Perché l’industria dei giocattoli pensa che i bambini non cucinino?

Maximumble_dolled
Traduciamo questo articolo dal sito “Let toys be toys“. Buona lettura.

Nel mondo degli adulti siamo abituati a vedere chef, parrucchieri e stilisti uomini. Perché, allora, l’industria del giocattolo commercializza giochi legati alla cucina, alla bellezza e alla moda rivolgendosi esclusivamente alle ragazze?

Sembra impossibile, al giorno d’oggi, accendere la TV senza vedere una programma di cucina condotto dagli omologhi di Michel Roux o Paul Hollywood, eppure i giochi di cucina per ragazzi sono talmente carenti che la teenager McKenna Pope ha indetto una petizione per convincere l’industria di giocattoli americana Hasbro a produrre una versione del loro forno Easy-Bake che non sia disegnata per e rivolta a un pubblico esclusivamente femminile.

La cecità lampante dell’industria di giocattoli, che non vede questa realtà, è sconcertante. Ancora più sconcertante, nonostante l’enorme successo di stilisti come Vidal Sassoon, Jeff Banks e Ralph Lauren, è ancora radicata nella società la credenza che un ragazzo in salute e psicologicamente sano, ben inserito nel tessuto sociale non intraprenda attività centrate sulla moda o sulla bellezza, mentre ci si aspetta che le ragazze mettano tali obiettivi al centro dei propri interessi.

 Il patriarcato fa male anche ai ragazzi

Ai vecchi tempi dei capelli lunghi e degli scaldamuscoli, un ragazzo coraggioso della mia scuola  chiese di essere spostato dalla classe di falegnameria a quella di economia domestica. Non appena inoltrò questa richiesta alle insegnanti, i suoi compagni di classe gli attribuirono inevitabilmente l’appellativo di “gay” e “femmina”. Alla fine ammorbidirono i toni quando seppero che lui voleva diventare chef professionista. A voi trarre le conclusioni.

Questo accadeva venticinque anni fa, e mi piacerebbe poter dire che le cose sono cambiate. Ma non è così. Ogni minuto passato nel parco di una scuola vi dirà che omofobia e misoginia sono ancora strettamente correlati e che un modo rapido ed efficace per umiliare un ragazzo è paragonarlo a una ragazza. Certo, il muro di Berlino è stato abbattuto e l’apartheid in Sud Africa è terminato, ma finché le divisioni arcaiche fra esseri umani saranno presenti, il sessismo verrà socialmente accettato.

Si potrebbe argomentare che per le ragazze c’è stato qualche progresso in termini di abbattimento delle barriere di genere. Il grado di accettazione nelle industrie dominate dal maschio è variabile, ma è generalmente ben accetta l’idea che alle ragazze possano piacere le materie scientifiche e la matematica.

Per i ragazzi, tuttavia, le cose sono rimaste incredibilmente statiche. La camicia di forza che li ha mandati a morire in guerra e che li mantiene emotivamente abbottonati è oppressiva come non mai. I giocattoli specificamente indirizzati ai ragazzi glorificano e rendono normale la violenza, mentre le espressioni artistiche e appassionate sono viste come dominio femminile. Povero ragazzo quello a cui non piace il calcio o che si diverte a sfogliare un libro di moda: imparerà presto che deve conformarsi alle rigide aspettative del comportamento “da ragazzo”, o affronterà le conseguenze del bullismo, dell’emarginazione e del ridicolo.

Di cosa ha paura la gente?

Ma perché persiste quest’attitudine? Perché l’etichetta di “maschiaccio” ha perso  la sua capacità insultante (ed è visto addirittura come qualcosa a cui aspirare) e “femminuccia” no? Perché la visione di un bambino che gioca con una bambola dà la stura a una gamma di indignate proteste sul genere “è andato ai matti il politicamente corretto!”? e perché, da madre single di un ragazzo,  sento il bisogno, di sottolineare a sconosciuti di ampie vedute che può effettivamente trovare un modello maschile positivo nella figura di mio padre? O è giusto che a Natale riceva una casa per bambole perché ha già avuto il modellino di Guerre Stellari?

E dunque, cosa ci spaventa davvero? A giudicare dai commenti che inondano Internet ogni volta che un genitore di ampie vedute mette un tutù al proprio figlio, appare chiaro che ciò che temiamo è che ogni ragazzo a cui sia permesso di perseguire obiettivi tipicamente femminili diventi, indovinate un po’, omosessuale. Al di là delle ovvie repliche “e allora?” o “cortesemente porta altrove la tua omofobia!” vien da fare un’osservazione, ovvero che, se la mascolinità eterosessuale può essere così facilmente fuorviata da un po’ di rossetto e da un vestito, allora dopotutto non è così innata. In altre parole, se essere un ragazzo è così naturale, allora smettetela di dire a mio figlio come fare ad esserlo.

Ma, a parte l’omofobia, l’idea che un ragazzo che spinge un passeggini sia destinato a essere omosessuale è palesemente assurda. Se a vostro figlio piace cullare una bambola per farla addormentare, ciò significa che diventerà gay? O può semplicemente voler dire che un giorno sarà un padre amorevole, indipendentemente dall’orientamento sessuale? Se vostro figlio vi gira intorno con un aspirapolvere giocattolo e si diverte a servirvi il tè, non vuol dire che diventerà un marito premuroso e che statisticamente vi sono meno probabilità di divorzio.

Anziché  dissuadere i nostri figlio dal toccare oggetti “da ragazza”, dovremmo incoraggiarli a sviluppare quelle abilità nell’allevare e nel provare empatia che la società ha stabilito essere “solo per ragazze”. Non solo è un bene per il mondo in senso lato, ma preparerà i nostri ragazzi alla realtà che affronteranno quando lasceranno la propria casa. Viviamo in un mondo mezzo cambiato, in cui agli uomini mai quanto prima si chiedono responsabilità domestiche e cura dei bambini, eppure i corsi di marketing continuano a spacciare l’idea, sia per ragazzi sia per uomini, che la vita domestica sia cura esclusiva del sesso femminile. Non è proprio la ricetta per una relazioni armoniosa tra i sessi, vero?

Sfidare i prepotenti

Come madre a cui non interessa se suo figlio sia gay o no, si trucchi o voglia passare il resto della sua vita a preparare dolcetti rosa decorati di farfalle, sono ben consapevole della separazione tra ciò che i genitori più liberali permettono felicemente nel privato delle proprie case e la paura che provano quando mandano il proprio figlio in un campo di gioco crudele in cui ogni deviazione dalla norma lo rende bersaglio per i bulli.

Ho vissuto personalmente questa situazione, lo scorso Natale, quando mio padre si è rifugiato nel vecchio stato a seguito della richiesta di mio figlio di una casa per bambole. Si è preoccupato terribilmente che suo nipote potesse essere diventare oggetto di scherno, nonostante il fatto che anche lui da piccolo avesse chiesto in regalo una casa per bambole. Allo stesso modo, conosco molti uomini che da bambini amavano lavorare a maglia, ma che non lo ammetterebbero mai davanti ad altri uomini per paura di rendersi ridicoli.

È un caso grave dei “Vestiti nuovi dell’Imperatore”, e dovremmo insegnare ai nostri ragazzi ad alzarsi in piedi, mostrarsi e dire “Che importanza ha?” Perché un ragazzo che gioca con le bambole resta un ragazzo – allo stesso modo in cui una ragazza che si arrampica su un albero resta una ragazza. Non un ragazzaccio , ma proprio una ragazza che, guarda un po’, ama arrampicarsi sugli alberi! Sono solo dei ragazzini, che giocano con i giocattoli che vogliono, e la civiltà occidentale non crollerà se un ragazzo spingerà un passeggino per la strada.

C’è di più: dobbiamo fronteggiare la campagna pubblicitaria di massa che dice ai nostri ragazzi che essere un uomo significa essere aggressivo, non sviluppato dal lato emotivo e una merda nelle pulizie di casa. Perché finché lo faremo i dipartimenti di marketing e i commercianti delle industrie che si rivolgono ai nostri figli continueranno a sfruttare le nostre paure e offriranno ai nostri figli definizioni sempre più ristrette di cosa vuol dire essere un ragazzo. Non so cosa ne dite voi, ma so che non voglio questo per mio figlio. Voglio che lui abbia esperienza di tutti gli interessi e le possibilità che la vita può offrirgli, non solo di quelle che l’industria dei giocattoli ha stabilito appropriate al genere.

(Grazie ai nostri adorati ragazzi e ai loro genitori per le loro foto, e a Chris Hallbeck per l’uso dei fumetti di Maximumble. Se avete foto dei vostri ragazzi che cucinano, fanno lavori manuali o giocano a “fare i papà” saremmo felici se le voleste condividere. Twittate su o inviatecele per email per la nostra galleria fotografica online.)

 

Traduzione di Nicoletta Capozza.

Deconstructing il direttore

Mega-Direttore-Ereditario-Dottor-Ing.-Gran-Mascalzon.-di-Gran-Croc.-Visconte-Cobram-e1333802657523 Già una volta ebbi a dire qualcosa (però, come parlo bene) sulla figura del direttore responsabile, e proprio riguardo quello di cui parliamo oggi. E’ un’occasione più unica che rara, perché i direttori responsabili di solito non parlano molto, ma manco scrivono. Quando di tanto in tanto lo fanno, noi siamo pronti a raccoglierne il messaggio e a codificarlo per voi, povere menti che non capite, che  non sapete, che non volete – ah, la vita del direttore responsabile.

Antefatto: le parole che riportiamo sono solo quelle che Peter Gomez ha aggiunto in questo post, dove uno dei blogger de “Il Fatto” s’è accorto, diciamo così, che non tutti i blogger della testata mantengono il suo stesso standard di serietà redazionale; e che quindi il suo lavoro viene messo alla stregua di quello del ‘copincollàro’ più banale. Diciamo che non l’ha presa benissimo, e in virtù di ciò, con molta educazione, dice che gli può bastare, grazie. Il nostro direttore responsabile, ovviamente, sente come suo dovere spiegare al(l’ex-)collaboratore e ai lettori il disdicevole equivoco con le parole che solo un direttore responsabile può avere in questi casi.

Caro Dario,
ho sempre pensato che in qualsiasi campo chi ha buoni argomenti  (e tu ne hai) ha il dovere di farli valere [quindi anche se copincolla qua e là, caro Dario, se ha buoni argomenti vale anche quello]. Ilfattoquotdiano.it [avete capito bene, Gomez ha messo il link allo stesso sito nel quale sta scrivendo – un vero maestro, non c’è che dire, per raccogliere click] non è una rivista scientifica [ti dirò, Gomez, il sospetto lo avevamo avuto] e sopratutto lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dove chiunque scrive si sottopone al giudizio dei lettori [traduco: non c’è alcun criterio redazionale, vale tutto, è ‘na camboggia, basta che cliccano e leggono]: sia esso uno scienziato, un filosofo, un politico o un leader religioso [notate l’anticlimax: uno che parla per fatti dimostrati, uno che teorizza su fatti diciamo discutibili, uno che notoriamente è ipocrita di mestiere, poi il ciarlatano acclarato]. Lo spazio dei blog non fa sentire tutte le campane, permette solo alle campane di suonare [appunto: non si tratta di dare spazio a cose sensate, ma di preparare un teatrino dove tutti possono dire la loro – quindi vince chi strilla di più] (se la loro musica non è diffamatoria o violenta [a insindacabile giudizio de Il Fatto: i negazionisti del femminicidio non sono quindi giudicati né diffamatori né violenti]).

Nello spazio a destra del sito, come sai, viene invece seguita una linea editoriale [“udite udite”; peccato che il direttore non ci dica qual è. Accontentiamoci del come sai, evidentemente sono affari loro].  E mi pare che – tranne in un unico caso (a volte anche noi come gli scienziati sbagliamo)  – su quella linea ci sia stato veramente poco da dire [anche perché ti guardi bene dall’esprimerla, quindi…]. Non penso poi che un biologo serio non debba andare a un convegno di creazionisti [capito? A ‘Il Fatto’ permettiamo solo alle campane di suonare, però c’abbiamo pure un’opinione su come si fa il campanaro]: se ci va, visto che ha la ragione dalla sua parte, e li affronta con umiltà e convinzione forse farà mutare parere e convinzioni a qualcuno di loro [Dario, hai capito? Per raccogliere click non devi fare solo lo scienziato, ma pure fare proseliti]. E se ci riesce la sua vittoria avrà la stessa dignità e importanza di una scoperta scientifica [eccola la linea editoriale: la scoperta scientifica è importante quanto il giudizio dei lettori. Proprio l’idea che aveva Galilei, per esempio].
Per questo credo che dovresti ripensarci. Niente è facile, né nella vita, né nella scienza [tiè, Dario, beccati pure la frase da carta di cioccolatino, te che fai tanto lo scienziato].

un abbraccio [e du’ click]
Peter Gomez

Deconstructing il progetto di Dio

questione-di-dio Non ci vuole molto a sapere chi è Costanza Miriano, basta usare Google. Questo suo post l’ho ritrovato ripostato da un altro sito, perciò ne sono venuto a conoscenza soltanto un mese dopo la sua uscita.

Qui non si tratta solo di un “deconstructing” al fine si svelare meccanismi retorici sessisti – qui anche omofobi. Questo testo è, per ammissione dell’autrice, ciò che lei dice ai suoi figli a proposito dei matrimoni tra omosessuali. All’opera vedremo quindi non solo meccanismi retorici, ma anche pregiudizi, falsità, ipocrisie che ci si dovrà sforzare di non credere essere fatte in malafede. Perché di una cosa sono sicurissimo: Costanza Miriano crede in ciò che dice, non vuole ingannare nessuno. Ed è proprio questo, per come la vedo io, l’aspetto più agghiacciante della faccenda. Ciò che ci sarebbe da decostruire, qui, non è un post, non è una costruzione linguistica lunga poco più di una pagina: è un sistema di pensiero, un’abitudine passiva, un’intera cultura. Non posso farlo da solo, ma penso a quei bambini esposti a questo tipo di violenza – sì, cercherò di far capire che parlare ai bambini in questo modo è una forma di violenza – e qualcosa devo fare, anche se ridendo, anche se in forma di satira.

Credo sia giusto aggiungere che io so per esperienza personale che non tutti i cattolici sono così come Costanza Miriano appare in questo suo post. Indubbiamente però molti ci si riconoscono, e fanno di lei una persona da portare ad esempio.

Le nozze omosessuali spiegate ai miei figli (età media 9 anni) [le nozze, non “il matrimonio” o “le unioni” omosessuali, ma le nozze, in modo che sia evidente anche ai bambini che s’intende possibile solo che qualcuno sia supino e coperto da un altro – bella scelta iniziale, non c’è che dire]

Cari ragazzi, come sapete nella nostra casa è vietato parlare male delle persone [tutti giustificati a priori a casa Miriano, wow! Immagino i latitanti che cerchino asilo da lei quanti possano essere], o almeno ci proviamo, a non farlo. Se qualcuno sbaglia sono affari suoi, tra lui e Dio [se sbaglia e fa male ad altre persone, chissenefrega. Pensate a fare di questa frase un dettato costituzionale, che spasso]. A meno che non ci sia un compagno, che so, che si sporge troppo dalla finestra, o che attraversa la strada con gli occhi sull’iPod mentre passa un motorino. In quel caso, visto che rischia di farsi male, potete dirgli qualcosa, direttamente a lui, e possibilmente senza frantumarvi nessun osso [principio di sussidiarietà applicato alla divina provvidenza – e solo per i compagni eh, e solo se non rischi niente, eh].

C’è un solo caso in cui del male degli altri bisogna proprio per forza parlare, anche a costo di prendere un palo in testa, ed è quando rischia di andarci di mezzo qualcuno più debole, che non può difendersi da solo.

È proprio per questo motivo che il babbo e io ce la prendiamo tanto per i cosiddetti matrimoni omosessuali [quindi: nei matrimoni omosessuali c’è qualcuno debole che ci va di mezzo. Chi? Uh, lo so che avete già capito, però è divertente vedere di quante false premesse indimostrabili c’è bisogno per sostenere un’assurdità], che poi matrimoni è una parola che in questo caso non si può dire perché viene da munus e mater, cioè il dono che si fa alla madre [segnatevelo: l’etimologia conta. Quindi nozze era proprio detto apposta], e tra due uomini o due donne non può comunque esserci una mamma [vallo a dire alle due donne…].

Quindi di cosa facciano gli omosessuali nel privato non ci occupiamo proprio [premessa inutile: chi te l’ha chiesto?], non è una cosa che ci riguarda [come per qualunque altra persona, no?], e tra l’altro pensiamo che anche loro non la dovrebbero sbandierare troppo [non dovrebbero sbandierare che cosa? “La” è scritto, e non c’è altro. La cosa? Non c’è scritto, si allude solo!], come facevano quei signori che avete visto a Parigi l’estate scorsa, con le piume e i sederi di fuori [cosa si sbandiera con le piume e i sederi di fuori? La gioia, la felicità? La televisione è piena a tutte le ore di piume e sederi di fuori, cosa sbandierano? Sempre la cosa?]. Tra l’altro, avete mai visto me e il babbo andare in giro in mutande [Miriano, che schifo! Voi del privato non ci occupiamo proprio e poi ci parla di lei e suo marito in mutande? E poi andare in giro dove? In casa non fa parte del privato? E allora perché ci tiene a dirlo? Vuole proprio vantarsi che i suoi figli non hanno idea di come sono fatti i corpi della madre e del padre?]? Comunque, se loro lo vogliono fare noi ci limiteremo a passare da un’altra parte, visto che non erano proprio eleganti i signori con le banane gonfiabili e le signore senza reggiseno [a parte che non c’è bisogno di dare giudizi di eleganza – chi è lei per farlo, Miriano? – rimane il fatto che non c’erano solo signori e signore. Se portasse i suoi figli a un gay pride, per esempio qui a Roma, potrebbero incontrare i miei figli]. Capiamo anche che se sentono il bisogno di farsi vedere vestiti in quel modo forse non sono tanto felici [sulla base di cosa inferisce la felicità altrui da ciò che, evidentemente, non sa giudicare con obiettività? Di nuovo, come si permette? La sua opinione è lecita, ma darla come giudizio di valore a un bambino è quantomeno scorretto. I suoi non sono valori assoluti, lo sa? No, non lo sa – e nemmeno i suoi figli. Però è chiaro perché voi dovete passare da un’altra parte: vedere persone che ridono e ballano sarebbe dura da giustificare con l’infelicità], e quindi se ci capiterà di averne uno vicino, che ne so, al lavoro o in vacanza, cercheremo, se lui o lei vuole, di farci amicizia [uh, che teneri, addirittura? Troppa grazia…].

Il problema che ci preoccupa tanto però è quello dei bambini e delle famiglie. Noi crediamo che le leggi, come vietano alle persone di ammazzare, rubare, ma anche di parcheggiare sulle strisce pedonali o mettere la musica altissima alle tre di notte, cioè di fare quello che può danneggiare gli altri, debbano impedire assolutamente di confondere la famiglia con tutti gli altri modi di stare insieme [a parte che già lo fanno, dovresti anche dire perché questo c’entra con i matrimoni omosessuali]. Modi liberi e magari bellissimi, per chi vuole, ma diversi dalla famiglia [no. Sarebbe corretto dire “dalla mia idea di famiglia”, e allora le leggi non c’entrano]. La famiglia è il luogo in cui devono [dovrebbero, casomai, ed è comunque una tua opinione] crescere i bambini, e infatti in Italia sono stati chiusi gli orfanotrofi [non certo per quel motivo! Cosa c’entra?], e si cerca di far vivere i bambini senza genitori in case famiglia, che non saranno il massimo, ma è meglio di prima [ma cosa c’entrano le case famiglia con i matrimoni omosessuali? Perché parlare a un bambino di queste cose? Non stai cercando d’impaurirli, vero Costanza?].

Un babbo e una mamma sono la condizione minima per i bambini per crescere bene [è inutile sottolineare che questa è l’opinione personale di Miriano; ciascuno può divertirsi con Google a trovare decine di studi che smentiscono categoricamente quest’idea, e altrettanti che la confermano]. Certo, ci sono anche tanti genitori che non sono sempre bravi, infatti abbiamo detto minima: non basta che ci siano, devono anche impegnarsi un pochino per essere buoni genitori [sempre troppa grazia]. Ma se non ci sono, per un bambino è impossibile crescere in modo sano, equilibrato, felice [ecco, questa è una vera e propria falsità: non è vero che è impossibile, perché i bambini cresciuti senza uno dei due genitori o senza entrambi sono milioni e sono diventate persone equilibrate e felici. Ha paura di dirlo ai bambini, Miriano?]. Vi immaginate se il babbo non ci fosse più, e io mi fidanzassi con una signora [questo è puro terrorismo psicologico – perché l’ipotesi che le disgusta la fa immaginare ai suoi figli su di sé? Perché non portare l’esempio di altre persone? Perché far loro immaginare che la propria famiglia cambi? Per terrorizzarli di più? Complimenti Miriano, complimenti]? Non fate quelle facce terrorizzate [oh, ma guarda], sto dicendo per dire [no, lo stai dicendo proprio per quel motivo: farli terrorizzare]. O se invece di me ci fosse un amico del babbo [aridàje]? (Siete meno terrorizzati? Già vi figurate pomeriggi senza ripasso di grammatica e niente crisi isteriche per i fumetti scaraventati a terra [uh, che spiritosa]?)

Comunque, tanti dottori che studiano le teste delle persone dicono che è normale che la cosa vi sembri tanto strana [sono gli stessi che lo direbbero della tua scelta di esempi], perché è giusto che voi vogliate un babbo maschio e una mamma femmina [no, non è affatto né giusto né naturale, è il risultato della cultura nella quale crescono e dei genitori che si sono trovati ad avere – anche questo direbbero i tanti dottori che studiano le teste delle persone, ma tu li interpelli solo quando ti fa comodo], anche se a scuola cercano di dirvi il contrario (va di moda, ma non vi preoccupate) [forse a scuola cercano di insegnargli che il mondo non è fatto solo di mamme terrorizzanti e di padri preoccupati che passano da un’altra parte – e non è la moda, è la natura: forse a scuola glielo dicono che anche tra gli animali non umani esiste l’omosessualità, come pure il cambio di sesso, per non parlare della possibilità di crescere bene senza “mamma e papà”].

Vi diranno che non siete d’accordo perché andate in chiesa [mi raccomando non gli dire che è una questione religiosa, di confessione, no no, dàgli con l’eufemismo “andare in chiesa”, quello invece non va di moda?], ma noi pensiamo che sia solo buon senso [continua a negare che la religione c’entri qualcosa, bene così, negare sempre, anche questo va di moda]. Sono le regole di funzionamento delle persone [eh? Ma parla per te!!!] (è vero, le ha fatte Dio [no, a me m’ha fatto mamma, però magari sono io l’eccezione], ma funzionano comunque tutte allo stesso modo [giusto un bambino puoi ingannare col discorso che “funzioniamo” allo stesso modo, non potendo dire né che siamo tutti uguali – perché allora il tuo castello di carte cadrebbe: se siamo tutti uguali, perché il matrimonio gay no? – né che siamo tutti diversi – e allora il castello di carte cadrebbe di nuovo: se siamo diversi, perché il matrimonio gay no?], non è questione di credere: se non credi nella benzina e metti la Fanta nel serbatoio la macchina si rompe [il giorno che le automobili avranno una religione, una cultura e una psiche e potranno avere problemi di genere, allora il paragone reggerà. Per ora è una delle cose più stupide che si siano mai sentite]). Noi non siamo contro nessuno [no, vi limitate a passare da un’altra parte], ma come diciamo al compagno di non sporgersi dalla finestra siccome siamo cristiani [no, cattolici – Miriano… non tutti i cristiani la pensano come i cattolici, diglielo ai bambini, perché non glielo dici?] dobbiamo continuare a dire, quando ci è possibile, senza offendere o attaccare nessuno, qual è il modo per non farsi male, nella vita [secondo te, Miriano, secondo te. Tutto il tuo discorso non sarebbe violento se non ti dimenticassi di dire ai tuoi figli che questo è il tuo modo di pensare ma ce ne sono altri ugualmente “corretti”. Una piccola dimenticanza che fa un’enorme differenza]. Il progetto di Dio sul mondo è la famiglia [il progetto del TUO dio sul TUO mondo, Miriano, grazie, per miliardi di persone non è così e se la cavano benissimo], un meccanismo faticoso ma affascinante, in cui si mettono insieme le differenze [certo, l’importante è passare da un’altra parte], prima di tutto quelle tra maschi e femmine [tertium non datur], e si cerca di funzionare tutti al meglio. Questo è l’uomo a denominazione di origine controllata [COSA? Se le dicessi solo per te, queste cose, pazienza. Ma dirle ai bambini, che esiste l’uomo a denominazione di origine controllata, è veramente un violenza, senz’altri termini]. Poi ci sono gli ogm, ma i loro semi sono sterili (i semi delle piante create in laboratorio vanno ricomprati ogni anno [paragone vergognoso e incommentabile – questo è il trattamento riservato a chi non fa parte del progetto di Dio sul mondo]): allo stesso modo due maschi e due femmine non possono riprodursi [ma possono amarsi e crescere tutti i figli che vogliono – ops]. Quando cercano di ottenere dei bambini, non per dare una famiglia a dei bambini, ma perché li desiderano loro [altra opinione personale spacciata per realtà, e di nuovo un concetto vergognoso e incommentabile], devono fare delle cose che fanno stare male tante persone: le mamme che prestano la pancia, quelle che danno l’ovetto, i babbi che danno il seme da mettere dentro, e soprattutto i bambini che non sapranno mai da quale storia vengono [questa è la peggiore di tutte, e dire che Miriano dovrebbe crederci, nell’inferno], non sapranno che facce avessero i nonni e che lavoro facessero i bisnonni, e poi avranno due mamme, due babbi, insomma una gran confusione, dove a rimetterci sono i bambini [servono a qualcosa i milioni di persone che vivono tutto il contrario, in tutto il mondo? No, nessuno potrà evitare a due bambini una visione delle cose gretta, meschina, povera e violenta. Complimenti].

A noi dispiace tanto se le persone dello stesso sesso che si vogliono bene non possono avere bambini [certo, come no], e rispettiamo e capiamo la loro tristezza [s’è visto sia come la rispetti che come la comprendi], ma è la natura [no – ti sei ben guardata dal distinguere, nelle tue chiacchiere, cosa è natura e cosa è cultura, perché allora avresti avuto ben altre difficoltà], e noi abbiamo il dovere di difendere quei bambini che non possono farlo da soli [è quello che faccio anche io, con i miei figli: li porto sempre al gay pride e a casa di amici omosessuali, in modo che sappiano difendersi dagli omofobi, da chi li terrorizza, da chi gli racconta bugie]. Ci sarebbe da dire poi che lo stato dovrebbe aiutare le famiglie, che sono moltissime moltissime di più (e forse per questo non ci aiutano, è più difficile risolvere qualche problema alla maggioranza [si, avete letto bene, sta chiedendo soldi allo Stato in quanto famiglia facente parte del progetto di Dio sul mondo]), ma questo è un discorso che abbiamo fatto tante volte… (Tanto si sono già alzati tutti da tavola, e sto parlando da sola come al solito [lo spero tanto per i tuoi figli]).

Io queste parole di Costanza Miriano normalmente le chiamo ipocrisia. Quando le vedo usate per spiegare le cose a un bambino, però, le chiamo violenza. Soprattutto pensando – un esempio tra i migliaia che si possono raccontare – a Sophia Bailey Klugh. Vallo a dire a lei che l’amore che prova, e l’amore che riceve, non fanno parte del progetto di Dio.

Deconstructing lo scienziato

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Ci sono tanti modi per argomentare, e tanti modi per sostenere le proprie opinioni. Qui leggerete all’opera uno scienziato coi fiocchi che dimostra – a suo dire – che la cultura maschilista è una delle tante cause dei femminicidi, ma non l’unica, e che incide tanto quanto le altre; in questo senso quindi che quella cultura è sopravvalutata da molti, nei suoi effetti. Come ci sarebbe riuscito lo sa solo lui, io non l’ho ancora capito. Potete aiutarmi?

Violenza sulle donne: alcune cause secondo studi scientifici [studi scientifici, vi rovino la sorpresa, che non sono né linkati né citati. Complimenti al metodo scientifico]

L’orribile feminicidio di Corigliano Calabro ha suscitato una comprensibile mole di commenti, molti dei quali centrati sul suo rapporto con la cultura maschilista ancora fortemente presente in Italia. Pochi, mi pare, hanno sentito il desiderio di consultare gli studi scientifici e sociologici disponibili [lui i desideri li capisce dai commenti. Però, hai capito lo scienziato]; o almeno pochi li hanno citati [notoriamente, si cita sempre quando si fa un commento, in rete fanno tutti così]. Gli studi in materia sono invece numerosissimi ed esiste persino un giornale scientifico interamente dedicato a questo problema [di cui il nostro scienziatone non mette né link né il titolo – complimenti]; nonostante questo, o forse proprio per questo, trovare i dati di rilievo è difficile [embè, caro mio, se non li nomini manco tu che dici di usarli, continuerà sempre ad essere difficile], perché sono sepolti in un numero enorme di pubblicazioni [è per quel motivo che esistono i link, non t’è giunta la notizia?]. Che la cultura maschilista sia ampiamente diffusa nel paese è evidente, basta pensare alle nostre consuetudini di tutti i giorni. Ad esempio noi riteniamo normale che la donna sia condotta al matrimonio dal padre che la consegna allo sposo: che debba cioè essere “consegnata“ da un uomo ad un altro uomo. Meno evidente è il peso di questa cultura nel determinismo dei fatti di sangue [il determinismo dei fatti di sangue è un’espressione inventata di sana pianta: il determinismo è la concezione della concatenazione non casuale degli eventi della natura, concezione trasportabile alla storia umana con molte difficoltà. Applicarla ai fatti di sangue forse vuol dire che non è detto che la cultura maschilista sia una delle cause dirette dei femminicidi. Forse. Se ho capito bene. Perché non l’ha detto lui? E che ne so, lo scienziato è lui] rispetto agli altri fattori sociologici e psicologici quali la povertà, l’etilismo, i tratti caratteriali violenti, fino alla personalità psicopatica, o la gelosia, che è sentimento prima che cultura [sì, ma quando la ”gelosia” viene difesa e promossa come un possibile movente per un omicidio – il famigerato “delitto passionale” – e pure considerata un’attenuante, allora è cultura. Forse, sempre forse eh, se ne parla in questo senso].

In una delle mailing list alle quali sono abbonato ho trovato il link a uno studio su questo argomento e ho fatto una piccola ricerca. Purtroppo non tutti gli studi che citerò sono accessibili gratuitamente [e perché non mettere lo stesso titolo e autore? Perché non presumere che io lettore sia pronto a spendere per documentarmi? E’ così che si divulga la scienza? Complimenti]. Un buono studio dal quale partire è quello della Divisione di statistica delle Nazioni unite [il link c’è]. Questo studio pone gli aspetti culturali tra le proprie premesse, ma è soprattutto interessante per le tabelle statistiche che riporta, dalle quali emerge chiaramente [emersione della quale non ci viene data la benché minima traccia da seguire] che la correlazione tra violenza sulle donne e reddito pro-capite è molto forte se si confrontano i paesi più ricchi con quelli più poveri del mondo, debole se si confrontano paesi relativamente ricchi: ad esempio la Germania e la Danimarca hanno tassi alquanto elevati, superiori non solo a quelli di Italia e Francia, ma anche delle Filippine. Interessante è anche il dato sulla violenza sulle donne commessa dal loro partner: la frequenza in Italia supera quella della Danimarca ma è inferiore a quella della Germania; è molto elevata nei paesi più poveri, sebbene con varie eccezioni [tutto chiaro, no? No. Tipico dello scienziato è che voi dovete capirlo al volo].

Se ci si limita agli studi su singoli paesi e si eliminano quindi le grandi disparità culturali e di affidabilità dei dati che derivano dal confronto di statistiche di paesi diversi [traduco: facendo finta che non esistano alcune importantissime condizioni di partenza per cui i dati sono da prendere con le molle e bisognerebbe andarci molto piano a sfornare deduzioni…], si isola la (prevedibile) correlazione positiva tra violenza sulle donne, povertà e alcolismo (si veda ad esempio questo studio sulla rivista Lancet [il link c’è]), nonché una correlazione negativa tra scolarità e violenza [due ovvietà. Dove la qualità della vita è peggiore la violenza è superiore tutta, quindi anche quella di genere – sempre che la si rilevi opportunamente, ma di questo non si dice nulla. Dove la popolazione è più acculturata, all’inverso, la violenza è minore. Embè?]. Si trovano però anche dati alquanto sorprendenti: ad esempio alcuni studi riportano che gli sportivi maschi di alto livello sono più inclini dei maschi “normali” alla violenza contro le donne. E’ possibile che questo fenomeno sia collegato all’uso illecito di steroidi anabolizzanti. Viene alla mente la recente uccisione di Reeva Steenkamp da parte del suo compagno, Oscar Pistorius [oppure, senza scomodare la chimica organica, viene da pensare che gli ambienti sportivi, notoriamente molto “machi”, sono il classico ambiente culturale maschilista dove la violenza di genere può facilmente diffondersi, giustificare e alimentare comportamenti violenti. Ce ne sono di studi anche in questo senso, ma perché leggerli quando c’è la chimica a spiegare tutto? E quando c’è un fatto di cronaca che possiamo buttare lì come fosse una prova – e non lo è?].

La cultura maschilista del nostro paese è certamente un fastidioso retaggio del passato [mica tanto passato, direi], del quale dovremmo cercare di liberarci: ad esempio dovremmo sentirci offesi, anziché divertiti, delle avventure del nostro ex, e speriamo non futuro, premier Silvio Berlusconi [che cosa c’entri lo sai solo tu – ah già, siamo su Il Fatto]. La violenza contro le donne però, come tutti i drammi sociali, riflette un intreccio di motivazioni causali, alcune sociali, altre legate alle singole persone dei colpevoli, e la nostra cultura è solo una tra queste. La povertà, l’alcolismo, la droga, la sofferenza psichiatrica, la bassa scolarità sono fattori almeno altrettanto importanti [no, nel modo più assoluto. Qui si fa confusione tra diverse cose: la cultura maschilista non è una delle cause dirette dei femminicidi, ma l’ambiente nel quale quei particolari delitti trovano più facilmente modo di realizzarsi. Le altre cause, infatti (la povertà, l’alcolismo, la droga, la sofferenza psichiatrica, la bassa scolarità) hanno una correlazione ovvia con tutti i delitti, e non con il femminicidio in particolare. Nessuno le sottovaluta come cause, ma non è neanche corretto metterle sullo stesso piano del maschilismo. Se la prima persona con cui se la prende il povero, l’alcolizzato, il drogato, lo psicotico, l’ignorante è una donna, non è forse colpa di un sistema che gl’insegna che lei è l’anello debole del sistema sociale? Ma perché farsi questa domanda, quando ci sono la chimica, la fisica, la geometria e l’astronomia a darci tante risposte pronte? E a fare in modo che i femminicidi non siamo considerati come un fenomeno unico, ma come tanti delitti diversi provocati da tante cause diverse, lontane, vaghe?].

Se ne sentiva proprio il bisogno, di questa chiarezza scientifica. Grazie davvero per la lezione di metodo, del metodo migliore per generare “fact screwing”. Uno scienziato meno vago si esprime così: “Alla base dei fenomeni di violenza contro le donne, i più recenti studi scientifici hanno individuato 130 possibili variabili, ma di fatto i detonatori sono prevalentemente i fattori socio economici, ambientali e culturali acuiti dalla crisi economica e dall’uso di alcol e stupefacenti”. Sembra la stessa cosa, ma non lo è affatto.

Il compagno sessista (a volte ritornano)

 

Marina Jinesta, 1936
Marina Jinesta, 1936

Alla luce di questo spassoso siparietto apparso in uno spazio facebook di certa e sicura origine comunista,  “ma no comunista così, communista cosììììì!!”, ripropongo un testo scritto più di due anni fa a proposito di una certa figura tipica: il compagno sessista. Il comunista convinto e certo delle proprie convinzioni di sinistra “dura e pura” che però, al primo contatto critico con un genere diverso dal suo, ripropone l’arsenale retorico sessista del più classico potere maschile. Sapevo che non è un tipo umano destinato a una rapida sparizione, ma ritrovarselo così spesso, vi dirò, non è che mi metta di buonumore. Questo che segue, dunque, è quanto ho già scritto su Questo Uomo No. E’ ancora validissimo, purtroppo.

Stavolta m’è uscita una specie di lettera per un tipo di maschio che proprio non sopporto. Pensavo da un bel po’ a questo tipo – un po’ di nicchia, lo ammetto – che mi da’ parecchio fastidio. L’ho incontrato spesso, e devo ammettere che ha la notevole qualità di non sembrare affatto meno stronzo né col passare degli anni miei né col passare degli anni suoi. Meno male, perché mi dispiacerebbe proprio essere più tollerante solo perché il tempo passa.

Il compagno sessista è una figura molto più comune di quanto si pensi. E’ un maschio di sinistra, fortemente schierato; si professa comunista orgogliosamente, specie se ha già superato i quaranta, oppure anarchico «da sempre». Il compagno sessista veste con una specie di divisa riconoscibile, fatta di accessori e colori che nella sua città «significano» l’appartenenza alla sinistra militante, anche con qualche punta d’anarchia, perché no. Anche se non più giovane, riconoscerete senz’altro nel suo abbigliamento quelle caratteristiche comuni, irrinunciabili, con le quali si vuole distinguere.

Se ha un lavoro fisso e stabile il compagno sessista fa spesso lunghi discorsi critici sulla situazione socioeconomica attuale, anche ben argomentati, partendo da quelle situazioni quotidiane, «di base», che vive in prima persona; che sono, immancabilmente, l’ovvia triste conseguenza di scelte politiche folli votate da una maggioranza che non lo rappresenta e decise da una classe politica che lui disprezza, indipendentemente dall’etichetta di partito.

Forse è un nostalgico di partiti che non ci sono più, e pur apprezzando qualche esponente «rimasto», ne compatisce il glorioso passato rispetto a un presente privo di prospettive e di potere. Se invece è giovane e non ha di questi ricordi, il compagno sessista disprezza apertamente qualunque dirigente di partito sopra il livello regionale, lasciando un po’ di speranza a qualche esponente locale – di cui ha diretta conoscenza in comizi, manifestazioni, campagne – che si salva perché ancora non corrotto dalla politica più alta.

Sotto o intorno i trenta, il compagno sessista è di un attivismo inarrestabile. Non si perde un convegno, un’assemblea, un’iniziativa, una manifestazione; mette in moto relazioni, amicizie, collegamenti, usando tutti i mezzi di comunicazione, soprattutto i più nuovi, per smuovere cose e persone. Organizza, comunica, spende parole forti; ha sempre la testa al «dopo» ma spara giudizi sul momento; mangia beve fuma con la stessa passione frenetica con la quale parla, convince, condanna, studia e rielabora.

Il compagno sessista è molto attento al suo linguaggio. Fiuta la reazione e il razzismo lontano un miglio e condanna senz’appello il militante destrorso, sia attivo che passivo, soprattutto nelle sue espressioni. Pesa e sa pesare bene le parole, ed è molto attento a dire cosa a chi, perché conosce molto bene la forza del linguaggio e sa quanto può colpire e servire alla causa la parola giusta al momento giusto.

Ma c’è un ma.
Eh sì, compagno sessista, c’è un «ma».

Ma quanto ti dà fastidio quando le compagne gestiscono un’iniziativa, un’occupazione, ponendo problemi che non ti sono venuti manco in mente e proponendo soluzioni che ti costringono a ripensare un po’ il tuo ruolo. Ma quanto ti rode se da certe discussioni sei escluso, o comunque ammesso con le dovute riserve, perché uomo e in quanto tale non è che proprio ne puoi capire di certi argomenti. Ma cos’è tutta st’importanza al patriarcato, al machismo, alla violenza di genere? I problemi sono altri, queste sono chiacchiere che fanno perdere di vista l’obiettivo, l’idea, la cosa importante.

Ecco, io dico questo uomo no.

Tu, compagno sessista, hai sviluppato un naturale orrore per espressioni come «sporco negro» o «terrone di merda», ma non esiti a dare della «zoccola» alla donna al volante di una macchina davanti alla tua, della «puttana» all’assistente che ti interroga, «troia» alla giornalista in tailleur che non fa le domande che hai in mente te, «mignotta» alla deputata che rilascia dichiarazioni ridicole e inopportune, «bocchinara» alla discinta protagonista televisiva di turno, «pompinara» alla collega che lavora più e meglio di te. Poi hai spazio anche per un affettuoso «troiette» per le compagne che propongono una mozione diversa, e «puttanelle» per quelle del centro sociale che chiedono spazi e ore per le loro iniziative – che gentile, una nota di riguardo la sai dare.

Beh, compagno sessista, lasciatelo dire: sei un fascista. Sì, proprio fascista. Perché se non vuoi capire – e non lo vuoi capire, perché sei in grado di capire tutto il resto tranne questo! – che cosa significa il sessismo, è perché non ti fa comodo. E’ perché uno spazio nel quale esercitare il tuo potere di maschio fascista ti piace, lo vuoi conservare, e te lo prendi, alla faccia di tutte le compagne. Che, allora, lì, in quel momento, non sono compagne: sono zoccole. Neanche donne, parola che proprio non t’interessa. Perché dietro il negro e il terrone c’è l’uomo, e allora lo capisci che se dici negro e terrone offendi anche l’uomo che tu sei; ma se dici mignotta no, non lo vuoi capire. Insomma, compagna fino a che non rompe i coglioni: poi mignotta va bene. Questo uomo no.

Caro compagno sessista, non mi freghi. Puoi avere il Che tatuato in fronte, falce&martello cuciti sulle mutande, il Capitale nella tua libreria nell’edizione originale e saper cantare l’Internazionale in russo, ma per me sempre fascista rimani. Perché il potere del maschio ti piace, te lo tieni stretto; non m’importa di che colore te lo rivesti: sempre schifo mi fai. Questo uomo no.

Deconstructing il moralismo

moralista

Come saprete senz’altro già per vostra esperienza personale, tra le cose peggiori che si possano trovare in giro sui media del nostro ‘belpaese’ sono i discorsi o le prese di posizione confuse e ambigue su alcuni termini importantissimi. A me non interessa – lo dico subito e nero su bianco – difendere qualcuno; a me interessa chiamare le cose con il loro nome, e far notare dove questo non si fa. Si chiama politica anche questo. Perciò faccio una premessa per quanto segue, e ve la scrivo bella grossa per evitare che ve la possiate scordare.

SE NELL’USO CORRENTE E ‘DISCORSIVO’ DEL LINGUAGGIO LE PAROLE “ETICA” E “MORALE” SONO FREQUENTEMENTE USATE COME SINONIMI, ESSE NON LO SONO AFFATTO. ETICA E MORALE NON SONO LA STESSA COSA.

Come al solito basterebbe Wikipedia per farsene un’idea, ma siccome vi so pigri almeno quanto me, vi ricopio qui il passo che m’interessa teniate a mente: “L’etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. Essa pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell’atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere. […] Ma l’etica si occupa anche della determinazione di quello che può essere definito come il senso (talvolta indicato con il maiuscolo, ‘Il Senso’) dell’esistere umano, il significato profondo etico-esistenziale (eventuale) della vita del singolo e del cosmo che lo include. Anche per questo motivo è consuetudine differenziare i termini ‘etica’ e ‘morale’. Un altro motivo è che, sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l’uso del termine ‘morale’ per indicare l’assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola ‘etica’ per riferirsi all’intento razionale di fondare la morale intesa come disciplina non soggettiva”.

Qui c’è l’articolo con le parole di Boldrini che Mancuso critica. Come potete leggere, Boldrini fa un discorso di etica: il problema individuato da Boldrini non sta nei valori soggettivi ma nelle regole da dare a manifestazioni pubbliche e comuni – come la pubblicità – che veicolando un messaggio di utilizzo del corpo delle donne possono veicolare violenza: «Una donna oggettivizzata, resa cioè oggetto, la si tratta come si vuole e la relativa violenza è a un passo […] non è solo una questione di leggi, ma lo Stato deve prendersi la propria responsabilità: il legislatore deve introdurre maggiore attenzione alla realtà, perchè c’è odio contro chi è più libero, contro chi non appartiene alla collettività. È anche una questione di formazione: è nelle scuole che i ragazzi vanno educati non nel rispetto delle diversità ma soprattutto nel rispetto degli esseri umani». Ora, si può discutere anche di questo, senz’altro: ma non è una forma di moralismo. E’ ‘la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri’, cioè etica.

Bene; detto ciò, addentriamoci quindi nell’analisi di questo pezzo di Aurelio Mancuso.

Cara Boldrini, la violenza sulle donne non si sconfigge con il moralismo [il moralismo, invece, è “una degenerazione della morale usata con eccessiva intransigenza per una severa, talora ipocrita, condanna degli altri” (sempre Wikipedia). Quindi Mancuso dice a Boldrini: la violenza sulle donne non si sconfigge inasprendo i valori morali fino all’intransigenza. Ché uno potrebbe pure essere d’accordo – il problema è che Boldrini non ha parlato di morale. Continuiamo.]

Il femminicidio è un dramma troppo serio perché si apra una discussione moralistica sull’uso del corpo delle donne nelle pubblicità [di nuovo, siamo d’accordo: ma prima dovremmo aver accertato che il discorso di Boldrini sia moralistico – e non è così]. Il rischio, dietro l’angolo, è che ancora una volta si dividano le donne per bene e per male, un errore politico e culturale così praticato in questi anni da tante associazioni femminili e femministe che non ha stoppato alcun omicidio di odio nei confronti delle donne [aspetta, fermi, calmi, bòni tutti. Dividere le donne per bene e per male era fatto con lo scopo di stoppare gli omicidi di odio nei confronti delle donne (dire femminicidio no, eh)? Non mi pare, è una pratica politica ma anche culturale che si fa da sempre, nell’occidente. Più o meno da quando qualcuno ha diviso il mondo in Marie e in Maddalene. E non era certo un’associazione femminile o femminista]. Si dice che solo nel nostro Paese vi sia un uso così sfrontato e inqualificabile del corpo delle donne nelle pubblicità, e questo può esser vero, ma da qui bisogna partire? [E perché no? E’ un problema evidente, è diffuso, tocca un nodo economico-culturale importante… complimenti al coraggio di affrontare un nodo del genere. Alternative? Mancuso per ora non ne fa. Dice solo che questa è moralistica e che non bisogna partire da qui.]

Il possesso machista che si risolve contro l’autodeterminazione delle donne, dilaga nel nostro Paese, per oggettive tare culturali che non possono esser affrontate solo da un lato, ovvero dalla censura [censura? Quale? Boldrini ha parlato di censura? Non mi pare. Il limite di velocità nelle strade urbane è considerato censura alla libertà di movimento?], dalla moralizzazione dei costumi [I costumi qui non c’entrano nulla. Si tratta di un’attività economica e di comunicazione molto precisa, la pubblicità. Che c’entrano i costumi? Oppure regolare le attività non si può fare? E allora lo IAP, è anch’esso censura o moralizzazione dei costumi?], dalla sottrazione dei corpi svestiti o lascivi per fini commerciali. Perché l’altro lato è proprio il moralismo ipocrita, la madonizzazione delle donne che persiste a causa di visioni ecclesiali cattoliche ed ecclesiali laiche, prima fra tutte quella della sinistra istituzionale [Cioè, Boldrini invita a darsi una regolata nello sfruttamento dell’immagine delle donne nella pubblicità e automaticamente questo è moralismo ipocrita? Certo, è un lato del problema, ma perché non affrontarlo? E perché tacciarlo di moralismo, che non c’entra nulla?].

Quando non si avrà più paura del sesso [Boldrini ha paura del sesso? Mancuso, scusi, ma da cosa l’ha dedotto?], della sua veicolazione come elemento essenziale della vita [scusi Mancuso, ma secondo lei questi manifesti mi veicolano un elemento essenziale della vita?], dell’identità delle persone, dei generi, degli orientamenti sessuali, allora un pezzo importante della sessuofobia che porta alla castrazione sociale, nei rapporti intimi, nella rappresentazione e gestione dei poteri, sarà spazzato via [Mancuso, qui il problema non è la paura del sesso – è il suo uso strumentale. Non mi pare proprio che tanti pubblicitari ne abbiano paura, anzi; Boldrini ha fatto notare che sarebbe ora di smetterla di usarlo così. Le pare moralismo?]. E di pubblicità non dovremo più discutere, perché il “mercato” riterrà non remunerativo ostentare corpi femminili [sì, certo, “nel boschetto della mia fantasia” (cit.)]. Parliamo di educazione sessuale obbligatoria nei programmi scolastici (meglio l’educazione alla salute e alla consapevolezza di sé [magari – ma le pare che Boldrini non sarebbe d’accordo? Ma l’ha letto il suo CV? E poi lo dice anche lei, proprio nel link che ha messo!]), di narrazione pubblica che permetta la demitizzazione della sessualità, imprigionata ancora dall’immagine classica dell’impurità del corpo [e certo, la situazione è questa grazie ai moralismi di Boldrini, no?], di elemento esterno alla volontà razionale, di promozione scientifica delle differenze dei generi e degli orientamenti.

Insomma, fare un discorso unilaterale, comodo e anche rassicurante [non è unilaterale, è solo uno dei discorsi da fare, Boldrini non ha negato gli altri – e poi, come sarebbe comodo? Ma se Boldrini s’è presa vagonate di merda!!!], che tende a eliminare i conflitti [EH? Casomai li fa emergere, finalmente, spazzando un po’ d’ipocrisia], ci riporta indietro, non aiuta l’individuazione concreta anche di strumenti di prevenzione e di tutela. E in ultimo si continua a girare intorno alla questione centrale: la violenza contro le donne è un problema degli uomini [eh, chissà chi sono la maggior parte dei pubblicitari e del loro pubblico di riferimento], in quanto tali, così come sono oggi pervenuti dopo i millenari vaneggiamenti antropologici sulla superiorità intellettuale e fisica.

Lo scatenamento della strage delle donne, ha dentro un elemento di vittoria evidente: i maschi sono finalmente entrati in crisi, l’autonomia delle donne li fa agire come i loro antenati, perché sono i ruoli che stanno crollando [non sarei così ottimista, Mancuso, a me pare che vanno ancora alla grande, boh – e sa che anche il tono della sua frase è parecchio ambiguo?]. È necessario punire i reati, attrezzare di strumenti veri i centri donna, la polizia, ma anche oltre, aprire una discussione sulla necessità di come rieducare gli uomini [è quello che ha detto Boldrini, infatti, e comunque: con meno cartelloni sessisti in giro secondo me sarebbe più facile, no?], perché il femminicidio è la manifestazione violenta di una patologia sociale e culturale diffusa: il machismo [che ha, tra i suoi effetti, portare gli uomini a criticare i discorsi politici delle donne bollandoli di moralismo – io un esempio ce l’avrei, sa?].

Deconstructing Don Riccardo

doncamillo

Pochi giorni fa Loredana Lipperini, sulla sua bacheca Facebook, mette questo link nel quale Costanza Miriano, correttamente, non risponde a quanto Lipperini e Murgia hanno scritto su di lei. Correttamente perché non ha letto il libro L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!; e lascia la parola a “Don Riccardo Mensuali, del Pontificio Consiglio per la Famiglia – in pratica gli esperti del Vaticano sul tema”. Don Riccardo, come vedremo, non è esperto solo di famiglia, ma pure di un certo modo di comunicare, che – tipico, a mio parere, degli esponenti in divisa di un qualunque culto – va accuratamente discusso affinché nulla sia dato per scontato. Perché se sei corretto ma dai la parola a uno che lo è un po’ meno, forse non sei stato tanto corretto manco tu. No?

Se il potere è il servizio [titolo, permettetemi, parecchio complicato: che vuol dire, per i non esegeti di Miriano? Niente – e non ci verrà spiegato neanche dopo]

Nel loro interessante pamphlet “L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!”, Loredana Lipperini e Michela Murgia se la prendono un po’ con Costanza Miriano [da questa frase pare che nel pamphlet – definizione che vi chiedo di ammirare nel suo uso di giudizio preventivo – le due autrici non facciano altro]. Lo fanno a pag 47 [ah. Una pagina sola]. Siccome il saggio ha come scopo, opportuno e prezioso, quello di “imparare a parlare di femminicidio” [grazie, ma non era meglio dirlo subito? E allora, forse, non è un pamphlet], cioè far luce sulla violenza contro le donne della nostra società [eh, no, non è proprio lo stesso. Per questo scopo certo non basta un pamphlet – sempre ammesso che questo lo sia; qui si tratta solo di riflettere su certe pessime abitudini linguistiche e quindi culturali, sullo sfondo della complessiva violenza di genere], “Sposati e sii sottomessa” è, dalle due autrici, messo all’indice [addirittura! Lipperini e Murgia hanno, nel loro pamphlet, costruito un indice di libri! Accidenti che dono di sintesi – riescono a far luce sulla violenza contro le donne della nostra società e a costruire un indice di libri tutto in un pamphlet]. Mi accorgo adesso che il correttore ortografico non conosce la parola femminicidio [quindi non t’è mai capitato di scriverla prima. Interessante per uno degli esperti del Vaticano sul tema della famiglia. La dice lunga sul livello di consapevolezza di quegli esperti]. Ragione in più per apprezzare il lavoro delle signore Lipperini e Murgia. Che però, io credo, non hanno letto i libri di Costanza Miriano [cioè le due autrici hanno messo all’indice un libro che non hanno letto. Bel complimento. E siamo all’inizio, signori!].

Anche io trovo che viviamo in un mondo duro, violento e crudele, soprattutto verso i più deboli: donne, anziani, stranieri, bambini [La mossa del giaguaro, fase #1: sono d’accordo con te sulla supposta “base” dell’argomento]. Il libro delle due autrici non avrebbe 80 pagine ma 800 se solo avesse avuto capitoli sulla violenza contro le donne nel resto del mondo [La mossa del giaguaro, fase #2: quell’argomento è vasto, e infatti tu non hai detto nulla riguardo una certa cosa]. Molti preti, e non solo, sono ancora scandalizzati da quel sacerdote ligure che osò affiggere in parrocchia una locandina nella quale esponeva la tesi secondo cui, in fin dei conti, una parte della violenza sarebbe da imputare alla colpa delle donne [La mossa del giaguaro, fase #3: ti tranquillizzo, guarda che sono dalla tua parte eh? Guarda che sono d’accordo, eh?]. Con questi discorsi, subito del resto censurati dal Vescovo incaricato della censura, il vescovo diocesano [abbiamo capito], si getta solo discredito sulla Chiesa [eh, non ce n’è certo bisogno]. Così, per chiarire [per chiarire cosa? E a chi? E che bisogno ci sarebbe, di chiarire? Glielo devo ricordare io, il latinorum di “excusatio non petita…”].

Scrivo però queste righe perché Costanza Miriano verrà a parlare al “Pontificio Consiglio per la Famiglia” il prossimo 29 Maggio, partecipando ad un seminario sul tema “L’Amore Imperfetto: un padre e una madre, l’educazione dei figli”. A lei abbiamo affidato il titolo: “La ricchezza della differenza”. Non so ancora cosa Costanza dirà. O forse sì, un po’ lo so. Ho letto i suoi libri [Capito? IO HO LETTO I SUOI LIBRI, mica come certe due autrici di nostra conoscenza – La mossa del giaguaro, fase #4 – la botta all’improvviso]. Il contrario della differenza non è uguaglianza. È uniformità. La povertà dell’uniformità, potevamo darle anche questo, di titolo, specchio dell’altro [non è affatto lo specchio, casomai l’opposto, e non vuol dire affatto la stessa cosa, ma vabbè].

Secondo Lipperini e Murgia, Costanza Miriano sarebbe convinta [che vuole farci, padre, hanno supposto che avendo scritto delle cose, ne sia anche convinta, di quelle cose. A lei non risulta, dato che usa il condizionale?] che “il problema della violenza e della morte delle donne nasca dalle scelte delle donne stesse, che rifiutandosi di “stare sotto”, quindi di porsi come pilastro portante dell’intera impalcatura del sistema di dominio patriarcale, fanno crollare l’armonia iniziale stabilita alle origini del cosmo, da Dio o dalla natura stessa. Chi ha fatto propria questa visione pretende di partire da un atto incontrovertibile – che la donna e l’uomo siano fisicamente differenti – per fondare su questa differenza una gerarchia di poteri e una pre-assegnazione di ruoli e di attitudini” [le confesso, padre, che questa cosa non l’ha detta solo Miriano, ma anche un certo numero di testi che, data la divisa che porta, le dovrebbero essere noti].

In sintesi, secondo Lipperini-Murgia [lui ha letto il libro, quindi questa è LA sintesi, non la sua sintesi], Costanza [certa gente si nomina per cognome e col trattino, certa altra per nome] dilapiderebbe secoli di fatiche [avete letto delle fatiche, voi, nel passo sopra?] per tornare indietro nel tempo riassegnando [ri-assegnando? E chi l’ha fatto prima?] alla donna un posto molto più in basso nella “gerarchia di poteri”. Un anti-femminismo di femmina [mi scusi Don Riccardo: la parola femminismo non è nella citazione che ha riportato. Le sembra che abbia un significato univoco per tutti, tanto da poterla usare così, al volo? E con tanto di prefisso e provocatoria specificazione? Mi scusi ma non credo che lei sia il più autorevole a dire cos’è il femminismo; figuriamoci un anti-femminismo (semmai esista) praticato dalle donne. Siamo alle astrazioni di terzo grado, ma per favore…], quindi più pericoloso [più: quindi di suo il femminismo lo è? Di nuovo complimenti, padre, per il suo equilibrio e il modo corretto di scrivere. E meno male che lei sarebbe uno degli esperti], se è possibile estremizzare [lo hai già fatto, furbacchione – La mossa del giaguaro, fase #5: traggo conclusioni ma le premesse non ci sono!]. Mi permetto di consigliare alle autrici del breve e intenso saggio [ecco, già è meglio di pamphlet, ma ormai non importa più a nessuno], di rileggere, quanto meno, le pagine di Costanza Miriano [quindi o non le hanno lette, o le hanno lette male – se dico che è almeno un po’ troppo paternalista, padre, s’offende?]. Vi troveranno invece dei grandi personaggi femminili [e che c’entra, scusi? Quando abbiamo cominciato a parlare della presenza/assenza di grandi personaggi femminili?]. Scopriranno che c’è un’eroicità della libertà di essere donne cristiane [MA COSA C’ENTRA? Nessuno nega la libertà di culto, né l’eroismo di alcun* cristian*; però, caro Don Riccardo, dovrebbe spiegare allora perché dice cristiane e non ‘cattoliche’. Intende anche  anglican*, ortodoss*, protestantI? Perché di eroi ce ne sono anche lì, ma ho idea che sul femminismo, le donne e il matrimonio le posizioni non siano proprio univoche. Ne vogliamo parlare o lo diamo per scontato?]. C’è – eccome – una gerarchia di poteri nelle pagine di Miriano. Ma non è la gerarchia a cui allude “L’ho uccisa perché l’amavo:falso!”. È il suo opposto [quindi le due autrici non hanno proprio capito niente, chiaro?]. C’è un potere nel “servizio” che rende libero il matrimonio [il matrimonio? E chi ne stava parlando? Si parlava di donne, di corpi e persone, non di istituzioni. O per lei sono lo stessa cosa, padre?] di respirare, di crescere, di esistere e di resistere [sì, il matrimonio, non le donne – quelle invece pare che soffochino, regrediscano, muoiano e cedano, le risulta?]. Il cristianesimo o è eroico o non è [sì, le storie dei santi le sappiamo anche noi – ma lei dovrebbe dire cosa c’entrano qui]. E tutte le mogli dei libri della Miriano sono eroiche, libere, spregiudicate, divertenti e ironiche perché superiori avendo scelto di essere “inferiori” [parere vostro, e sono le mogli, non le donne], capaci di lottare e di riposarsi, di imporsi e di rispettare, di correre e di fermarsi [ammesso che sia vero, osa davvero credere che quelle siano TUTTE LE MOGLI? E alle donne che mogli non sono, non ha nulla da dire? Miriano anche, non le considera?]. Le trovo piene di libertà. E se rispettano i loro mariti, lo fanno come suggerisce loro l’etimologia del verbo rispettare: vuol dire guardare due volte [e chissenefrega. Non si stava parlando di matrimonio, né di mogli – ma di donne. Per lei fa differenza? No? Beh, per qualcun* sì]. Costruiscono, queste donne [e no, padre, La mossa del giaguaro, fase #6 non passerà. Lei non può usare mogli e donne come fossero sinonimi], famiglie solide perché aperte, a Dio e al mondo. Chiedono, propongono, esigono. Se c’è qualcosa che non sono è tiepide, “né calde né fredde” (Ap 3,15), che mi sembra la malattia del nostro mondo [quale delle due autrici ha accusato qualcuno di indifferenza, o di ipocrisia? Cosa c’entra questa citazione? Niente, ma ormai siamo a ruota libera]. Fanno tornare alla mente le parole di Benedetto XVI pronunciate al Parlamento tedesco il 22 Settembre 2011: “La ragione positivista… non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto” [passo che, le dirò, si avvicina molto di più a Lipperini-Murgia che alla sua cara Costanza. Sono le due autrici a voler parlare di una differenza naturale da considerare come tale, e non da interpretare come la manifesta costruzione di un potere politico o istituzionale, sacralizzato nel matrimonio come lei lo intende. Qual è allora la ragione positivista, quella che incastra la natura nell’istituzione matrimoniale a scopo funzionale o quella che vuole liberarne le potenzialità e sancire pari diritti della differenza? Oppure vogliamo dire che il matrimonio è naturale come i nostri corpi? E su, padre, “manco le basi der mestiere” (cit.)].

Se si ha la pazienza di guardare dentro le case dove vivono i personaggi di Costanza Miriano scopriamo case e famiglie aperte al vasto mondo di Dio. È questo, credo, che le rende libere [non lo metto in dubbio. Ma quelle famiglie non sono tutte le famiglie, Don Riccardo, e la maggior parte delle donne esistono fuori di quelle famiglie. Anche se non le piace, è così. E se la sua soluzione alla violenza – e quella di Miriano – è diventare come quelle famiglie, abbia almeno la decenza di smettere di parlare di libertà].

Sono certo – insomma – che, leggendo bene Costanza, anche le amiche Lipperini e Murgia dovrebbero prenderla con sé, sul carro nobile della battaglia contro la violenza (in genere) e la violenza che subiscono le donne [perché, Lipperini e Murgia si sono messe alla guida di quel carro? E quando lo avrebbero fatto,sempre nello stesso pamphlet? E perché dovrebbero dispensare la licenza per salirci? Ma dove l’ha vista tutta questa roba, padre? Lascio la parola all’amica Serbilla: “immagino Lipperini e Murgia sopra a ‘sto carro di madreperla econ colonnine ioniche, vestite come delle dee greche, con la fascetta sulla fronte, la tunica. Circondate da una luce dorata, e un coro che ripete: “OOOOOOOOOO”, acutissimo. E’ proprio un’immagine esilarante, come l’intento di far accettare nel club Miriano e far fare la pace alle bimbe”. A proposito di paternalismo, padre Riccardo]. Ce n’è molta – di violenza – anche nell’imporre alle donne di non fare le donne, le mogli, le mamme, le nonne – mi pare [e che c’entra? E che vuol dire? E chi l’ha detto, dove? Cosa sta insinuando? Vi ricordo che, all’inizio dell’articolo, padre Riccardo ha ammesso di non aver mai scritto “femminicidio” prima d’ora]. È uscito in questi giorni, per PIEMME, “Un domani per i miei bambini”: è la storia di riscatto e di vittoria sulla malattia di una giovane donna del Malawi, Pacem Kawonga. Una donna che da sottomessa alla violenza disumana ha imparato a “mettersi sotto” la vita di tanti, diventandone quella roccia salda su cui siamo chiamati a costruire una vita degna (Mt 7,24) [MA COSA C’ENTRA? Prima parla di matrimonio come se fosse equivalente alla donna in sé, poi adesso questa sventurata del Malawi e la sua vittoria sulla malattia. Vuole avere la cortesia di spiegare almeno una delle sue scelte argomentative?]. Allora benvenuta la gerarchia di poteri, se, come insegna Papa Francesco, il potere è servizio [e la vita è morte, l’alto è il basso, la pace è guerra, il nero è bianco – cos’è, un manifesto surrealista? Ma vuole spiegare almeno una delle cose che dice?]. La gerarchia di servizi potrebbe essere l’impalcatura per costruire un mondo migliore [speriamo che al Ministero dello Sviluppo Economico non la leggano, Don Riccardo mio!]. Anche per gli uomini. Grazie per l’accoglienza. Ci vediamo il 29 Maggio [ciao].

Don Riccardo Mensuali [Lorenzo Gasparrini (grazie a Feminoska e a Serbilla)]

Deconstructing la censura

voltaire La polemica su Fabri Fibra escluso dal concerto del I° Maggio la conoscete già senz’altro. Prima di commentare questo articolo che riassume un punto di vista molto condiviso, sarà necessaria qualche premessa.

Uno. La censura, dice il vocabolario (significato 2) e qualche libro di storia, è esercitata dall’autorità pubblica, ed è atta a impedire o la diffusione di un particolare prodotto dell’espressione (un libro, un film, etc.) o tutto ciò che è riferibile a una persona, oggetto di censura. Basta questo a far capire che Fabri Fibra non è stato oggetto di censura, e che quella degli organizzatori del concertone non è una forma di censura: la festa è la loro e decidono chi invitare, punto. Non è che se non t’invito al mio compleanno ti sto censurando – mi stai antipatico per quello che fai e/o per quello che dici, è la mia opinione, è la mia festa, tu non ci vieni. Ciao. Fabri Fibra – forse i difensori del libero pensiero a tutti i costi non se ne sono accorti – non ha annullato nessuna sua data, né sono stati ritirati i suoi dischi dal commercio. E’ libero di esprimersi come e più di prima, beandosi anche di tanta pubblicità gratuita. Non è stato affatto censurato.

Due. Per l’ennesima volta: Voltaire non ha mai detto «disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo», né «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo». Sono due bufale – nonché due scemenze. Infatti fascisti e razzisti in genere non vanno difesi, perché difendere la libertà delle loro opinioni significa – la storia lo insegna – sancire la fine delle proprie, dato che, come s’è visto innumerevoli volte, l’opinione dei fascisti e dei razzisti in genere è: “vale solo la mia opinione”. Non a caso Voltaire, che di opinioni, pensieri e storia ne sapeva, due stronzate del genere s’è ben guardato dal dirle.

Tre. Il SEO (Search Engine Optimization) è un’attività richiesta a tutti I blogger del mondo da parte dei loro editori, e consiste nel rendere i propri testi accattivanti per i vari automatismi che rendono la pagina web molto cliccata e molto citata in più link possibile, nel web. Uno dei metodi più noti e facili di SEO è fare titoli e testi pieni di parole “calde”: che ne so, per esempio, Fabri Fibra, donne, pericolo.

Quattro. Il linguaggio sessista non è un’opinione: esiste, c’è una definizione, è un problema noto da decenni. Se uno lo adopera è perché lo vuole adoperare, oppure perché non gli interessa non adoperarlo. Quindi non è che “qualcuno pensa” che il linguaggio di Fabri Fibra sia sessista – lo è, non c’è dubbio su questo. Quindi che a qualcuno non piaccia è molto meno soprendente del fatto che a qualcuno non piaccia che quel linguaggio non piaccia. Se è un artista, come dicono in tanti, allora potrebbe usare tanti altri linguaggi espressivi; invece usa quello. E’ certamente libero di usarlo nei suoi dischi e nei suoi concerti, nessuno lo ha censurato – come io sono libero di rifiutarlo non ascoltandolo più di una volta, e come chi organizza un concerto è libero di non volerlo invitare.

Cominciamo.

Fabri Fibra è censurato. Ma sono “queste” donne il vero pericolo [ecco, appunto. Un bel titolo acchiappa click e di grande profondità – vabbè, lo ammetto, sono prevenuto. Magari è stato il titolista a esagerare.]

Se il femminismo italiano avesse ancora qualcosa di libertario [Però! Cominciamo bene: il femminismo italiano, a detta dell’autrice, non ha nulla di libertario. Libertario, dice sempre il sig.Treccani è sinonimo di anarchico; e certamente non tutto il femminismo italiano lo è stato, né lo è ancora. E’, come tutti i femminismi in tutti i paesi, pieno di sfaccettature, differenze, varianti, e non tutte queste diverse espressioni del femminismo prevedono libertà totale sempre e ovunque (posto che politicamente tutta ‘sta libertà abbia un senso)]; se vivesse nelle strade, dove le donne si scontrano con i problemi reali [quindi, dice sempre l’autrice, il femminismo italiano non vive nelle strade, con buona pace di tutta la miriade di realtà femministe che, per esempio, conosco io – ma io non faccio testo, si sa, io c’ho un problema], e non nei salotti avvezzi alle elucubrazioni ideologiche di una falange armata di corporativismo [salotti che esistono senz’altro, ma che certo non sono il femminismo italiano, che come tale non esiste, essendo composto, come detto da parecchie correnti anche di vedute inconciliabili tra loro]; se ancora ci fosse l’anelito della lotta [no no, che anelito: le femministe che conosco io per strada ci vanno e la lotta la fanno sul serio, giuro, ci sono pure io qualche volta, pensa un po’] e non la ricerca della rendita [no guarda, se del femminismo si campasse avremmo svoltato. T’assicuro che i salotti che dici tu i soldi li prendono altrove, non dal femminismo], allora sì che si leverebbero le proteste vere [guarda che ci sono le proteste vere , informati], in istrada e sui giornali, con un unico obiettivo: difendere il sacrosanto diritto di espressione di un cantautore [come detto sopra, quel diritto non l’ha toccato nessuno, tantomeno le femministe. Le femministe hanno, come tutti, il diritto di sollecitare chi organizza manifestazioni a non invitare chi non gli sta bene, il quale può continuare a esprimersi come gli pare – e infatti lo fa. Qui non è stato calpestato alcun diritto d’espressione, basterebbe informarsi per capirlo. Ma informarsi, mi sa, non fa SEO].

Fabri Fibra è oggetto di una clamorosa censura [NO, NON E’ VERO, e sopra ho scritto il perché] ad opera di quanti, dagli organizzatori in giù, si sono lasciati condizionare [non si sono lasciati condizionare, non sono deficienti – hanno tenuto conto delle proprie priorità, che a casa loro decidono loro, pure se non ti stanno bene] dalle proteste di una associazione intitolata “Donne in rete contro la violenza”. I testi del rapper marchigiano sarebbero troppo violenti, di questi tempi si potrebbe dire “un incitamento all’odio femminicida”. Del resto i reati di opinione, forieri di censura, [nessuno ha contestato un reato a Fabri Fibra, altrimenti altro che primo maggio. E, ripeto, non c’è stata alcuna censura. Ma sì, alziamo la voce, dàje!] si fregiano degli orpelli più tecnicamente efferati. Ormai, se uccidi una donna, il reato è “femminicidio” [non è ormai, è un bel po’ eh], come fosse qualcosa di distinto [lo è; la legge ne prevede un sacco di assassinii distinti da espressioni diverse, servono a comminare una giusta pena e a inquadrare meglio le eventuali aggravanti o attenuanti], e forse di più grave, rispetto all’”omicidio” di un uomo [questa è l’opinione tua e di un sacco di maschilisti negazionisti che, nell’ipocrisia di un linguaggio paritario mal compreso e mal usato, prendono le distinzioni necessarie come ghettizzazioni. Immagino che tu preferisca leggere di centinaia di raptus all’anno; complimenti]. Nella distinzione lessicale si ravvisa una china culturale ormai allarmante [su questo sono d’accordissimo, per questo mi batto per usare le parole utili e per usarle quando serve: per esempio, con questa faccenda la parola “censura” non c’entra un bel niente].

Così, se D.i.re inscena la protesta (le avete viste, vero, a centinaia in istrada…) [ah ah ah, che spiritosona – qui c’è un’utile lettura sull’umorismo di D.i.re], la Cgil si inchina alla volontà femminea [ma quando mai? E ancora complimenti per il linguaggio, eh] e vieta ad un cantante già invitato di esibirsi in un concerto pubblico [il concerto non è pubblico, non lo organizza lo Stato, non confondiamo pubblico con gratuito, a proposito di linguaggio].

Non si sa se sia più offensivo ritenere che qualche verso acceso di una canzone possa plagiare gli uomini e indurli meccanicamente a bastonare le rispettive compagne [sarà pure offensivo, ma si chiama cultura anche quella veicolata da Fabri Fibra,e sì, ti devo dare questa notizia, è la cultura a rendere una persona consapevole, per esempio, che bastonare le rispettive compagne si può fare], o se piuttosto ad essere vilipesa non sia, ancora una volta, la dignità di quante non si sognerebbero mai di interdire al proprio figlio o al proprio fratello l’ascolto di una canzone del temerario Fabri Fibra [dignità che nessuno ha toccato, dato che Fabri Fibra continuerà a fare i suoi concerti tranquillo, a vendere i suoi dischi tranquillo, e verrà tranquillamente trasmesso da tutte le radio – quindi non c’è nessuna interdizione]. Che paura. Sì, queste donne fanno paura [verissimo – ma mi sa che non c’intendiamo sul chi sono “queste”].

Per la cronaca, ecco cosa dice il diretto interessato su facebook, con i miei commenti:

Concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni: nemmeno quest’anno sarò su quel palco. Mi sembrava strano. In effetti, l’invito entusiasta da parte di Marco Godano mi aveva sorpreso, era una bella novità. Invece poi non sono gli organizzatori che decidono chi suona in piazza [ah no? E chi? Non lo dice, anche Fabri Fibra ha paura della volontà femminea?]. Nei miei testi forse non tutti ci leggono l’impegno politico o sociale necessario per eventi del genere [aspetta, fammi ricordare qualche verso: “ho 28 anni ragazze contattatemi scopatemi / e se resta un pò di tempo presentatevi / non conservatevi datela a tutti anche ai cani / se non me la dai io te la strappo come Pacciani”. Eh no, non ce lo vedo tutto st’impegno politico e sociale – sono proprio un bacchettone femminista maschiopentito zerbino.]. Nel 2013, per alcuni, il rap e i suoi meccanismi artistici sono ancora da interpretare e da capire fino in fondo [grazie per la considerazione – e non hai idea del sessismo, quant* siamo in pochi a capirlo!]. Qualcuno voleva che io suonassi e qualcuno no. Nonostante il tentativo, non si fa nulla. Il Primo Maggio è ancora soggetto a certi schemi che in altri circuiti live non ci sono o comunque non ci sono più [così ci piaci, vago e oscuro – a quando una bella predizione sull’Apocalisse?]. Penso in ogni caso che i concerti siano una bella occasione per i ragazzi di vivere esperienze musicali reali [è la definizione di concerto – vuoi vedere che invece Fabri Fibra il vocabolario lo legge?]. Ci vediamo comunque in tour quest’estate e quest’autunno [proprio le parole di uno censurato. Ah, grazie per averci ricordato il tuo costante impegno contro la violenza di genere].

Deconstructing le poesie?

Nuyorican

Capita anche di dover decostruire un commento a un altro testo – come la vogliamo chiamare? Decostruzione di secondo grado? Boh, fate voi – ma è bene sfruttare l’occasione per chiarire alcune questioni di fondo che non è giusto lasciare al pensiero privato. E’ bene che emergano.

Una premessa è necessaria. Se un artista fa un’opera per uno scopo preciso, storicamente determinato e identificabile, non sta facendo nulla di artistico. Fa solo comunicazione. “Guernica” – tanto per fare esempi noti – non rientra in questo caso: mi dice qualcosa prima di tutto sugli esseri umani, non sulla guerra, infatti quello che disse Picasso al tedesco fu: “questo l’avete fatto voi” – più o meno, vuole la leggenda. L’arte, da sempre, è così: se parla “di qualcosa”, si condanna a dire solo quello. L’importante è ciò che mostra, non ciò che dice.

Questa poesia ha un valore – ancora, a vent’anni di distanza – perché il “mettersi nei panni altrui” continua ad essere una cosa che i maschi eterosessuali in genere non fanno, perché politicamente non gli fa comodo; né tentano la loro immaginazione con questa fantastica possibilità. Tutto qui. Non si tratta di empatia: l’empatia, come dice il vocabolario e qualche secolo di storia dell’estetica, è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui; il “mettersi nei panni degli altri” non significa comprendere lo stato d’animo, ma immaginare di avere il corpo dell’altro. E’ una cosa ben diversa – quella poesia prova a far capire questo.

In questo post di un altro blog si commenta in maniera – secondo me, eh – assurda la poesia di Carol Diehl. Per forza di cose dovrò intercalare i miei commenti a delle questioni di metodo – necessarie per comprendere meglio anche l’attività del deconstructing. Cominciamo.

Sue santità le vittimiste del terzo millennio [già nel titolo un simpaticissimo accostamento tra le vittimiste e “i fascisti del terzo millennio”, unite in una crasi che è tutto un programma critico]

Jinny mi scrive: “Oggi la pagina fb Gender Anarchy ha postato una poesia di Carol Diehl, pittrice e poeta americana. Si intitola: “For the Men Who Still Don’t Get It”, “Per gli uomini che ancora non ci arrivano”. Il testo è stato scritto vent’anni fa, quando non era diffusa internet – ma ultimamente sta circolando in rete in maniera “virale”, postato da giovani ragazze americane e del mondo anglofono. Vedrai che è incentrato sul rovesciamento di ruoli (con soluzioni a volte divertenti secondo me), ma ovviamente non come se questo fosse auspicabile, solo per rendere l’idea – credo – e far sì che gli uomini si immedesimino nei ruoli imposti alle donne dalla società. Però l’operazione è problematica secondo me, e sarebbe interessante da discutere. Infatti ha sollevato molte polemiche. Alcun* dicono che questo testo sia datato e superato. Ma perché sta avendo tanto successo tra le giovani? Da tenere presente, anche, che fa riferimento alla cultura americana. L’ho tradotto in italiano. Have a good day. Jinny”

[La lettera è molto interessante: il tono è quello di una richiesta critica, per niente polemica. Tiene anche conto, giustamente, che si lavora su una traduzione, che il testo ha molti anni, che si riferisce a un ambito culturale specifico. Ci sarebbe da fare un ottimo lavoro critico. Ma perché farlo, quando invece si può sparare a zero?]

Leggo la poesia e in effetti ci trovo molti anacronismi anch’io. [Bene; adesso andrebbe spiegato perché un anacronismo è una colpa. Non sempre è così. Ma non succederà, questa spiegazione non ci sarà] Se è vero che sovvertire le immagini può rendere evidenti stereotipi e sessismi: in questo caso, secondo me, la questione però proprio non funziona.

Commento la poesia, che trovate intera in basso, colpo su colpo [colpo su colpo? E da quando le poesie sparano? Manco Terragni oserebbe tanto] per capire assieme a voi cos’è che mi stona.

“E se / tutte le donne fossero più grandi e grosse di voi / e pensassero di essere più intelligenti”

Sul grandi e grosse, non so. Magari in termini fisici la fragilità di certe donne è ancora un fatto accertato, ma sul fatto che pensino di essere più intelligenti… se fate un giro per i tanti articoli al “femminile” che raccontano della meraviglia del cervello delle donne, della marcia in più, di come sappiamo fare bene tutto, incluso salvare il mondo, della necessità di mettere a capo di tutto una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, del fatto che le donne abbiano neuroni da sprecare e invece gli uomini sono degli imbecilli, beh, allora se verifico certa supponenza, anche in contesti antisessisti in cui si parte dalle lotte per non discriminare le donne e si finisce per raccontare di un maschile pessimo e irrecuperabile, da rieducare all’umano e civilizzare, quasi che fossimo diventate colonizzatrici dell’umana specie, dico che questa frase loro posso capirla eccome. Però istigherebbe la loro rabbia e istigherebbe un minimo di misoginia. Non so se ci conviene divulgarla [è una poesia, non una ricerca di sociologia. Non deve affrontare la completezza dei discorsi di genere dati alla mano – è una poesia. Non ha senso paragonarla a tanti articoli al “femminile” perché non è un articolo. E’ una poesia. Non va giudicata per ciò che descrive, né interpretata alla lettera. E’ una poesia. Scritta in una certa epoca, in una certa lingua, in un dato contesto culturale. Metterci dentro salvare il mondo, una femmina che sicuramente saprà gestire meglio, gli uomini sono imbecilli, e così via, è una lettura piena di pregiudizi – e inutile. E’ una poesia: metterci quello che non dice è ingiusto e palesemente scorretto – è una poesia, non ha pretese di completezza. E poi: ci conviene? Stai parlando in rappresentanza di qualcuno? E di chi? E grazie a quale potere?].

“E se / le donne fossero quelle che fanno le guerre”

Le fanno, infatti. Dalle Segretarie di Stato che coccolano strategie guerrafondaie alle soldatesse e alle torturatrici di Abu Ghraib credo che le donne abbiano ampiamente dimostrato che la guerra non sta all’uomo come la pace non sta alla donna. Guerre e diserzioni riguardano ogni genere di persona, salvo il fatto che c’è chi dice oggi – paradosso nel paradosso – che accedere alla guerra, per soldatesse o soldati gay, sia un fatto di pari opportunità mentre prima tanti disertori di sesso maschile, di qualunque orientamento sessuale, si facevano la galera per non essere obbligati a indossare le divise. [Complimenti, abbiamo incastrato la poetessa inchiodandola al significato letterale delle parole – proprio quello che si richiede a una poesia: usare le parole per etichettare le cose, per descriverle precisamente. Il riferimento ad Abu Grahib poi è eccezionale – la poesia è di vent’anni fa, pre-web e pre tante altre cose, come cercava di dire la lettera, ma perché tenerne conto? Anche le donne sparano e ammazzano, ed è tipico del loro modo di vedere il mondo, da sempre, si sa – ‘sta poesia è proprio falsa. Notoriamente, le poesie possono essere false, no? Come i teoremi, come le prove indiziarie, come i giuramenti. Vabbè.]

“E se troppi dei vostri amici fossero stati violentati da donne con vibratori giganti / e senza lubrificante”

E qui bisogna capirsi [no, perché magari avevate pensato che le poesie non potessero essere metaforiche, allusive, provocatorie; qui bisogna capirsi, finora era tutto chiaro]. Lo stupro è stupro [e la guerra è guerra, l’arte è arte, la vita è vita, l’amore è amore, la maggica è la maggica]. Dopodiché loro possono rispondervi che ci sono altre forme di violenza che hanno subìto e che nessuno se li fila [loro chi? Boh, meglio lasciare sul vago. Infatti la poesia, com’è noto, serve a fare paragoni – ma attenzione che il meglio sta per arrivare]. Pesare l’entità delle violenze non è mai un ottimo stimolo comunicativo per suscitare empatia [EH? Le poesie sono atti lirici, assolutamente soggettivi – se ne fregano di pesare e di suscitare empatia. Le poesie sono espressioni di sé, fine. Come tutte le manifestazioni artistiche, rischiano l’incomprensione, l’inutilità, la retorica – ma non fanno analisi né hanno uno scopo, come invece fa la comunicazione. Confondere le due cose è sintomo di una profonda ignoranza – o di una grave malafede. Le si rifiuta, le si commenta, ma non si decostruiscono, è inutile. Perché a una poesia, se la smonti, le fai dire quello che vuoi – e non è onesto]. Semmai vengono fuori banalizzazioni e negazionismi dove non si riesce a dire in altro modo che il fatto che tu e lei e lei e lei siate state stuprate è un fatto increscioso, orribile, ma che non si può farne un’arma per vittimizzare un genere e criminalizzare l’altro [e infatti questa poesia non è un’arma, come non lo è nessuna poesia. E’ l’intenzione di chi la adopera con uno scopo a farne un’arma di offesa a qualcuno. Siamo ancora a queste cose? Dopo secoli di poesia usata a scopi politici?].

“E se il poliziotto / che vi ferma allo svincolo dell’autostrada / fosse una donna / e avesse una pistola”

Ricordo solo che tra i poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Aldrovandi c’è una donna [ricordo a chi legge che interpretare alla lettera una poesia è da ipocriti – usare celebri casi di cronaca per farlo aggiunge un tocco di cinismo molto alla moda].

“E se / la capacità di mestruare / fosse il requisito per i posti di lavoro / più remunerativi”

Si, ma a parte che la precarietà oramai ammazza tutti/e [la poesia è scritta nei primi anni ’90 negli USA, che la precarietà oramai ammazza tutti/e è l’ennesimo ipocrita modo di svilire una poesia con l’attualità. Allora smettiamo di leggere Dante perché è roba del Trecento, no?], in questo non serve empatia unilaterale per farci recuperare spazio ma serve empatia reciproca per cedere spazio per affettività e cura anche a loro, agli uomini, che lo chiedono [questa poesia è appunto quella richiesta, basterebbe leggerla come una poesia, e non come un articolo di Travaglio, per rendersene conto]. Perché, tra l’altro, il mondo non è più diviso in due generi [è una poesia, non un trattato di sociologia, è parziale e soggettiva come tutte le poesie] e questa visione dei limiti nel lavoro va vista a 360° gradi prima di rivendicare conciliazione famiglia/lavoro e status coccolati per il materno [non sta rivendicando nulla, è una poesia, non un decreto legge di Fornero o simili]. Ricordiamoci che il peggiore nemico di tante donne per aiutare quelle che non trovavano lavoro e non lo trovano tuttora sono altre donne che propagandano il valore del “materno” chiedendone tutela come se la madre fosse una incapace di intendere e volere, una malata sociale [cosa vera, peccato che con questa poesia non c’azzecchi niente, perché questa è una poesia, non una bozza di contratto collettivo].

“E se / il vostro essere attraenti per le donne dipendesse / dalla grandezza del vostro pene”

Accade anche questo. La retorica machista sulle misure del pene sono ampiamente avallate e veicolate anche dalle donne [è una poesia, non è un’inchiesta sull’immaginario erotico, non avalla nessuna visione, cerca solo di stimolare un immaginario].

“E se / ogni volta che le donne vi vedono / suonassero il clacson e facessero segni con le mani come per masturbarsi”

Si, ok, dunque? E se ogni volta che le donne vedono uno stronzo che fa così tirassero fuori un dito medio? Perché questo canto vittimista di chi non sa tirare fuori la grinta neppure davanti un deficiente che si fa una sega al volante? [la poesia è espressione di sé, è essa stessa un dito medio – lo si capirebbe se non la si volesse leggere a tutti i costi come un elenco di prescrizioni. Infatti sta avendo tanto successo tra le giovani proprio perché loro hanno bisogno soprattutto di espressioni come questa poesia, e non di cinismo analitico. In più questo passaggio presta molto i fianchi a chi dice che se subisci violenza e poi non reagisci allora te la sei cercata. Visto? So fare il cinico anche io. Uh che bello.]

“E se / le donne facessero sempre battute / su quanto sono brutti i peni / e che brutto sapore ha lo sperma”

Io ne ho sentite. Il pene non è più argomento tabù e perfino io mi permetto di satireggiarci sopra [e chissenefrega. E’ una poesia, non è un manuale di linguistica, né di psicologia. Da quando i gusti personali sono metro di paragone? E’ una poesia, non vuole avere ragione né tantomeno proibire la satira. Sta descrivendo una possibile immaginazione, non vietando altre espressioni].

“E se / doveste spiegare cos’è che non va con la vostra auto / a delle grosse donne sudate con le mani sporche di grasso / che ti fissano il pacco / in un garage dove siete circondati / da poster di uomini nudi con l’erezione”

I calendari di uomini nudi oramai esistono pure quelli e se guardi il porno ci sono migliaia di corpi al maschile che sono lì a dimostrare che o sei virile o muori. E’ una analisi anche questa vittimista circa i corpi oggetto e conseguenti stereotipizzazioni e sessismi perché tutto ciò riguarda tutti/e noi [NON E’ UN’ANALISI VITTIMISTA, E’ UNA POESIA! Come si fa a essere ignoranti o in malafede fino a questo punto? Carol Diehl è un’artista, può scegliere il mezzo espressivo che vuole, e ha spiegato tutto quello che serve su questa poesia. Altrove ha fatto le sua analisi, ma questa è una poesia! Non va letta come altro che come UNA POESIA!].

“E se / le riviste maschili avessero copertine / con foto di ragazzini 14enni / con calzini infilati sul davanti dei jeans / e articoli del tipo: / ‘Come capire se vostra moglie è infedele’ o / ‘Quello che il dottore non vi dice sulla prostata’ / o / ‘La verità sull’impotenza’ ”

Ci sono riviste così e articoli del genere, purtroppo [e ci sono pure persone più realiste del re, purtroppo].

“E se il dottore che vi esamina la prostata / fosse una donna / e vi chiamasse ‘gioia’ ”

Non so di donne che molestano i pazienti ma di uomini che molestano ragazzini ho sentito dire [attenzione, ho sentito dire, adesso abbiamo la riedizione di Erodoto contro Tucidide intorno a una poesia. Ma cosa c’entra l’aderenza ai fatti, è una poesia!] Però questo è un punto rispetto al quale l’empatia arriva se si smette, forse, di raccontarla dichiarando che tu sei più vittima tra le vittime [premesso che, come detto sopra, l’empatia non c’entra nulla e poi non si capisce perché l’empatia dovrebbe bastare a far “arrivare” le cose, questo testo non ha messo nessuno prima di un altro. E’ una poesia, non “racconta” un bel niente se non i sentimenti di un solo soggetto. Non c’è alcun paragone] e che in quanto vittima vivi santificata da una cornice di innocenza grazie alla quale tutto ti è perdonato e concesso [chi santifica sono altri, non la vittima – quella ha altro a cui pensare. Chi santifica la vittima ha lo stesso atteggiamento di chi pensa di smascherarla col cinismo: se ne frega di quello che le è successo, e la strumentalizza. Per esempio, tratta una poesia come un saggio di filosofia di genere, e la critica cinicamente].

“E se / doveste respirare l’alito pesante del sigaro della vostra boss / mentre insiste che dormire con lei fa parte del lavoro”

Succede pure questo [e chissenefrega due, è una poesia di vent’anni fa, non puoi chiederle di essere una descrizione della realtà!]. Non esattamente così ma di donne capo che sono di una stronzitudine assurda e che trattano i dipendenti in modi diversi a seconda se gli piacciono o meno io ne ho conosciute [aspetta, chi è che fa la vittima adesso?]. Perché ‘a carnuzza è carnuzza, in generale, anche se non ho sentito di molestie fatte da donne/capo [e informati allora! O il match è solo tra quello che sai te e quello che dice la poesia? E se così fosse, chissenefrega tre!].

“E se / non poteste scappare / perché il regolamento della ditta / richiede che portiate scarpe / concepite per impedirvi di correre”

Ecchèdduepalle, ‘sto piagnisteo [non è un piagnisteo, è una poesia]. #OccupyDitta e imponi un regolamento diverso [oh, meno male che ci sei tu con una soluzione per tutto, invece de ‘ste poetesse fancazziste]. Se perfino io, che dovevo stare sui trampoli per lavoro, sono riuscita a far considerare sexy i piedi scalzi, può farlo chiunque [e senza scrivere poesie sull’adeguarsi al modello sexy!].

“E se / dopo tutto questo / le donne volessero ancora / che voi le amaste?”

Dunque la soluzione sarebbe odiarli? Cioè: si sta spiegando l’avversione? [No, è una poesia, non sta spiegando niente! Tenta di creare un immaginario nuovo, o di sconvolgere quello esistente. Ma a te non interessa.]

Ora io spero che questa poesia non sia utilizzata come biglietto di presentazione per far passare l’esame all’uomo che volete approcciare, con cui volete stare, con il quale volete trombare, perché fossi in lui direi che potreste andare a quel paese [e chissenefrega quattro, dei tuoi sistemi di seduzione. La poesia non parla di questo, ovviamente, ma ormai siamo a ruota libera].

Ma in quale mondo autodeterminato e femminista io mi presento con questa password vittimista e normativa per presentarmi da martire a qualcuno con il quale vorrei avere una relazione paritaria? [Infatti succede solo nel mondo di fantasia che stai creando per potertela menare come ti pare, dato che nella poesia che hai commentato non c’è niente del genere. E’ una poesia, non un biglietto da visita né un manuale di savoir-faire.] Perché se mi presento in questo modo non voglio parità ma costruisco le basi per determinare sostanziali ragioni culturali per esprimere e manifestare superiorità morale [non si capisce perché un* dovrebbe usare questa poesia per presentarsi – mi parrebbe un comportamento paranoico a prescindere dalla poesia e dal sesso di chi la usa. Ma continuiamo pure]. Io sono vittima. Io martire [faccio notare che la poesia non dice nulla del genere – grammaticalmente è una sequenza di frasi ipotetiche]. Dunque io superiore [non c’è questa deduzione]. Tu non puoi toccarmi [neanche questa]. Puoi solo adorarmi [neppure questa]. E se ti chiedo un cunnilingus e non ce la fai perché mi vedi come se io fossi la Madonna sarà anche un po’ colpa tua [ipotesi interessante, ma che c’entra con la poesia? Niente, come tutto il resto].

Questa poesia desessualizza le donne e inibisce gli uomini [però, hai capito che forza. Stai a vedere che allora le canzoni di Jovanotti e Bono potrebbero convincere il FMI a cancellare il debito]. E se l’obiettivo è fare abortire erezioni maschili perché a noi ci piacciono mosci, flagellati, ad espiare e fare mea culpa, direi che ci sono tutte le possibilità di farcela [è una poesia, e a parte che non mi pare proprio scritta per ottenere debarzottamenti, fa diretto riferimento al gusto personale di chi legge. Se qualcun* mi confessasse che questa poesia l’ingrifa di brutto, non avrei proprio nulla da opporre, sono i suoi gusti].

Non sto dicendo in chiave maschilista che le femministe suscitano impotenza perché apriti cielo se i misogini (e loro, pro-forma, testosteronicamente e più virilmente, avversari patriarchi del terzo millennio e tutori della vulva) non stanno lì a cercare ragioni per evitare di analizzare la propria sessualità [tutto questo in una poesia? Mi sono perso qualcosa, aspetta che rileggo. Ma anche no]. Dove sessualità sta per reciprocità e consensualità e la consensualità non la costruisci né tracciando l’inaccessibilità del mio corpo [la poesia non ne parla affatto] – in quanto sant@ [la poesia non dice di santificare nessuno] – né sul pentimento e sulle colpe [altre cose che nella poesia non ci sono].

Non do via la fika come premio a chi si pente dopo che ha recitato le mille Ave Marie femministe che gli impongo [grazie dell’informazione, “adesso me lo segno” (cit.)].

E c’è un motivo, secondo me, perché questa retorica [la retorica l’hai messa tu, quella è una poesia], che a mio avviso è anti-femminista [a tuo avviso ‘sta poesia dice tante di quelle cose…], ché non mi responsabilizza, non mi reputa in grado di autodeterminarmi, di essere presente a me stessa e alle mie scelte, come se io fossi perennemente lì a subire e basta, torna prepotentemente oggi in pieno backlash gender, quando essere femministe per certune significa essere più o meno delle sante [che in sé è pure una critica giustissima ma… che c’azzecca con questa poesia? NIENTE].

Giusto oggi che il moralismo arriva dappertutto, che le battaglie femministe sono diventate la maniera revisionista di autorizzare neocolonialismi, razzismi, mammismi, donnismi, ché fondamentalmente sono fascismi, l’unico femminismo che va’ di moda è tanto lontano dall’essenza stessa del femminismo quanto lo sono le sante dalle puttane autodeterminate [il motivo per cui questa cosa la si debba dire in coda a una poesia che non parla di nessuna delle cose elencate rimane un mistero].

Io sono femminista e sono sporca, sono sessuata, sto all’inferno, sento le fiamme di roghi e inquisizioni sotto il culo, non trovo solidarietà sociale né legittimazione morale da parte di patriarchi e tutori, ché sono io a difendermi, io a decidere cosa e come fare, io a restituire il mio personal/politico scommettendo sull’umano, con la fiducia per la capacità di disobbedienza e il senso critico di ciascuno [guarda che le poesie servono anche a dire questo. Questa non lo fa, secondo te? E chissenefrega cinque – rimane il fatto che non hai alcun diritto di argomentare che la poesia non rappresenta tutto lo spettro dei femminismi possibili, perché nessuna poesia è tenuta a farlo – non è un articolo di dominio pubblico, non è un saggio di sociologia, non è una legge, non è un regolamento. E’ una poesia].

Io faccio investimenti di intelligenza e se voglio fare capire a qualcun@ quanto la mia condizione sia discriminata non percorro le stesse vie cristiane [la poesia non lo fa], non mi metto in croce, non perdo la mia umanità perché in terra io resto, tra peccatori e peccatrici e non veicolo dicotomie [la poesia non veicola dicotomie, cerca di sollecitare un immaginario], volgari riferimenti alla mia fragilità carnale perché la mia carnalità vuole essere presa, afferrata, sensualmente graffiata, cullata, appassionatamente scopata [e c’era bisogno di scomodare Carol Diehl per dirlo?].

La mia umanità non sta nel fatto che io possa essere percepita come angelica, creatura indifesa da rispettare [cosa che nella poesia non viene minimamente accennata]. Sta invece nel fatto che io riesca a definirmi come difettosa e umana senza che ciò diventi la giustificazione per potermi prevaricare e opprimere, anima (laica) e corpo, nelle mie decisioni [che è quello che dice la poesia, se l’avessi letta come tale e non come l’ultimo articolo di Camillo Langone].

Perciò invece di tutti quei “Se” vittimisti, cui seguono auspici di tutela e d’autoritarismo vario [che siano vittimisti è una tua interpretazione, libera come tutte le altre interpretazioni, essendo quella una poesia; dove sono questi auspici però non si capisce, dato che la poesia è fatta solo di se], io avrei detto totalmente altro [e fallo allora: fai una bella poesia e vediamo quanto la condividono in giro. Poi ci chiediamo il perché, ok?]. Sennò prima o poi finiremo per realizzare un vero e proprio rovesciamento per nulla sovversivo: se siamo martiri… gli uomini sarebbero stregoni, gli stregoni sono diavoli e i diavoli vanno bruciati al rogo [e se mio nonno c’aveva tre palle era un flipper]. Se volevamo dare vita ad un’altra inquisizione [tipo questa sulle poesie? Ma dove l’hai vista questa inquisizione? E’ una poesia che chiede solo “se”] bastava tenerci quella che c’era ed esigerne i posti di comando e le possibilità di giudizio. Però mi è davvero nuova quella dello sconfiggere i sessismi, gli integralismi, i fascismi, replicandoli con un cambio di sesso. Davvero nuova… [non è nuova. È la tipica retorica di chi non sa leggere poesie se non come opposizione insanabile tra il pensiero giusto e quello sbagliato. Incurante di ogni altra espressione libera – come sono le poesie.]

Non si decostruiscono le poesie. Qui c’è scritto da un pezzo il perché. Dovrebbe bastare saper leggere.

Deconstructing la vanvera

"vanvera kills" di the wasted nothing

Eccolo qui, puntuale come sempre, l’allievo di Massimo Fini che c’ha qualcosa da dire sul sessismo. Poteva far mancare la sua autorevole opinione sui fattacci di Battiato? Ero quasi preoccupato.

Boldrini vs Battiato: non usiamo il sessismo a vanvera [notate le finezze già nel titolo: sono messi l’uno contro l’altra due persone che nei fatti non si sono manco parlate, e poi il sessismo viene nominato come uno strumento che si usa, non come un fenomeno da avvertire quando presente – così non ci dobbiamo preoccupare di definirlo, diamo per scontato che siamo tutti d’accordo su cosa sia. E invece non è così.]

Da cittadino libero, in una realtà normale, non mi interesserebbe che a ricoprire una determinata carica politica o socialmente rilevante sia un uomo o una donna [forse perché non sei una donna, c’hai pensato?], ma semplicemente vorrei una persona che abbia le capacità per farlo [nobile proposito, ma non sarebbe prima opportuno raggiungere a tappe forzate la parità di possibilità per tutt*? Poi applichiamo la meritocrazia – una volta capito come. Se lo fai da adesso, le donne saranno sempre in meno e non per colpa loro, ma perché non sono partite alla pari].

Il concetto di normalità, in fin dei conti, è molto relativo, mentre meno relativo è il dato di fatto che, ai vertici di ogni istituzione, ci siano più uomini che donne e quindi particolare enfasi viene data quando una carica di un certo peso viene assunta da una donna [enfasi è troppo vago, per i miei gusti. Molta di quella enfasi è spesso animata dallo stupore più maschilista]. Ho già avuto modo di esprimermi sulle quote rosa [argomento che non c’entra niente, qui, ma fa tanto colore] e rimango a favore della meritocrazia sempre e comunque come obiettivo finale [di cosa? Così, obiettivo finale in genere].

Molto apprezzata è stata l’elezione alla presidenza della Camera, da parte dei partiti, di Laura Boldrini, l’essere donna ha amplificato qualsiasi suo merito personale precedente [caro il mio appassionato di meritocrazia, Boldrini ha un CV che fa spavento, cosa che, per esempio, parecchi precedenti presidenti della Camera non hanno, c’hai pensato? Comunque è molto carino insinuare il ruolo avuto da ‘l’amplificazione’, complimenti]  e questo lo comprendo perché non è un evento che si verifica spesso. In linea di principio, ritengo infelice dover omaggiare una carica per la semplice appartenenza ad uno dei due generi [infatti non è successo, la si è omaggiata – che orribile espressione – in quanto personalità nota all’estero per meriti eccezionali, non perché donna], ma la situazione è quella che è ed è comprensibile e legittimo sottolineare la presenza femminile ad una delle più alte cariche dello Stato [se, vabbè].

Franco Battiato in veste di Assessore al Turismo della Regione Sicilia, durante un incontro a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo, ha detto: “Ci sono troie in giro in Parlamento che farebbero di tutto, dovrebbero aprire un casinò”.

Personalmente preferisco il Battiato cantautore al Battiato politico, ma non credo che queste sue affermazioni possano suscitare l’indignazione che ne è nata subito dopo.

La Boldrini ha replicato: «Stento a credere che un uomo di cultura come Franco Battiato, peraltro impegnato ora in un’esperienza di governo in una Regione importante come la Sicilia, possa aver pronunciato parole tanto volgari. Da Presidente della Camera dei Deputati e da donna respingo nel modo più fermo l’insulto che da lui arriva alla dignità del Parlamento. Neanche il suo prestigio lo autorizza ad usare espressioni così indiscriminatamente offensive. La critica alle manchevolezze della politica e delle istituzioni può essere anche durissima, ma non deve mai superare il confine che la separa dall’oltraggio» [leggete BENE la risposta di Boldrini, vi prego].

L’accusa di sessismo al cantautore è stata lanciata e lui si è difeso dicendo: «Sono particolarmente dispiaciuto che il Presidente della Camera si sia sentita offesa dalle mie parole, ma posso assicurare che la frase non era sessista [non lo decidi tu, Franco: sono le parole che hai usato a essere sessiste. Potevi benissimo usarne altre, invece hai usato quelle]. Facevo semplicemente riferimento alla “prostituzione” che c’era nel Parlamento italiano fino a pochi mesi fa [non c’era affatto, il termine è sbagliato anche tecnicamente: mentre un corrotto vende ad altissimo prezzo i suoi favori a pochi corruttori ben scelti, quando non a uno solo, la maggior parte delle prostitute è costretta a vendersi a un prezzo molto basso affinché sia accessibile a più clienti possibili, senza sceglierli], sia maschile che femminile [cosa che non altera di una virgola l’essenza sessista del linguaggio che hai usato – intenzioni e destinatario non cambiano nulla dell’insulto, oppure ci sono casi nei quali il razzismo è ammissibile?]». E poi tiene a precisare «non facevo riferimento né al Parlamento europeo né al Parlamento attuale ho solo parlato di un malcostume politico, non parlavo certo di donne [ah, no? E quella parola, di grazia, a quale genere fa riferimento?]. Io non sono mai stato sessista [nessuno sano di mente lo direbbe: il problema non è che lo sei, il problema è che hai adoperato un linguaggio sessista e neanche riesci a rendertene conto – ma tranquillo Franco, non sei solo, purtroppo] e chi mi conosce lo sa bene».

Nella testa però mi risuona forte la parola oltraggio usata dalla presidente Boldrini. La sua indignazione per l’oltraggio al Parlamento italiano mi colpisce.

E con l’oltraggio che il popolo italiano ha subito e sta continuando a subire dal Parlamento Italiano come la mettiamo [e che cacchio c’entra? Ma come non ci si rende conto che questa è una risposta del tipo “E allora le foibe?”]? Con le famiglie che non arrivano a fine mese [MA COSA C’ENTRA], i giovani che non trovano lavoro [MA COSA C’ENTRA] e che non riescono a costruirsi un futuro [MA COSA C’ENTRA], gli imprenditori che si ammazzano [MA COSA C’ENTRA], le pensioni e i diritti dei lavoratori che diventano sempre più un ricordo [MA COSA C’ENTRA], la cultura che viene fatta a pezzi come la mettiamo [MA COSA C’ENTRANO tutte queste cose? Sono senz’altro vere e nessuno le nega, ma perché tutte queste cose autorizzerebbero qualcuno a usare un linguaggio sessista? Esistono circostanze nelle quali non è un insulto razzista dare del “negro”? O non è omofobia dare del “frocio”?]?

E’ davvero possibile offendersi a tal punto per una espressione, forse infelice nelle modalità, ma corretta nei contenuti [NO, questo modo di intendere il linguaggio è SBAGLIATO: non c’è niente di corretto in un insulto sessista! Il suo contenuto è una discriminazione di genere, che non è MAI corretta, in nessun caso!]? E davvero possibile usare il sessismo per difendere un Parlamento [COSA? E perché mai attaccare Battiato per il suo linguaggio sarebbe una difesa del Parlamento? Le due cose non sono logicamente connesse – ovviamente Boldrini, in quanto presidente della Camera, DEVE anche fare questo – oltre che indignarsi per il linguaggio sessista. Ma tutti gli altri che se la sono presa con Battiato non hanno certo, automaticamente, difeso il Parlamento] che ha dato prova innumerevoli volte di non fare gli interessi degli italiani e per le cui scelte paghiamo tutt’ ora un amaro prezzo [e basta con questa demagogia da due soldi, su]?

Faccio fatica a pensare che, in questa fase storica, qualcuno possa pensare a difendere la dignità del Parlamento Italiano con questi toni [forse fai fatica perché quello che hai appena detto non è affatto successo, hai provato a pensarci?] a fronte di quello che è stato fatto notare essere stato spesso il suo operato [l’operato di TUTTO il Parlamento? Tutti tutti i parlamentari? Ma vogliamo imparare a usare i nomi collettivi o no, una buona volta?]. Magari Battiato può essere criticato per una certa volgarità di espressione [non sia mai che lasciamo fuori un po’ di moralismo travestito da buona educazione, eh], ma  sinceramente la preferisco agli spettacoli di cui, non di rado, il Parlamento è stato protagonista (basti ricordare lo squallore con cui fu accolta la caduta di Prodi con “onorevoli” che bivaccavano con mortadella e champagne in Senato [MA COSA C’ENTRA], il comportamento e l’atteggiamento di Berlusconi, proprio nei confronti delle donne, fuori e dentro la politica [MA COSA C’ENTRA] o le vicende di vari parlamentari che hanno cambiato improvvisamente casacca a cui Battiato sembrava alludere in misura maggiore [MA COSA C’ENTRANO tutti questi esempi? Due schifezze fanno due schifezze, perché una di queste autorizzerebbe qualcuno a usare un linguaggio sessista? PERCHE’?]).

Qui, a mio parere, il sessismo non c’entra niente [e certo, hai dato prova di non sapere cosa sia!], non utilizziamolo come una ricetta preconfezionata per difendere l’indifendibile [dire che Battiato ha usato un linguaggio sessista non vuol dire difendere i parlamentari corrotti e ipocriti – al massimo vuol dire difendere l’istituzione! E ti sembra la stessa cosa?] ogni qualvolta se ne presenti l’occasione.

Vogliamo invece concentrarci sulla ripresa del paese? [Perché, non è quello che poteva fare anche Battiato, in quel discorso? A lui non dici niente?]