomini, no? Che parli a fare per le donne e alle donne se auspichi anche per noi tutti quella reazione? La tua reazione quale sarebbe, scriverci un libro pieno di questa roba?].

Negare lo sta­tuto bio­lo­gico pre­ciso che con­fi­gura un indi­vi­duo come donna [notate bene: prima c’è l’individuo, poi il suo statuto biologico, infine possiamo configurare tutto ciò come donna], infatti, pre­fi­gu­rando per­fino sce­nari «post-umani» in cui gli indi­vi­dui saranno tutti ases­suati (né uomo né donna, bensì un sesso “terzo” che non è né l’una né l’altra cosa), come da pro­po­ste di un certo fem­mi­ni­smo radi­cale [EH? E quale? Nomi, riferimenti? Ah, sì, mi devo comprare il libro. Per scoprire che il docente di filosofia è l’ennesimo che ha letto male da Butler in poi, come quelli che si sono inventati la teoria del gender, che farnetica appunto di sce­nari «post-umani» in cui gli indi­vi­dui saranno tutti ases­suati], non sol­tanto si rivela un’operazione assurda e ste­rile (inac­cet­ta­bile per la mag­gior parte delle donne stesse) [no, è un’operazione INESISTENTE, ma quante volte toccherà dirlo? Quella roba non l’ha detta mai nessun*!], ma fini­sce col rap­pre­sen­tare il più grande com­pi­mento dell’opera por­tata avanti dal pre­giu­di­zio miso­gino: l’eliminazione della donna in quanto tale [a parte che è roba che hai letto solo tu, ma poi scusa, perché della donna in quanto tale? Hai scritto sopra gli individui saranno tutti asessuati e né uomo né donna! Guarda che quello dei lapsus, te lo dico io, si chiama Freud].

Si trat­te­rebbe, in fondo, della rea­zione auto­fo­bica per eccel­lenza, che para­dos­sal­mente for­ni­sce l’impressione di accet­tare tutte le con­danne maschi­li­ste tanto da arri­vare a pro­porre il sui­ci­dio della donna e l’evaporazione della spe­ci­fi­cità fem­mi­nile verso tipo­lo­gie umane in cui di fem­mi­nile non resta più nulla [non so come commentare una frase la cui insensatezza raggiunge vertici paragonabili alle canzoni di Povia, o ai deliri di Recalcati. O a entrambe le cose, a pensarci bene].

«Donne si diventa», scri­veva Simone de Beau­voir, pro­prio per sfug­gire ai ten­ta­tivi della società patriar­cale di imbri­gliare l’essere fem­mi­nile all’interno di una rigida iden­tità natu­rale, che ovvia­mente la con­fi­nava in un ruolo di subor­di­na­zione e com­ple­mento rispetto all’essere «asso­luto», il maschio [identità naturale? A ulteriore riprova che in fase di lettura c’è qualcosa che non va, questa non mi pare proprio una breve spiegazione delle parole di de Beauvoir. Lei le usa in senso contrario, dicendo ad esempio: “Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.”].

Le con­qui­ste che sono state otte­nute dalle donne con­fer­mano l’importanza di quella frase [citata a vanvera], il ruolo cru­ciale gio­cato anche dalla cul­tura e dall’educazione nell’impedire forme di discri­mi­na­zione odiose e inaccettabili [quali conquiste? Sul piano del diritto sono tante, ma nella pratica politica e civile sono smentite dai fatti. Il ruolo cruciale è lungi dall’essere dimostrato e/o accettato, come raccontano le tante battaglie ancora in corso, per dirne qualcuna, contro il linguaggio sessista dei media o per una educazione sessuale nelle scuole. E poi, le parole di Haraway, bell hooks, Spivak, per esempio, criticano anche l’educazione – come collocarle in uno schema così semplificato?].

Ma dimen­ti­care il dato natu­rale [eccoci qui: alla fine di tante parolone, torna il dato naturale, complimenti per la novità filosofica], rinun­ciare a costruire ed affer­mare una sog­get­ti­vità fem­mi­nile con le spe­ci­fi­cità, il valore e la diver­sità che que­sta fem­mi­ni­lità com­porta [e quali sarebbero? No, perché esistono tanti femminismi per quante definizioni vogliamo dare di queste specificità – cui vanno sommati i femminismi per i quali non esiste neanche. Che si fa, li  buttiamo via?], signi­fica cor­rere il rischio di diven­tare quello per cui hanno lavo­rato secoli di bar­ba­rie miso­gina. Ossia un qual­cosa che ha can­cel­lato e dimen­ti­cato l’unicità e la ric­chezza insite nell’essere donna [beh tu, filosofo maschio bianco occidentale, sì che puoi dirlo, in che consiste l’unicità e la ric­chezza insite nell’essere donna. Non vedo l’ora di leggere questo tuo libro].

Per­ché donne si nasce e lo si diventa [bravo, così facciamo content* tutt*]. Ed oggi è fon­da­men­tale non smet­tere di esserlo! [Così posso continuare a scrivere queste scemenze!]

Cos’abbiamo qui, dunque? Un filosofo di professione, e giornalista, che approfitta dell’otto marzo per parlare del suo prossimo libro e chiedere alle donne di non dimenticare, nel 2015, il loro dato naturale. Complimenti per la modestia e la competenza in questioni di genere.

Testi che raccolgono prove de il più antico pregiudizio ce ne sono a mucchi: ricordo, per motivi affettivi, lo splendido Sinfonia patriarcale, di Viola Angelini e Antonio Capizzi, edito da Savelli nel lontano 1976, nel quale sono catalogati dalla Bibbia a Ugo Spirito filosofi, romanzieri, scrittori vari e i loro maschilismi. In questo lavoro si ricordano altri lavori analoghi, come quello di Maria Teresa D’Antea (Antologia del delirio) e quello di Liliana Caruso e Bibi Tomasi (I padri della fallocultura), sempre degli anni ’70. Da lì in poi ce ne sono stati molti altri – il problema è sempre stato non l’esistenza di questi testi, ma l’esistenza di chi fosse abbastanza saggio da andarseli a leggere e studiare. Speriamo che, a quarant’anni di distanza da quegli esempi, Ercolani aggiunga qualcosa in più che valga la pena leggere. Da quello che se ne deduce da questo post, le mie sono proprio speranze da filosofo: utopie.

Deconstructing i generi assortiti di Dan Savage

savage2Stavolta proviamo con un testo un po’ particolare, una lettera e una risposta. Diciamo che decostruiamo un dialogo; siamo più attenti alle parole dell’illustre interlocutore, ma sempre una specie di dialogo è. Appare sulle pagine di Internazionale, una delle poche cose periodicamente stampate e leggibili in questo paese: la rubrica di Dan Savage – detto per inciso – meno male che c’è. Il che non significa che sia sempre da accettare benevolmente qualunque cosa ci sia scritta. Per esempio, questa. [Attenzione: i nostri commenti sono sempre quelli tra parentesi quadre, indipendentemente dal corsivo.]

Generi assortiti

Forse non sei la persona giusta per rispondermi [bell’inizio, complimenti], ma magari possono aiutarmi i tuoi commentatori [ditemi voi perché Savage dovrebbe continuare a leggere già dopo queste quindici parole, ma vabbè]. Voglio bene ai miei amici transgender, e li sostengo [sembra il classico “io non sono razzista, ma”], ma non capisco tutti i miei amici fra i 18 e i 21 anni che si dichiarano “di genere neutro” [attenzione: “tra i 18 e i 21″, né più né meno. Se lo dici prima o dopo, tutto a posto]. Io sono un po’ più grande, e la cultura e la storia queer mi sono sempre interessate molto. Ma loro mi sembrano aver dimenticato, o non aver mai saputo, che le lesbiche butch che si mettono gli strap-on restano comunque donne [embè? Mica hanno detto “di sesso neutro”, ma di genere neutro. Magari ci stanno pensando su, no? Si stanno mettendo alla prova chissà in che modo. Che ne sai tu?], o che esistono molti uomini etero che indossano intimo di pizzo [continuo a non capire perché questo esempio, o l’altro, andrebbero contro la frase de “i miei amici fra i 18 e i 21 anni”]. Ho l’impressione che non sappiano che è possibile non conformarsi a un genere preciso senza per questo rinunciare al genere del tutto [sì, va bene, ma forse semplicemente stanno sperimentando. O serve per forza un’etichetta che vada bene a te? Non basterebbe chiederglielo?]. Essendo così giovani, e avendo preso tutti questa decisione contemporaneamente [amico mio, contemporaneamente sembra a te, e ti credo: parli solo di un intervallo di tre anni!], a me sembra un po’ una moda [questo non vuol dire nulla. Anche scrivere a Savage su Internazionale è, recentemente, diventato di moda]. Magari qualcuno di loro si rivelerà trans, che va benissimo, ma ho il forte sospetto che nel giro di un paio di anni alcuni diventeranno totalmente convenzionali [che sarebbero comunque affaracci loro, così come sono affaracci loro metterci tutto il tempo che pare a loro e partendo dall’età che pare a loro. Ma di che stiamo parlando? Che c’è l’orario ferroviario per farsi domande sul proprio sesso o sul proprio genere? Se non lo fai fra i 18 e i 21 anni perdi il transtreno?]. Dirgli che è solo una fase sarebbe sgarbato e arrogante [scusa eh, non vorrei fare il parolaio, ma tra dire “è solo una fase” oppure per esempio “è una fase”, già ci vedo una grossa differenza. Quel “solo” io lo vedo sì, sgarbato e arrogante], e non lo farei mai, ma davvero non capisco che senso abbia definirsi di genere neutro [scusa, ma non stai parlando di un movimento d’opinione che vuole imporre a tutti il genere neutro. Parli di ragazz* che probabilmente ci stanno pensando su. Che problema c’è?]. Cos’è cambiato negli ultimi anni che possa spiegare questo boom? [EH? E su quali basi statistiche, a parte la tua personale conoscenza, parli di boom? E sempre su quale base questo sarebbe un cambiamento negli ultimi anni? Sta parlando uno storico ufficiale del movimento queer?] – Longtime Reader [no, appunto.]

Ah, l’identità di genere. Di questi tempi ci vuole un file Excel per starle dietro. [E’ una battuta? E’ una critica?]
Ci sono quelli di genere neutro, ci sono i bigender, ci sono gli agender. E poi ci sono i pangender, i no-gender, i genderfluidi e i genderqueer. Ci sono anche i gender-non conformi, i gender-critici, i gender-variabili, e pure i genderfuck, i trigender e gli intergender (Quali vogliono il trattino e quali no? E chi cazzo lo sa?). Aggiungi a ognuno di questi generi del giorno il suo aleatorio, imprevedibile e sempre mutevole assortimento di preferenze in materia di pronomi, e il risultato sarà una bufera di fiocchi di neve iperspecializzati, tutti pronti a farsi offendere alla prima microagressione reale o immaginata, per poi fiondarsi su Tumblr a darne macro-sfogo. [Scusa Savage, commentare così è certamente lecito, ma non è corretto. Non si possono mettere insieme una serie di comportamenti singoli e commentarli come se fossero parte di un movimento organico e compatto, come se fossero una specie di deviazione culturale. Che ci siano dei cretini in giro è ovvio, ma dire che il cretino è di moda o che tutti sono cretini è una banalità molto peggiore dei comportamenti che hai descritto. E poi il lettore diceva “tra i 18 e i 21”, tu no. Perché?]

Cos’è cambiato negli ultimi anni? Che di genere oggi si discute di più, LR, e questo è un bene [e ok]. Perché le regole di genere imposte culturalmente sono assurde [e ri-ok], e la sorveglianza sull’espressione e sull’identità di genere è oppressiva e spesso violenta [e va bene così, anche se comincio a chiedermi che c’entra]. Questa fondamentale e necessaria discussione sul genere ha suscitato grande interesse – e, in alcuni settori, generato grande solidarietà – nei confronti di persone che non soltanto discutono di genere, ma ci combattono, lo affrontano e lo ridefiniscono [sssì, ma si parlava di “tra i 18 e i 21”, no?]. Solo che “l’interesse” e la “solidarietà” nei confronti di una questione tendono anche ad attrarre persone per le quali detta questione è soltanto una posa, o un modo per cercare attenzione [eh? Quindi tra i 18 e i 21 decidiamo unilateralmente che è soltanto una posa?]. Non è una novità. Se presti attenzione a un piatto di crocchette di patate per un po’ di tempo, a un certo punto anche quello finirà per attrarre poseur e gente a caccia di attenzioni [fin qui quasi tutto bene, anche se manca una precisazione: tutto ciò non c’entra né col gusto delle crocchette, né col fatto che possano liberamente piacere o non piacere. Il lettore non chiedeva niente di questo tipo. E poi, ancora: il lettore chiedeva di qualcosa tra i 18 e i 21, mentre Savage sta andando a ruota libera. Di nuovo: perché?].

Ma siccome è (quasi sempre) impossibile distinguere i poseur a caccia di attenzione da chi fa sul serio [e no. Bastano cinque minuti di chiacchiere per distinguere i poseur. Altrimenti, Savage, non ha senso che tu scriva di cose di genere, e che arrivino fino a ‘Internazionale’, no?], LR, la cosa migliore da fare, quando qualcuno si dichiara di genere neutro – o bigender o pangender o ecceteragender – è sorridere, annuire, chiedere che pronome personale preferisce, segnarsi mentalmente di stare attenti ad aggettivi e participi, dopodiché cambiare discorso [cioè trattarlo da matto o da cretino – o entrambe le cose. A prescindere. E quell* che non sono poseur? E quell* fra i 18 e i 21 anni? E quell* che, tra i 18 e i 21, magari da Savage si aspettano qualcosa in più?].

Ricapitola bene il mio amico Frantic: «Il nostro Savage accusa implicitamente la presunta marmocchieria frocia di millantare la sua frocità “iperspecializzata” (sic) e gli appioppa una pignola lamentosità – peccato che quest’ultima sia pressoché lo stesso pattern che il nostro amico c’ha in tutto ciò che ha scritto; in pratica se sono un povero giovane stronzo minoritario e faccio polemica sono un (falso?) finocchietto irascibile, lo stesso atteggiamento, se ce l’ha un opinionista maschio bianco cis (anche se ghèi) che ha già raggiunto da tempo la maggiore età, è oro colato».

Aggiungiamo due link un pochino più cattivelli di noi. Buona lettura.

http://fucknodansavage.tumblr.com/

http://forgetpolitics.tumblr.com/post/22929360770/the-top-6-reasons-why-you-should-hate-dan-savage

Deconstructing ProVita

sir-john-cc-LGBT-History-monthDi quello che sta combinando ProVita, sedicente iniziativa che “vuole promuovere i valori della Vita, dal concepimento fino alla morte naturale, e della Famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna” (il link ve lo trovate, hanno fin troppa pubblicità) hanno scritto benissimo su Narrazioni Differenti. Per quanto riguarda la propaganda dell’invenzione chiamata “teoria del gender”, ho scritto già a lungo qui.

Dunque, che altro dire di fronte a questo incredibile spot, nato per combattere qualche cosa che non esiste? Ci vengono in aiuto gli stessi di ProVita, che del loro video scrivono quanto segue. Divertiamoci con loro e con altri. Vi chiedo la pazienza di cliccare su ogni link proposto, ricordandovi che sono solo alcuni degli esempi che è possibile scegliere in rete.

Il video di ProVita sul gender impazza sul web

Il breve e incisivo spot, creato da ProVita per sensibilizzare sul problema del gender nelle scuole e diffondere la petizione sull’educazione sessuale e affettiva, diventa virale e in poco più di 24 ore raggiunge le 300 mila visualizzazioni e oltre 2000 condivisioni. [Si comincia con un po’ di empowerment. I numeri dicono una cosa chiara: noi ce l’abbiamo grosso. La retorica è quella.]

Naturalmente ciò non poteva che far infuriare il mondo LGBT che ha scatenato un attacco su vasta scala, dimostrando così che alla teoria gender ci tiene per davvero. [Il mondo LGBT, notoriamente compatto e con una struttura decisionale solida e unita, dimostra che la teoria del gender esiste perché reagisce a una mera invenzione calunniatoria. A ProVita piacerebbe molto che non si rispondesse niente, lasciando il campo libero a loro; invece esistono questi brutti ceffi organizzatissimi che rispondono pure.] Il video, anche grazie ai duri attacchi di cui è stato oggetto, ha avuto una risonanza enorme e ha ottenuto il suo scopo: far parlare del problema del gender nelle scuole, aprire gli occhi ad alcuni, stimolare il dibattito. [Nelle scuole non si parla del problema del gender, perché il problema del gender non esiste. Si parla da parecchio di educazione sessuale; adesso che la si sta unendo intersezionalmente alla lotta all’omofobia e al bullismo, allora SOLO ADESSO ProVita e simili passano – loro – all’offensiva. Hanno capito che sotto silenzio non si può più far passare niente, quindi provano a fare la parte delle vittime. Adinolfi, Miriano e sentinelle fanno lo stesso.] Non possiamo che ringraziare i nostri “oppositori” per tutta la visibilità e l’attenzione che ci stanno dando. [Vero: ci contavano, ed è arrivata. Solo, non la chiamerei attenzione, userei una parola più marrone.] Gayburg parla di “spot omofobo” e di “istigazione all’odio” omofobico: l’accusa è un po’ ridicola ma non ci sorprende per nulla visto che, come abbiamo recentemente spiegato, quasi tutto può essere considerato “omofobia”. [Tattica numero uno: chi ci dà contro esagera, non è possibile che tutto quello che diciamo sia omofobia. Qualcosa, anche per sbaglio, sarà giusto, no? Proprio il tipico atteggiamento di chi sa di avere ragione… il loro sito si trova facilmente, andate e vedete.] Gay.it ci accusa di “terrorizzare i genitori” [Vero: andate a rileggervi il famigerato decalogo. Articolo sei: “Date l’allarme!”], di scagliarci contro l’”inesistente teoria del gender” (ma allora, se ci battiamo contro qualcosa che non esiste, perché alcuni gruppi si sentono così chiamati in causa e offesi?) [Capito la finezza? Se la comunità LGBT reagisce alle calunnie, per esempio “insegnate ai bambini a essere gay”, allora la “teoria del gender” esiste. Se io dico che sei un ladro e un truffatore e tu reagisci, allora è vero. Complimenti per il vostro concetto di “accusa fondata”.], di promuovere una “campagna di disinformazione” [come vuoi chiamare uno spot nel quale sono messe in bocca a serie organizzazioni educative frasi che non ha mai detto nessuno? Infatti, per farle dire, ProVita ha dovuto usarle lei. Volantini, pubblicazioni, registrazioni fatte con quelle parole da parte di questi “educatori al gender” non ne esistono. Ovviamente.], ecc.

L‘Espresso parla di “lavaggio del cervello” e fa un po’ di confusione riferendo tutte le immagini forti del video ai “gay” (la normalizzazione della transessualità e di identità di genere “indefinite” è cosa ben diversa). [Altro vecchio trucco retorico: prima generalizzo io, e quando mi si risponde con analoghe generalizzazioni allora entro nello specifico e dò dell’ignorante a chi mi contesta.] Altri gruppi LGBT hanno pensato di chiedere a Facebook di togliere il video per “oscenità/nudità”, in riferimento ad una immagine in cui, per una frazione di secondo, si vede un uomo, di schiena, “nudo”. [Com’è noto a chi usa Facebook, tutto ciò è indimostrabile oggettivamente proprio per la politica di FB.] Per fortuna, Facebook non ha ritenuto valide le segnalazioni e il video rimane. Ma il fatto è quantomeno paradossale: l’immagine infatti, a parere nostro, mostra effettivamente una cosa oscena. [Fate pace col cervello, e non scaricate agli altri le vostre evidenti contraddizioni.] Peccato che la maggior parte delle immagini (tra cui quella dell’uomo “nudo”) siano state prese da un “gay pride” piuttosto importante. [Le immagini di un gay pride prese a esempio di quello che si direbbe a scuola. Se non è la costruzione di una calunnia questa, cosa lo è?] Questo per soddisfare la curiosità di chi accenna ad immagini prese “chissà dove”. Insomma gli LGBT permettono le “oscenità” nelle loro parate, [non le permettono affatto: sono libertà, è ben diverso] ma poi si lamentano accusando di “oscenità” chi osa mostrare cosa succede durante i gay pride. [Sì, se lo si mostra per definire ciò che verrebbe detto nelle scuole. Si chiama, appunto, calunnia.] Quanto all’immagine di “bambini che inseriscono profilattici su paletti di legno”, anche questa non ce la siamo inventati: si tratta di una lezione di educazione sessuale in un “civilissimo” paese europeo. [Mai svolta da nessuno, in Italia, né presente nei programmi di nessuna associazione che lavora con i bambini. Quindi? Questo non è terrorizzare le famiglie?]280px-Rainbow_Dash

La rabbia arcobaleno [vi dirò, questa espressione non mi dispiace, mi fa pensare a Rainbow Dash] è però andata oltre, non accontentandosi di esprimere accuse infondate: [ovviamente, quelle infondate sono quelle dell’avversario] il nostro sito è stato oggetto di continui e ripetuti attacchi di hacker (non è la prima volta) che hanno cercato di mettere in ginocchio i nostri sistemi informatici. [I famosi hacker LGBT, che invece del mouse usano joystick fallici e hanno le tastiere in pelle nera.] Questo non può che stimolarci a andare avanti, per la Vita, per la famiglia e per i bambini! Intanto le visualizzazioni continuano ad aumentare rapidamente, essendo ormai più di 350 mila le persone raggiunte, [cinquantamila si sono aggiunti mentre avete letto: che siano tutti hacker?] così come crescono velocemente le sottoscrizioni alla nostra petizione contro la teoria gender nelle scuole. Un successo insomma, grazie anche ai nostri amici LGBT.

Ecco, così “se la cantano e se la suonano”. Ed evidentemente fanno bene, se poi certa gente riempie i cinema di folle acclamanti, mentre chi lavora seriamente come Scosse no. Ma l’ideologia al potere sarebbe quella LGBT. Ricordiamoci che stiamo parlando di persone così abituate a inventare cose che non si accorgono di chi gli propina statistiche fantasiose per prenderli in giro, e ad esempio ritwitta tutto senza controllarne la coerenza (qui sotto una bufala suggerita da due mie amiche su twitter e che loro si sono bevuta senza battere ciglio):

Lola_ProVita

E’ gente che pur di mettersi in una posizione politica inattaccabile, è pronta a sostenere – approfittando di un generale clima di “contestazione” – che è lo stato a voler propagandare la teoria che loro stessi si sono inventati, perciò ad esempio invitano insegnanti a un convegno di chiaro stampo omofobo. Omofobia che viene fomentata anche spiegando il “corretto” uso del lessico e imponendo la lettura di alcuni messaggi e discorsi in chiave omofoba, come se il variegato e spesso inconciliabile mondo non eterosessuale avesse ordito un complotto linguistico organizzato su tutti i media mondiali.

E tutto questo concerto di fuffa sarebbe ciò che è “naturale”.
E lasciare chiunque libero di decidere del suo corpo, invece, no.

Una risata li seppellirà.

Deconstructing l’assenza della speranza (Zecchi 2)

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Tra le cose più belle dello stare in un collettivo politico è che dopo un po’ gli altri capiscono i tuoi gusti, e si divertono a passarti cose da leggere ben sapendo l’effetto che ti fanno. Alcun* dentro Intersezioni, saputa la mia stima per Zecchi e quanto la cosa mi tocchi sul personale, si sono affrettat* a linkarmi quest’altra perla. Anche in questo caso, che dirvi: non ho saputo resistere.
Vi ricordo che parliamo di un professore ordinario di filosofia in una delle più note e grandi università italiane. Ciascuno ha diritto alla propria opinione, e ci mancherebbe; ma se con quei titoli di studio spari di queste robe sui giornali, siamo andati ben oltre quel diritto, credo. Questa roba fa male. A tutti.

Mai così pochi nati in Italia

E io do la colpa alle donne [il buongiorno si vede dal mattino]

Se andiamo avanti di questo passo, saranno soltanto le coppie gay a volere dei figli, così si darà ancora maggiore sviluppo all’indecente mercato degli uteri in affitto [cominciamo così, con un po’ di sprezzante omofobia tanto per far capire da che parte stiamo. Segnatevi che qui il problema è volere dei figli, e che quello degli uteri in affitto è un mercato già sviluppato, perché riceverebbe un maggiore sviluppo rispetto alla sua dimensione attuale. E non è chiaro perché solo le coppie gay li vorrebbero].

I dati sono sconcertanti: cinquemila nati in meno rispetto all’anno scorso per un totale di 509 mila nascite, il livello minimo dall’Unità d’Italia [il dato che fa sobbalzare il nostro profordinario, da solo, come tutti i dati, non dice niente. Per esempio, la popolazione italiana cresce costantemente; ci sarebbe da riflettere su queste due cose insieme, no? No, a lui basta questo. E che le coppie gay, inspiegabilmente, vogliono figli].

Facile individuare il colpevole di questo record negativo nella crisi economica che stiamo attraversando da troppi anni. E non ci si sbaglia: tuttavia non tutte le colpe sono sue [la crisi non fa fare figli ma fa aumentare la popolazione. Ecco la terribile forza del capitalismo: gli sfruttati li crea dal nulla! Ma cerchiamo il vero colpevole].

Figli significano costruzione di una famiglia, e una famiglia vuol dire casa [sì, magari], ma per avere una casa generalmente c’è bisogno di un mutuo [un generalmente che puzza un po’, ma andiamo avanti – non vi dimenticate le coppie gay eh] che le banche concedono se si ha un lavoro fisso [non è così semplice, ma vediamo tutto questo semplificare a cosa porta]. Un vero e proprio percorso ad ostacoli [ah, questo è il percorso a ostacoli? E chi aspetta un alloggio pubblico? Chi è in affitto? Chi occupa? E chi è una coppia gay?], in cui è arduo arrivare alla meta. La casa, dopo la sconsiderata politica di Monti [il problema del mercato immobiliare italiano, dell’accesso a un alloggio civile per tutte le fasce di reddito, è Monti? Gentile profordinario, vuol proporre questa lettura microeconomica a qualcuno de Il Sole 24 Ore? Vorremmo sentire le risate anche da qui, grazie], sta diventando un miraggio per il suo costo devastante, e un lavoro fisso è un sogno se soltanto si osservano distrattamente i dati sulla disoccupazione giovanile [giovanile: sopra i 35 anni tutti hanno un contratto, e il problema di mantenere dei figli è diverso dal volere dei figli. Lucidissimo come sempre].

La sintesi di questa breve descrizione, con cui metto le mani avanti per sottolineare che non mi sfuggono le questioni economiche che falcidiano le nascite [ah, beh, una sintesi che Federico Caffè le invidierebbe], è che rinunciare ad avere figli sembrerebbe un atteggiamento molto responsabile [sì, se c’hai le pezze al culo. No, se sei un profordinario all’università. Capita l’antifona? E badate bene: quando serve il problema è volere dei figli, oppure costruzione di una famiglia. In entrambi i casi, delle coppie gay non si fa più parola]. Mettere al mondo dei disgraziati, figli di altri disgraziati, che senso ha? Un minimo di responsabilità farebbero pensare che famiglia e figli siano un lusso che non ci si può sensatamente permettere [dell’amore e della volontà che servono, manco una parola, visto che allora dovrebbero pensarci le strutture pubbliche, come da garanzie e princìpi dagli artt. 3 e 4 della nostra Costituzione. Che può non piacere, ma vige anche per i profordinari e i loro deliri classisti – e anche per le coppie gay].

Si guardino anche gli extra comunitari, che filiavano allegramente [ma che bel luogo comune razzista] tanto che qualcuno temeva una rapida diffusione del meticciato [fa bene vedere i profordinari di filosofia avere, tra le loro fonti, la Lega prima maniera]. Anche loro, stando alle ultime statistiche, sono molto contenuti, quasi fossero stati contagiati dal nostro virus della non-natalità [noi, loro, che belle parole – dunque non figliano più manco gli extracomunitari, e allora com’è che siamo sessanta milioni e continuiamo ad aumentare? E parlo di censimento eh, i disgraziati – quelli sì, per davvero – salvati dal mare non contano mica].

Però, chiediamoci adesso se sia soltanto il forte disagio economico ciò che frena o perfino annulla il desiderio di avere figli? [Attenti,  malgrado la sintassi adesso il profordinario ci stupirà.]

Dall’Unità d’Italia ad oggi sono stati numerosi i periodi di crisi economica attraversati dalla nostra gente [la nostra gente, mica gli extracomunitari. Caro profordinario di filosofia, lo sa che S.Agostino era extracomunitario? Così, tanto per dire]. Chi ha un po’ di anni si ricorderà, per averlo vissuto direttamente, il dopoguerra: non erano rose e fiori, eppure si costruivano famiglie, nascevano bambini [mica perché gli adulti erano morti a milioni, no; e mica perché serviva forza lavoro per fare qualunque cosa in un paese distrutto da una guerra persa, devastato dai combattimenti sul suo territorio e svenato da vent’anni di regime economicamente folle]. Allora, credo, che alla base di questo disastro che sta distruggendo la natalità ci sia dell’altro, non solo la mancanza di quattrini [che bel gergo classista: a lui non manca il lavoro, le possibilità, le certezze in un aiuto pubblico: lui parla di quattrini. Ma quanto è sgradevole questa parola? Ma che ne sa di parole lui, è un profordinario di filosofia].

La donna è la prima, fondamentale protagonista della procreazione [ZACCHETE! V’ha preso in contropiede, eh? Voi stavate lì a fare discorsi di economia, e lui bum! Ci piazza la femmina]. Ma essere madre non rappresenta più un valore alto, significativo, centro di sviluppo dell’identità femminile [e te credo, oltre alla guerra ti dovresti ricordare il femminismo e gli anni ’70. O dormivi?]. Sono numerose le riflessioni che intendono affermare come per una donna, il non avere figli sia un peso esistenziale in meno, che consente di stare meglio [no, il discorso è che quella è una scelta, non per forza uno stare meglio, ma una scelta da compiere liberamente. Se ti ricordi il dopoguerra, ti dovresti ricordare pure queste riflessioni, che non erano tanto peregrine].

A questo, si aggiunga che l’idea stessa di famiglia «normale», con un padre e una madre e dei figli, non rappresenta un obbiettivo sociale da perseguire e difendere [a parte lo schifo dell’idea di “normalità”, ma perché una famiglia dovrebbe essere un obbiettivo sociale? Non è che la fai e poi ti fermi lì, mica basta quello – tenendo conto che i figli non escono dal tuo, di corpo, e che non te li smazzi tu per parecchi anni, caro il mio papà che ha vissuto il dopoguerra]. Non c’è una politica della famiglia capace di facilitare economicamente la sua costituzione attraverso asili nido e condizioni lavorative favorevoli per le nuove madri. Non c’è il valore culturale della famiglia [quelli sono diritti delle donne, no politica della famiglia, ipocrita che non sei altro: al nido e alle condizioni lavorative favorevoli si ha diritto anche da sole, e da soli. O per te dovrebbero valere solo per una famiglia “normale”? Complimenti, alla puzza di razzismo s’aggiunge l’afrore di sessismo. Altro?].

Ma ciò di cui sono stati defraudati in modo violento i giovani, è la speranza [beh, se all’università si trovano profordinari come te…]. Manca il sentimento del futuro, l’amore per il progetto perché è prevalsa una visione coercitiva della quotidianità [rammento a tutti che secondo il titolo sarebbe colpa delle donne, della visione coercitiva della quotidianità. Non di chi ragiona solo di quattrini]. Quella responsabilità, di cui parlavo in precedenza, che consiglierebbe molta prudenza nel mettere al mondo i figli, in realtà nasce dall’assenza della speranza [ma se c’hai rotto le scatole per mezzo articolo che il problema è economico! E poi: perché questa assenza della speranza colpirebbe solo le donne?], di quello slancio che porta a credere nel domani [oh, Zecchi, lascia la bottiglia e ragiona: se manca tutto ‘sto slancio che porta a credere nel domani, com’è che la popolazione italiana aumenta? Sono comprati su Ebay tutti ‘st’italiani? O forse il problema è un pochino più complesso, e non andrebbe risolto in un articolo tutto fuffa, razzismi e banalità?] e che rappresenta l’unico vero lievito della vita. Il nutrimento della vita sono i figli [citazione del maresciallo La Palice, immagino], e le statistiche sul disastro della natalità dovrebbero essere il primo, fondamentale problema della politica: se non viene risolto, tutto il resto è solo dettaglio [il razzismo, il sessismo, i luoghi comuni e l’ignoranza economica e sociologica del profordinario sono solo dettaglio].

Ma che ne so io, io c’ho due figli e un mutuo, vedi come sono irresponsabile. Però pieno di speranza.

A Zecchi, ma famme ‘na grossa cortesia.

Attenzione alla genderdittatura – Deconstructing Zecchi

Police 09802 Policeman

Sì lo so, è facile divertirsi a decostruire “Avvenire”. In questo caso non so veramente resistere: Stefano Zecchi ha scritto cose molto belle sulle quali ho studiato – roba di Estetica, non vi state a preoccupare – e poi ha scelto un rincretinimento mainstream adatto a una carriera televisiva tutta fuffa e letteratura amena. Il suo esempio mi è molto utile: dimostra come anche un ordinario di filosofia riesca a dire delle panzane clamorose se il suo obiettivo – piacere a un vasto pubblico – è sufficientemente ipocrita. L’articolo è questo.

Zecchi: «Vigilare sui figli
Il gender è la nuova dittatura»

Si dice «d’accordissimo» che l’educazione comprenda anche il tema dell’omosessualità e che nessuna discriminazione sia accettabile, soprattutto a scuola, «ma [lo avete riconosciuto? E’ il noto “non sono razzista ma”] il trasformare questa convinzione in una battaglia politica è mistificatorio è violento nei confronti dei bambini [certo, non va fatta diventare una battaglia politica. Sono cose che ti devi tenere per te: sei favorevole alla parità dei diritti? Tienitelo per te]. Occorre reagire, là dove è possibile bisogna creare argini di confronto pacifico [notate bene, pacifico, perché di solito chi si batte per i diritti di tutti è violento. Visto quanto ci vuole poco a fare passare un’idea falsa e tendenziosa?]». Tra i genitori sconcertati dalle linee guida dell’Unar (i tre ormai famigerati volumi dedicati alle scuole elementari, medie e superiori, poi ritirati dal web) e dall’ideologia del gender imposta come indottrinamento fin dalla tenera età [ma sì, diciamolo, chissenefrega se è vero], c’è Stefano Zecchi, ordinario di Filosofia alla Statale di Milano e scrittore, ma anche [ma anche, attenzione, ciò che lo qualifica a parlare di un fantomatico “gender” è questo] padre di un bimbo di 10 anni.

Fiabe gay alle materne, problemini di aritmetica con personaggi omosessuali alle elementari, narrativa e film transgender alle superiori, la parole padre e madre cancellate dai moduli… Come si arriva a questo? A chi giova? [ma soprattutto: una cosa detta male e tre panzane, come si arriva a qualificarsi giornalisti potendo fare domande così?]
Ci sono due livelli di ragionamento [attenzione eh, vi voglio svegli. Pronti? Via]. Il primo è culturale filosofico, il secondo più pedagogico. Oggi in politica c’è una forte difficoltà a dare un senso culturale alle proprie differenziazioni [che cacchio vuol dire? Che sono ordinario di filosofia, quindi i paroloni non li spiego], così il laicismo proprio della sinistra ha trasportato il suo armamentario ideologico [il laicismo è una ideologia? Ho capito bene, Zecchi?] nel tema dell’abolizione dei generi [abolizione dei generi? Magari! Ma quando mai? Al massimo si parla della loro esistenza – Zecchi, sicuro di avere le idee chiare?]. Dire che i generi non sono più maschio e femmina ma addirittura 56 tipi diversi diventa la battaglia per un’identità politica [premesso che nessuno dice che non sono più quelli, ma forse che ce ne sono altri, certo che se parlo di persone di cui solitamente s’ignorano i diritti faccio una battaglia per un’identità politica: quello gli viene negato, mica è colpa loro!]. Come prima credevano sinceramente che il comunismo salvasse il genere umano e si riconoscevano nella moralità ineccepibile, così oggi sostengono che il gender salva dall’abbrutimento [complimenti per il sillogismo e per la catena causale, e per la corretta identificazione del laicismo proprio della sinistra]. Ma così la politica diventa biologismo, selezione della specie, darwinismo deteriore. Basta leggere i loro testi [quali? Loro di chi? Nomi, titoli? Se lo ricorda come si fa un testo attendibile, vero Zecchi, e come ci si riferisce correttamente alle cose altrui. Qui su Avvenire non vale?].

E sul piano pedagogico? La scuola è particolarmente nel mirino di queste folli ideologie. [il perché sono folli lo dovreste aver letto sopra eh]
È giusto che l’educazione comprenda anche l’omosessualità e soprattutto il rispetto delle differenze, ma senza portare il tema sotto le bandiere mistificatorie che vedo oggi. Una cosa è il dato biologico, altro è la sovrastruttura culturale: un giorno arriveremo a difendere il pedofilo, in fondo è un uomo che persegue una sua preferenza sessuale, e addirittura l’incesto… [queste quattro righe vanno lasciate così, senza commento, complimentandosi per lo sfoggio di vile ignoranza e di sinistra volontà di mistificare – sì, le uniche bandiere mistificatorie che si vedono in giro sono quelle di questi tizi ossequiosi a un potere che gli fa comodo]

La libertà di educazione per i propri figli è un principio costituzionale. Eppure oggi è minato da una “educazione di Stato” che gli ideologi del gender vorrebbero imporre. [notate il metodo: ciò che andrebbe dimostrato è dato per acquisito nelle domande. Quali ideologi? Quale imposizione? Non è mai detto, basta dare per scontato che esistono entrambi]
È chiaro che più si sa e meglio è, è persino banale dirlo, ma chi deve sapere? I docenti. Devono essere formati bene per prevenire ogni forma di bullismo, che crea vere tragedie personali [notate ancora: in mezzo si buttano argomenti con i quali è impossibile non essere d’accordo, come la lotta al bullismo], e fare mediazione tra le sensibilità della classe. Ma lasciate in pace i bambini: su di loro si sta esercitando un’ideologia violenta che non dovrebbe nemmeno lambirli [di nuovo: dove? Come? Come se fosse stato già dimostrato. Invece no]. D’altra parte è tipico dei regimi, che come prima cosa si appropriano delle scuole: questo sta diventando un regime [EH? Un regime gay? E dove sono le milizie armate di boa di struzzo che marciano al suono di You make me feel mighty real?] e infatti tutti hanno paura di reagire, anche solo dire che il padre è un uomo e la madre una donna è diventato un atto di “coraggio” [com’è noto, le milizie gay sono ovunque pronte a colpire con i loro dildoni d’ebano i poveri etero che tentano di sopravvivere]. Siamo al grottesco [sì, se un ordinario di filosofia spara ‘ste scemenze e ci crede pure, sì, siamo al grottesco].

Eppure alcune scuole si adeguano subito: via le fiabe perché il principe ama la principessa, via anche la festa del papà (chissà perché della mamma no)… [come al solito, non vi aspettate link: a saperle davvero, le cose, si scoprirebbe che non sono andate proprio così. Ma che ce frega, siamo il giornale della Cei, se Google ci contraddice noi lo scomunichiamo]
È il frutto di una demolizione della figura del padre che arriva da lontano, dagli anni ’70, quando si è cominciato a distruggere la famiglia dal “capo” [il discorso era un pochino più complicato, ma gli ordinari di filosofia in vena di ingraziarsi un pubblico fanno così: paroloni a cacchio e semplificazioni storiche a proprio vantaggio. So’ bòni tutti, Zecchi]. Sfasciata la famiglia è chiaro che dopo puoi sfasciare anche i due diversi ruoli di padre e madre, e che oggi sia a pezzi lo dice la facilità con cui si sciolgono i matrimoni [proverò a dirla alla francese: ma che cazzo c’entra?]: quando si accetta una visione così “allegra” di famiglia, aperta, senza legami, tutto diventa possibile. Annientare la madre è più difficile perché è la figura biologica [e te pareva], anche se affitti un utero è ancora femminile, finché almeno la tecnologia non riuscirà in cose mostruose [tranquillo Zecchi, gli ordinari di filosofia non è facile farli nascere a comando], e allora saremo di nuovo al nazismo [ci mancava, vero, lo spettro del nazismo? Adesso le truppe gay hanno anche divise di colore pastello]. Ma io non credo si arriverà a tanto [mah, guarda, se si è arrivati a ordinari di filosofia che pur di vendere qualche copia in più appoggiano pseuoricostruzioni storiche tra il ridicolo e l’opportunista…].

Lei è ottimista? La storia insegna che nei regimi si cade senza avvedersene. [la tipica storiella dei collaborazionisti: ci siamo svegliati ed eravamo fascisti, nessuno ha potuto farci niente. Del ruolo dei quotidiani e degli intellettuali tipo gli ordinari di filosofia, non ne parliamo]
Ormai la nostra società ha consolidato un forte individualismo [tipica caratteristica  dell’omosessualità, e degli altri 56 tipi diversi, no?], la teoria del gender non diventerà un fenomeno di massa, lascerà il tempo che trova: io non sono terrorizzato, sono disgustato, che è diverso [è più nobile – che uomo, che maschio!]. Tuttavia bisogna avere delle attenzioni, attrezzarsi perché i nostri figli possano crescere in una dimensione – religiosa o laica che sia – di libertà [sulla dimensione religiosa di libertà si è già espresso George Carlin]. Mia madre era maestra [e ti pare che non ci mettiamo in mezzo la mamma?] e per una vita ha insegnato nella scuola statale, io ho studiato e insegnato sempre nello Stato, lo stesso fa mia moglie… ma mio figlio studia in una scuola paritaria [eh, mica scemo]: lì ho la garanzia che cresca libero dall’arroganza degli “inappuntabili moralmente” [non essere omofobi è un difetto, secondo Zecchi. Complimenti]. Lo ripeto, non voglio crociate, dobbiamo creare argini di confronto pacifico [avete visto come si creano, no? Sparando stronzate e calunniando senza uno straccio di prova] e informare i docenti, ma non fare violenza sui piccoli. Chi ha autorità morale – oltre alla Chiesa anche la politica – si faccia sentire, la buona sinistra [la buona sinistra: quella che la pensa come me, detta più semplicemente] parli, dica la sua, ne abbiamo bisogno.

Esattamente quanto avremmo bisogno di ordinari di filosofia meno ignoranti e più onesti, Zecchi.

Deconstructing la bomba a orologeria – Micromega #6

analogue_time_bomb2Eccoci ad affrontare un altro capitolo del numero di Micromega sul corpo della donna. Brevemente diciamo la nostra sull’articolo, di Giulia Garofalo Geymonat su “La prostituzione tra abolizionismo, proibizionismo e legalizzazione”, che non esamineremo. Il suo è un discorso analitico sui modelli legislativi e le strategie applicati nei vari stati dell’Unione Europea confrontandoli continuamente con quanto accade in Italia soprattutto rispetto al dibattito sulla riforma/abolizione della legge Merlin. Tutto sommato non ci discostiamo dall’analisi di Geymonat, che si sforza di mettere in luce una complessità spesso abbandonata a favore della solita falsa divisione tra moralisti e liberali. L’unica cosa che ci preme sottolineare è l’ennesima scelta editoriale inadeguata al tema di Micromega: affinchè una panoramica di questo tipo possa divenire uno strumento interpretativo e trasformativo della realtà (chiaro obiettivo delle riviste di approfondimento) era necessario secondo noi coinvolgere le soggettività direttamente nella scrittura e non affidarla a ricercatori/ricercatrici che per quanto bravi e e puntuali quella realtà, non la vivono direttamente: avremmo forse perso nella visione globale della faccenda ma ne avremmo guadagnato certamente in autenticità.

L’articolo successivo è invece figlio di quella logica che Geymonat, dicevamo, giustamente rifugge ed è così tipica invece, di chi o non ha molto da dire oppure non riesce a tirare fuori la complessità di una questione, oppure ancora sostiene tesi insostenibili pur di apparire su una rivista importante. Si tratta dell’articolo “L’assistente sessuale per i disabili: una scelta di civiltà”, di Alessandro Capriccioli. In sè già il tema non ci richiama proprio a delle urgenze nel dibattito complesso sul corpo della donna, bensì temi diversi e anche più generali; comunque leggiamo con curiosità.

Nell’introduzione si afferma, come poi più avanti nel testo innumerevoli volte, che la figura dell’assistente sessuale è legale in paesi più evoluti del nostro, dove un discorso moralista legato alla religione cattolica che condanna il sesso, fa sì che non sia riconosciuta l’innegabile utilità dell’assistente sessuale. Ma il problema di fondo in questo articolo lo si intuisce da queste poche parole:

Un disabile che non si può esprimere sessualmente diventa una bomba a orologeria.

EH? In che senso una bomba a orologeria? Proviamo a farcelo dire.

Si apre subito uno scenario molto confuso: lo scopo [è] di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria o psichico-cognitiva [è quantomeno controverso parlare di una disabilità psichico-cognitiva senza specifiche importanti, secondo noi] a vivere un’esperienza erotica, sensuale e sessuale [che sono tre cose profondamente diverse; e poi, come si fa ad assistere una persona nel vivere un’esperienza erotica? Sensuale? Quali competenze dovrà mai avere, non andrebbero discusse prima? Poi, soprattutto, non si chiama assistente “sessuale”?]

***

Ci viene chiarito di nuovo da una citazione che l’assistente sessuale è fondamentale, al di là delle nostre convinzioni moraliste. A proposito, fuori da questo ritornello ipnotico: qual è il nesso con il titolo della rivista? Il corpo della donna tra libertà e sfruttamento si collega alle assistenti sessuali oppure alle disabili? Finora a nessuna delle due in modo specifico. Per esempio:

Del resto il rapporto con il desiderio sessuale e la sua realizzazione concreta è uno dei problemi più spigolosi e angoscianti che le famiglie dei disabili si trovano a dover fronteggiare nel delicatissimo (e spesso altrettanto trascurato) momento del passaggio all’età adulta: il più delle volte senza disporre degli strumenti e del sostegno per riconoscerlo, accettarlo per quello che è, collocarlo nella giusta prospettiva e preoccuparsi di dargli una risposta soddisfacente. E perciò, per lo più, negandone l’esistenza, allontanandolo e facendo finta di non vederlo.

Possiamo anche essere d’accordo ma: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

***

Da un lato, quindi, la questione svela fatalmente una serie di tabù che la nostra società ha in qualche modo metabolizzato e nascosto [non l’avessimo capito dopo n-volte, lo ripetiamo], ma che attraverso il dibattito sull’assistenza sessuale tornano a mostrarsi in tutta la loro virulenza; dall’altro lascia intravedere il pericolo che i destinatari delle prestazioni, specie quelli con disabilità mentali, non siano in grado di gestirne l’impatto senza sviluppare forme di dipendenza potenzialmente pericolosissime.

Ma infatti, come si fa a parlare allo stesso modo di sessualità e disabili, senza specificare un minimo il grado di disabilità? Lo spettro di possibilità è enorme, e non ha senso rivolgersi a tutte le situazioni nello stesso modo.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

***

Un’altra cosa poco chiara di questo articolo è che non si dice mai chiaramente se si  sta parlando di una assistenza o di una terapia. Cosa fanno gli assistenti sessuali?

Insegnano alle persone a masturbarsi e provvedono a fornire loro un aiuto materiale, fino a occuparsene fisicamente al loro posto, qualora non siano in grado di farlo, si prestano direttamente a rapporti sessuali, limitandosi alla fellatio o al cunnilingus oppure spingendosi fino alla penetrazione, per chi è considerato poco desiderabile a causa della propria disabilità e quindi ha difficoltà a trovare un partner; aiutano fattivamente le coppie che vogliono avere un rapporto sessuale soddisfacente a porlo in essere, partecipando al rapporto stesso e diventandone, in un modo o nell’altro, parte integrante.

Bene. E allora perchè Capriccioli si dispera? Perchè è lontano il giorno in cui

tale figura professionale, così come le altre figure a sostegno della disabilità, non sia riconosciuta come attività regolarmente esercitabile a pagamento, ma venga inserita fra i servizi assicurati dai livelli essenziali di assistenza, e quindi fornita gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.

Sostanzialmente d’accordo con Nappi, in questo stesso numero di Micromega, Capriccioli confonde quindi il benessere con la salute e ne condivide il teorema per cui se l’uomo non eiacula diventa violento – ricordiamoci che la bomba a orologeria è lui. Eppure basta Wikipedia per venire a sapere – se uno se lo fosse scordato – che l’organismo maschile ci pensa da solo a smaltire lo sperma in eccesso, non c’è bisogno di alcuna assistenza. E la confusione è tale per cui si parla spesso, nell’articolo, della necessità di una preparazione professionale, se ne testimonia la difficoltà, ma non si specifica mai di cosa si tratta, e in ogni caso non si parla mai di una preparazione medica. 

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

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Quello che non viene mai chiaramente detto da Capriccioli è che se il problema è una vita sessuale appagante, allora non serve il “terapista” ma l’assistente, che spiega e insegna come attuarla a seconda delle disabilità. Se invece il problema è eiaculare o avere un orgasmo ogni tanto, questo non è un problema medico, perché a non avere un orgasmo certamente si vive male, ma di astinenza non è mai morto nessuno. E’ un problema culturale, di un ambiente sociale che misura la felicità col numero di orgasmi a settimana e che quindi condiziona anche il disabile, che vive in quella cultura. Dunque compito di chi divulga alcune informazioni non sarebbe quello di avallare questa tendenza, ma di combatterla per trasformare la realtà a vantaggio della verità e del benessere (qui sì, vero) reale e spirituale delle persone.

E comunque: “il corpo delle donne tra libertà e sfruttamento” che c’entra?

Tanto per cominciare, non sarebbe una scelta di civiltà scrivere le cose in maniera chiara e competente?

Sara Pollice & Lorenzo Gasparrini

Deconstructing il faccipensiero

lammillyPSono sicuro che Filippo Facci vi è già noto per la sua amabile e fine retorica, che dispensa soprattutto da quel giornale dal titolo profondamente ironico che è “Libero”. Se non lo conoscete, qui ci sono alcune notizie fondamentali. Ci apprestiamo a commentare una sua ultima perla,  come si conviene a cotanto illuminato pensatore.

Facci: ci mancava la Barbie coi brufoli e le smagliature [il titolo è già tutto un programma, ma Facci è così: non nasconde nulla di sé, è molto generoso]

La Barbie coi brufoli no. La Barbie cessa, struccata e con le smagliature (si attaccano tipo cerottini) però no, vi prego. E invece sì, la vendono, qualche femminista invita a regalarla per Natale: si chiama Lammily – la bambola – e sembra una bulgara sfondata da dodici gravidanze [non ho voluto interrompere il climax d’immagini sessiste varie, concluso con un notevole virtuosismo: in bulgara sfondata da dodici gravidanze, per un totale di cinque parole, ci sono un razzismo e due sessismi]. Per 6 dollari c’è un pacchetto aggiuntivo con cellulite, tatuaggi, cicatrici, lentiggini, occhiali, bende, contusioni, graffi e punture di zanzara. È struccata, non sorride e ha i capelli castani anziché biondi come la Barbie, questa reazionaria, questa mogliettina col sorriso da emiparesi e che cammina sempre in punta di piedi per poter mettere i tacchi: Lammily invece ha i fettoni piantati a terra e ci puoi appiccicare calli e duroni. I piedi non puzzano ancora, ma in futuro chissà. Mancano anche peluria e baffi. Le misure complessive sarebbero quelle medie delle ragazze di 19 anni: ma forse quelle americane, o del casertano, sta di fatto che nel complesso il modello è quello di – si diceva ai miei tempi – un roito, insomma una brutta [riassumendo, Barbie è imbecille e segregata a un ruolo subalterno, ma almeno bòna, Lammilly è brutta e tanto basta. Per dire questo – che non ha alcun interesse al di fuori della sua scatola cranica – Facci ha usato altri sessismi e razzismi: mogliettina, peluria e baffi, quelle del casertano, roito. Ok, ma c’è un punto da dire? O è un campionario di lessico adolescenziale?].

Che dire? in passato avevamo intravisto la Barbie vecchia e la Barbie paraplegica (in sedia a rotelle) e la Barbie calva (radioterapia) ma erano provocazioni, campagne shock che avevano una ragion d’essere ed erano il contrario del politicamente corretto [attenzione alla strategia del faccipensiero: distraendovi con le campagne shock ha detto che Lammilly è un esempio di politicamente corretto. Cosa che sta solo nella sua testa, ma essendo la base della sua argomentazione, il furbacchione la da’ per scontata invece di metterla in discussione, un po’ come fanno certi fanatici religiosi con la propria fede]: mica le vendevano davvero, erano l’immagine di una buona causa. Le Barbie nere e mulatte invece le vendevano già negli Anni Settanta, era una questione di mercato prima di altro [il faccipensiero si complica: nera sì ma “casertana” no, il razzismo lo comanda il mercato. Sempre più interessante]. Una coi piedi piatti – apprendo su internet – uscì nel 1971, ma vendette pochissimo [è informato, lui]. Ken – il marito o fidanzato col sorriso da coglione – lo fecero più o meno muscoloso e addirittura stereotipato [ah, il faccipensiero lo stereotipo lo riserva a Ken, a Barbie no. Il marrone ha mille sfumature] coi pesi da palestra, poi biondo, hawaiano, africano, di tutto. Ma, appunto, era una questione di mercato, non di pedagogie d’accatto [altra definizione “en passant”: una bambola non stereotipata è pedagogia d’accatto, e quando ne discutiamo? Mai]. La domanda è: sino a che punto si spingerà il politically correct? [E chi ha detto che lo sia? Chi ha scritto che una bambola con fattezze “normali” ha un significato di condotta politically correct? E chi sarebbe qualche femminista che invita a comprarla? Link, nomi… niente, il faccipensiero non ha bisogno di riscontri.] Le concessioni al sogno cederanno ai timori di un modello troppo anoressico? Imbruttiremo anche le principesse delle fiabe? La dittatura della verità [dittatura? Verità? Ma se è sul mercato, nessuno ha imposto nulla, seguirà le leggi del mercato. Perché il faccipensiero vi vede una imposizione? Qualche legge ha obbligato a usare Lammilly nelle scuole, o ne ha obbligato l’acquisto per Natale?] imporrà la Barbie morta o chiusa nel polmone d’acciaio? [Ci fosse pure un produttore tanto scemo, a te che te frega? Cosa ti turba in Lammilly, Facci, dillo apertamente. Paure ancestrali? Ricordi d’infanzia?]

Giulia Siviero, una simpatica ragazza che scrive per il manifesto e lavora al Post, non ha tutti i torti a sottolineare che esiste un sessismo anche nel mondo dei giocattoli [niente contro Siviero eh, ma so’ decenni che questo problema è noto]. Ed è un sessismo che risente delle latitudini: le femmine, nelle pubblicità o in un catalogo di giocattoli italiano, sono sempre circondate dal rosa e poi da bambole, carrozzine, lettini, piccoli ferri da stiro, fornellini, finti make-up, collanine e dolcettini. Nei negozi la corsia «bambine» sembra un negozio di casalinghi. Mentre i maschi, viceversa, ormai oscurate le armi giocattolo per scorrettezza politica [ah, io pensavo che ci si sparasse già abbastanza nella realtà per cui non servisse insegnarlo, invece è scorrettezza politica], sono comunque rappresentati mentre scimmiottano i mestieri dei grandi o s’industriano con treni e macchinine e costruzioni. Forse si esagera, perché bambini e bambine sono molto più elastici di noi [certo, lo si vede da adolescenti, la famosa età nella quale nessuno ha problemi con il proprio ruolo di genere, no no]: ma i cataloghi di giocattoli svedesi o danesi – che Giulia Siviero ha mostrato sul suo blog – forse ecco, esagerano in senso inverso [e te pareva. E perché mai, Facci caro? Spiegacelo]. Si vede un bambino che fa il bagnetto a una bambola: mi fa un po’ ridere [e chissenefrega, non ce l’hai messo? A te fa ridere, ma magari al bambino si mette in testa che se e quando sarà padre, sarà capace di farlo invece di scappare impaurito dal corpo di suo figlio. So’ problemi sociali, Facci, informati]. Si vede una bambina che gioca con un pipistrello e i soldatini. Nessuno vieta di farlo in ogni caso [invece sì: chi lo vieta si chiama “cultura patriarcale”, ed è l’acqua del tuo acquario, Facci, è normale che tu non te ne accorga. O che tu lo dica apposta], ma più di tanto io non lo vedo il problema di una «precoce e stereotipata separazione dei ruoli» [la sua spiegazione è io non lo vedo, una nota prassi scientifica], qualcosa cioè che possa impedire a una femmina di diventare un tipico maschiaccio, se crede: non siamo solo un sottoprodotto ambientale [tu non hai la minima preparazione in questioni di genere, quindi la tua opinione conta davvero poco. Però è interessante notare come tu non veda nulla di male se la femmina diventa un tipico maschiaccio, mentre il bambino che fa il bagnetto alla bambola ti fa ridere. Di nuovo, Facci: di che hai paura? Tutto bene? Rilassati…].

E comunque il mondo cambia, ma ha i suoi tempi. Noi siamo sempre un po’ in ritardo per le solite ragioni storiche e religiose eccetera, ma insomma, per farla breve: la barbie coi brufoli no [l’hai già detto, Facci, il problema è che l’articolo sta per finire e non hai ancora detto un civile perché]. Qualche concessione al sogno e all’irreale lasciatelo almeno ai bambini [ah, scusa: la Barbie che tu stesso hai descritto come mogliettina col sorriso da emiparesi e che cammina sempre in punta di piedi per poter mettere i tacchi sarebbe la concessione al sogno per i bambini e le bambine? Complimenti (anche per la coerenza in poche righe)], ché per i bagni di realtà avranno tutto il tempo [no. Come potrebbero raccontarti numerose persone impegnate nei centri antiviolenza, spesso i bagni di realtà non arrivano mai o arrivano accompagnati dalla sirena dell’ambulanza – quando va bene]. Anche perché non vorremmo doverci ritrovare, poi, con un Ken stempiato, con le maniglie dell’amore e la canottiera macchiata di sugo. Il marito perfetto per quel cesso di Lammily [eh, certo, la cessa possiamo lasciarla al mercato e a qualche femminista, ma il maschio medio non sia mai vederlo rappresentato come giocattolo. Allora meglio il marito o fidanzato col sorriso da coglione, con il quale comunque giocano le bambine. E perché mai impedire questa differenza, Facci, se tanto poi ci pensa il mercato? Ce lo spieghi? No].

Eh no, meglio non lasciarle al mercato, certe possibilità, meglio impedirle prima. Perché se poi funzionano, mica puoi dire che non vanno bene. Sai che problema se avesse avuto successo la bambola coi piedi piatti: adesso niente tacchi e tutte con le ballerine. Che brutta cosa per i maschi!

Attenzione a non confondere gli ipocriti con gli ignoranti

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Immancabile, come sempre quando un efferato evento di cronaca nera vede coinvolta in qualche modo la rete o i social, spunta il genio della comunicazione virtuale, con il suo curriculum sbalorditivo, a commentare sulla rivista più ganza del momento che bisogna stare attenti a non fare di tutta l’erba un fascio. Vi prego di leggere:

http://www.wired.it/internet/social-network/2014/12/02/caso-pagnani-attenzione-non-confondere-carnefice-gli-imbecilli/

Ahimé al nostro erudito commentatore manca evidentemente la minima competenza in questioni di genere, e si vede. Perché non ci vuole molto a capire che la prima cosa da fare sarebbe, proprio in virtù della competenza in comunicazione, evitare la polarizzazione degli argomenti, puntando al solito scontro bianco/nero, colpevole/innocente, tu/io, di qua/di là, carnefice/imbecille, per cui nel caso di Pagnani che scrive su Facebook “Sei morta, troia”, alludendo alla moglie che ha da poco ammazzato, la questione si ridurrebbe a:

L’hai ammazzata tu? No,

quindi puoi mettere il tuo “mipiace” a quello status, condividerlo allegramente con una bella battuta, o anche esprimere lì sotto il tuo consenso sessista: sarai solo un imbecille, non sarai colpevole di niente.

Come se, tra l’estrema innocenza dell’imbecille e la certa colpevolezza del femminicida in questione, non ci fossero sfumature, possibilità, altre cose da valutare. Dice infatti il nostro pluridecorato dall’enorme curriculum, a proposito della sopracitata frase:

Si può davvero pensare che qualcuno dei trecento, leggendola, magari distrattamente sul proprio smartphone, abbia capito che il carnefice esultava per la mattanza della moglie e che chiedeva approvazione e condivisione del suo orrendo trionfo?
Si può davvero credere che, cliccando su “mi piace” quei trecento, abbiano inteso urlare al loro “amico” qualcosa tipo: “bravo, hai fatto bene ad ammazzare la tua ex moglie”?
Personalmente, lo escluderei.

E non me ne stupisco: questo è un commento tipico di chi non ha niente a che spartire con questioni di genere, che invece forse in un femminicidio un pochino c’entrano. Perché chi se ne occupa anche marginalmente, ha in mente questo facile disegnino esplicativo, riguardo i tipi di violenza sulle donne, col quale inquadrare la relazione tra quei commenti e l’assassinio della donna (qui l’originale in spagnolo):

triangolon - Copia

Oh, certo, non è che questo basta a condannare giuridicamente nessuno. Però indica chiaramente che chi commenta in quel modo, o usa quella frase per un proprio ilare commento, fa parte di una stessa cultura, di uno stesso modo di vedere i rapporti tra generi, la violenza sulle donne, e tante altre cosette, in comune con chi l’ha scritta. Certamente quei gesti e quelle parole su un social network non sono né “prove” né “indizi”, a farli e a scriverli non si ha nessuna colpa sanzionabile dalla legge – ma responsabilità di fronte a tutti sì, eccome. E non serve certo a nulla sapere se davvero lei era morta ammazzata o no, quando si è commentato, condiviso o cliccato “mi piace”: in quella piccola frase ci sono abbastanza sessismo e violenza per farmi credere – a me dal curriculum striminzito – che nessuno dovrebbe comunque condividerla, apprezzarla o sottoscriverla. E che chi lo fa non andrebbe premiato certo con l’innocua etichetta di imbecille, deresponsabilizzante come poche.

Perché tutti quelli probabilmente, attraverso un social network, non hanno detto a Pagnani “bravo, hai fatto bene ad ammazzare la tua ex moglie”, ma di certo gli hanno detto “ehi Pagnani, anche io sono un po’ come te”. Che indubbiamente non indica alcun reato – ma fa schifo lo stesso, pure sotto la simpatica e innocua etichetta di imbecille.

Ancora complimenti a tutti – anche agli specificatori di colpe pluridecorati e dal curriculum enorme ma, a mio parere, piuttosto lacunoso.