Se la mia fica fosse un’arma

heim2Pubblichiamo la traduzione della poesia di Katie Heim “If My Vagina was A Gun“, composta ai tempi delle proteste del Giugno scorso verso il Senato del Texas – ricordate Wendy Davis?

Tradurre una poesia è un compito arduo… ma nell’attesa di una versione più puntuale, oggi lo facciamo noi: Feminoska, Pantafika e Lorenzo Gasparrini.

Perchè a volte una poesia fa riflettere meglio di tanti discorsi.

Leggi tutto “Se la mia fica fosse un’arma”

Il carcere per la produzione artistica in Tunisia

1017033_10201795287144766_1715159933_n Ripubblichiamo da INFOaut.

Pubblichiamo il comunicato diffuso stasera, 22 settembre, dal gruppo di attivisti e di sostegno agli 8 arrestati, che si sta ritrovando a radio Chaabi, a Tunisi. Il testo si riferisce all’ennesimo arresto di militanti del movimento rivoluzionario, e come consuetudine degli ultimi tempi, dei sui artisti e mediattivisti. In questo caso il ministero degli interni ha puntato contro Nejib Abidi, e il suo gruppo. Nejib, militante dell’UGET, e poi mediattivista della prima fila del movimento è stato arrestato nella sua casa dopo una perquisizione in cui la polizia ha sequestrato diversi hard disk e altri strumenti e documenti di lavoro. Negli ultimi mesi stava lavorando ad un documentario sui tunisini dispersi durante le prime traversate del mediterraneo post-Ben Ali di cui in italia ricordiamo soprattutto le atroci giornate di Lampedusa, dove la polizia italiana soffocò a manganellate la giusta rivolta di quanti erano riusciti a raggiungere l’Italia dalla Tunisia e si trovavano internati per essere deportati manu militari nel paese magrebino. Il governo islamista continua la sua campagna reazionaria attaccando in questo caso la libertà d’espressione e gli attivisti impegnati nella contro-informazione. Già domani sono attese manifestazioni di protesta sia in Tunisia che in Francia.

Seguiranno aggiornamenti… liberi tutti, libere tutte!

Nella notte tra venerdi e sabato 21 settembre 2013, verso le 4, Nejib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayed, Skander Ben Abid, insieme a due amiche artiste e studenti attiviste, sono stati arrestati a casa di Nejib Abidi, nel quartiere Lafayette a Tunisi.

Non siamo ancora riusciti ad avere molte informazioni: sappiano che prima sono stati portati al commissariato di Bab Bhar a Tunisi, dove sono rimasti per circa dodici ore e dove sono stati visti per l’ultima volta da un’amica. Ad ora, ignoriamo totalmente il luogo dove sono stati condotti e il loro stato di salute. Non è stata fornita alcuna ragione ufficiale che giustifichi il loro arresto e la loro detenzione.

NEJIB ABIDI, 29 anni, è cineasta e presidente di AssoChaabi, e già sindacalista all’UGET (unione generale studenti tunisini) . E’ conosciuto per le sue posizioni giudicate radicali verso il governo di Ben Ali e  quelli che gli sono succeduti dopo il 14 gennaio 2011. Il giorno prima del suo arresto, uno dei due hard disk, contenente i rushs del suo documentario in preparazione, sono stati rubati in casa, e i dati dell’altro sono stati definitivamente cancellati, dopo una formattazione. Nejib è apparso in pubblico per l’ultima volta durante le manifestazioni di sostegno a  Jabeur Mejri e a Nassredine Shili. Quest’ultimo è il produttore del suo film.

YAHYA DRIDI, 26 anni, è ingegnere del suono e segretario generale di AssoChaabi. Lavora con Nejib da diverso tempo. Sono stati in Italia insieme per le riprese del film sui tunisini scomparsi nel 2011. Attento alle cause di giustizia sociale, Yahya si è occuparo prioritariamente a film impegnati. Abita tra la Tunisia e la Franca dove svolge le sue attività artistiche.

ABDALLAH YAHYA,  34 anni, è regista. Il suo documentario « Nous sommes ici », uscito l’anno scorso, mette in luce la quotidianità degli abitanti di Jebel Jloud, quartiere situato a qualche km dalla capitale dove sono concentrti disoccupazione, miseria economica e difficoltà sociali. Il suo prossimo film  «Le Retour», in fase di realizzazione finale, è parimenti prodotto da Nassredine Shili.

SLIM ABIDA, 33 anni, è musicista, bassista, fondatore del gruppo Jazz Oil. Vive tra Tunisi e Parigi. P resente sulla scena musicale contestatrice da più di 10 anni, lavora con  Nejib, Yahia et Mahmoud sulle tracce sonore del loro prossimo film.

MAHMOUD AYAD, 29 anni, è pianista.  Ha lavorato con numerose personalità della scena alternativa e contestatrice in Tunisia.

SKANDER BEN ABID, 20 anni, è clarinettista e studente alL’ISEC, come le due amiche studenti, artiste e attiviste.

L’arresto è avvenuto mentre erano insieme per lavorare sulla musica del film di Nejib. Questo arresto prova ancora una volta che il sistema securitario e  repressivo perseguito dal governo e dalla polizia è sempre in piedi.

L’attuale governo, che deve la sua nascita a tutti questi giovani e meno giovani che hanno superato le propria paura e deposto il dittatore durante la Rivoluzione, non ha nessuna riconoscenza verso il popolo tunisino e la sua gioventù attiva. Spoglia la nostra Rivoluzione e viola i nostri diritti.

I nostri amici si battono ogni giorno per la libertà e la giustizia. Attraverso una scelta di vita che mira a far avanzare la nostra società, mostrano una sincera preoccupazione e attenzionenei confronti degli altri e soprattutto dei loro concittadini, disprezzati dal sistema.

Il loro arresto si inscrive nella scia di quelli di  Jabeur Mejri, Ghazi Beji, Weld El 15, Klay BBJ, Nessreddine Shili, arresti che mirano a pugnalare la Libertà d’Espressione e la Libertà di Coscienza.

Queste libertà fondamentali sembravano acquisite dopo il 14 gennaio. Alcuni deputati ne avevano anche garantito l’iscrizione nella Costituzione e il governo si vantava di avere instaurato uno Stato di Diritto.

Siamo sconvolti nel vedere tutta questa ingiustizia che colpisce i giovani tunisini rivoluzionari, quando, al tempo stesso, membri del RCD vengono rilasciati, criminali escono dai tribunali con remissione di pena e la condizionale, e soprattutto non si sa ancora chi ha ucciso Chokri Belaid e Mohamed Brahmi.

Con questo comunicato, rivendichiamo a gran voce:

– LA LIBERAZIONE IMMEDIATA E SENZA CONDIZIONI DI NEJIB, YAHYIA, ABDELLAH,SLIM, YAHYA, MAHMOUD, SKANDER, AYA, AMAL, NASSREDDINE, JABEUR, WELD EL 15, KLAYBBJ E DI TUTTI QUELLI CHE SUBISCONO LA REPRESSIONE, CONTRO LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE E DI COSCIENZA

– LA FINE DELLE PERSECUZIONI NEI CONFRONTI DEI GIOVANI E IN PARTICOLARE DI COLORO CHE CONTINUANO A LOTTARE PER REALIZZARE GLI OBIETTIVI DELLA RIVOLUZIONE

– LO SMANTELLAMENTO DELL’APPARATO REPRESSIVO E LIBERTICIDA, EREDITA’ DEL REGIME DEL 7 NOVEMBRE E CHE POGGIA SULLA COLLABORAZIONE TRA LA POLIZIA E LA GIUSTIZIA

Deconstructing la cronaca stretta

lougrant15aCapita raramente di imbattersi in un articolo del genere, che nei commenti – mi raccomando leggeteli sempre, sono le cose più istruttive – contiene pure la difesa fatta dall’autore. Ringraziando Antropologia e sviluppo per la segnalazione, ecco l’articolo commentato [tra parentesi quadre]. I grassetti sono nell’originale.

Crema, 11 settembre 2013 – È partito per le vacanze, per stare con la sua famiglia in Romania, ma non tornerà più a Crema: ora è in galera con l’accusa di aver ammazzato la moglie. E ferito gravemente l’amante. Si chiama Alexander S., ha 49 anni e da una decina di anni viveva a Crema, dove lavorava mandando soldi  a casa, dove [e dire che ce ne sono di locuzioni da usare al posto di dove, eh] c’erano una moglie e tre figli che, grazie a quei soldi, riuscivano a tirare avanti. Alexander, ai primi di luglio parte per tornare a casa, a Craiova [magari v’è sfuggito, ma il secondo dove si riferisce a questa città, non a Crema]. Quando arriva, dentro la sua abitazione non trova nessuno. La prima figlia è sposata, gli altri due ragazzi non lo aspettano. L’uomo, allora, va a trovare i fratelli e nota un certo irrigidimento quando chiede dove sia la moglie [è partita l’escalation drammatica. Ruggieri, su, nota un certo irrigidimento non si trova più manco nei verbali dei carabinieri. Ma attenzione al seguito].

Ma all’inizio non ci fa caso [immaginate, da adesso, una musichetta insinuante e ossessiva tipo Bernard Herrmann]. Poi, il tempo passa e la donna non torna, finché arriva la sera. A quel punto il marito sospetta qualcosa [Ruggieri c’era, lui lo sa]. Chiede ancora lumi ai parenti, finché qualcuno si fa coraggio e parla [zam zam zam zaaaaam!]. «Guarda che tua moglie si è trovata un altro e che passa il suo tempo a casa dell’amante». Parole che bruciano come acido sulla pelle [AAARGH la metafora da quindicenne deluso dalla vita NO!!! Tra l’altro, visto l’uso di acido che si fa negli ultimi tempi, che cattivo gusto!]. L’uomo va su tutte le furie e medita vendetta [il giornalista è telepatico. Ricordatevi il medita]. Ma come? Lui si sacrifica, sta lontano dalla famiglia, manda a casa i soldi necessari per vivere e quando torna, trova sua moglie con un altro? [CHE COSA E’ QUESTA FRASE SE NON UNA DIFESA DELL’ASSASSINO FATTA ESPLICITANDO CONGETTURE PER SPIEGARE IL SUO GESTO? CHI HA DATO A RUGGIERI IL POTERE DI FANTASTICARE SULLE INTENZIONI MENTRE RIPORTA I FATTI?] Il romeno chiede dove abita il rivale e qualcuno glielo dice [lui era sempre lì]. Così, va a regolare i conti a casa di quest’uomo [va a regolare i conti. Poco sopra era una vendetta, ma questa è ancora troppo negativa: adesso è già regolare i conti, che è molto più vicino a “ottenere giustizia”, in effetti]. Quando arriva ed entra, trova la moglie con lui [ma no, che sorpresa! Glielo hanno detto in gruppo! E non ci dici che stavano facendo? Adesso niente fantasia? Su Ruggieri, non sia timido]. Furibondo e fuori di sé [ovviamente, ADESSO è fuori di sé, mentre poco fa meditava vendetta. Strano modo di descrivere l’uso della ragione, o il suo smarrimento] prende un coltello, colpisce a morte la donna e ferisce gravemente l’uomo. Solo l’intervento di più persone e della polizia riesce a domare la sua furia [la furia va domata, anche se è solo un regolare i conti. No, ma complimenti per la coerenza, tranquillo Ruggieri, va tutto bene]. L’uomo è imprigionato e accusato di omicidio nei confronti della moglie e di lesioni gravissime per l’uomo che era con lei [strano, lui voleva solo regolare i conti].

Risposta di una lettrice al giornalista:

Egregio Pier Giorgio Ruggieri,
Mi complimento con Lei per l’articolo che ha scritto qui sopra: una bella e buona giustificazione dell’omicidio di questa coppia! Torniamo ai tempi del delitto d’onore? Perché a mio parere pare che Lei intenda che sia comprensibile uccidere una moglie “fedifraga” e il proprio amante “per onore” in quanto Lei scrive: “Ma come? Lui si sacrifica, sta lontano dalla famiglia, manda a casa i soldi necessari per vivere e quando torna, trova sua moglie con un altro?” Nel nostro Paese ogni due giorni c’è un nuovo femminicidio e ritengo sia il minimo pretendere che il linguaggio giornalistico non sia complice di questa strage. E’ molto grave e pericoloso il messaggio che Lei intende veicolare al lettore che potrebbe interpretare come giusto uccidere una donna che tradisce il proprio marito.
Cordiali Saluti, Una (ex)lettrice disgustata

Parole civili, anche se il tono è grave; perché è grave quello che è successo. A questa, il nostro giornalista risponde così [i  nostri commenti sempre tra parentesi quadre]:

Risponde l’autore:
Ma stiamo scherzando [da manuale: mai concedere nulla, rispondere all’indignazione sempre più indignati ancora]! Gentile signora, evidentemente lei è molto sensibile al problema, come lo sono io [da manuale: il difetto è suo, ma ce l’ho anche io]. Nel mio articolo non c’è una sola parola di giustificazione per il gesto fatto [no, infatti: le parole sono precisamente ventisei, Ruggieri], ma solo una cronaca stretta di quello che è successo [LA CRONACA STRETTA? Lui si sacrifica, medita vendetta, regolare i conti, sono cronaca stretta? E qual’è quella “larga”, Star Trek?]. Non esalto assolutamente il femminicidio, me ne guardi e scampi il cielo [il cielo c’ha da fare, Ruggieri, le basterebbe seguire l’articolo 2 delle raccomandazioni della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) sull’argomento. E’ il suo lavoro, mica il mio]! In ogni caso il marito tradito non se l’è presa solo con la moglie, ma anche con l’amante [cosa significhi questo per Ruggieri non s’è capito. Ah sì: c’è di mezzo anche un uomo, quindi non è femminicidio. Interessante interpretazione]. Ha avuto una reazione della quale io ho solamente dato atto [NO, inventarsi le motivazioni fantasticando sul contenuto della mente delle persone non è dare atto, è narrativa. Non è giornalismo]. Sottolineando anche il fatto che è in galera e probabilmente non uscirà più [embè? Il problema è il motivo per cui è in galera. E secondo le tue parole, il motivo è perché ha subito un’ingustizia da una moglie ingrata]. Cosa che non sempre accade in Italia [e che c’entra? Hai scritto per lodare la polizia rumena?]. Se in qualche modo ho dato l’impressione di essere a favore di quello che lei definisce il delitto d’onore [no Ruggieri, l’ha fatto in più modi: dando voce alle supposte frustrazioni dell’assassino, ricostruendo i fatti con una escalation drammatica che punta a massimizzare l’emotività dell’assassino per ridurne il grado di lucidità, e ottenendo una catena di ineluttabilità che invece è tutta da dimostrare da parte degli investigatori. Ah, altra cosa, Ruggieri: la morta. E’ morta, e i tre figli erano anche i suoi. Due parole ce le spendiamo? Di lei non ha detto nulla, a parte che stava con l’amante e s’è beccata le coltellate. No no, Ruggieri, non ha dato nessuna impressione, non si preoccupi, è la signora che è molto sensibile al problema], stia pur tranquilla. Non è assolutamente così.
Pier Giorgio Ruggeri

Complimenti.

P.S. Gli strumenti per cambiare questo stato di cose ci sono. Bisogna avere l’onestà intellettuale di capire a cosa seervono e volerli usare.

Piccoli razzismi estivi

ambulante1 Passeggiando sulla spiaggia con i miei figli li vedo. Sono lungo il bagnasciuga anche loro, e parlano. O meglio: lui, il bianco, parla, e mi pare che faccia domande; l’altro, il nero, con la sua merce appesa addosso, lo ascolta e ogni tanto annuisce, o risponde brevemente. Immagino una contrattazione.

No, non stanno trattando. Lui, il bianco, lo sta interrogando, gli fa delle domande e poi parla a lungo. Ma di che?

Mi fermo ad ascoltare, facendo finta di nulla.

Lui, il bianco, gli sta parlando di economia, di soldi, di guadagni.

Gli chiede dove prende la merce, quanto la paga, quanto rimane a lui, cosa ci fa con i soldi. Ma non è un interrogatorio, non è un finanziere o simili in borghese. Ha una faccia a metà tra l’ebete e il curioso, e un sorrisino del tipo “hai capito…” come se l’altro, l’ambulante di colore, gli stesse rivelando chissà che fantastiche dritte per diventare ricchi.

No, perché poi il nostro villeggiante non si limita mica a fare domande: congettura, pontifica, consiglia, propone, argomenta. E l’altro – ai miei occhi, con una pazienza e una educazione che sarebbero state da pagare a parte – lo sta pure a sentire cortesemente.

Non riesco a capire cosa può ridurre una persona a comportarsi in questo modo incredibile. O meglio, forse lo so e per l’ennesima volta non riesco ad accettarlo pacificamente.

Io dico, caro villeggiante simpaticone: hai di fronte un essere umano evidentemente in difficoltà – vende cianfrusaglie sulla spiaggia, è difficile immaginare che “se la passi bene” – e tu lo interroghi tutto interessato al suo fatturato. E al fatto che sia esentasse. Hai una specie di interesse tassonomico non per l’essere umano, ma per il suo modo di guadagnare così atipico, esotico, originale, che ne so. E ti informi direttamente da lui, passando sopra qualcosina che avrebbe dovuto perlomeno farti riflettere. Il giornale che ti sei portato sotto l’ombrellone – insieme alle due borse frigo piene d’ogni cibaria, acqua e birra fredde, alle sedie pieghevoli e il tavolo da picnic così stai proprio servito e riverito come a casa – strilla a otto colonne il conteggio degli sbarcati in Sicilia, che non è tanto lontana da questa spiaggia; è infarcito della cronaca di violenza razzista; pubblica un giorno sì e l’altro pure l’ennesimo insulto più o meno organizzato a una persona di colore minimamente in vista, oppure con un incarico pubblico.

Lo so, fa caldo, non ti va di fare due più due. Eh sì, l’antirazzismo è faticoso, tu invece sei in ferie.

Non so, forse esagero, forse faccio male a pensare a questo tizio come un esempio, faccio male a generalizzare. Ma era lì, sulla spiaggia, uno dei tanti. E discettava di economia, di tasse, di tecniche commerciali con l’ambulante di colore.

Deconstructing l’ignoranza (o Dell’anti-omofobia)

piotta1 Non bisogna presupporre nel prossimo sempre e soltanto la malafede, anche quando lo vediamo sostenere delle tesi improbabili o delle ipotesi politiche ridicole. Non si deve attribuire sempre e solo l’ipocrisia ai nostri apparenti avversari politici: dobbiamo mostrare una conciliante apertura a tutte le possibilità, perché forse l’apparente malignità, perversione, stupidità e cattiveria gratuita di alcune posizioni politiche possono essere solo causate da un sottovalutato errore tipicamente umano: l’ignoranza.

Probabilmente Marina Terragni, Costanza Miriano e Pino Morandini non hanno alcuna idea di quello che stanno dicendo, nei brani che riporto qui sotto. Io la penso così, penso che siano incolpevolmente profondamente ignoranti. Non credo che le loro assurdità le dicano seriamente, “con cognizione di causa”, come si dice in questi casi. Credo che, poverini, siano vittime di un raggiro, o di un sistema scolastico inadeguato, oppure ancora di un ambiente culturale gretto e meschino che non concede a tutti le stesse possibilità. Vediamo cosa dicono, sarete senz’altro d’accordo cone me che, alla luce di una critica serrata ma corretta, tutte le loro incredibili sciocchezze non sono altro che grossi equivoci frutto d’incolpevole ignoranza.

Una premessa: di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una modifica a tre leggi già esistenti. Precisamente: l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni che potete seguire nel link; il titolo del Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122 e successive modificazioni che potete seguire nel link; la rubrica dell’articolo 1 di questo stesso Decreto Legge (per “rubrica” s’intende, dice Treccani, “la descrizione sommaria del fatto attribuito all’imputato e sua qualificazione giuridica con l’indicazione degli articoli di legge che lo prevedono”). Questa modifica è, in tutti e tre i casi, sostanzialmente la stessa: l’aggiunta delle parole “fondati sull’omofobia o transfobia” a quegli articoli di legge.

Sono gli articoli che puniscono, dice il testo “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e “chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. In sostanza, dopo “religiosi”, la legge in discussione in questi giorni vuole aggiungere le parole “ovvero fondati sull’omofobia o transfobia”.

Veniamo ai nostri tre casi d’ignoranza. Per comodità, dai testi originali di cui lasciamo il link, prenderemo solo le parole principali. Cominciamo con Miriano, qui una sua intervista.

…invece venerdì alle ore 10, ci ritroveremo sempre davanti al Parlamento, Uominidonnebambini, al flashmob che riunisce varie associazioni di uomini di buona volontà, cattolici, ebrei, omosessuali, atei, per fermare il progetto di legge [non è un progetto di legge] che punisce con il carcere e i campi di rieducazione [non è vero, non esistono campi di rieducazione] chi non segue l’ideologia gender [non esiste nessuna ideologia gender, e le modifiche proposte non puniscono chi non segue una ideologia, ma chi fa propaganda o istiga a commettere o commette atti violenti in nome di idee omofobiche o transfobiche. Il cattolicesimo, come qualunque altra confessione religiosa, rientra in una espressione del pensiero che non può essere punita per legge, come recita l’articolo 19 della Costituzione. Questa legge non si riferisce alle religioni né a qualunque altra forma di pensiero, a meno che non siano fondate sulla superiorità o sull’odio di qualunque tipo. E, per quanto discutibile in sé, il cattolicesimo non lo è]. Nel mio piccolo, sto lavorando perché ci si incontri tutti. Credo che questa sia una battaglia di buon senso, prima che cattolica [il buon senso, purtroppo, va saputo usare o si prendono cantonate enormi, cara Miriano]. Quello che stanno facendo non è la priorità del Paese. Giro l’Italia e vedo capannoni abbandonati, imprese che stanno chiudendo [ma che c’entra? Chi decide le priorità? Il Parlamento mica funziona come una gara di Formula Uno!]. Al contrario questa è la priorità di una piccola elìte [che non esiste manco lei – non è piccola e non è manco un’elite, se no non avrebbe bisogno di una legge, no? Ma se anche esistesse, avrebbe gli stessi diritti democratici di presentare una legge], che vuole la vittoria della ideologia del gender [aridàje, non esiste niente di simile!], e magari matrimoni e adozioni per gli omosessuali [magari come succede in altri 14 e passa paesi del mondo, anche se pieni di cristiani e anche di cattolici]. Va da sé che sarà un reato dire che è più consona ad un bambino la vita con una madre e un padre [non è vero, è un’opinione che chiunque potrà liberamente esprimere. Non ci potrai fondare un partito o un’associazione, né fare propaganda – ma non era tua intenzione, no?]. Ci rendiamo conto che non si potrà neanche più manifestare per sostenere questo pensiero? [Ma de che? Non è vero, potrai fare tutte le manifestazioni che vuoi, quella non è propaganda! Leggi la legge, Miriano, è facile, da sinistra a destra una lettera per volta, ogni spazio una parola. Su, ce la puoi fare] Purtroppo questa elìte è forte e ha contatti importanti e trasversali [no, dai Miriano, no, ti credevo superiore al complottismo plutofrociomassonico. Che delusione].

La legge per diventare costume e cambiare la cultura un po’ ci metterà, certo. Ma si aprirà una voragine di cui non possiamo ancora sapere le dimensioni [Eh? Voragine? Che vuol dire, politicamente? Miriano, capisco la tua provenienza, ma non è che puoi ventilare tragedie bibliche ogni volta che non ti sta bene una cosa]. La legge è molto vaga e come discriminazione può essere intesa qualsiasi cosa [il vocabolario può essere utile, Miriano, prova lì: la differenza tra discriminare e pensare è scritta benissimo]. Spero che i giuristi protestino contro questo vulnus [il “latinorum”!] alla democrazia, non si può stabilire un reato d’opinione dai confini così incerti [infatti quelle modifiche non lo stabiliscono. Altrimenti lo stabilirebbe anche la legge alla quale si applicano quelle modifiche, già in vigore. E’ un passaggio facile, Miriano, provaci], in barba alla certezza del diritto. Per farvi capire [ahia, temo il peggio]: teoricamente tutti i cattolici che proclamano pubblicamente il Catechismo della Chiesa Cattolica saranno incriminabili, in base a questa legge [ma assolutamente no! Sono difesi, come chiunque altro professi una religione, dalla Costituzione! Non è un crimine proclamare il Catechismo, Miriano! Stai dicendo che allora il Catechismo è propaganda! Ma rileggiti!]. Nella mia rubrica telefonica, per dire, ho sicuramente 200 persone che sarebbero pronte ad andare in carcere se dire che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre diventasse reato [non ne avranno bisogno Miriano, rimarranno le persone di visione limitata che sono ora, tutto qui]. Che faranno? Le metteranno tutte in carcere? [La tecnica dello spauracchio è vecchia, Miriano, basta, su.] E leggere ad alta voce il Catechismo della Chiesa cattolica, che parla degli atti omosessuali come contrari alla legge naturale sarà reato? [NO! Se leggo ad alta voce Histoire d’O non posso essere arrestato per atti osceni!]

Qui siamo alla difesa del buon senso e della vita concreta dei bambini che potrebbero andarci di mezzo [e dàje co’ ‘sti bambini]. E’ evidente che non c’è una parità di trattamento tra i cattolici e non [ancora col complotto?], ma non può essere una questione tra opposte tifoserie [e non lo è, si tratta di imparare a leggere]. Ma come si può negare che i bambini nascano dall’unione di una donna e di un uomo? [Come si può negare che questo problema non c’entra niente con la legge in discussione?] E’ la natura, non c’è bisogno di essere cattolici per vedere la realtà [ehm, Miriano, la informo che ‘naturale’ e ‘reale’ non sono sinonimi]. Qualcuno può anche credere che discendiamo per un caso dalle scimmie, ma che siamo maschio e femmina chi lo può negare? Per negare questo, cioè la realtà, stanno procedendo con proposte assurde e pensando ad una legge ultra-repressiva, che non guarda a tutti, ma a loro [Miriano, dovrebbe almeno avere l’onestà di ammettere che la realtà consiste nella contemporanea esistenza di molti modi di pensarla. Nessuno la nega e non si tratta di una legge che reprime un bel niente. La legga, per favore, anche insieme al Catechismo, se ci tiene tanto].

Cos’è l’omofobia? Parliamone. Perché l’omofobia come paura degli omosessuali non esiste, anzi [le rammento che nel suo blog lei ha raccontato che preferisce “passare da un’altra parte”: se non è paura, cos’è? Cose più nobili? Non mi prenda per stupido, grazie]. C’è un “pregiudizio positivo” nei loro confronti [certo, come no]. Sono in politica, nell’arte, nella letteratura, nel cinema. Sono giustamente tutelati e inseriti [eh? Tutelati? Inseriti? Infatti è per questo che ancora il coming out è festeggiato, no?]. Ci sono addirittura programmi scolastici, e lo posso testimoniare come madre di quattro bambini, che forniscono ampie catechesi contro la discriminazione [ah, la catechesi contro la discriminazione ci può essere, una legge no. Interessante]. Tanto che secondo me, nell’età dello sviluppo, questo modo di procedere può essere pericoloso e generatore di confusione [una confusione dovuta a troppa anti-discriminazione. Notevole. E lei parla di buon senso, eh?].

Vanno applicate le norme [eh, facciamole allora…]. Ma con la legge anti-omofobia non si vogliono colpire dei comportamenti ritenuti violenti, l’obiettivo è fare cultura [AHAHAHAHAHAHAHAH, questa è grandiosa, Miriano, lo ammetto. Fantastica. Una legge per fare cultura, sarebbe la prima volta in Italia, credo], che è un’altra cosa. La legge 194 che non è mai stata una buona legge ma dissero che era nata per tutelare la salute della madre, ora è diventata una pratica di controllo eugenetico [sì, avete sentito bene, in Italia, dice Miriano, si pratica il controllo eugenetico attraverso l’aborto regolato dalla 194. Insieme alla boutade della legge che obbliga all’ideologia gender, possiamo dedurne che Miriano pensa di vivere in un regime nazigay: SS bellissime, profumate e con sgargianti divise rosa. Basta Wikipedia per capire che l’eugenetica è tutt’altro ed è ben regolata], e l’aborto la prima cosa da proporre alla madre nel caso in cui si intraveda una minima incertezza di malattia nel bambino [opinioni irrilevanti per la discussione sulla legge]. Lo posso testimoniare tranquillamente, mi scrivono centinaia di persone [sempre meno delle donne che non riescono a usufruire della 194 negli ospedali italiani a causa dell’obiezione di massa dei medici – lo posso testimoniare tranquillamente, protestano in migliaia]. E’ diventata una legge eugenetica. Perché la legge fa costume. Ormai non si percepisce più il dramma, la portata, l’importanza del gesto dell’aborto [opinioni personali, che Miriano può esprimere tranquillamente, tanto non c’entrano niente con la legge in oggetto e non sarà mai reato esprimerle]. Posso capire l’esigenza che vogliono esprimere queste persone, gli omosessuali, che spesso hanno storie sofferte, di difficile accettazione, e io vorrei farmi davvero sorella a queste persone [prima dovrebbe chiedere loro se vogliono essere fratelli a lei – c’ha pensato?]. Ma non è con la legge che si raggiunge l’obiettivo di spiegare il mistero dell’uomo [se mi dice dov’è contenuto questo obiettivo, il testo è qui sopra]. Questa legge è pericolosissima, porta troppo lontano [ah, lei però del mistero dell’uomo vede bene tutto. Però].

Sì, perché è in gioco una battaglia di buon senso [aridàje]. Vado a tutte due perché le sigle non mi interessano. mi interessa la realtà [la realtà è scritta qui sopra, all’inizio dell’articolo]. Anche se la proponessero i radicali, volesse il cielo, io ci andrei [anche io, per vederla parlare di aborto con Bonino].

Un’altra povera vittima di una errata informazione è Pino Morandini, che dalle pagine di Libero si dimostra fortemente preoccupato del futuro dei liberi studi sul pensiero. Sentite un po’.

CENSURARE I FILOSOFI. «Che ne sarà», si chiede Morandini, «di Platone, che relega ”l’omosessualità maschile e femminile” fra le “perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società” (Leggi, 836, B)?» [ne sarà, caro Morandini, quello che ne è di lui da sempre: non se lo filerà proprio nessuno. La percentuale di persone che sarebbero direttamente interessate alla eventuale scomparsa di un testo di Platone è molta meno di quella direttamente interessata alla eventuale scomparsa di lei, Morandini. Senza offesa eh, era per darle un’unità di misura]. E di «Seneca, che tesse le lodi dell’amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni» che il filosofo romano riteneva «contro natura» (Cfr. Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15)? [Seneca? Ancora meno di Platone, se ne fregherebbero.] E di «Kant che, in Metafisica dei costumi è fortemente critico verso l’omosessualità?» [lo prenderebbero per il culo come fanno tutti già adesso, solo ci sarebbe un motivo in più]. «Che ne sarà di costoro? Potranno essere ancora studiati [certo che sì, la legge non riguarda l’opinione né il diritto a leggersi quello che pare a ciascuno] – prosegue Morandini -, oppure chi sarà sorpreso con libri loro in possesso magari quelli ricordati, in cui sono contenute esplicitamente “idee fondate sulla superiorità” [bravo Morandini, si vede che lei è uomo di legge: sono contenute, quindi non sono propaganda. Le rammento che in questo paese – dove quella legge alla quale si chiede di aggiungere delle parole è già in vigore – è possibile stampare e acquistare il Main Kampf di Hitler, dove sono contenute più idee fondate sulla superiorità di quelle in Platone, Seneca e Kant messi insieme], rischierà» la reclusione fino a quattro anni (sei, se si è capo di un’organizzazione), come prevede la legge sull’omofobia? [NO, perché la legge non riguarda le letture né le opinioni – è scritto qui sopra!]

OMOSESSUALI TUTELATI. Omosessuali e transessuali sono «titolari di tutti i diritti spettanti alla persona», continua Morandini [allora, Morandini, la legge è inutile: anche le persone di colore sono titolari di quei diritti. Però la legge in vigore adesso parla di superiorità razziale: è sbagliata tutta la legge, allora? O forse, ma forse eh, c’è qualche problema nella tutela di quei diritti, dato che qui si tirano banane a ministri di colore?]. Per quale ragione – chiede il magistrato – bisogna introdurre «una tutela inutilmente rafforzata, per le persone omosessuali e transessuali», le quali sono «già ampiamente garantite nella loro dignità dalle norme in vigore? [Perché ci sono persone che non li rispettano: la proprietà è molto ben garantita dalle norme in vigore, eppure esistono leggi contro il furto. Perché?]». Morandini si sofferma sugli esiti della legge sull’omofobia che «per coloro che manifestano “idee fondate sulla superiorità” e  ritenute lesive “dell’identità sessuale”, prevede» la reclusione fino a quattro anni (sei, se si è capo di un’organizzazione): «Non è forse alto il rischio che si incorra in procedimenti penali a fronte di qualsivoglia giudizio critico verso determinati orientamenti sessuali?» [NO, perché i giudizi critici non rientrano nei fenomeni descritti dalla legge, che parla di propaganda e di atti violenti]. Non sarebbe meglio, conclude il magistrato, lasciare intatta la libertà di espressione «sul significato antropologico della definizione fra i sessi; sull’etica della sessualità e sulle conseguenze giuridiche derivanti dalla presenza di relazioni diverse dal matrimonio quale rapporto riconosciuto giuridicamente tra un uomo e una donna?» [SI: e infatti la legge non dice un bel nulla sulla libertà di espressione, perché non la tocca minimamente – è scritto qui sopra].

Last but no least, Marina Terragni ci omaggia con la sua consueta pacatezza argomentando contro la proposta di Scalfarotto inviandogli una sorta di “lettera aperta”. Eccola, nero su bianco, la sua richiesta di chiarimenti – in effetti lei almeno in un punto ammette di non aver chiare le idee sulla legge in discussione. Certo le ha chiarissime su altri argomenti.

Caro Ivan Scalfarotto, qualcun* provi a darmi dell’omofobica, e l* querelo [tanto per chiarire, anche a scapito della sintassi, che Terragni si mette al di là della legge – per come lei l’ha capita – anche prima che venga promulgata. Una bella minaccia, e possiamo cominciare].

Ho amici e amiche gay, e pure trans, e voglio per tutte e tutti una vita più semplice e più giusta [la classica frase d’apertura che amano sentirsi dire amici e amiche gay, e pure trans]. Parto così, mettendo le mani avanti, perché vorrei porti qualche questione sul tema della legge contro l’omo e transfobia. Ed è già sintomatico che io parta così, giustificandomi a priori, perché non ho ben capito se secondo la nuova legge io sarei, almeno in linea teorica, perseguibile per quello che intendo dire, e per la storia che intendo raccontarti [oh, almeno lei ammette che non ha capito bene, brava Terragni, dia l’esempio. Comunque, la risposta è no].

Un mio amico gay, qualche tempo fa, ha “comprato” un ovocita da una donna, l’ha fatto fecondare con il suo seme, quindi impiantare nell’utero di una seconda donna (“spezzando” quindi la madre in due: ovodonatrice e portatrice [Terragni, la madre è tutta intera, gliel’assicuro: ha spezzato forse qualche suo preconcetto, ma le due donne sono rimaste tutte intere]). Il tutto il un Paese che consente queste pratiche. Impianto andato a buon fine, gravidanza giunta a termine – bambino in braccio, come si dice – bambino tolto alla/e madre/i (anzi: madre/i tolta/e al bambino) e portato in Italia, dove il piccolo ha trovato i suoi surrogati materni in una serie di tate che vanno e vengono [mi permetto di sottolineare che qui, di surrogati, ci sono solo i suoi vocaboli che travestiti da racconto oggettivo formulano giudizi personali del tutto inutili, visto che parliamo – o dovremmo parlare – di leggi].

Caro Ivan, io avevo pregato il mio amico di non farlo, lui l’ha fatto, il nostro rapporto è andato in pezzi [perdoni il cinismo, ma ai fini della discussione della legge questo particolare è irrilevante. Però lo ha voluto mettere lo stesso]. Gli avevo detto: dal fatto che tu ami sessualmente gli uomini non deriva che quel bambino non debba avere una madre [e ce l’ha: ma cresce con due uomini. Non può non avere una madre, se è stato partorito. Ma non cresce con lei, per sua volontà autodeterminata – può non piacerle, ma è legale, in quel paese – oltre che giusto, mia opinione]. Sono ancora convinta di quello che gli avevo detto. E quello che gli avevo detto, in sintesi, è questo: un uomo, di qualunque oreintamento sessuale, etero o gay, non ha il diritto di portare via un bambino alla madre, di recidere quel legame (anche se la madre è d’accordo: ma il bambino no) [opinione personale che non c’entra nulla con la legge, e che lei può esternare quado vuole anche dopo che la legge anti-omofobia sarà eventualmente promulgata].

Non sto parlando di genitorialità gay: sto parlando di uomini che si fanno fare [ha scelto un verbo orribile, Terragni, è una scelta anche delle donne, non c’è costrizione] bambini dalle donne e glieli portano via [nessuno porta via niente, non è un rapimento! Ma come si permette?] (non è il caso, come ti sarà chiaro, di una lesbica che mette al mondo un bambino, perché lì il legame è preservato, tra le due pratiche non c’è simmetria) [altra opinione personale che non c’entra nulla]. Qui c’è misoginia, qui c’è odio per le donne [secondo lei, ed è anche una posizione difficilmente sostenibile. La madre biologica è consenziente, capito Terragni? CONSENZIENTE, e autotederminata, quale misoginia? Quale odio? Vorrebbe gentilmente, dato che si vorrebbe parlare di leggi, aggiungere qualche dato un po’ più oggettivo delle sue opinioni?]. Qui c’è questione maschile [si certo, come no. Fa l’esempio di un paese e delle sue leggi, che vengono rispettate, e di una procedura legale seguita da adulti consenzienti. Quale sarebbe la questione maschile, qui? Perché non dice di come potrebbe, una coppia di gay maschi in Italia, avere un figlio?].

Naturalmente quello che dico è opinabile [e meno male], ma io ci credo fermamente, così come credo fermamente nell’esistenza di una differenza sessuale [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire?]. Confortata dal fatto che perfino chi, come Judith Butler, maestra della “performatività di genere”, ha teorizzato al massimo livello il fatto che il corpo con cui si nasce conta poco o niente, e invece quello che conta è il genere a cui si sceglie di appartenere [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire?], è tornata sui suoi passi, dovendo ammettere l’esistenza “di un residuo materiale incontrovertibile“. Cioè il corpo sessuato [e cosa c’entra? Ce lo vuole dire? No].

Ora, la mia domanda è questa: potrò ancora sostenere questo mio pensiero – l’intangibilità del legame madre-figlio e l’esistenza della differenza sessuale – che non sta dentro nel mainstream “tutto è lecito” senza essere sospettata o addirittura incriminata per omofobia? [SI, perché delle sue opinioni la legge se ne sbatte, lasciandola libera di credere le cose che vuole. La legge parla di propaganda e atti violenti che affermano o sono motivati da idee fondate sull’omofobia. Le sue menate sulla differenza sessuale – Butler o no, che sarebbe opinabile – non lo sono. Può dirle in pace, non si preoccupi.]

Lo dico perché ogni volta che una legge, con la mannaia sommaria della logica dei “diritti”, interviene “salomonicamente” a tagliare la carne viva della vita e dei suoi fondamentali, il risultato è sempre molto scadente [scadente quanto paragoni biblici buttati lì senza una spiegazione del loro legame col resto. Quale sarebbe la mannaia? Quale carne viva? Gli articoli sono qui sopra, me le saprebbe indicare?].

Con affetto   M. [e meno male che l’ha scritta con affetto…]

Qui ci sono altri che, poverini, sono stati ingannati e portati a pensare cose poco serie, come i nostri tre di cui abbiamo parlato. Io non credo che siano in malafede, credo sinceramente che proprio per questioni culturali non siano in grado di capire perché si vogliano aggiungere poche parole a un articolo di legge già esistente e sul quale finora non hanno avuto niente da dire. Gli è più facile pensare che a loro sarà impedito di esprimersi, piuttosto che immaginare di tutelare le espressioni di altri, ai quali questo viene culturalmente impedito, oscurato, “punito” con violenze più o meno grandi.
Chissà perché lo fanno.

“Sarà ‘sto buco d’aazzoto” (cit.)

Le donne, i negri, il sesso

shapeimage_2E’ ora di chiamare le cose col loro nome – lo diciamo da un pezzo. Quando ai tempi ci fu una polemica per un libro su Casapound, e ci fu un gran discutere se il libro era fascista o no, se parlare dei fascisti è fascista o no, se scrivere un libro su una realtà fascista è fascista o no, e così via, pubblicai questo post nel quale facevo semplicemente presente che il sistema per decidere se qualcosa è fascista non è difficile. Quello che è difficile è intendersi su cosa sia un comportamento politico fascista – perché a qualcuno non potrebbe fare piacere.

Un qualcuno a me viene in mente: il classico compagno sessista che quando si tratta di commentare cose che riguardano donne o altri generi diversi dal suo sa regalare perle di sessismo da incorniciare. E argomentavo che il sessismo, ovviamente, è sempre un fascismo, quando è usato pubblicamente per fini politici.

Di recente vedo oggetto del solito sciacallaggio mediatico le parole di Romano Angelo Garbin, che certamente conoscerete già. Che la sua dichiarazione sia sessista non ci sono dubbi. Che sia giusto espellerlo dal suo partito è un problema del partito – di partiti sedicenti di sinistra, che usano pesi e misure diversi per giudicare della condotta di chi è iscritto e chi no, è piena l’Italia.

L’occasione però è interessante per chiarire una cosa. Quando il maschilismo è usato per insultare pubblicamente qualcuno, è fascismo – su questo non ci piove. Chi usava il maschilismo e il “virilismo” per propagandare una certa immagine di sé e dell’avversario politico è sempre stato il fascismo, quindi il “contrappasso” immaginato da Garbin come punizione per Valandro è uno splendido esempio d’immaginario simbolico fascista. Dico simbolico anche perché sono personalmente certo che, messo nelle condizioni legali per attuare questo suo desiderio, Garbin non lo farebbe davvero mai, e principalmente perché di punire Valandro in fondo non gliene può fregare di meno. Pensando però a un avversario politico donna che ha usato un insulto sessista e razzista, la cosa più “spontanea” che ha pensato è una graziosa ritorsione a suon di Big Black Cocks. E ce lo ha fatto sapere, tutto contento, via Facebook.

Questo basta e avanza, per come la vedo io, a identificare un fascista. Fascista nella cultura, nel pensiero, nell’immaginario. La domanda che mi pongo, interessante sia dal punto di vista politico che culturale, è: perché un attivista di sinistra, molto impegnato nella politica, settantenne, riconosciuto leader di sinistra in un territorio, ha un immaginario simbolico del genere? E perché lo usa pensando che sia una cosa di nessun conto? E perché tanti la pensano come lui? Lui se ne sta bello tranquillo ad aspettare quel che succederà, tanto la considera «Na tenpèsta in te on goto de aqua…».

E magari lui, e tanti come lui, si chiedono come mai i leader di sinistra al governo non fanno mai cose di sinistra, non pensano mai cose di sinistra, sono tanto distanti da “la base”. Base che, invece, su certi argomenti sembra andare naturalmente d’accordo: guardate come sono facilmente intercambiabili certi immaginari simbolici – e certi commenti politici – di Lega e SEL. Basta trovare l’argomento giusto: le donne, i negri, il sesso.

Un lunedì qualunque

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Ci sono alcuni lunedì più pesanti di altri. Questo lo è, per via di quello che è successo nel fine settimana. Che si è sommato a tante altre cose già successe. Continuo a vedere nella cultura di questo paese il suo “grosso problema”: non perché viene prima di tutti gli altri, ma perché è il terreno sul quale crescono tutti gli altri. Finché questo terreno non lo risaneremo – e ci vorranno anni, generazioni – gli altri problemi non finiranno. E prima o poi, da qualche parte, bisognerà cominciare. Verrà, prima o poi, un lunedì migliore.

Ciao, sono un giovane scrittore che ha stampato il suo primo romanzo con un grandissimo editore di un grandissimo gruppo editoriale, ma non mi si è filato nessuno. Allora scrivo un articolo pieno di scemenze e banalità mescolando temi che fanno sempre tanto parlare – ragazzine, sesso, femminismo, moralismo – e adesso tutti sanno il mio nome. Con l’occasione lo scrivo pure su un giornale da rilanciare un po’, e siamo tutti contenti.

Ciao, sono un demente complottista che preferisce infilare i fatti negativi uno dietro l’altro tratteggiando oscuri e fantomatici disegni di gigantesche potenze mondiali piuttosto che prendermela di petto con lo stronzo del momento. Mi masturbo pensando alla mia intelligenza superiore che vede e sa cose che gli altri ignorano, così posso godere dell’altrui frustrazione chiuso nel mio piccolo mondo fatto di niente, felice di aver capito tutto e di scegliere i rapporti umani in base al tasso di complottità dei soggetti.

Ciao, sono un vecchio politico ipocrita, volgare e bollito di un partito che pochi mesi fa era al governo e adesso ha racimolato a stento il necessario per stare in Parlamento, a parte nella regione nella quale (e per la quale) è nato. Siccome serve dare un segno di vita, mi metto a dire che un nostro ministro di colore mi ricorda un orango*, così tutti tornano a parlare di me e i giornalisti prezzolati possono dire che il mio è un modo di dare voce a un sentimento diffuso.

Ciao, sono un dirigente d’azienda del ’34 che ha svolto soprattutto incarichi di risanamento per grandi gruppi in fase di crack o simili. Ho anche ricevuto incarichi direttamente dal Presidente del Consiglio. Negli ultimi tre mesi sono stato scelto dai proprietari dell’ILVA come amministratore delegato, poi mi sono dimesso perché l’azienda è stata sequestrata dai magistrati, e allora il Presidente del Consiglio (un altro, non quello di prima) mi ha fatto commissario della stessa azienda. Ho fatto subito presente che a Taranto si muore soprattutto a causa di fumo e alcool.

Ciao, siamo un gruppo di persone che ha imparato molto bene certe strategie di comunicazione politica e di politica spicciola da un politico italiano di grande successo, e ora ci campiamo alla grande spacciandoci per essere gli unici liberi di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità – quella di chiunque, ovviamente, perché per noi il pluralismo e la democrazia significano dare credito a qualunque stronzata. Purché pubblicata sul nostro giornale, nei nostri libri, sui nostri siti, democraticamente diretti.

Ciao, io sono uno stronzo che: ci sono altri problemi più importanti; le cose sono sempre andate così; il femminismo è un fondamentalismo, come tutti gli “-ismi”; le mie sono critiche costruttive; non sono fascista, sono loro i violenti, andrebbero ammazzati tutti; una volta era meglio; non ho nulla contro i gay ma l’esibizionismo è una violenza pure quella; così facciamo piangere Gesù; fuori va bene, ma dentro casa mia certe cose non le tollero.
E permetto a tutti quegli altri, sopra, di diffondere la loro cultura.

Potete continuare con esempi qualunque, se vi va, qui sotto nei commenti.

* ricordo a chi non sa cosa sia lo specismo che dare dell’orango a qualcuno non è un insulto, anche perché in Parlamento ci starebbe senz’altro meglio che una merda (cit. Feminoska, che ringrazio). Il problema è che questo serve a fare rumore mediatico. Che rumore fa una merda? Appunto.

Deconstructing l’amor cortese, i cavalieri, i parolieri, i giocolieri, gli uomini di ieri

743px-Leighton-God_Speed!Sono stato a lungo indeciso su cosa farne di questo articolo di Pietrangelo Buttafuoco. Meritava certamente di essere criticato, perché è un esempio di comunicazione banalmente retorica e infarcita di lessico inutilmente ampolloso su un argomento che non merita certo di queste “finezze”. Però è anche l’esempio di come certi intellettuali – dice che si chiamano così – parlano creandosi identità piacionesche che sfruttano, al solito, per dire la loro su argomenti di genere dei quali non credo che capiscano un bel niente. E diciamo che io non penso mai alla malafede, per default – è proprio ignoranza crassa. Questa ignoranza ha un palcoscenico piuttosto ampio, ed è quindi il caso di risponderle. Ne ho fatto allora un “deconstructing” e mi riprometto di affrontare anche più in generale la questione del “l’uomo di una volta”.

Il tema non è nuovo: si tratta dell’ennesima declinazione del noto luogo comune/stereotipo politico “se stava mejo quanno se stava peggio”, rimpianto di tempi andati che, per il solo fatto di essere andati, sono migliori del presente. Ancora in molti ci credono. Dato che il nostro scrittore è molto istruito, l’argomento diventa “Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!” (cit. Ariosto – scusate eh, ma due libri l’abbiamo letti pure noi), che servirebbe a declamare le virtù degli uomini (e delle donne) di una volta, che allora sì che sapevano come far funzionare i rapporti di genere, l’amore, il sesso. Certo, come no. Leggete per credere.
Avvertenza: è un po’ lungo. Non è colpa mia 🙂

 

Eros non le uccide mai [peccato che i giornali continuino a parlare, però, di passioni e gelosie, quando si tratta di femminicidi. Che Buttafuoco voglia finalmente dire che non è corretto parlare in quel modo, sui giornali e altrove? No.]

Anche se ci sono più vedove che vedovi, ebbene, sì: se ne ammazzano di più di donne [come se fosse un problema di numeri. E’ un problema culturale, la cui esistenza sarebbe testimoniata anche da un solo femminicidio l’anno. E poi perché parlare di vedove? Si diventa vedov* anche per cause non violente, è quantomeno scorretto usare questo dato. Qui una visione più realistica di questa polemica sui numeri]. Più degli uomini. Ed è per questo che la legge sacra della Cavalleria impone all’uomo di dare alla donna una corte – sia essa un harem, una domus, un chiostro regale – [passata l’epoca della Cavalleria, semmai c’è stata, quegli spazi sono chiamati prigioni, ghetti, lager, insomma luoghi dove vengono private persone della propria libertà] dove tutto può accadere, perfino l’amore, fuorché ucciderla perché quell’odalisca, quella sposa, quella regina è domina [domina de che? Dello spazio che lui le ha dato? Ma per favore] e vale per lei la regola di Shakespeare: “Piano, toccatela piano, perché fu donna” [ancora con la storia del fiore? BASTA con questi stereotipi!].
Se ne ammazzano di donne. Ma prima che il cercarsi tra femmine e maschi diventi un tabù [che c’entra? Perché cercarsi dovrebbe diventare un tabù?], qualcuno ci gioca. Osservate la scena. E’ notte. Tutto si svolge sulla balaustra della terrazza di Castelmola, sopra Taormina. E’ un’estate di qualche anno fa. Sono gli anni 80 [il perché cercare aneddoti di trant’anni fa non si capisce. Ma si chiarirà alla fine, stay tuned]. Lei è affacciata e attende. Lui avvita il silenziatore sulla canna della pistola. Lei si sporge e si porge [è proprio un poeta, Buttafuoco]. Lui mette il caricatore e si avvicina a lei. Lei, vestita di hot pants, si mette a cavallo della pistola. La bocca dell’arma, col silenziatore, sbuca dalle sue gambe e lui spara. Sono sette, otto colpi che viaggiano nella notte di Taormina. Tra le cosce. Tutto questo per fare calore, torneo e ghigno. Lei si sfinisce di stantuffo [ve l’avevo detto che era un poeta]. Lui non controlla più il rinculo del ferro. Rischiano che il cane dell’arma azzanni le carni morbide [i signori s’indignano e le signore portano la mano alla bocca] ma lui l’ha già abbracciata e lei inala tutto quello svaporare di piombo. Una notte, quella, dove tutto può accadere fuorché finire uccisi, piuttosto sparati, ma per approssimazione [ve lo dico adesso: che cosa c’entra ‘sta scena non lo sapremo mai. Ma alla fine sapremo perché gli premeva iniziare così].

Se ne ammazzano di donne ma le signore dell’impegno, purtroppo per loro, ripudiano il codice d’amore cortese [e mi pare il minimo: le signore dell’impegno vorrebbero dei rapporti umani fuori da schemi di servitù, onore, privilegio e altre forme di potere coatto. Per la cronaca, l’amor cortese è una categoria della critica letteraria che identifica un rapporto strutturato per neutralizzare il desiderio carnale in un rapporto di potere rigidamente formalizzato. La frustrazione fatta canone, insomma]. Vogliono tutto eccetto il benedetto malinteso della natura, quello che fa sovrano il ruolo di signore & signori [invece è proprio il contrario: se c’è una cosa insopportabile dell’amor cortese, come s’impara subito dai banchi di scuola, è che NON SI SCOPA MAI. Cosa che risulta sgradita anche alle signore dell’impegno, alle quali il sesso piace come a tutt* gli/le altr*]. E’ quel mondo dove finalmente arriva la figlia femmina e la casa diventa tana di felicità e gioia [veramente, di solito era considerata ‘na mezza disgrazia]; come quando poi s’apparecchia per lei il matrimonio o perfino il noviziato perché è più di una benedizione il suo comando, il suo desiderio e il suo volere. Comando, desiderio e volere affidati al padre, l’esecutore materiale [che bello ‘sto patriarcato, eh sì, era proprio bello il mondo di una volta]. Giammai alla madre, vestale gelosa [e figurati se lo stereotipo non si concludeva con una donna stronza].
Il mondo degli antichi non fa più testo, peggio per tutti noi [ma parla per te], nel mondo degli antichi (ancora cinquant’anni fa, in Sicilia) [notate la finezza con il quale l’antichità, secondo il nostro, va dalla Sicilia del dopoguerra alla Provenza del XII secolo – mondi uguali uguali, proprio] si applicava naturaliter la legge speciale della morte più che speciale per chiunque si fosse macchiato del sangue di una donna. Si disponeva l’uccisione dell’assassino e i parenti del malacarne non si osavano di reclamare vendetta. Per la troppa vergogna [peccato che al nostro sfugga che ciò è motivato dall’essere le donne considerate così poco, che chi le ammazzava infamava con la sua pocaggine tutto il clan. Non si ammazza un essere che non vale nulla, per questo era disonorevole il femminicidio – significava che la donna era incredibilmente assurta al ruolo di “fastidio”, di “cosa da eliminare” – era roba da vergognarsi l’essere costretti ad ammazzarne una, significava non essere stati capaci di farla stare al suo posto. Ed è roba già presente nella Bibbia, eh].
L’antico non sbaglia mai ma queste donne impegnate hanno ragione a temere la statistica del “femminicidio”, un termine preso in prestito alla banalità del politicamente corretto in attesa di trovare parola più precisa [il codice penale è già pieno di prestiti dalla banalità del politicamente corretto: doloso, colposo, preterintenzionale, suicidio, genocidio, infanticidio – e poi ci sono parricidio, matricidio e uxoricidio… tutti termini che servono a identificare uno specifico reato, con lo scopo di chiarire le circostanze e comminare una giusta pena]; hanno ragione perché il maledetto malinteso della civiltà snaturata [interpretazione dell’autore che lui ha assunto a dato di fatto] ha ormai fatto dei padri, dei fidanzati, dei figli perfino, la parodia dell’essere maschio [eh? Quando abbiamo deciso cosa vuol dire essere maschio? Di nuovo, queste sono congetture trattate come fossero dati di fatto].
Ci sono più donne che uomini, il calcolo è questo, ma se ne ammazzano a non finire mai di ragazze, di mamme, di fidanzate, di soldatesse, di prostitute, di professioniste. Qualcuna, come Lucia Annibali – avvocato, 35 anni – è stata sfregiata dall’acido muriatico. Cercate su Internet la sua foto. E’ bellissima. Violarne la grazia è tipico di chi, al pari del maiale, altro sguardo non regge che quello del fango dove si specchia [a parte che ci si poteva risparmiare l’insulto specista – non ho capito che male hanno fatto i poveri suini per essere avvicinati a dei criminali – un altro dei tanti pregiudizi sessisti di questo articolo è che a lei, in quanto bellissima, sia più grave violarne la grazia. E’ un corpo, il suo corpo ad essere stato violato, non la grazia, e sarebbe stato un crimine identicamente odioso se Lucia Annibali fosse stata quello che un linguaggio socialmente cinico e discriminante definirebbe “una racchia”. Pare invece che, per l’autore, i crimini si possano ordinare per efferatezza a seconda che la grazia violata sia di una donna che gli piace particolarmente o meno. Complimenti].

Il calcolo è impari. E se pure c’è stato un solo caso di donna che ha scannato la propria donna (a Gussago, in provincia di Brescia, Angela ha ucciso con due colpi di pistola Marilena) [classica precisazione paraculo-machista e logicamente senza senso], è sempre un parodiar del maschio a far cadere l’eros dentro thanatos che non è più il baratro di concupiscenza del romanticismo ma la botola del più sanguinoso luogo comune, un computo da cronaca nera prossimo a diventare mappazza d’ideologia [ho fatto studi classici e lo voglio far vedere, ok?].
Più degli uomini, dunque, sono le donne a crepare nella guerra dei sessi [un altro classico della stereotipìa maschilista è che i sessi siano in guerra. Una guerra è condotta da due eserciti che si scontrano l’uno contro l’altro, ciascuno con le proprie motivazioni – in questo modo il maschilista può accusare l’altra parte in guerra delle proprie stesse efferatezze. La realtà è che c’è un rapporto di potere tra oppressore e oppresso, e non una guerra – ma questa immagine, com’è ovvio, ai maschilisti non piace, tantomeno ai nostalgici dei bei tempi andati]. Ovviamente non se ne può fare una mobilitazione di coscienza o una raccolta firme perché già l’adesione di Adriano Celentano e Claudia Mori alla campagna di Concita De Gregorio per la costituzione degli Stati generali sulla violenza contro le donne rende tutto molto piritollo [questa parola se l’è inventata lui, e io non linko un altra volta roba sua; usate Google, per favore]. Lui, oltretutto, è meritatamente autore del manifesto del possesso amoroso qual è “Una carezza in un pugno” [Celentano non ne è l’autore, l’ha solo cantata, ma la verità gli smonterebbe tutta la piritollaggine], la canzone dove da geloso giustamente dice “mia, mia e mia” e sparge pugni in luogo di carezze, perché il tema dei temi – oggi, oggi che gli uomini uccidono le donne – è l’uso e l’abuso del possessivo mio [notate come la questione di potere che sta alla base del problema dei femminicidi è stata fatta diventare una questione di linguaggio, che quindi potrebbe essere risolta tornando ad altri mondi linguistici, come quello dell’Amor cortese. Davvero un genio, complimenti].
Il senso del possesso è di certo il sesso [EH? Ormai siamo in pieno “dipartimento infatuazione per le proprie parole” (cit.)]. C’è anche un che di “ossesso” nell’intimo etimo [non è vero: etimologicamente le due parole sesso e ossesso non hanno niente a che vedere l’una con l’altra] del principio generatore della volontà di potenza che diventa volontà di volontà per poi sciogliere le trecce all’Essere innanzi alla volontà di verità [è tipico dei laureati in filosofia in certi anni citare Nietzsche e Heidegger come fossero propri amici personali. Tra qualche anno, quando sui giornali arriveranno a scrivere i laureati in filosofia negli anni ’90 e 2000, sarà lo stesso con Lacan, Derrida e Foucault. In entrambi i casi, si tratta quasi sempre di richiami insensati e gratuiti, tanto per fare allitterazioni rumorose]. Con questo non voglio rubare il mestiere a Michela Marzano [non vedo proprio come potresti: Marzano, per quanto discutibile, certe cose le ha studiate bene], torno presto nei miei ranghi di oplita [lo dirà altre due volte che è un soldato – poi dici perché gli antisessisti sono definiti “disertori del patriarcato”…], ho ben letto l’Idòla [fa più fico di “pamphlet”, vero? E’ il nome della collana di Laterza, preso da Bacone] di Loredana Lipperini e Michela Murgia “L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!” (Laterza, euro 9,00) ma tutto questo uccidere perché si ama per fortissimamente amare e meglio marchiare di “mio” ogni “mia” non riguarda l’uomo antico [il quale, come abbiamo visto, non aveva alcun bisogno di marchiare: metteva la donna in un recinto e fine lì], piuttosto quello più profondamente moderno, il maschietto più autenticamente etico [che cos’è un maschietto etico? Non è dato sapere], quello più amico delle donne, quello arrivato dritto dritto dalla promiscuità militante [che cos’è la promiscuità militante? Anche questa domanda risuonerà nel vuoto], insomma: l’impotente [ecco, che sia chiaro: quello più amico delle donne è l’impotente, mica come il bel maschione di una volta].

Succede che Bertrand Cantant, l’amico di Manu Chao, artista impegnato, fa di Marie Trintignant, la sua fidanzata, una maschera di sangue. Lui non è un criminale, per Libération è “bisognoso d’aiuto”. L’amore confina con la follia [no, qui è l’ignoranza di certo giornalismo che confina con la malafede, nell’usare quelle parole]. Qui non c’è gioco. Magari c’è il disagio. Ecco, c’è un’altra vittima, per dirla con l’onorevole Boldrini [che non c’entra assolutamente niente, non è che una parola sola rende l’argomento simile a quello di Boldrini], che diventa carnefice. E c’è la compassione per automatismo libé [e che vuol dire questa constatazione? Che senso ha buttarla lì così?]. Bruno Carletti, direttore artistico dello Sferisterio di Macerata, uccide Francesca Baleani, l’ex moglie [è viva eh, non l’ha ammazzata]. La carica in macchina e la scarica in un cassonetto. “Francesca”, dirà padre Igino Ciabattoni, responsabile della comunità di recupero che ospita l’assassino, “non troverà più un uomo che possa amarla così tanto” [e speriamo per lei che non lo troverà più]. Ancora una volta: “Un atto d’amore, cieco come la morte”. Lipperini e Murgia sono riuscite a costruire con il loro pamphlet un catalogo dell’orrore dove però – dicono – “è mancato il collegamento: sono, anzi, mancate le parole che tenessero insieme morti atroci quanto ritenute isolate, non ripetibili”.
Provo a metterci delle parole – oltre l’amoricidio [parola sbagliata e fuorviante, se applicata a quei casi] – e spiegare che quelli che non sanno prendere le donne se non uccidendole non sanno dire “mio” perché sono ubriachi di “io” [no, non mettiamola sulla psicologia perché sarebbe come dare loro dei “malati”, e quindi giustificarne le azioni per cause non dipendenti dalla loro volontà. E’ un problema di potere: uccidere è proprio il modo di ratificare per sempre il possesso, è il modo più forte di dire “mio”]. Hanno un’erezione cerosa e zero colpi in canna e non si tratta certo della pistola del femminicidio [è tornato il poeta], il capitolo sociale di un’umanità maschia senza più forza, il “vir”, zero colpi nel senso proprio di mancare al principio ordinatore del venire al mondo con responsabilità [che sarebbe esclusivo dei maschi? Però], amore cortese e dovere perché solo il rito – con la sua liturgia di possesso – conserva l’eros dentro le sue pulsioni buie senza incappare nel codice penale [quale rito? L’Amor cortese è stata in’invenzione letteraria, non c’era alcun rito. E di riti l’attuale vita civile è piena – per esempio, il matrimonio è un rito – eppure non sembra che servano a molto per non incappare nel codice penale].

La verità dell’amore, nelle mani di chi ci sa fare [sempre e solo maschio eh, per carità], è uno squarcio dove da fuori c’è il sangue vivificante della vita mentre – dentro – nella carne, c’è il fuoco. Mai la messa a morte. Certo, “meglio morta che puttana”, questo predica l’antico della propria donna se questa poi ha fatto del proprio nome strame [che carino, questo uomo antico]. Ma quel “meglio morta” non è assassinio [noooo, figuriamoci, gli uomini antichi non ammazzavano mai nessuno, scherzi?], al contrario: è un continuare a vivere nel dolore disperato del disonore [un riferimento, una data, un nome… no, è tutta scienza infusa nel Buttafuoco]. Mai perdonare, mai, non si può perdonare [“Dio perdona, io no” (cit.)]. E la stessa donna ha disprezzo di chi cicatrizza la ferita del tradimento [ricordate il teorema della guerra dei sessi? Anche le donne hanno le stesse pulsioni dell’uomo, quando fa comodo – all’uomo]. Mai dimenticare perciò, mai, non si può scordare ciò che fa nell’anima uno scempio perché l’amore, come il sangue coi figli, s’avvelena forse ma non si disperde. Il soffrire d’amore è spirituale [ma de che? Ma se anche quelli dell’Amor cortese, pur nella frustrazione, parlavano di corpo e sesso!], un atroce friggere cieco delle carni [un friggere cieco. E io che pensavo fosse un bollore sordo, o un mantecare muto], non un trauma della psiche [lui è quello che parlava di “io”, eh – e adesso non è un trauma della psiche. Parole a caso, tanto per dirle]. E non è paritario il dolore, non conosce uguaglianza, è debolezza propria del portatore di seme, biologicamente inferiore a chi, al contrario, è donna generatrice di nuova vita [e ti pareva che alla fine il maschio non era quello sfortunato rispetto alla femmina! Solo lui soffre davvero, poverino! Mica quella che mòre ammazzata!].
Non si può disinnescare la tossina dell’innamoramento, quel farmaco omeopaticamente salvifico, con l’edificazione di un tabù culturale contro il maschio [ma chi lo edifica? Ma dove? Perché parlare di cose senza dimostrarle, senza costruirle?]. Capisco che a qualcuno sia venuto in mente il mettere da parte l’istinto a favore di una civilizzazione della copula [eh sì, dice la civilizzazione che bisogna essere consenzienti, mannaggia a queste regole civili che ci fanno mettere da parte l’istinto]. Dopotutto neppure gli stalloni riescono a coprire le giumente senza l’ausilio del veterinario [questa è cattività, non civilizzazione. Gli animali – e lasciali perdere! – non diventano mai “civili”, cioè cittadini] che, oplà, guanti pronti, posiziona ciò che c’è da posizionare [Buttafuoco, ma che ti guardi in TV?].
Piano piano arriverà questa civiltà del rapporto paritario [cioè il rapporto paritario sarebbe quello assistito da un dottore che posiziona ciò che c’è da posizionare? Ma cosa stai dicendo?]. Pare che non ci sia più la donna, non c’è l’uomo, c’è solo la persona [ma pare a chi? Dove?]. E’ facile sospettare che il tentativo di trasferire la rivoluzione – la donna in luogo del proletariato – abbia preso il sopravvento su altri fallimenti ideologici [COOOSA?] ma desiderare è avere e il maschio, non la “persona”, nel recinto sacro dell’Amor cortese, prende possesso di quella carne [ancora con questa storia? Nell’Amor cortese nessuno prendeva possesso di quella carne!!!] in ragione dei due punti di suggello e sigillo: l’osso sacro e la ghiandola pineale [no, ditemi che sto leggendo male, vi prego]. E la copula, ovvero il contatto con il coccige e con la nuca – come fanno i gatti quando acchiappano la micia da dietro per addentarla al punto da denudarne, dei peli, la cuticagna [BASTA con i paragoni specisti, Buttafuoco! Ma che immaginario hai?] –, altro non è che il cogliere la rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state [ma lascia perdere il Trecento, che anche allora sapevano chiamare questa posizione sessuale con ben altro che cogliere la rosa fresca aulentissima].

Come si faceva l’amore di una volta [non mi risulta che ora quella posizione abbia perso popolarità]. Quando gli dèi s’affacciavano dall’Himalaya per compiacersi degli innamorati fradici di desiderio e di respiro [se lo dici tu…]. Tutto ciò non è il porno. Qui si procede di fisiologia. E di furor sacro. Mircea Eliade alla mano [che bella immagine, te che procedi di fisiologia con la bocca occupata dalla cuticagna di qualcuna e “Spezzare il tetto della casa” aperto in mano]. Altro che la delicata Costanza Miriano, autrice di “Sposati e sii sottomessa”, fustigata non poco da Lipperini e Murgia [non è stata affatto fustigata, come già scritto altrove].
L’amplesso è però un dettaglio. Il mettere carne sopra carne è, infatti, solo un abito dell’istinto: quello della sopravvivenza e – come da codice platonico, ossia il “Simposio” – ci si riproduce solo nel bello. Non potendo generare carne, si genera l’idea [peccato che quest’ultima frase sia roba tua, e non di Platone]. Mai la messa a morte.
L’amplesso è la vera astuzia della storia se solo fosse la storia matrice delle generazioni mentre invece è la sopravvivenza, la vera padrona delle erezioni e degli umori [sì, certo, soprattutto nel XXI secolo è l’istinto di sopravvivenza a produrre le erezioni – dillo alla fiorente industria del porno commerciale], dunque tutto un aggiungere piani al grattacielo del destino a due, quello del maschio e quello della femmina, dove ogni cosa è chiara, chiara assai. Don Rafaele Cutolo, ’o Camorrista, lo diceva fuori da ogni metafora: “Quando si fotte riesce sempre bene perché ciascuno sa che cosa vuole l’altro” [da Platone e Don Cutolo, ogni cosa è permessa al filosofo infatuato del suo linguaggio, ovviamente].
Le donne si fanno femmine e selezionano il patrimonio cromosomico più forte, più ricco, più potente [certo, come no, da sempre le donne si fanno femmine e fanno sesso con chi scelgono loro. Ma questa dove l’hai letta?]. Nel benedetto malinteso della natura si è sempre femmine e – nel proprio harem, nella propria domus, nella propria reggia – dunque nel sottinteso benedetto della loro più segreta natura [leggi: nel recinto dove le ha messe il loro padrone maschio uomo di una volta], le donne svelano il primo punto: quello della ghiandola pineale, dunque l’anima. E poi ancora l’altro punto: l’osso più sacro. Quello che nella risulta ancestrale dei secoli dei secoli è solo l’ombra di ciò che fu coda.
Come si fece sempre [sì, avete letto bene, sta costruendo un retorico e ampolloso elogio della “pecorina”. Complimenti]. Furono i missionari cristiani, abusando della credulità dei selvaggi, a riposizionare gli incastri della conoscenza carnale. Abrogarono il posizionarsi al modo del “more ferarum” e dannarono per sempre come animalesco, dionisiaco e peccatore il principio del piacere [cosa c’azzecchi la storia delle posizioni erotiche lo sa solo lui, s’era partiti col femminicidio. Andrebbe istituito il reato di digressione illecita]. L’abito non fa il monaco, il New York Times avrà avuto i suoi motivi per dire che la moda italiana, fatta eccezione per Bottega Veneta, Prada, Gucci e Marni, è fatta solo per le zoccole (“italian fashion in the Time of the Trollop” [l’articolo è questo e tutti potete leggere che le cose non stanno proprio come riportato dal nostro. Trebay, nel 2007, allarga il discorso a un concetto culturale di volgarità, che riguarda anche i media – ma che je frega a Buttafuoco, a lui interessa la carne, gli umori, more ferarum]) ma la minigonna non fa la scostumata. Tra collo e schiena, tutto quel percorrere di aulente malia non può che avere migliore rappresentazione nella Valentina di Guido Crepax. Provate a ricordare quel suo incedere inesorabile [che nessuno ha mai visto, essendo un fumetto], non sarebbe stata a suo agio nella tavernetta del bunga-bunga ma avrebbe fatto la felicità di Cielo d’Alcamo [il cui famoso contrasto “Rosa fresca aulentissima” era proprio  una presa in giro della poesia d’amor cortese, ndr].

L’abito non fa il monaco, figurarsi la memoria della letteratura ma chi più di ogni altro regge la fatica del presagio in questa Italia orba di virtù maschia [eh sì, mancano proprio gli uomini di una volta], in questo precipitare di morte e amore, nella follia e nel lutto è Boccaccio che, nella novella di Nastagio degli Onesti, nella quinta giornata del “Decameron”, “ragiona di ciò che a alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse” [state a sentire che bella la saggezza dell’uomo di una volta].
Provo a farne il racconto: Nastagio è un nobile ravennate che s’innamora senza tregua della figlia del nobilissimo (più di lui) Paolo Traversari. Per conquistarla ordina feste e cene di gran lusso. Ma quella lo rifiuta con divertimento e lui continua a sperperare energie e denari, fin quando per troppo amore, per evitare di ammazzarsi e di dilapidare tutto, va via dalla città [fin qui aveva fatto una cosa giusta: s’era rassegnato alla libertà di lei di dire no. Ma Nastagio è uomo di una volta…].
Un venerdì d’inizio maggio, proprio un venerdì come questi, Nastagio vede una scena che Botticelli illustrerà poi per Lorenzo il Magnifico (ne avrebbe fatto un regalo di nozze, quasi un memento: “Amare se non vuoi morire”). Una giovane donna corre nuda, due cani la inseguono e tentano divorarla variamente, mentre un cavaliere armato le urla dietro minacce di morte. Nastagio vuole difenderla, ma il cavaliere si ferma a raccontare la propria storia. Aveva amato quella ragazza follemente, ma non ricambiato, si era suicidato [forse ha un po’ esagerato, ma non fermiamoci a sottilizzare]. Lei non aveva avuto nessun pentimento, nessuna pena, ed era stata con lui condannata alla tremenda punizione [perché? Quello è così scemo da suicidarsi e lei ne va di mezzo?]: tutti i venerdì lui la caccia con i cani feroci, la minaccia di morte, l’ammazza e ne vede ricomporsi il corpo. Il venerdì successivo e per chissà quanto ancora, si ripete la stessa sequenza barbara [ah, è la sequenza a essere barbara, invece del fatto che una donna innocente paghi in eterno la stupidità di lui].

Devi amare se non vuoi morire. O, almeno, ricambiare. Questo è il succo [traduco per il XXI secolo: donna, se uno decide di amarti, so’ cazzi tua]. E Nastagio, infatti, ha una sua trovata. Il primo venerdì utile, invita l’amata e tutti i parenti a un desinare sul luogo della scena crudelissima che, tempestiva, si ripete. Il cavaliere che strazia la donna e che non è timido, racconta la storia pure ai banchettanti. La più terrorizzata di tutti è proprio la Traversari [e ti credo!], che subito riflette sul sentimento negato e sulla mancanza di rispetto verso quell’amore e, insomma, “temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio” [che bello, lo sposa per paura, proprio il trionfo dell’amor cortese]. Non solo, con il suo gesto educa le donne di Ravenna, che d’improvviso diventano tutte più gentili e amorevoli con gli uomini [com’era? Ah, sì: punirne una per educarne cento. Davvero fenomenali ‘sti uomini di una volta].
Tutto un obbligo d’amore per non dover morire. Sempre nel “Decameron” e sempre in letteratura, c’è anche la tradizione del cuore dell’amato dato in pasto per vendetta, dal marito, alla moglie traditrice, che magari su indicazione del consorte l’aveva pure cucinato a guisa di manicaretto. E in tema di cuori mangiati, ma davvero, ci sarebbe Pasquale Barra, detto ‘o “Animale”, un esponente della nuova camorra organizzata che uccise Francis Turatello in carcere e poi ne addentò gli organi [quanto gli piace passare dai personaggi letterari ai camorristi], ma adesso – proprio no – non voglio certo rubare il mestiere a Roberto Saviano [grazie, infatti ci basta e avanza lui – e poi, quale mestiere?], torno nel rango mio di oplita [e due] e provo a spiegarmi che uccidere, per questi tapini, è forse un oltrepassare il rito dell’amore, un addentrarsi nel furor, uno stroncarsi al pari di Narciso in tutto quel rimirare se stessi per poi esplodere nelle bolle dell’acqua stagna [sicuramente, intanto è “uccidere lei”, e non solo uccidere – il verbo è transitivo, bisognerebbe ricordarselo più spesso].

Approssimarsi d’amore, magari con la pistola in pugno, per volare nella notte di Castelmola, è approssimare la propria dannazione alla morte, controllarne il respiro e lo sguardo di dolore, che è ancora rito, nella rigenerazione di un torneo di pura buia gioia perché, insomma, lo dico da oplita [e tre], non esiste una cultura arcaica da sradicare dal nostro guardare negli occhi dell’amore, esiste solo la realtà di Eros che mette a bada Thanatos [ed esistono pure un sacco di noiosi parolieri che veicolano stereotipi inadeguati e violenti mascherandoli da chiacchierata erudita].
Esiste la realtà della natura [sì, abbiamo capito, viva la pecorina] e se proprio la civiltà riuscirà a ucciderla [ma solo regolarla no? O a pecorina o ammazzata? Però, che bella la natura] significherà che saranno stati i desideri a determinare i diritti, che si procederà d’inseminazione per tramite di applicazione veterinaria [insisto: Buttafuoco, lascia stare i canali tematici, ti fanno male] e ci sarà solo la persona, finalmente libera del possessivo ma persa per sempre nella bolla afona e stagna dell’io-io-io che non saprà dire “mio”, anzi, “mia” se non mettendo a morte. Come cosa morta è l’amore di Narciso [complimenti per la diagnosi: o sesso ferino nel recinto o deliri psicotici con delitto. Che bella prospettiva].

Post scriptum.
A proposito dell’episodio di Castelmola. Lui era sì un picciotto malandrino ma la pistola non era la sua. Era della ragazza in hot pants [capito a che serviva la storiella? Alla fine è colpa di lei].

Vi suggerisco una colonna sonora per questo profluvio di fastidioso e ipocrita lessico altisonante: Latte e i suoi derivati, “D’amore e nel vento”.

Cinque motivi per essere un uomo femminista

managainst

Propongo qui di seguito la traduzione di un post apparso in un sito americano, che condivido pienamente. La traduzione – me ne scuso subito – è molto “di pancia” e fatta da me, quindi abbastanza approssimativa; chi vuole commentare per correggerla è il benvenuto. Va anche detto che “femminismo” è una parola che ormai corrisponde a un campo storico e semantico vasto come la letteratura, e quindi nell’adattare un testo americano alla realtà italiana ci sarebbero da fare numerosi distinguo; prima di tutto, riguardo l’uso del termine “femminista” riferito a un uomo, dalle nostre parti. Mi pare comunque che il senso orginale di questi “cinque punti” si sia conservato nella mia versione, e sia ampiamente adattabile al nostro paese. Oltre a ciò che è doveroso, poi, immagino già le bocche storte delle numerose – e numerosi – proprietari del marchio “femminismo” in Italia, quell* che “il femminismo sono io”, punto e basta. Ecco, quest* ultim* li invito con la più cordiale gentilezza a ignorarmi e a continuare pure a coltivare il loro orticello in compagnia di chi è loro più caro.

http://www.bluethenation.com/2013/06/15/five-reasons-to-be-a-feminist-man/

Cinque motivi per essere un uomo femminista

Uno dei più forti pregiudizi riguardo il movimento femminista è l’idea che ogni femminista sia una donna. Anche nei giorni più bui dei rapporti tra razze negli Stati Uniti, nessuno aveva l’impressione che l’intero movimento abolizionista fosse composto da neri, o che tutti gli attivisti per i diritti civili fossero neri. Di fatto i segregazionisti – e i sostenitori della schiavitù prima di loro – erano notoriamente ben consapevoli dell’esistenza dei politici opportunisti e dei provocatori. Ma il femminismo è stato opportunamente ritratto dai suoi oppositori come un’unica landa di lesbiche arrabbiate e misogine che vogliono uccidere i bambini e tagliare il pisello a tutti. Il che è strano, dato che mia madre è una femminista, e non solo ha fatto sesso con un uomo almeno quattro volte – dato che ha avuto quattro figli senza ammazzare nessuno di loro – ma non ha mai, in nessun caso, provato a tagliare il mio o l’altrui pisello.

Lasciatemelo dire chiaramente: sono un maschio. Dico “fratello” spesso, solo circa il 60% delle volte in senso ironico. Ho spalle grosse e la barba. Seguo parecchi sport. Bevo pessima birra e pessimi alcolici, e non so che farmene del vino. Mangio carne rossa più volte di quanto sarebbe salutare farlo. Penso che le pistole possano essere divertenti. Probabilmente ho qualche allergia che ignoro del tutto perché non me ne accorgo. Non lavo i piatti finché non rimango senza piatti puliti. Mi piace giocare a biliardo, a carte, a dadi. Sono un maschio. A volte lo sono in maniera tanto infantile e deliziosa.

Quindi quando dico che sono un femminista, nessuno si deve permettere di considerarmi uno sfigato dicendo “Uff, ecco il solito sgorbio schifoso alternativo, probabilmente legge libri e cose del genere”. E neanche mi si può liquidare come gay, che è un’altra deduzione tipica che fanno i maschi sugli uomini femministi, perché non lo sono. E non si può dire che sia succube della mia donna, perché sono single. E non sono neanche stato “femminizzato” o altre cose del genere, vedi sopra. Diamine, porto un multiuso Leatherman sempre con me nel caso ci sia improvviso bisogno di una pinza o un coltello. Sono un uomo, sono un femminista, e penso che più uomini dovrebbero essere femministi. Ve ne darò cinque buoni motivi, e nessuno di loro sarà “perché alle donne piace troppo, ciccio” oppure “perché pensa alla dua mamma, uomo”. Non dovresti essere femminista per difendere le tue donne, o perché pensi che ti farà scopare di più. Dovresti essere un femminista perché si deve proprio essere un cazzo di femminista, punto. Così ecco qui cinque ragioni per cui dovresti esserlo, ben illustrate [vedi l’originale, ndr] con l’aiuto di Ryan Gosling (comprate il libro femminista di Ryan Gosling, è fantastico!).

1) Non c’è in assoluto un solo argomento morale contro il femminismo. Nessuno.

Questo è, ovviamente, il più importante. Femminismo è la semplice credenza che la gente dovrebbe avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di tutti gli altri, libera da barriere inutili o costruite apposta, senza avere costantemente paura per la propria incolumità, a prescindere dal genere. Se hai qualcosa da opporre a ciò, fottiti. Sei uno stronzo. Se non hai nulla in contrario, congratulazioni. Sei già d’accordo con femministi e femministe su uno dei loro più fondamentali principi ideologici. Ora comportati di conseguenza a quel principio e staremo tutti meglio.

2) Più uomini femministi ci sono, meno donne saranno violentate. Davvero.

Mi spiego. Il ritratto più comune nella nostra cultura di uno stupratore è uno schifoso maschio con baffetti sottili e cappotto, oppure un tizio con la felpa che segue una donna fino a casa, l’agguanta e se la fa tra i cespugli. Può avere o no un furgone chiuso, a seconda di quale episodio di “Law & Order: SVU” ha più influenzato la vostra idea di stupro. Ma non è certo un’idea molto corretta.  La maggior parte degli stupri sono commessi da uomini che sono noti alla vittima. Conoscenti, colleghi, anche familiari o amici. Se vi siete mai chiesti perché alcune donne sono un po’ prudenti prima di stabilire un rapporto amichevole con voi, quella è la causa principale. Quello, e il fatto che loro sanno che il più delle volte volete solo farci sesso.

Questo è il motivo per cui più uomini femministi significa meno donne stuprate. Un buon numero di quegli stupratori che erano conosciuti dalle loro vittime non hanno neanche capito che stavano commettendo un crimine. Sapevate che se una donna è molto più ubriaca o drogata di voi, e ci fate sesso, c’è una buona possibilità che diventiate proprio uno stupratore? Se tu sei come la maggior parte degli uomini di questo paese (e di tutti i paesi, in realtà), non lo sapevi. Sapevi che se una donna dice no la prima volta e quindi dice sì dopo che tu l’hai influenzata in qualche modo, sei appena diventato uno stupratore? Di nuovo, ci sono buone probabilità di no.

Uno degli scopi più importanti del femminismo è educare gli uomini e le donne su ciò che davvero costituisce stupro, aggressione sessuale, etc. Un uomo femminista – seriamente, uno che comprende il femminismo – è molto improbabile che stupri le sue conoscenti, perché la maggior parte delle persone non voglio realmente stuprare nessuno. Ma se non sai in cosa consiste uno stupro – ed è molto facile non saperlo nella nostra cultura – è molto difficile non commetterne.

Un uomo femminista non penserà che dato che la gonna di una donna è corta, allora lei è del tutto disponibile a fare sesso con ogni uomo nel raggio di due miglia. Un uomo femminista non penserà che solo perché ha offerto a una donna qualche drink, ciò significa che ha ottenuto di fare sesso con lei. Un uomo femminista non risponderà mai alla domanda di OKCupid, “Pensi che ci siano alcune circostanze nelle quali una persona è obbligata a fare sesso con te?”, con nient’altro che “No”. Un uomo femminista non proverà a castigare la grocca troppo sbronza in un party, e invece si assicurerà che torni a casa sana e salva – non perché sta cercando di essere “un bravo ragazzo” che poi userà questo episodio come arma per avere sesso “volontariamente”, ma perché sa cos’è uno stupro e vuole comportarsi da essere umano. In breve, un uomo femminista non stuprerà mai nessuno.

3) Quando le donne sono responsabili di qualcosa, fanno davvero un buon lavoro.

Attualmente ci sono più donne nel Congresso di quante ce ne siano mai state. Il 20% del Senato è composto da donne. E a conti fatti, la loro presenza, particolarmente in posizioni di peso nelle commissioni, è stata molto positiva. Sono state capaci di aprire un dialogo attraverso l’una e l’altra parte politica, sia assottigliando i confini ideologici, che separando i democratici più conservatori (Blue Dog) da quelli più progressisti. Un importante traguardo per qualunque progresso, fatto alla faccia di un polo di maggioranza repubblicana ostruzionista, è stato raggiunto grazie agli sforzi delle donne. Per altri esempi dell’efficacia delle donne nelle posizioni di potere, guardate al mondo degli affari, dove le donne in posizioni di comando sono molto apprezzate. Sebbene sia più difficile per una donna raggiungere quelle vette, se lo fa, allora quasi sempre ottiene brillanti riscontri.

4) Quando l’aborto è rigidamente regolato, le persone muoiono.

Ricordate la donna morta di parto in Irlanda perché non le è stato permesso di abortire? Non è insolito in situazioni nelle quali l’aborto è vietato per legge o limitato. Il parto può essere, sfortunatamente, qualcosa di cui morire. E se anche non lo fosse, ci sono altri pericoli insiti nel rendere fuorilegge o molto limitato l’aborto. Il più importante è questo: qualcuno vorrà avere aborti, che siano legali o no. Se sono illegali, avranno i loro aborti con operazioni insicure, fortunose, in luoghi non attrezzati. E certamente, questo può accadere non solo sotto “Roe contro Wade”, ma anche quanto l’aborto è regolato con tutti i crismi della legge, che un medico incapace negli aborti possa essere perseguito. Ecco perché ce ne sono così pochi in giro. Se l’aborto è illegale, non ci sarà scampo. Delle donne moriranno perché un branco di stupidi vecchi bianchi hanno deciso che loro non dovrebbero avere il controllo dei propri corpi.

5) L’oppressione non finisce finché l’oppressore non smette di opprimere.

Lo so, lo so, questa è dura da sentire. Non ti senti come un’oppressore. Ovviamente non ti ci senti. Se ti accadesse, smetteresti di fare cose che opprimono gli altri! Questo è come funziona l’oppressione nel mondo reale. Ci sono molte poche persone là fuori sedute in cerchio a rollarsi i baffi pensando al modo di essere cattivo e far soffrire il prossimo. Nessuno si sente un oppressore. Io non mi sento un oppressore. Ma quasi certamente lo sono, a causa di qualcosa che faccio senza che riesca a comprenderne esattamente tutte le conseguenze.

Ma quando dici a una donna a caso, per la strada, che oggi è bellissima, o che dovrebbe sorridere; quando cerchi di rimorchiare una ragazza al bar senza neanche preoccuparti di tentare di conoscerla prima; quando te ne esci che quello che è successo a Steubenville è stato orribile ma che quella ragazza non avrebbe dovuto ubriacarsi così tanto; quando parli di donne come oggetti sessuali; quando ti dispiace essere colpito dalla “regola dell’amico”; quando tu fai queste e altre migliaia di piccole cose, tu opprimi le donne. Tu contribuisci a una cultura dell’oppressione, a una cultura dello stupro e della violenza sessuale, a una cultura della reificazione delle persone, a una cutura del dominio e della superiorità maschile.

E’ una cultura nella quale le donne possono ancora perdere il lavoro perché rimangono incinte. E’ una cultura protetta da una inquietante moltitudine militarizzata di predatori sessuali e stupratori. E’ una cultura nella quale le donne non hanno ancora gli stessi guadagni degli uomini per lavori analoghi. E’ una cultura che dice alle donne che non dovrebbero “volere tutto” (che significa avere una famiglia e una carriera e una vita sociale) mentre dice agli uomini di essere ambiziosi, andare là fuori e prendere tutto ciò che vogliono. Infine, è una cultura altrettanto dolorosa e frustrante per gli uomini che per le donne. E non è una cultura che tu dovresti aiutare a perpetuare.

Signori, siete già arruolati nella guerra contro le donne. E’ ora di cambiare fronte.

Deconstructing le avances

macchina da scrivere2 Questo articolo è stato decostruito “live” all’incontro tenuto alla Città dell’Utopia (Roma) martedì 18 Giugno, “Media vs Femminicidio”. Ci tengo a dire che l’ho scelto in maniera casuale tra i tanti raccolti da Bollettino di Guerra, e che s’è dimostrato perfettamente adatto a fare d’esempio per comprendere il titolo dato alla serata. Come volevasi dimostrare, non c’è bisogno di scegliere esempi di sessismo nei media: basta pescare a caso.

Bidello uccide la prof di religione a scuola perché era indifferente alla sua passione [la maggior parte delle persone che legge i quotidiani si ferma solo sui titoli. Il titolo dice, malgrado ciò che seguirà, che lei era indifferente e che lui aveva passione. Tenete a mente queste due parole]

RAGUSA – Scene da far west in una scuola elementare del Ragusano. Un bidello, Salvatore Lo Presti, 69 anni ha sparato cinque colpi di pistola contro Giovanna Nobile, insegnante di religione, di 53 anni, uccidendola. L’uomo è stato arrestato per omicidio volontario.

IL MOVENTE – Avrebbe ucciso l’insegnante perché se ne era invaghito [viene scelto non “se ne era innamorato”, “la desiderava”, ma se ne era invaghito, verbo che è anche un giudizio], ma lei si era sempre dimostrata indifferente alle assurde avances del bidello [attenzione a queste due parole: indifferente – è un atteggiamento ben preciso, significa che lei sapeva e che non voleva, e assurde, giudizio e qualifica delle avances che però non viene spiegata:perché assurde? Non ci verrà detto]. Questo il movente dichiarato da Lo Presti, padre di cinque figli. L’uomo ha confessato davanti al dirigente della Squadra mobile Francesco Marino. Sarebbe stato «colpito dalla sua indifferenza» per «sentimenti assolutamente non ricambiati» anche perchè mai espressi in maniera evidente e pubblica [COSA? Scusate, ma come si fa a essere indifferenti a qualcosa che non si è capito o conosciuto? Allora lei non era indifferente, semplicemente non sapeva. Perché questa frase non è tra virgolette? E’ una deduzione di chi scrive?]. È il delitto, quindi, per una «passione senza riscontro» [dagli con la passione] quello commesso dal bidello. Lo ha confessato lo stesso omicida spiegando di avere premeditato il delitto [reo confesso di omicidio premeditato, quindi]. Secondo gli investigatori è stata «una lucida follia» [EH? Ma come, avete appena detto che lui ha premeditato! La “lucida follia della premeditazione” non si può sentire, ma per favore], l’insegnante era all’oscuro dei sentimenti dell’uomo o ne aveva avuto solo un parziale accenno [e allora le avances non ci sono state! Non erano assurde, erano proprio inventate! Perché scriverlo allora?].

FAR WEST – La tragedia si è consumata nella scuola elementare «Pappalardo» di Vittoria. La sparatoria è avvenuta all’interno dell’istituto mentre era in corso una riunione del corpo docenti. È stata un’azione fulminea, quella messa in atto dal bidello, noto come «il poeta», a pochi giorni dalla pensione [cosa la cui importanza verrà fuori tra poco]. Cinque colpi di pistola hanno raggiunto la donna. Un sesto colpo è stato sparato in aria per l’intervento di un altro bidello, che ha alzato il braccio dell’uomo facendo cambiare la traiettoria al proiettile, che si è poi conficcato sul tetto. «Poteva fare una strage [perché? Ha scaricato la pistola contro la donna, non voleva fare una strage, è evidente che volesse colpire solo una persona – perché permettere a un testimone di fare illazioni, e riportarle senza il minimo commento?], l’ho bloccato d’istinto, ma non ditemi come ho fatto perchè non lo so neanche io. Sono stanco e provato da questa assurda giornata», dice Salvatore Gallo, 56 anni,

COLPO AL FEGATO FATALE – I sanitari hanno fatto il possibile per salvare la vita all’insegnante . «Quando è arrivata in pronto soccorso trasportata dall’autoambulanza – dice il medico Giuseppe Marino – le sue condizioni erano disperate perché due colpi di arma da fuoco le avevano provocato una forte emorragia addominale. Un colpo aveva raggiunto il fegato. Siamo riusciti a rianimarla ma non ha superato l’intervento chirurgico».

INCONTRO DI FINE ANNO – L’insegnante si era recata a scuola per un incontro di fine anno scolastico. Dopo aver firmato delle pratiche in segreteria stava lasciando l’istituto, quando l’uomo l’ha raggiunta sulle scale, armato di pistola, sparandole contro. L’aggressore è uscito dalla scuola, ma è stato fermato poco dopo dalla polizia in strada.

MOMENTI DI TERRORE – È sconvolta Giovannella Mallia, preside vicaria dell’istituto. «Mi trovavo nella stanza accanto alla segreteria e dopo aver sentito i colpi mi sono precipitata per vedere cosa fosse accaduto», racconta. «Ho visto Giovanna Nobile a terra che già non dava segnali di vita, ho provato a rianimarla ma ho capito subito che la stavamo perdendo e quando è arrivata l’autoambulanza aveva perso già i sensi». «Stavo sistemando i registri – aggiunge l’insegnante – e i colpi di arma di fuoco che ho sentito sono stati uno dietro l’altro. La segretaria Concetta Insaudo e altri due applicati di segreteria gridavano perchè avevano assistito in diretta al ferimento della collega e non si davano pace. Ho avuto paura e non riesco ancora a razionalizzare come sia potuto accadere. Tra il bidello e la docente di religione – sottolinea Mallia – c’era stato in passato qualche discussione ma cose normali in un istituto. Che la cosa potesse degenerare non era ipotizzabile [un bell’aiuto, neanche troppo implicito, alla tesi della lucida follia]».

IL DIRIGENTE: «SONO SCONVOLTO» – Arriva sconvolto il dirigente scolastico dell’istituto, Sebastiano Lima. «Stavo facendo esami in una scuola di Acate – dice – quando mi hanno telefonato. Stentavo a crederci. Non so cosa sia scattato nella sua mente [altro aiuto alla tesi della follia –  eppure la premeditazione l’ha confessata l’assassino!]. Il primo caldo, la rabbia per dovere andare in pensione anticipatamente [IL CALDO? LA RABBIA? Con quale autorità il dirigente scolastico fa queste ipotesi? Perché sono semplicemente accostate, nell’articolo, a tutte le altre parole, senza una spiegazione, una parentesi esplicativa?] perchè poteva ancora rimanere ancora in servizio». «Ecco, questo era un suo chiodo fisso, ma da qui a sparare ce ne vuole [altra illazione, altro collegamento logico tutto da verificare. Intanto però è messo lì, come fosse plausibile malgrado le stesse parole dell’assassino]… Questa tragedia – conclude Lima – mi sconvolge, non ce la faccio proprio a sostenere il peso di questo dramma».

SCUOLA SOTTO CHOC: ARRIVA SQUADRA PSICOLOGI – Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha chiamato la preside vicaria Giovannella Mallia a cui ha voluto testimoniare la sua vicinanza e le ha annunciato l’invio di una squadra di psicologi a sostegno dei ragazzi e degli insegnanti.

SOSPESO FESTIVAL JAZZ – In segno di lutto per l’omicidio, a distanza di un mese dalla tragedia del muratore Salvatore Guarascio che si era dato fuoco perché la sua casa era stata messa all’asta [perché citare un evento che, con tutto il rispetto, non c’entra nulla? Un suicidio poi], il sindaco della città Giuseppe Nicosia, di concerto con gli organizzatori, ha deciso di sospendere il concerto in programma per sabato sera del Vittoria Jazz Festival.

IL PM: «TROPPE ARMI DETENUTE LEGALMENTE» – «Ancora un femminicidio [la parola importante c’è una sola volta, contro le due di passione di cui una nel titolo] con un movente oscuro [OSCURO? Ma se lui ha parlato di premeditazione, di sentimenti non ricambiati, e il testo ha parlato di avances – perché le parole finali del PM smentiscono tutto? Ma chi legge, che idea si fa?]». Così il procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia, interviene sul dramma di Vittoria. Il magistrato invita poi a riflettere su un dato: «Ci sono troppe armi detenute legalmente senza una precisa ragione, occorre un loro censimento [ah, alla fine di tutto la colpa è delle troppe armi in giro? Quindi se non avesse avuto la pistola, Lo Presti non avrebbe premeditato? Che cosa fa dire al PM che senza pistola lui non l’avrebbe strozzata, picchiata a morte, investita, accoltellata? Niente, non lo sapremo, l’ultima di tante altre cose che quest’articolo non dice o non fa capire chiaramente.]».