Deconstructing il Queer Bilderberg

muccassassina_672-458_resizeEbbene sì: c’è in atto un complotto internazionale che vuole il mondo abitato da poche persone che non si riproducono e che sono facilmente influenzabili soprattutto nei loro costumi sessuali. Vi lascerà stupiti tutto ciò, eppure è così, ci dicono: è in atto una Rivoluzione sessuale globale e noi siamo ancora qui, seduti davanti a un gelido schermo luminoso invece di copulare a volontà con partners neanche mai lontanamente immaginati. Che imbecilli.

Prima di addentrarci nell’esame del testo rivelatore di questo nefando disegno internazionale, che ci vuole tutti sterili e insensatamente dissoluti, una piccola nota e una raccomandazione squisitamente filosofiche – perdonatemi per qualche riga, poi capirete perché.

Nota: Ratzinger soprattutto ha sostenuto praticamente un giorno sì e l’altro pure della sua carriera anche precedente il soglio papale qual è il male del secolo, ovverosia: altro che AIDS, cancro e guerre sostenute dal capitalismo, ciò che fa tanto male al genere umano è il dispregio di ogni verità assoluta – tipo diopadre, Cristo e altre di queste cose. Il relativismo (questo è il nome del male supremo tra i supremi) è quell’atteggiamento filosofico – non è una dottrina, o si contraddirebbe – che ritiene inesistenti le verità assolute, oppure che non siano conoscibili o esprimibili, o che comunque lo possono essere solo in parte, cioè relativamente a circostanze storiche. A questo modo di intendere e interpretare il rapporto dell’uomo col mondo la chiesa cattolica – ma non solo lei – si oppone, sostenendo ovviamente che invece gli assoluti esistono (sarebbero quelli che dice lei) e dimenticandosi a bella posta che essa stessa è nata in un particolare periodo storico, e che tantissima altra umanità, altrove, ne fa a meno senza farsi problemi.
Raccomandazione: non credete a nulla di quello che “si dice” su Nietzsche. Vi prego.

Ma adesso addentriamoci nel complotto più relativista di tutti.

Rivoluzione sessuale globale

di Antonio Malo (Professore Ordinario di Antropologia nella Pontificia Università della Santa Croce) [Capito? Mica pizza e fichi – qui una spiegazione per gli esterni al G.R.A.]

L’autrice del libro La rivoluzione sessuale globale (Die globale sexuelle Revolution), la sociologa e pubblicista tedesca Gabriele Kuby, è una delle poche voci che con autorità riconosciuta si levano per criticare il relativismo occidentale odierno. [Eccoci qui; la nostra eroina Gabriele, nota al mondo per accusare di relativismo nientepopodimenoche Harry Potter, ha davvero una storia personale interessante e per niente relativista, no no.] A lei si deve, ad esempio, che il ministro federale della famiglia in Germania, Ursula von der Leyen, sia stata obbligata a togliere dalla circolazione il libro di educazione sessuale Corpo, amore, il gioco del dottore, in cui fra altre aberrazioni si invita ai genitori a giocare sessualmente con i loro bambini. [Non voglio mettere link appositamente: se anche voi credete davvero che in Germania sia stata mai autorizzata la stampa e la vendita di un libro di educazione sessuale apertamente pedofilo, siete nel blog sbagliato.]

Il saggio di cui mi occupo riprende alcuni temi di due delle sue opere precedenti [scusate il prof. Malo per il suo italiano, è molto emozionato]: Gender Revolution. Il relativismo in azione (Cantagalli 2008) e Statalizzazione dell’educazione. Sulla via per diventare uomini nuovi (2007). Adesso però la sua denuncia acquista una portata universale. [Prima ce l’aveva solo con Harry Potter, che infatti è noto solo nel suo paese, no?] Da qui il titolo del libro La rivoluzione sessuale globale; una rivoluzione che, come indica il sottotitolo (Distruzione della libertà nel nome della libertà), pretende di cambiare radicalmente le persone e la società facendo leva su una volontà di potenza, di chiara ispirazione nietzschiana. [Notate che non s’è capito né di che rivoluzione si tratti, né cosa c’entra la libertà e soprattutto perché ci deve andare di mezzo sempre il povero Federico.] A partire da questa chiave interpretativa [quale? E soprattutto, chiave interpretativa di che cosa?], Kuby riesce a raccontare la storia, i metodi e le conseguenze di un’agenda globale potentissima [la storia di un’agenda globale, ditemi che ho letto male, vi prego] che cerca di modificare le costituzioni dei paesi, le istituzioni educative e le consuetudini dei cittadini [oh mamma, la SP.E.C.T.R.E.!] con un solo scopo: la costruzione di una società globale in cui le persone siano poche e completamente manipolabili. [Ricapitoliamo: un professore ordinario di antropologia ci dice che trova importante il saggio di una sociologa che prima ha scritto contro le posizioni relativiste sostenute dalla saga di Harry Potter, poi adesso ha individuato un complotto internazionale per decimare la popolazione del globo e renderla idiota. E secondo loro ancora dovremmo starli a sentire.]

A qualcuno potrebbe venire in mente il pensiero: “Ecco, un altro libro sui complotti”. [Antò, guarda, a questo punto di pensieri me ne sono venuti già di ben peggiori.] Basta, però, guardare alla quantità di documenti analizzati, ai fatti e alle statistiche raccolte per capire di trovarci di fronte a un libro rigoroso e oggettivo. [Documenti, fatti e statistiche che qui non vengono citati manco di striscio, purtroppo. Si va a fiducia, che com’è noto non è affatto relativa.] Nonostante la mole di materiale, la lettura del libro, lungi dall’essere noiosa, diventa pagina dopo pagina piena di suspense e di rivelazioni sorprendenti. [Ah, noioso il libro non lo è di sicuro: già solo questa recensione mi sta facendo schiattare dalle risate!] Il lettore viene informato del retroscena, i mezzi e la ragnatela di organizzazioni governative e non governative implicate nella messa in pratica di questa agenda globale. [Che culo, eh? Noi sappiamo tutto – grazie Kuby! – mentre il mondo, ancora ignaro, vive tranquillo.] Nel contempo gli si offrono le categorie antropologiche e sociologiche necessarie perché questi possa fare le valutazioni pertinenti con cui prendere decisioni.[Non bastavano documenti, fatti e statistiche, c’è anche un compendio di antropologia e sociologia che permette a tutti di raggiungere il grado di preparazione necessario a fare le valutazioni pertinenti – senza, le vostre valutazioni non sarebbero pertinenti, eh – e anche a prendere decisioni. Tipo buttare via il libro, per esempio.]

Nella prima parte del libro (capitoli 1-4), l’autrice presenta brevemente l’origine storica dell’attuale rivoluzione sessuale. [NO! Ce la siamo persa! Ecco, succede una cosa interessante e tocca venirla a sapere da un libro di una in odore di beatificazione. Però la rivoluzione sessuale è attuale, se ci diamo una mossa forse facciamo in tempo per l’afterhour.] Dopo aver segnalato la rivoluzione francese come punto di inizio storico della lotta per raggiungere l’uguaglianza, indica il movimento femminista del 68 come tappa precedente all’ideologia di genere, [FERMI TUTTI, un momento. A casa mia, 1968 meno 1789 fa 179 anni. Non è successo niente, in questi quasi due secoli? E poi, che sarebbe l’ideologia di genere? Ah, già, ne abbiamo parlato qui.] secondo cui l’umanità non è fatta di uomini e donne, bensì di un’informe massa di uguali [EH?] che hanno il diritto di costruirsi la propria identità sessuale. [Scusi la critica, prof. Malo, ma la vedo parecchio confusa nel muoversi tra i concetti di sesso e genere. Senza offesa, eh.] Il filo rosso che collega il ‘68 e l’ideologia di genere è, secondo l’autrice, il maltusianismo, cioè il tentativo di diminuire la popolazione mondiale, soprattutto i poveri di Occidente e dei paesi in via di sviluppo. [Premesso che quello cui si riferisce Malo è il neomaltusianismo, non si capisce come questa teoria sia collegata alle questioni di genere: la teoria dice che dovremmo controllare le nascite, non che l’eterosessualità deve scomparire dalla faccia della terra. Questo, casomai, è roba di Kuby.] Da questo punto di vista sono molto interessanti i ritratti intellettuali di alcune figure di spicco, come Margret Sanger, Alexandra Kollonti, Wilhelm Reich, Eddie Bernays, Simone de Beauvoir, John Money, Judith Butler, ecc. [Sì, sono interessanti, ma non hai detto che cosa c’entrano e perché. Poteva essere pure la formazione dello Stade de Reims del ’59.] L’impulso globale della rivoluzione sessuale non procede, però, solo dalle idee, ma soprattutto dalle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite (Pechino, Il Cairo, ecc.) con cui si è tentato di decostruire i diritti umani, la sessualità, la famiglia.[Quindi l’ONU fa parte di – o forse è, sotto mentite spoglie – la SP.E.C.T.R.E.: sono loro che decostruiscono i diritti umani, la sessualità, la famiglia. Cose delle quali, malgrado ci fossero apposite conferenze internazionali pubbliche, s’è accorta solo la Kuby.] Da lì sono partiti alcuni degli slogan che hanno fatto il giro del mondo, come l’aborto è un diritto della donna, il “genere” non va imposto ma scelto. [Ah, ecco, questi sarebbero slogan. E il relativista sarei io.] Nonostante i secoli trascorsi, i metodi della rivoluzione sessuale globale sono gli stessi della vecchia rivoluzione francese: il terrore. [EH? COSA? Il terrore? L’ONU sta imponendo al mondo di cambiare genere sessuale con il terrore? Antò, sei proprio sicuro? Non è che ti sei entusiasmato un po’ troppo?] Oggi, però, la ghigliottina non taglia le teste degli oppositori, ma “solo” il posto di lavoro, la carriera accademica o politica. [Quindi chi si oppone alla rivoluzione sessuale globale viene licenziato, perde il posto, il prestigio sociale e il suo peso politico? MA MAGARI!!! A quest’ora Vladimir Luxuria sarebbe segretaria generale della NATO!]

Nella seconda parte (capitoli 5-10), Kuby continua la sua analisi degli organismi e dei documenti con cui si tenta di introdurre l’ideologia di genere. Fra questi ultimi concede particolare valore ai 29 principi di Yogiakarta, che furono formulati nel 2007 da un gruppo di “famosi esperti” senza autorizzazione né legittimazione in un incontro privato nella capitale indonesiana. [Stiamo parlando di questo segretissimo e inquietante documento che qui vi presentiamo in esclusiva galattica.] Nel marzo dello stesso anno, questi principi furono presentati all’opinione pubblica nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. [Neanche Totò sarebbe riuscito a mistificare le cose come sta facendo Malo.] L’Unione Europea li accolse subito e incominciò a imporli alle istituzioni, ospedali, tribunali… e anche agli asili e alle scuole. [Incominciò a imporli! E da noi quando arrivano?No, perché siamo stufi di vedere ambienti LGBTQI ovunque tranne che in Italia, eh?] Perché, come spiega l’autrice in un altro capitolo, per distruggere il fondamento della famiglia si deve minare l’unione eterosessuale, [che bella novità cattolica, meno male che lo spiega l’autrice] il che non è facile fra adulti nella stragrande maggioranza eterosessuali. [E certo, adesso ad avere un problema di resistenza al sistema sono gli eterosessuali, vero?] Invece i bambini e gli adolescenti possono essere facilmente plasmati, soprattutto se chi occupa il ministero delle politiche familiari condivide quest’ideologia. [Infatti, com’è noto, i ministri delle politiche familiari sono i veri potenti nei governi, mica quelli degli Interni, degli Esteri o dell’Economia che invece non plasmano nessuno con le loro politiche, con la loro comunicazione.] Come documenta Kuby, sempre più spesso nella scuola e nel giardino d’infanzia i bambini vengono sessualizzati con giochi, fiabe, rappresentazioni teatrali. [Sì, ma di rosa e celeste, mica queer!] Essi vengono così derubati dell’innocenza tipica dell’infanzia. Si presenta ai bambini ogni sorta di pratica sessuale deviante come scelta equivalente incoraggiandoli a esperimentarla. [Ci siete ancora? Il professor Malo, supportato dai documenti, fatti e statistiche di Kuby, sostiene che i ministri delle politiche familiari presentano nelle scuole pubbliche ogni sorta di pratica sessuale deviante. E il relativista sono sempre io eh, loro stanno bene così.] Con ciò la loro personalità può subire cambiamenti irreversibili. [Invece Kuby sta a posto, dopo la conversione?] Inoltre, le istanze statali creano strutture per minare attraverso l’educazione sessuale generalizzata e obbligatoria a partire dalla scuola materna il diritto e l’autorità dei genitori. [Siamo allo Stato Queer contro i genitori eterosessuali. Come se Platone e Platinette si fossero coalizzati. Ma dove le prende Malo ‘ste fantasie? Che fumetti legge?] Nell’implementazione dell’ideologia di genere gioca anche un ruolo decisivo la violenza linguistica e la pornografia, definita dall’autrice la nuova piaga globale. [Nuova? La pornografia?] Mediante la creazione di neologismi come “gender”, la sostituzione di parole, come genitore A (padre) e genitore B (madre) e l’attacco al linguaggio non solo si corrompono le parole, ma si dà origine a “nuove realtà”, poiché — come hanno sempre pensato gli ideologi di ogni tempo – “non è la verità a farci liberi, ma la libertà a fare la verità”. [A parte che “gender” non è un neologismo ma casomai un prestito, l’ONU sarebbe anche la responsabile del nostro linguaggio ormai del tutto corrotto verso l’ideologia di genere? E come mai siamo ancora pieni di insulti, stereotipi e luoghi comuni sessisti, allora? E quella cretinata tra virgolette, chi l’avrebbe detta? Chi sono gli ideologi di ogni tempo? Non si sa. E’ un complotto, dopotutto, mica possiamo fare i nomi, bisogna fidarsi, senza relativismi.]

Nell’ultima parte del libro (capitoli 11-15), Kuby analizza le armi che il nuovo totalitarismo usa per combattere i ribelli: l’intolleranza e la discriminazione. [Notate il linguaggio militare, tipico dell’antropologia e della sociologia, si sa.] In questo modo l’autrice sottolinea il paradosso, già accennato nel sottotitolo, di cercar di togliere la libertà nel nome della libertà. [I diritti LGBTQI sarebbero un “togliere la libertà” agli eterosessuali. Certo, come no. Allora Rosa Parks voleva i bianchi tutti in piedi sull’autobus, ‘sta stronza.] Di fronte a questa dittatura relativista che strumentalizza la sessualità per imporre una nuova concezione della persona, l’autrice consiglia di formare la propria coscienza sulla scia della verità. [E indovinate quale verità? Ma quella non relativa, no? LA NOSTRA.] Come antidoto alle derive dell’ideologia di genere, propone di educare non alla sessualità, ma all’amore [aaaaaaah l’amooore / questo folle sentimento che / aaaaaaah l’amooore / più lo fuggo e più ritorna da meeee].

Come scrive Spaemann nella prefazione, [ma sì, buttiamo là un cognome] si deve ringraziare l’autrice per il coraggio di andare controcorrente [uh, guarda, un sacco controcorrente] offrendoci un saggio che illumina ciò che si nasconde sotto i cambiamenti linguistici, le mode pedagogiche e accademiche che ad un primo sguardo sembrerebbero solo una bizzarria, quando in realtà sono strumenti di una volontà di potenza [perdonalo, Federico, perdonalo] impegnata alla costruzione di una nuova umanità [e che è, l’Internazionale socialista?]. Penso perciò che questo libro meriterebbe di essere tradotto nelle principali lingue. [Eh, su questo l’ONU è in vantaggio, bisogna ammetterlo.] A questo scopo, mi permetto di dare due suggerimenti all’autrice. [Malo è partito per la tangente, adesso propone suggerimenti per migliorare il testo di Kuby, sai com’è tra eterosessuali, l’uomo comunque ha un po’ più di ragione rispetto alla donna.] In primo luogo, di rivedere i capitoli dell’ultima parte per darle più unità togliendo ripetizioni [eh eh, Kuby, ti sei ripetuta, eh? Forse Harry Potter, il tuo acerrimo nemico, t’ha fatto l’incantesimo dell’eco]; in secondo luogo, di distinguere fra almeno due tipi di femminismo [ecco, adesso ce lo dice Malo cos’è il femminismo]: quello che ha lottato e continua a farlo per il riconoscimento dei diritti politici e sociali delle donne, cioè per l’uguaglianza della donna come persona [brrr], e quello, invece, radicale, che scimmiotta una sessualità maschile degenere [scusi?] per la quale il sesso si riduce ad un uso della genitalità senza responsabilità. [“genitalità” invece non è un neologismo, no no, non è sostituzione di parole o attacco al linguaggio. E il relativista sono sempre io.] In questo modo apparirà con più chiarezza ciò che costituisce il genio femminile, la donazione, [donna = producifigli, questo sì che è femminismo!] la cui rivendicazione, lungi dall’essere un ostacolo all’amore, ne è la premessa.

Allora? Siete pronti per la rivoluzione sessuale globale? Mi raccomando portate l’amore, lasciate a casa il relativismo e attenzione all’ONU! Non fate tardi eh!

(Ringrazio Chiara per i documenti, i fatti e le statistiche 😀 )

Deconstructing la redazione

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Lo scorso 21 Settembre sono stato ospite dell’associazione “Io sono bellissima” per una giornata di incontri sul sessismo e sul linguaggio; la mattina un confronto sui giornali e i loro vari sessismi, con la presenza di giornalisti, e il pomeriggio un seminario sull’antisessismo. Una giornata, giustamente, bellissima, di quelle che ti lasciano motivazioni e ricordi politici felici – e non è che capitino spesso, eh.

Tra le persone presenti alcuni uomini e donne di Galatina, particolarmente impegnati sul loro territorio, con cui sono stato ben felice di parlare. Qui un loro comunicato per una iniziativa di domenica 24 novembre. A questo comunicato ha risposto una testata giornalistica locale con un pezzo davvero straordinario, che didatticamente ci fa il favore di raccogliere in un solo brano quasi tutti gli stereotipi e i luoghi comuni sessisti riguardo la violenza di genere – aggiungendoci vistose lacune culturali. E’ il caso di parlarne inseme perché raramente capitano esempi così esemplari dei tipici errori di chi pensa di sapere qualcosa sulle questioni di genere, semplicemente perché appartiene a un genere. E’ firmato “redazione”, e sono convinto che sia così: una persona sola non può infilare una dopo l’altra tutte queste stupidaggini, evidentemente è un lavoro di squadra. Cominciamo.

UNITI CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE… si ma per limitarsi a chiaccherare? [Il titolo promette bene: sembra che a qualcuno non vada bene che ci si limiti alle parole contro la violenza di genere. Pazienza per l’accento mancante, di questi tempi manca ben altro.]

Siamo tutti contro la violenza, e su questo non c’è discussione, sulle donne poi. [Eeeeeh, sì, beh, grazie per la generosità, ma in effetti la discussione c’è, anzi c’è pure parecchia gente che pensa che sia giusto menarle spesso. Ma apprezzo l’entusiasmo, andiamo avanti con fiducia. ]

Se però essa sia il retaggio di una cultura patriarcale, o invece è la conseguenza dei lascivi comportamenti di questa società, è tutto da dimostrare. [Beh, no, ci sono almeno quarant’anni di letteratura femminista, sociologica, filosofica e storica che dimostrano abbastanza bene che i lascivi comportamenti, se abbiamo capito bene cosa potrebbero essere – dato che la redazione non l’ha scritto –  sono il prodotto del patriarcato e non una possibile causa alternativa alla presente discriminazione di genere.] E anche il riferimento al razzismo mi pare che abbia a che fare come il cavolo a merenda. [No, il cavolo a merenda è quello della redazione: il sessismo è una forma di razzismo, quindi il riferimento c’entra eccome. Io non sarei manco d’accordo a definirlo latente, ‘sto razzismo.]

Si ha l’impressione che tutti gridino per far vedere come sono sensibili e bravi, ma che poi nessuno voglia andare a fondo alla questione e dire le cose come stanno. [Oh, e questa è una bella frase che ci sta benissimo dalla cronaca politica, al gossip, allo sport; adesso vediamole, le cose come stanno, adesso la redazione ci dà una lezione di giornalismo. Pronti?]

Anche perchè questo richiederebbe ad ognuno di noi un esame di coscienza serio, approfondito e sopratutto onesto. [Bravi, così si dice, il personale e il politico, un bell’esame di coscienza che è passato di moda perché non fa comodo.] E riconoscere di aver sbagliato, e dirlo pubblicamente e molto difficile per non dire impossibile. [Bene, abbiamo capito, ma sarebbe ora di smetterla con i sottointesi e dire a cosa ci si riferisce, ormai è mezza pagina di rimuginamenti – e s’incomincia a tollerare poco i continui errori di ortografia. Ostacolano molto l’esame di coscienza serio, sapete?] Riconoscere che tante battaglie che da ragazzi ci sembravano sacrosante hanno prodotto tanti guasti richiede un coraggio ed un’onesta intellettuale non comuni. [Pare che l’esame di coscienza serio debba partire da parecchio lontano; da ragazzo mi ricordo sacrosante battaglie per vendere i cornetti a scuola senza pagare la percentuale ai bidelli, e una mezza rivoluzione quando i flipper passarono da duecento a cinquecento lire a partita. Mi sfuggono però in che senso queste sacrosante battaglie abbiano fatto danni alle generazioni successive. Ma leggiamo, forse finalmente arriviamo al dunque.]

Spesso sentiamo dire che la violenza sulla donna  e lo stesso omicidio [immagino intenda dire “e il suo eventuale conseguente omicidio”, ma che ne so, io mica sono una redazione] nascano dalla voglia di possesso, dal considerare una donna come un oggetto [capita molto spesso, e insisto: non è un sentito dire, è proprio sicuro che in molti casi sia così, fidatevi]. E allora ci domandiamo, un uomo che prima uccide la moglie e poi si toglie la vita, lo fa perchè vuol possedere un oggetto? [Sì; se oltre a sentirlo dire lo aveste pure letto da qualche parte, è tutto spiegato in autorevoli testi, nero su bianco. In giro per questo blog pure ci sono molte indicazioni bibliografiche – qui il sentito dire non è molto apprezzato, forse perché non siamo una redazione.] Qualcuno può seriamente pensare che per non perdere un oggetto uno perda la cosa più preziosa, la propria vita? [Sì, lo pensano in parecchi, come detto sopra, e lo scrivono pure. Quel famoso patriarcato cui si accennava prima ti insegna proprio che senza il possesso e il controllo di (almeno) una donna tu non sei un uomo degno, un uomo completo, un “vero” uomo, ed ecco perché quando si vedono lasciati, abbandonati, privi del requisito minimo richiesto dal patriarcato, alcuni uomini non sanno gestire la situazione e annichiliscono l’oggetto ribelle e se stessi.] O invece vi è un disagio più profondo, legata al nostro tempo che non riusciamo a interpretare  a comprendere, o magari non vogliamo comprendere? [Quale? Parliamone, vediamo.]

Nella società tradizionale la donna era il sesso debole [non è che adesso invece sia considerata tanto meglio eh, forse la società è cambiata ma la mentalità ci mette molto di più], e nonostante ci trovassimo in presenza di una società dove il tasso di violenza era certo più alto che ai nostri giorni, “la donna non la si doveva toccare nemmeno con un fiore”. [Oh, bene, così lo diciamo una volta per tutte: “la donna non si tocca nemmeno con un fiore” è un’espressione sessista come poche, perché non solo divide gli esseri umani in due – deboli e forti – a seconda del sesso, ma prescrive pure che è nell’ordine delle cose che uno “protegga” l’altro da ogni forma di violenza, attribuendosi così pure il diritto di decidere cosa è violenza e cosa no. (Se qualcuno non ha capito la frase precedente, mi permetto di pensare che il suo problema non sia la violenza di genere.)] Chi lo faceva era tacciato di vigliaccheria, [leggi: il vero uomo non ha bisogno di ribadire la sua superiorità, gli è dovuta, e se non riesce a ottenerla “con le buone” allora non è un uomo – figuriamoci cos’è una donna che non accetti questa sua inferiorità naturale!] e ogni altro uomo che pure non avesse a che fare con quella donna era legittimato ad intervenire in sua difesa [tutti poliziotti insomma, secondo un codice cavalleresco che, come ricorderete, ha rinchiuso le donne nei castelli per secoli, in quanto beni di esclusiva proprietà del maschio che andava alla guerra – proprio un bel modello di società]. Un uomo che usava violenza su una donna, non era sicuro neppure in galera [succede anche adesso; ma non capisco perché bisognerebbe essere soddisfatti del sapere che anche in galera il codice patriarcale è rispettato].

Poi un bel giorno ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo, [EH? Ci siamo raccontati chi? Mi pare che siano le donne ad averlo detto, e che continuino da parecchi decenni con alterni risultati, purtroppo. E poi perché questo tono da favoletta? In che senso la redazione non crede che la donna è uguale all’uomo? La finiamo con i sottintesi?] che può fare il militare, che può fare la guerra, che quindi è un guerriero, [EEEEEH? Redazione, ma che gente frequentate? Forse – ma forse, eh – queste sono tesi portate avanti da alcuni femminismi, e anche fosse, qui sono espresse molto sommariamente e in maniera del tutto incompleta e fuorviante. Il primo pensiero delle donne è fare la guerra?] e così abbiamo smesso di considerarla una cosa diversa dall’uomo, [MA CHI? MA DOVE? Il voler dare alle donne e ad altri generi i diritti che spettano loro significa che si vuole tutti guerrieri? Ma lo sapete che è il 2013, che questa idea del “tutti guerrieri” quasi manco più i neonazisti la sbandierano? Ma ci vogliamo aggiornare un po’ prima di sparare di queste scemenze?] che doveva godere di una maggiore protezione [ancora con questa storia?], abbiamo smesso di alzarci nell’autobus per cedergli il posto [ah, ecco. La manifestazione pubblica dell’emancipazione femminile dipende dalle aziende comunali dei trasporti urbani. Tesi interessante, davvero], abbiamo deciso che invece della dolcezza, della femminilità, i tratti che dovevano caratterizzare la donna moderna, dovevano essere la decisione, la fermezza [MA ABBIAMO DECISO CHI, MA QUANDO? Ma in base a cosa una redazione si permette di parlare per tutto un genere, per tutta una massa, per tutti? E come non si accorge che se dice una cosa come abbiamo deciso i tratti che dovevano caratterizzare la donna moderna sta facendo razzismo sessista – oltre che dire un sacco di corbellerie?], al centro del suo mondo non più la famiglia, ma la carriera [ma non è vero! Milioni di donne vogliono cose diverse oppure queste – il problema è che non possono liberamente sceglierlo perché non hanno le stesse possibilità di realizzarsi grazie a una cultura patriarcale e maschilista imperante, non quello che ci siamo raccontati]. Non più mogli, amanti, amiche complici…ma donne in carriera, veline, competitori decisi e disposte a tutto [ma parlate per voi! In base a cosa vi attribuite un plurale che personifica decisioni epocali, e ci fate pure semplificazioni sociologiche a dir poco imbarazzanti? Pensate davvero che TUTTI gli uomini e TUTTE le donne siano così banali? O che anche solo “la maggior parte” abbia questa ridicola psicologia? O un esercito di docili sottomesse (mogli, amanti, amiche complici) oppure un esercito di competitori decisi e disposte a tutto? Voi vedete troppa televisione, ve lo dico io].

Poi, ad un certo punto, smarriti, ci siamo chiesti ma come mai la famiglia non funzionasse più [ovviamente è colpa delle donne, no?], come mai sempre più donne usassero la seduzione come arma per far cadere ai propri piedi, non il marito, il compagno, l’amante, ma il capoufficio colui che può dare uno mano per far carriera, per aver maggiore potere da utilizzare non solo su i colleghi, ma anche sul proprio uomo. [E certo che ve lo chiedete smarriti, se pensate che quello che sia successo sia che ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo. Cosa pensate di poter capire con questo schema ridicolo? La seduzione come un arma da utilizzare per far cadere ai propri piedi il capoufficio è quello che vi raccontate perché non volete capire che è stato il patriarcato ad aver instillato anche nelle donne che il potere va conquistato a tutti i costi. Ed è l’uomo – il capoufficio – che decide di dargliene le briciole in cambio di sesso, continuando a mantenere il suo potere. Vi pare il risultato del “femminismo” questo, cara redazione? Se alle donne fosse stato concesso davvero quello che si prende anche l’uomo, allora sarebbero le donne il capoufficio, senza bisogno di avere maggiore potere ottenendolo da un uomo attraverso il sesso, perché lo avrebbero ottenuto col merito. Ma non vi rendete conto neanche di che esempi fate?]

Poi…. un brutto giorno scatta la violenza, a volte la follia omicida, questi uomini, compagni perfetti, ottimi mariti, padri esemplari per una vita, che all’improvviso diventano terribili assassini. [Quindi? Che vuol dire? Cosa significa questa frase qui, che la colpa dello scatta la violenza è della donna che usa lo stesso potere del patriarcato? Non avete neanche il coraggio di dirlo apertamente, vi affidate all’ellissi, alle figure retoriche? Questo sarebbe il risultato dell’esame di coscienza serio, approfondito e sopratutto onesto?]

E noi tutti rimaniamo increduli e incapaci di comprendere [e ti credo, con questa visione delle cose che cosa sperate di comprendere?], e così finiamo per limitarci a piangere sulle tragedie ed ad augurarci che non si ripetano più [ah ecco, alle associazioni rimproverate di limitarsi a chiacchierare, voi invece pianterello e scongiuri. Voi sì che pensate ai fatti], magari lanciando strali su un fantomatico uomo [quale fantomatico, qui si ammazzano davvero, oh!], dimenticando che quell’uomo ci assomiglia, o assomiglia ai nostri uomini, in maniera incredibile [ma assomiglierà a voi, forse, che ancora vi raccontate queste favolette assolutorie e che continuano a colpevolizzare tutto e tutti tranne la cultura patriarcale ancora vigente e le mentalità che produce. Voi non vi limitate a chiacchierare, no no, vi fate proprio portavoce di quella cultura, scambiando la causa con l’effetto. Certo, i femminicidi e la violenza di genere esistono perché ci siamo raccontati che la donna è uguale all’uomo e perché sempre più donne usano la seduzione come arma. Ancora complimenti per la profondità d’analisi, proprio quello che ci si aspetta da una redazione].

Per la cronaca, l’iniziativa a Galatina c’è stata ed è andata benissimo. No, loro non si limitano a chiacchierare.

O sei con me o sei contro di me – oppure dialoghiamo

444px-NAMA_Courtisane_&_client Quello della prostituzione è un argomento sempre vivo e sempre dibattuto sia nel web che sui media generalisti, anche se molto più (e meglio) nel primo che nei secondi. Ed è un bene che sia così, perché almeno significa che ancora in molti non lo considerano un fenomeno tranquillizzante, a cui fare l’abitudine. Rimane però il fatto che gran parte delle parole spese sul fenomeno della prostituzione sono del tutto inutili a fare qualche passo avanti verso una visione della prostituzione senza moralismi e luoghi comuni. Se c’è un argomento nel quale la retorica del “o con me o contro di me” fa male a tutti i partecipanti, è questo.

Lasciando stare vari* criptonazist*, fautori delle strade pulite e del decoro urbano, che ne scrivono non come qualcosa i cui attori sono esseri umani ma come una specie di malattia purulenta e fetente, da eliminare prima possibile dal corpo “sano” della società, rimane il fatto che gran parte del dibattito e delle discussioni accese dai commenti alle varie prese di posizione si polarizzano facilmente nella dualità “pro” e “contro” la prostituzione.

Io credo che dichiararsi pro o contro la prostituzione e basta non significhi assolutamente niente. Parole vuote, fuffa, aria fritta; innanzi tutto perché la parola “prostituzione” la si continua a usare tranquillamente come se il suo significato fosse unanimemente chiaro e accettato, e come se l’ordine di grandezza di questo fenomeno sociale fosse chiara a tutti. Basta prendere dei comuni esempi di ciò che normalmente viene chiamato prostituzione per capire che le cose non sono tanto facili.

Prostituzione si usa per indicare la vita di una ragazza nigeriana costretta a vivere sulla strada e a pagare un debito verso i suoi aguzzini, che in realtà è un inganno, perché l’hanno convinta che con il voodoo la sua famiglia d’origine andrà incontro a una brutta fine, se lei non paga. E loro non hanno alcuna intenzione di lasciarla esaurire il suo debito, mentre fa la bellissima vita della strada.

Prostituzione si usa per indicare una studentessa universitaria fuori sede che con la sua attività indipendente si paga la casa, la vita sociale e gli studi che vuole.

Prostituzione si usa per indicare un “ragazzo di vita”, che tanto piace a una stampa pruriginosa e a nostalgici intellettuali.

Prostituzione si usa per indicare l’attività economica sostanzialmente indispensabile a una persona in transizione per pagarsi burocrazia, medicine, esami, operazioni, dato che viene sistematicamente rifiutata da qualunque altro luogo di lavoro per il suo aspetto e le sue abitudini.

Prostituzione è anche quella minorile, è anche quella legata al turismo sessuale che parte da questo paese.

Casi ed esempi estremamente diversi, perché la parola “prostituzione” è troppo spesso usata solo come un facile contenitore per il proprio livore, o per indirizzare a un bersaglio facile un progetto politico, o per fare distinguo moralistici. Il fenomeno è sociale, e andrebbe affrontato a tutti i vari livelli nei quali si presenta: è facile capire che serve un’azione di supporto psicologico, di formazione delle forze dell’ordine, di contrasto all’economia sommersa legata alla prostituzione e alla tratta, di diffusione culturale di conoscenza del fenomeno, di organizzazione sociale per l’alto numero di persone coinvolte. Invece si leggono molto spesso volontà proibitive o legalizzanti come se la bacchetta magica del proibizionismo o della regolarizzazione potesse bastare in tutti i casi. E’ invece evidente che esprimersi a favore o contro una soluzione “univoca” serve solo a farsi facili amici, a raccogliere consensi poco pensati, e a non inquadrare il fenomeno della prostituzione nella sua vastità sociale e nelle sue ambiguità tanto fastidiose ai più – ma da affrontare lo stesso, anche se non piacciono.

Poi, rimanendo molti e diversi i fenomeni etichettati con quella parola, rimane da cercare una soluzione per la vita delle persone coinvolte. Sono d’accordo che ci sia da agire sulla “domanda” di prostituzione, sui clienti, sugli uomini che comandano, gestiscono e usano la prostituzione; che vendere e/o affittare il corpo sarebbe ovviamente una pratica da evitare/impedire se c’è sfruttamento, e che quindi c’è da lavorare sul concetto di autodeterminazione; però i cambiamenti culturali non hanno quasi mai i tempi giusti per agire sulle emergenze sociali. Vorrei leggere proposte su come salvare la ragazza nigeriana prima che intraprenda odissee sola in un paese straniero e venga braccata da chi la vuole morta; su come, e soprattutto perché, convincere la studentessa indipendente a rinunciare a una facile “bella vita” come la vuole lei; su come agire nella prostituzione maschile gay; su quali soluzioni alternative proporre a chi vede nella prostituzione l’unica possibilità di guadagnare i soldi necessari a diventare quello che si è – o semplicemente a pagare le bollette; su come bloccare l’adulto che compra il sesso di un bambino sfruttando la sua superiorità di classe economica, il suo potere. Sarebbe molto meglio che leggere bordate di critiche tra sostenitori e denigratori della regolarizzazione, tutti intenti a dimostrare il torto altrui senza raccontare con quale criterio sviluppare la propria soluzione al problema sociale, senza raccontare una soluzione articolata per tutto il problema “prostituzione”, senza l’umiltà e la lucidità di dire che stanno forse solo parlando di una piccola parte delle cose in gioco.

Io una soluzione non ce l’ho, so solo che non è possibile che ne basti una. Quindi cerco di capire meglio come stanno le cose, prima di sparare a zero sulle idee altrui. Magari, imparando a parlarne decentemente, cominceremo a fare qualcosa di utile per le persone che di questo fenomeno fanno la loro vita, più o meno volontariamente. Perché nel frattempo abbiamo i media generalisti come vampiri strombazzanti sui fatti di cronaca di cui non gl’importa sapere, in realtà, nulla di più di quello che basta ad alimentare le loro retoriche pruriginose. E allora dàje col concitismo dilagante, tutto tette che crescono, papà assenti e giocattoli abbandonati precocemente; dàje con la versione progressista a tutti i costi, che vede comunque una storia “ricca di sbalzi in avanti (il modo in cui le ragazze vivono se stesse)”; dàje con la filosofa che dice che manca tanto l’amore.

Luoghi, momenti e persone da ascoltare ce ne sono – ecco un esempio. Le associazioni ci sono, le esperienze da diffondere e imparare pure. Invece si preferisce giocare ai proibizionisti contro gli autodeterministi (nuova versione di guardie e ladri), si preferisce riempire di moralismo d’accatto ogni stream grande e piccolo; pur di non fare analisi serie, pur di non parlare di uomini, di clienti, dei padri che sono clienti e pure “gestori” del fenomeno, si arriva a credere a nuove forme di innatismo, senza distinguere tra colpa e responsabilità, senza distinguere tra morale ed etica.

Lavorare seriamente su questi argomenti costa personalmente molto: bisogna prima cosa, come sempre quando si parla di sessismo a vario titolo, guardarsi ben bene dentro ed essere disposti a riconoscere il proprio moralismo, i propri pregiudizi, i propri limiti. E dialogare onestamente con quelli, attraverso quelli, oltre quelli. Il personale è politico, ma agli imbrattacarte e ai guardiani della morale non gli andrà mai di accettare questo dialogo – prima di tutto con se stessi.

Perché il femminismo fa male agli uomini

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Pubblichiamo la traduzione di questo articolo, “How feminism hurts men”, di Micah J. Murray. La traduzione è di Luciana Franchini, che ringraziamo: la responsabilità di tutto è mia, ovviamente.

 

Ieri qualcuno su Facebook mi ha detto che il femminismo glorifica le donne a scapito degli uomini, che il suo obiettivo di validare le donne castra noi maschi.

Ha ragione.

L’ascesa del femminismo ci ha relegati a uno status di second’ordine. L’ineguaglianza e la discriminazione sono diventate parte della nostra vita quotidiana.

A causa del femminismo gli uomini non possono più camminare per strada senza la paura di essere fischiati, molestati, addirittura aggrediti sessualmente dalle donne. Se viene aggredito, l’uomo viene anche incolpato: per com’era vestito, “se l’è cercata”.

A causa del femminismo non ci sono più conferenze cristiane importanti su come comportarsi da uomini, e dove migliaia di uomini possano celebrare la propria virilità e Gesù (e magari farsi qualche risata con gli stereotipi sulle donne).

A causa del femminismo le convention religiose sono spesso dominate da donne. Gli uomini vengono incoraggiati a limitarsi a badare ai bambini o alla cucina. A volte agli uomini viene persino detto di stare zitti in chiesa.

A causa del femminismo le donne guadagnano più degli uomini a parità di lavoro.

A causa del femminismo è ormai difficile trovare un film con un eroe maschile. La maggior parte dei film da cassetta parla di una donna coraggiosa che salva il mondo e ottiene un uomo oggetto come trofeo per le sue vittorie.

A causa del femminismo gli sport femminili sono un business enormemente fruttifero in cui esse vengono idolatrate su scala mondiale. Gli uomini compaiono solo di sfuggita, di solito prima degli stacchi pubblicitari in cui vengono oggettificati per il loro corpo.

A causa del femminismo tutti i contraccettivi sono gratuiti per le donne senza che debbano aprire bocca, mentre gli uomini devono lottare affinché le loro compagnie assicurative paghino per le ricette del Viagra. E se gli uomini tentano di ribellarsi, i leader della destra “vicina ai valori familiari” li chiamano porci o puttani.

A causa del femminismo il corpo maschile è costantemente sotto esame. Se un uomo appare in topless in TV, scoppia un caso nazionale che finisce con multe enormi e boicottaggi. Le blogger scrivono regolarmente di come si debba essere più attenti alle nostre scelte nell’abbigliamento, poiché potrebbero indurre le donne a peccare. La satira afferma che i pantaloncini “non sono veri pantaloni” e che gli uomini dovrebbero coprirsi, perché “nessuno vuole vedere una cosa del genere”.

A causa del femminismo gli uomini non sono rappresentati alla Casa Bianca, e le donne hanno oltre l’80% dei seggi al Congresso. Quando un uomo si candida per una carica, il suo aspetto fisico e il suo abbigliamento sono oggetto di discussione quasi quanto le sue idee politiche.

A causa del femminismo gli uomini devono combattere per avere voce nella sfera pubblica. Nelle questioni di teologia, politica, scienza e filosofia la prospettiva femminile è spesso considerata quella di default, normale e oggettiva. Le prospettive maschili vengono scartate perché troppo soggettive o emotive. Se ci ribelliamo, spesso veniamo bollati come arrabbiati, ribelli, sovversivi o pericolosi.

Ma siate forti, fratelli.

Un giorno saremo tutti uguali.

Qualsiasi cosa facciate, non leggete Jesus Feminist. È pieno di idee che continueranno a opprimere e danneggiare gli uomini – idee come “anche le donne sono persone” e “la dignità e i diritti delle donne sono importanti quanto quelli degli uomini”.

 

 

Deconstructing l’ideologia totalitaria

donna_comunista2Il pezzo di cui parleremo oggi è vecchio di due anni, ma il vizio di parlare in maniera distorta e poco chiara delle “teorie” che ci sono avverse è molto diffuso e sempre attuale – ed è molto istruttivo vederlo all’opera. Quindi vi prego di prendere questo “deconstructing” come una sorta di esempio di un uso distorto della categoria di ideologia per mettere in cattiva luce quello che si pensa essere il discorso altrui – facendo in modo che non si parli della propria, di ideologia. Questo continua ad accadere.

Che la Gender Theory possa essere piena di sfaccettature diverse mi pare ovvio, e per fortuna che è così. Ovvio come il fatto che deve ancora fare molta strada prima di affermarsi come un “normale” oggetto di studio come tante altre teorie, nell’università, nella scuola, nei media e nell’opinione pubblica. Rimane il fatto che per ora, in giro si leggono molte sciocchezze sugli studi di genere. Tra queste si distinguono le parole come quelle di Tony Anatrella (non è uno pseudonimo, è proprio il suo nome e guardate un po’ che curriculum), che dalla Francia si sente di rispondere a questa escalation (?) di presenza della Gender Theory. Il pezzo del nostro Tony è dunque qui a chiarire cos’è una ideologia totalitaria. Parliamone.

La provocazione [attenzione attenzione: l’Avvenire provoca. Tutti abbiamo bisogno di clic, eh?]

E dopo Marx venne il «gender» [e già questo è un titolo da manuale]

[Avvertenza: dovete arrivare in fondo a questo primo paragrafo senza ridere. Capito? Se ridete, dovete ricominciare. Non barate: io non vi vedo, ma l’ideologia totalitaria sì.]
La teoria del genere è la nuova ideologia alla quale fanno chiaramente riferimento l’Onu e le sue varie agenzie, in particolare l’Oms, l’Unesco e la Commissione su Popolazione e Sviluppo. [L’attacco di un articolo è fondamentale. Notate come in trenta parole si sia dipinto un mondo di complotto e fantasia degno di saghe nordiche e fantascienze. La Gender Theory (da adesso uso la sigla GT) è una ideologia – parola che ormai ha solo connotati negativi, grazie al berlusconismoed è chiaramente il panorama teorico al quale fanno riferimento grandi organizzazioni internazionali potenti e irraggiungibilile eterne colpevoli di tutto da quando c’è M5S.] Essa è inoltre diventata il quadro di pensiero della Commissione di Bruxelles, del Parlamento europeo e dei vari Paesi membri dell’Unione Europea, ispirando i legislatori di quei Paesi che creano numerosissime leggi concernenti la ridefinizione della coppia, del matrimonio, della filiazione e dei rapporti tra uomini e donne segnatamente in nome del concetto di parità e degli orientamenti sessuali. [La GT ispira i legislatori che fanno numerosissime leggi: manco Vladimir Luxuria si permette dei sogni così erotici. E tutto questo male oscuro lo fanno in nome del concetto di parità e degli orientamenti sessuali – che orrore, eh? Non son cose da farci leggi, queste, vanno lasciate al ghetto, al rifiuto, all’esclusione, al non-visto, no?]

Essa succede all’ideologia marxista [succede, viene proprio dopo, in mezzo non c’è nient’altro, chiaro?], ed è al contempo più oppressiva e più perniciosa [e te pareva] poiché si presenta all’insegna della liberazione soggettiva da costrizioni ingiuste [come il marxismo e tutte le religioni], del riconoscimento della libertà di ciascuno [come il marxismo e tutte le religioni] e dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge [come il marxismo e tutte le religioni – adesso che ci penso, anche il mio essere romanista è ispirato a questi valori]. Tutti valori sui quali sarebbe difficile esprimere un disaccordo [appunto]. A questo punto si rende necessario sapere se quei termini rivestano lo stesso significato che già conosciamo o se non servano, invece, a mascherare una concezione diversa che sta per essere imposta alla popolazione senza che i cittadini siano consapevoli di ciò che rappresenta [capito il complotto? Le grandi organizzazioni internazionali mascherano i loro sordidi scopi con parole e concetti che è impossibile rifiutare. Tipo il Vaticano, insomma. Ops].

Che cosa dice la teoria del genere? Questa ideologia pretende che il sesso biologico vada dissociato dalla sua dimensione culturale [non lo pretende, perché è così], ossia dall’identità di genere, che si declina al maschile o al femminile e persino in un genere neutro [?] nel quale si fa rientrare ogni sorta di orientamento sessuale [allora non è un genere neutro, scusi eh], al fine di meglio affermare l’uguaglianza tra gli uomini e le donne [perché, non è così?] e di promuovere le diverse “identità” sessuali [promuovere? La GT non deve mica vendere niente, eh, tipo promesse dell’aldilà o perdono per ogni peccato, tanto per fare esempi. Si tratta di constatare finalmente quello che è successo da sempre]. Dunque il genere maschile o femminile non si iscriverebbe più nella continuità del sesso biologico poiché essa [essa chi? Fate vobis] non gli è intrinseca, ma sarebbe semplicemente la conseguenza di una costruzione culturale e sociale [e come potrebbe essere intrinseca? Intrinseca vorrebbe dire innata? Ancora con l’innatismo? C’abbiamo il gene dell’identità di genere? Allora, secondo Anatrella, l’omosessualità è una malattia genetica. Interessante. Ne sanno una più del diavolo – ma dopotutto l’hanno inventato loro].

In nome della bisessualità psichica, si sostiene che l’uomo e la donna hanno ciascuno una parte maschile e una femminile: il sesso biologico dunque non obbliga, né quanto allo sviluppo psicologico né per l’organizzazione della vita sociale [mi permetterei solo di dire che è un pochino più complesso di così. Ma giusto un pochino]. Al sesso maschile e a quello femminile si privilegia l’asessualità o l’unisessualità [perché si privilegia? Chi ha detto – se non tu, Anatrella – che la GT mette qualcosa avanti ad altre cose? Non mi risulta da nessuna parte che la GT dica che ci siano orientamenti sessuali “migliori” di altri]. Così un politico donna, allieva di Simone de Beauvoir, afferma che “i mestieri non hanno sesso” [e non è vero? Quali sono i mestieri che ce l’hanno? Perché non fa un esempio?], mentre altri, favorevoli all’organizzazione sociale degli orientamenti sessuali [che cosa vuol dire questa frase? Perché dare per scontato che tutti ne capiscano il senso, se ne ha uno? Cos’è l’organizzazione sociale degli orientamenti sessuali?], sostengono che “l’amore” non dipende dall’attrazione tra l’uomo e la donna poiché esistono altre forme di attrazioni sentimentali e sessuali [invece lei, Anatrella, sa da cosa dipende “l’amore”? E perché tra virgolette, cosa voleva dire? E dov’è scritto che l’esistenza di altre forme di attrazioni sentimentali e sessuali neghi l’esistenza di quella tra l’uomo e la donna (eterosessuali, immagino)?  Anatrella, perché non mette un link, un riferimento, un nome, un titolo?].

Tali sofismi appaiono evidenti [che siano tali lo dice solo lei, e se lo fa “senza addurre motivazioni plausibili” (cit.), allora il sofisma è il suo, Anatrella caro] e sono ripresi con facilità dai media che apprezzano il pensiero ridotto a cliché [uh, guardi, è tutto un parlare di GT sui media, sì sì]. Tutto viene messo sullo stesso piano: le singolarità sessuali marginali – che sono sempre esistite – devono essere riconosciute allo stesso titolo della condizione comune e generale dell’attrazione tra uomo e donna [ah no? Allora devono morì, solo perché sono quantitativamente non rilevanti, sempre secondo i suoi criteri? Interessante. C’è stato un lungo periodo nel quale i cristiani erano singolarità marginali, e contro di loro si diceva più o meno quello che dice lei adesso. C’ha fatto caso?]. Non è tollerato alcun discernimento, la psicologia maschile si confonde con quella femminile e si attribuiscono le stesse caratteristiche a tutte le forme di attrazione sentimentale mentre dal punto di vista psicologico non sono in gioco le stesse strutture psichiche [notate: tre riferimenti alla psicologia senza definire niente, senza riferirsi a nulla, senza sostanziare con qualche dato le proprie asserzioni. Tutto l’articolo è costruito così, per scienza infusa di Anatrella. Il metodo della Bibbia, insomma: io dico che è così, e basta].

In altre parole, la società non deve più organizzarsi attorno alla differenza sessuale [non ci provare Anatrella, il problema è che un genere opprime gli altri, non quanti ce ne sono], ma deve riconoscere tutti gli orientamenti sessuali come altrettante possibilità di dare diritto alla plurisessualità degli esseri umani che nel corso dei secoli è stata limitata dall’“eterosessismo” [aridàje: non è stata limitata, è stata oppressa. I non eterosessuali “normali” sono stati perseguitati sempre e ovunque]. Bisogna dunque denunciare questa ingiustizia e decostruire tutte le categorie che ci hanno portato a tale oppressione [oppressione lo devi dire all’inizio, non alla fine, che fai, ce provi?].

L’uomo e la donna non esistono [EH?], è l’essere umano a dover essere riconosciuto prima ancora della sua particolarità nel corpo sessuato [prima dove, scusi? E soprattutto quando? Una volta nato il sesso ce l’ho, i problemi vengono dopo. O è la nota tattica cattolica di far nascere i problemi dove l’uomo non può arrivare, così ci pensa diopadre? E adesso i sofismi chi li fa, Anatrella?]. Sarebbe troppo lungo descrivere le diverse origini di questa corrente di idee partita innanzitutto dai medici che seguono casi di transessualismo, dagli psicanalisti culturalisti americani e dai linguisti che hanno studiato il linguaggio (gender studies) per farne emergere le discriminazioni nei confronti del genere femminile e degli stati intersessuati, per esempio per la concordanza del plurale in cui il maschile prevale sul femminile [e certo, è tutto lì: i medici che seguono casi di transessualismo alla fine si occupano di morfologia]. Fu riciclata [uh, vedi, è ecologica] da sociologi canadesi e ripensata in Francia da diversi filosofi prima di essere recuperata [sempre dalla stessa discarica], nuovamente negli Stati Uniti, dai movimenti lesbici alle origini del femminismo intransigente [il femminismo intransigente, mica quello di certe mollaccione] e ripresa poi dai movimenti omosessuali. La teoria del Genere [che adesso ha la maiuscola, prima no] tornò in Europa così trasformata [quante cose con una bottiglia di plastica, eh?]. In realtà si tratta di una sistemazione concettuale che non ha nulla a che vedere con la scienza: è a malapena un’opinione [mica come le teorie morali del cattolicesimo eh, mica come la religione. Quelle mica sono opinioni, è la parola di diopadre, oh. Il prete che difende la scienza è sempre fonte di stupore, che in primo luogo dovrebbe prendere se stesso, ma lasciam perdere].

Questo diventa inquietante nella misura in cui la maggior parte dei responsabili politici finisce per aderirvi senza conoscerne i fondamenti e le critiche che sono autoevidenti [ah, ecco. Contro il Vaticano, il cattolicesimo e le loro assurdità morali e bassezze immorali non bastano le prove schiaccianti, mentre le critiche alla GT sono autoevidenti. Complimenti]. I rapporti tra uomini e donne vengono presentati attraverso le categorie di dominante/dominato, della società patriarcale e dell’onniviolenza dell’uomo di cui la donna deve imparare a diffidare [mamma mia che assurdità, eh? Sono cose proprio campate in aria, se lo dice uno che ha la divisa di quelli che facevano bruciare le streghe, nutrendo la cultura della “donna diabolica tentatrice dell’uomo”, responsabile di tutto ciò che è irrazionale].

Da moltissimo tempo non siamo più in una società patriarcale [no no, non vi preoccupate, è un’impressione che esista il patriarcato, è finito secoli fa, certo, come la storia della Terra che era piatta – ops] ma, come sostiene la Chiesa, dobbiamo continuare a incamminarci verso una società fondata sulla coppia formata da un uomo e una donna impegnati pubblicamente in un’alleanza [alleanza i cui termini attualmente sono: io comando e tu servi, come ben teorizzato da Costanza Miriano, per esempio], segno che devono svilupparsi in questa autenticità. Da parecchi anni questa teoria [quale? Ma possiamo ripetere il soggetto, ogni tanto? O è roba alla Joyce?] viene insegnata in Francia all’università e, a partire dall’anno scolastico 2011-2012, sarà insegnata anche al liceo nei programmi di Scienze della vita e della terra delle classi prime. In nome di quali principi il Ministero dell’Educazione nazionale ha preso questa decisione e in seguito a quale forma di consultazione? [Perché, dovevano chiedere il permesso a te? Alla Chiesa?]

Non lo sa nessuno [in realtà c’è il sito del ministero francese, ovviamente, dove si possono leggere le intenzioni della riforma scolastica e capire la realtà e non la fantascienza di Anatrella]. Succede sempre così con le ideologie totalitarie, e ora con la teoria del genere [capito? La GT fa parte delle ideologia totalitarie come il nazismo, lo stalinismo, il fascismo, la dittatura di Dionigi di Siracusa]. Viene imposta ai cittadini senza che questi se ne rendano conto [sì, vi sta dicendo che siete una massa di deficienti] e si accorgano che decisioni legislative vengono prese in nome di quest’ideologia senza che, a quanto pare, sia esplicitamente spiegato [come la religione insomma; ve l’hanno spiegato perché vi battezzano? Perché da bambini fate comunione e cresima? Queste non sono cose imposte ai cittadini senza che questi se ne rendano conto? No?]. Ciò è particolarmente significativo in una parità contabile tra uomini e donne – che non significa uguaglianza -, nel matrimonio tra persone dello stesso sesso con l’adozione di bambini in tale contesto [e te pareva che non veniva fuori il fantasma della coppia gay che alleva un bambino], e nelle misure repressive che accompagnano questa corrente di idee [avete letto bene, misure repressive, tipo che ne so: l’Inquisizione, l’Indice dei libri proibiti, cose così ] che, in nome della non-discriminazione, non può essere rimessa in discussione o in Francia si rischia si essere sanzionati giudizialmente (legge sull’omofobia) [che schifo, Anatrella, che bassezza. Né in Francia né in Italia la legge punisce l’opinione, bensì la violenza, e uno “scienziato” come lei dovrebbe vergognarsi di questi mezzucci. Fa quasi pena – ma giusto per un istante].

Ma questo vale anche per altri Paesi: è il caso della Germania, dove genitori che hanno rifiutato che i figli partecipassero a lezioni di educazione sessuale ispirate alla teoria del genere sono stati condannati a quarantacinque giorni di detenzione senza condizionale (febbraio 2011). Il falso valore della non-discriminazione impedisce di pensare, valutare, discernere ed esprimere, così come quello della trasparenza che spesso è estranea alla ricerca della verità. [Questa è la notizia, e neanche un sito schierato come Zenit ammette che la Germania ha programmi scolastici con lezioni di educazione sessuale ispirate alla teoria del genere. E’ un’altra deduzione di Anatrella. Qui una lettura un poco più completa della vicenda.]

Quanto all’egualitarismo che si allontana dal senso dell’uguaglianza, esso lascia intendere che tutte le situazioni si equivalgono [ma di cosa si parla adesso? La GT, pur nelle sue diverse sfaccettature, non dice niente del tipo tutte le situazioni si equivalgono, ma casomai che ne va riconosciuta l’esistenza], mentre se le persone sono effettivamente uguali in dignità, la loro scelta, il loro stile di vita e la loro situazione non hanno oggettivamente lo stesso valore [Certo. Quello che dice la morale cattolica ha oggettivamente un valore superiore, vero?]. Non c’è nulla di discriminatorio nel sottolineare che solo un uomo e una donna formano una coppia [e invece sì], si sposano [e invece sì], vivono insieme [e invece sì], adottano e educano dei bambini nell’interesse del bene comune e in quello del figlio [e invece sì; sono tutte discriminazioni perché di quelle capacità si sono dimostrate piene coppie di ogni tipo, e pure i singoli]. Sono più capaci di esprimere l’alterità sessuale [che è un valore relativo a una cultura, non è assoluto], la coppia generazionale [che è un valore relativo a una cultura, non è assoluto] e la famiglia [che è un valore relativo a una cultura, non è assoluto], cellula base della società [che è un valore relativo a una cultura, non è assoluto].

La ricetta è chiara: complottismo, affermazioni non comprovate, giochi di parole, “voi non ve ne rendete conto (ma io sì)”, ed ecco come ti costruisco una ideologia totalitaria. Tra l’altro, pure lo stesso ministro francese è stato chiaro, successivamente: le cose non stanno così, in gioco non c’è la GT, ma l’insegnare a essere contro tutte le discriminazioni. Chiudiamo con una edificante testimonianza, da chi ha avuto modo di conoscerlo, su chi sia Tony Anatrella “sacerdote e psicanalista”. Tanto per chiarire cos’è una ideologia totalitaria, e che conseguenze potrebbe avere nella vita di qualche malcapitato.

Deconstructing il sogno e l’incubo

Spellbound_piccolaLa violenza che hanno fatto a una ragazza di Modena la sapete già. E sapete già, immagino, delle deliranti parole con cui Concita De Gregorio ha voluto commentare a suo modo, dimostrando che in fatto di sessismo l’ignoranza in questo paese è enorme, e tocca anche quelle persone che per estrazione sociale, formazione politica e professione dovrebbero almeno sapere di cosa si sta parlando, e dovrebbero almeno sapere come se ne deve parlare. Invece, come si può leggere nell’ottimo “deconstructing” di Lalla, De Gregorio non fa che collezionare luoghi comuni e stereotipi sessisti. Ricordo a tutti che sì, si chiama sessismo anche il descrivere uomini e donne in base agli stereotipi di genere e ai relativi pregiudizi; soprattutto quelli legati a una “moralità” mai ben precisata – ma sempre custodita da chi scrive, guarda caso – che è solo il rifugio nostalgico (e falso) di chi non ha i mezzi per o non vuole spiegarsi un presente che non gli aggradaNon sto mettendo a paragone e sullo stesso piano il linguaggio, per esempio, di un Massimo Fini con quello di Concita De Gregorio o quello di Mauro Covacich che stiamo per leggere, ma è necessario riconoscere che il sessismo non è fatto solo di violenze fisiche e insulti. Parliamo di un sistema culturale basato su un potere politico, e il condiscendente moralismo – per quanto indiretto o fatto “all’insaputa” di chi scrive, fa parte di quel sistema, perpetua quella violenza e quei pregiudizi. Quindi per me è sessismo anche quello espresso da Mauro Covacich in questo articolo. Seguiamo le sue parole.

Sembrava un sogno

Negli ultimi decenni abbiamo speso ogni nostra energia per allontanare la morale dal sesso, ora guardiamo atterriti il risultato ottenuto. [Scusi Covacich, tanto per cominciare: “noi” chi? Io non ho speso nessuna energia per fare quello che dice, credo, e ne conosco a mucchi di persone che non l’hanno fatto. Poi: che vuol dire allontanare la morale dal sesso? Non è che lei è una di quelle persone che confonde l’etica con la morale? No, perché ci sono arrivati anche su Yahoo Answers a capire la differenza. Andiamo avanti e vediamo.] I ragazzi e le ragazze della festa di Modena dove una ragazza di 16 anni è stata violentata da suoi quasi coetanei, sono i nipoti della generazione che si è battuta per la liberazione del corpo [ah, c’è stata una generazione che si è battuta per la liberazione del corpo? Beh, deve averlo fatto molto male, altrimenti non si spiegano tutti questi stupri, ancora. O forse lei che scrive non ha idea di cosa voglia dire, liberazione del corpo?] e sono i figli della generazione che combatte ogni giorno contro un crimine che i giornali chiamano femminicidio [c’è una generazione che combatte ogni giorno il femminicidio? Covacich, la prego, ce la descriva, ce ne racconti qualcosa: io mi occupo di sessismo da anni ma non la vedo, dov’è? Chi sono?]: con ciò proporrei di escludere il deficit culturale dalla nostra discussione. [Ecco, l’unica cosa importante per comprendere tutti i fenomeni di violenza di genere, com’è ormai noto da anni, è il deficit culturale. E lui, sognando generazioni di antisessisti e di evoluti uomini ed emancipate donne, la esclude. Complimenti. Direi che la confusione tra morale ed etica mi pare il minimo, qui. E s’incomincia anche a capire chi è che sogna.]

A mancare non è la cosiddetta trasmissione di valori. [Infatti: se anche fossero valori ciò di cui stiamo parlando, quelli che mancano sono proprio loro, non la trasmissione.] Forse è accaduto qualcos’altro, qualcosa che unisce gli adolescenti ignoranti e quelli istruiti, i disinformati e quelli consapevoli, i borgatari e i rampolli dei quartieri alti. [Se non avessi escluso a priori il deficit culturale, Covacich, avresti già la risposta. Invece adesso ci delizierai con una serie di stereotipi sessisti.] Innanzitutto l’esaltazione di una sessualità libera e senza pudore come primo elemento di affermazione sociale, per non dire di civiltà. [EH? Ma quale sarebbe la sessualità libera di cui parla? Quello che viene comunemente esaltato è roba alla Antonio Ricci, oppure pornografia commerciale più o meno soft – frutto del patriarcato più becero. Dove sarebbe la sessualità libera? E cosa c’entra il pudore, noto strumento di coercizione psicologica per un intero genere?] Dopo duemila anni di oscurantismo cattolico, [Come dopo? Perché, è finito?] l’occidente ha spianato le pieghe che nascondevano il piacere [MAGARA (i non romani cerchino qui questa parola). L’unica cosa che l’occidente ha spianato è la rappresentazione scientifica e maschilista della meccanica sessuale, in molte varianti. Del piacere non se ne vede traccia, è ancora un grosso tabù. Parliamo di squirting, per esempio, e vediamo se l’oscurantismo funziona ancora o no]. L’educazione sessuale ha dissolto il mistero dell’eros a favore di una concezione sempre più fisiologica e naturista. [COSA? L’educazione sessuale? Ma quale, ma dove? Ma se ancora siamo agli albori di una lotta per averla nelle scuole italiane, dove servirebbe in dosi massicce, ma di cosa stiamo parlando? Quale educazione sessuale, dove l’ha vista? E perché, se anche ci fosse, dovrebbe predicare il mistero dell’eros e non parlare di fisiologia? Oppure sta parlando di quella pornografia commerciale come di una educazione? E non sarebbe il caso di parlarne più approfonditamente, dato che esiste praticamente da sempre? Ma quante cose assume come date per scontate, Covacich, e invece sono solo suoi pregiudizi sessisti?] Le riviste e i media hanno lavorato, da un canto, sull’aspetto salutare del sesso, e dall’altro, sull’aspetto estetico-sociale: fare sesso è diventato “cool”. [E’ diventato? E quando era passato di moda, mi scusi? Non mi pare di ricordare secoli caratterizzati da una scarsa voglia di fare sesso da parte della maggioranza della società. Il problema è che con l’espressione fare sesso si denomina tranquillamente l’espressione di un rapporto di potere del genere maschile su quello femminile, altro che educazione sessuale.]

A questo bombardamento comunicativo diciamo acritico, [e diciamolo, tanto stiamo dicendo la qualunque] di una pratica sessuale al di là del bene e del male, [e dàgli a mescolare concetti morali a cose che morali non sono, si chiama moralismo Covacich, vogliamo smettere?] si è aggiunta la più grande trasformazione dei canali di conoscenza dagli albori dell’umanità, ovvero internet. [NO. Per favore, no. Non ci credo che comincia la solfa che “la colpa è di Internet”.] La rete ha conclamato una società del godimento immediato. [Eh già, che prima della rete quella società non era conclamata abbastanza. Chissà cosa si diceva degli anni ’60 in USA, oppure dei nostri anni ’80.] Qualsiasi cosa io voglia, la compro subito e domani il fattorino suonerà alla mia porta. Non c’è attesa, abbiamo saturato la casella vuota che permette al desiderio di circolare. [Oddìo no, l’elogio della lentezza vent’anni dopo Kundera – che già lo riprendeva da Vivant Denon, 1777 – ma basta con questi luoghi comuni! Il desiderio è anch’esso un costrutto culturale che andrebbe analizzato seriamente, ma ops! Il deficit culturale non c’entra niente, l’abbiamo escluso all’inizio. Che colpo di genio.] Questo vale per l’ultimo gioco della playstation come per un sito di incontri. Cerco uno o una che abbia voglia di farlo ora, possibilmente nel mio quartiere, e mi placo. [Quella si chiama “vòja de scopà” Covacich, e c’era da prima di Internet, te lo posso testimoniare. Quello che non c’era e non c’è ancora è la famosa educazione sessuale.] Il desiderio declassato, secolarizzato a piacere d’organo. [Lo si è sempre fatto Covacich, è una pratica normalizzante istituita da poteri politici per sedare eventuali forze rivoluzionarie. Ha mai riflettuto sul fatto che anche la masturbazione è un tabù? E mai potrà farlo, se il deficit culturale secondo lei non c’azzecca niente con la violenza di genere.]

C’è poi, non ultima, la particolare angoscia di essere un adolescente oggi, quando ti basta un click per vedere tutte le posizioni del kamasutra realizzate da copulatori veri, un click per sapere tutto in teoria, ancora prima di aver dato il primo bacio. [Sapere? Quello al massimo è vedere, e comunque: allora il deficit culturale adesso centra? O non lo è, questo?] Un mondo che ti spinge a buttarti subito, adesso, nella mischia, senza che tu abbia avuto neanche il tempo di capire se ne hai voglia, senza concederti quel lento, prezioso, maldestro apprendistato di cui anche noi, disinibiti e disinibite quarantenni, abbiamo beneficiato. [E’ sempre stato così, Covacich, i mezzi tecnologici non c’entrano. E poi non tutti hanno beneficiato del lento apprendistato anche se non c’era Internet, e nemmeno tutti sono disinibiti e disinibite quarantenni adesso che c’è. Ma non sarà scorretto fare del caso personale la regola generale? Ma davvero lei si sente tanto rappresentativo di una generazione, Covacich? Pensa proprio di essere una persona tanto qualunque?] Ora la velocità detta legge, si passa in un attimo da una stagione di piselli e patatine a una dove ci si ammucchia in tutti i modi possibili. [Di nuovo, Covacich: dove ci si ammucchia, anche minorenni, c’è sempre stato. Non è questo a essere diverso, a essere cambiato con il tempo.] Feste dove, invece di affrontare esitanti il gioco della bottiglia, [ancora questa visione nostalgica? Riporto pari pari un commento su Facebook, di Luce Lu: “ricorda con rammarico i tempi il gioco della bottiglia per scambiarsi un bacio! Che ne sa lui degli uomini di ogni età che ai tempi del gioco della bottiglia ti palpavano sull’autobus, si tiravano fuori il pisello dai pantaloni in mezzo alla strada, ti sussurravano ogni tipo di sconcezze e ti facevano sentire pure in colpa a te, povera ragazzina che portavi ancora i calzini?” La nostalgia dei bei tempi in cui il sesso era bello è anch’essa sessismo, Covacich, perché quei bei tempi sono uno stereotipo sessista.] ci si scambia buchi e protuberanze in figurazioni che ricordano Bosch e il marchese de Sade [Bosch, autore di una delle opere più complesse della storia dell’arte, passato per pornografo; come De Sade, un altro esempio scelto malissimo – rileggersi, prego, “L’oltre erotico” di Octavio Paz. Anche con le citazioni andiamo male Covacich, vogliamo riparlare di questo deficit culturale o no?]. Va detto che la condivisione coatta di questo immaginario [quello di Bosch e di De Sade?] comporta, nella sua vulgata mainstream, il solito squallido assoggettamento del corpo femminile. [E mica solo lì, la vulgata mainstream è cominciata da quando esiste l’Occidente. E’ incredibile come Covacich riesca a scrivere questa frase senza accorgersi di cosa vuol dire. Eppure la parola coatta la usa lui.] Ma bisogna anche aggiungere che i ragazzi e le ragazze sono complici inconsapevoli [i complici inconsapevoli sono come la lucida follia che si cita nei casi di femminicidio: un ossimoro che fa tanto colpo e permette di nascondere l’assenza di analisi e l’ignoranza sull’argomento] di questo assoggettamento (come dimostra l’indifferenza unisex dei presenti alla fatidica festa modenese). [Il solito scambio della causa con l’effetto: è l’indifferenza unisex dovuta (anche) a una spaventosa mancanza di educazione sessuale a portare a certi comportamenti, indifferenza già esistente nell’ambiente culturale nel quale si è cresciuti – ma Covacich ha deciso di escludere il deficit culturale, e allora…]

Una volta disgiunto il sesso dal desiderio – e dalla seduzione – [una cosa successa solo dal 1989 in avanti, da quando esiste il web, no?] la palestra pornografica impone i suoi kata maschilisti, a cui tutti questi nuovi amanti muscolari, senza distinzioni di genere, si applicano diligentemente [sì, ok, hai visto “Eyes Wide Shut”. Ma prima, invece? Negli anni ’50 per esempio, era tutto un fiorire di desiderio e seduzione uniti a un sesso felice, come no, è per questo che sono ricordati come gli anni dell’orgasmo libero, della felicità sessuale di uomini e donne, ah, che bei tempi!]. Ripeto, basta un click e vedi quattro cinque uomini che spargono il proprio seme sul corpo di una donna fiera e sorridente. Un click e vedi ragazzine che si sfidano in una gara di fellatio a una festa di compleanno, secondo un uso drammaticamente frainteso del concetto di emancipazione. [No, non è drammaticamente frainteso, perché se dici così dai la colpa alle ragazzine. Invece continuo a pensare che la colpa sia di chi ha il potere nei rapporti di genere, e non mi pare siano le ragazzine.] Ragazzine indotte a credere [aspetta, come dici? Indotte a credere, sembrerebbe un problema culturale, ma no, lo abbiamo escluso no?] che – ora che non è più peccato, ora che siamo tutti uguali [ma chi?] – devono affannarsi ad aggiungere sempre nuove tacche sulla pistola. Ovviamente “parità di diritti” significa un’altra cosa, ma è come se anche questa espressione fosse stata superata da un salto di livello. [Superata o non capita? Superata o malamente divulgata? Superata o mai correttamente insegnata? Ah, già, dimentico sempre che non è un problema culturale, per Covacich.]

Per fortuna questa volta una ragazza ha capito di essere stata stuprata. Ma molte altre al posto suo penseranno che funziona così. Quasi nessuno sa sottrarsi al ritmo scandito dall’epoca. Violenze e abusi, esattamente come la solidarietà mancata o la condanna degli amici stupratori, appartengono a un mondo dove valeva ancora il giudizio morale. [NO, apprtengono al mondo in cui le cose si chiamano con il loro nome e si insegna a distinguerle: sessismo, maschilismo, violenza, stupro, questioni di genere. La morale non c’entra niente, casomai c’entra l’etica. Sarebbe ora che soprattutto chi si laurea in filosofia e scrive libri se ne ricordasse.] Qui siamo entrati nella dimensione oltreumana annunciata da Nietzsche: la trasvalutazione di tutti i valori, [e poteva mancare una citazione a vanvera del povero Federico? Eppure basta Wikipedia per capire che quella trasvalutazione la stiamo ancora aspettando, e i cattomoralismi trionfano ancora] a dispetto del giusto e dell’ingiusto (e delle solite trincee di maschi contro femmine). Sembrava un sogno, invece è un incubo.

Per quel che mi riguarda, l’incubo sono gli intellettuali completamente ignoranti riguardo questioni di genere che si lasciano andare a sproloqui nostalgici senza alcun senso,  pronti e prodotti a sopire le coscienze. Non a caso Covacich vende migliaia di copie.

Deconstructing lo yin e lo yang

YIN E YANG LOGO webLa notizia non è molto recente, ma l’ho trovata solo adesso seguendo altri link che stavo leggendo. Ed è stata una sorpresa davvero piacevole constatare di come ormai si provi in tutti i modi a giustificare il proprio sessismo: stavolta si tirano in ballo le filosofie orientali.

Dunque, andiamo per ordine: questa notizia racconta di come una squadra di basket femminile che conquista il diritto a disputare il campionato di A3 si vede costretta, diciamo così, a fare del proprio corpo un veicolo di marketing per la squadra stessa, seguendo il diktat del suo presidente, Alberto Fustinoni.

Alla fine le ragazze del Lussana Basket di Bergamo hanno abbassato il capo. Se vogliono giocare il campionato di Serie A3, conquistato sul campo nella scorsa stagione, dovranno accettare di indossare le nuove divise ideate dal loro presidente, Alberto Fustinoni: canotta stretta, gonnellino e leggins per dare più femminilità a uno sport da “maschiacci” [calmi, questo è solo l’inizio. Si poteva dire con altre parole, ma in effetti questa è una parafrasi di parole di Fustinoni]. Tuttavia il nuovo abbigliamento non è piaciuto [e te credo] e la scorsa settimana le giocatrici avevano protestato contro la nuova tenuta minacciando di scioperare. Di fronte alla minaccia di ritirare la squadra dalla competizione però si sono adeguate: “Ci siamo guadagnate la promozione in A3 e vogliamo giocare”, dice Valentina Pizzi, 20 anni, una delle ‘dissidenti’ [questa ragazza non si fa manipolare ma il potere – cioè il diritto di giocare il campionato per il quale la ragazza ha sudato un anno intero – ce lo ha il maschione presidente. Quindi a lei rimane il ‘dissidente’ tra virgolette e viene sfruttata, fine].

La scorsa settimana Fustinoni ha presentato al team le divise realizzate con una nota ditta di abbigliamento sportivo di Crespellano, in provincia di Bologna. Ci ha lavorato per mesi con l’intenzione di “rivoluzionare” l’immagine della pallacanestro femminile [hai capito che ideali, Fustinoni, c’avevamo il De Coubertin antisessista e non lo sapevamo], sport che ha solo settemila iscritte nelle squadre giovanili e attrae pochi sponsor e poco pubblico [deduzione: perché fa vedere pochi culi e poche tette. Meno male che c’è Fustinoni]. Per lui è “un modo nuovo di approcciarsi al nostro sport che fino ad oggi era stato preso in prestito dal basket maschile [EH?] senza apportare alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità [la femminilità del basket, il nuovo campo del sapere del quale Fustinoni si fa pioniere]”, scrive sul sito del Lussana Basket. A ilfattoquotidiano.it precisa: “Credo che la femminilità sia una ventata di aria fresca che allieta e che deve essere difesa [SCUSI CHE COS’E’ LA FEMMINILITA’? Ma ha provato a chiederlo a una donna? Potrebbe sorprenderla, sa? O addirittura a una suo giocatrice? Glielo assicuro Fustinoni, parlano anche le donne eh, e di femminilità ne sanno ]. Ho seguito questo obiettivo conservando la decenza [mi raccomando, la decenza, mica come quelle scostumate del beach volley, per dire, brutte zozzone] e mi sento frainteso quando sento usare la parola ‘sexy’, perché le ragazze sono molto coperte [non ci pensavo proprio, Fustinoni: sessista va bene? Sì, va bene]. La volgarità non ci appartiene [giustamente, tu sì che ne sai, mica è volgare che le giocatrici tesserate con la tua società debbano accettare le tue scelte di marketing fatte sui loro corpi, no no, quello è eleganza, classe, stile]”.

Questione di marketing, più che di appeal [ma no]. Infatti dietro ci sono altre ragioni che riguardano alcuni problemi di questo sport: “E’ difficile reclutare nuove giocatrici perché le madri considerano il basket uno sport da maschiacci [ammettendo che fosse vero, se le madri sono imbecilli – sessiste pure loro, piene di pregiudizi – allora ci si adegua al loro cervello bacato?]. Se a Bergamo il campionato under 13 maschile ha quattro gironi, quello femminile ne ha uno che copre mezza Lombardia [questo secondo te è l’effetto dei pregiudizi sessisti o della mancanza di alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità? Scusa, hai già risposto]”, afferma. Poi c’è anche la difficoltà nell’attirare tifosi e sponsor: “I palazzetti sono sempre vuoti [e quindi che facciamo? Facciamo vedere un po’ di sana carnazza, sai come arrivano! Che genio]”. Quindi a giugno, prima della pausa estiva, Fustinoni ha posto una condizione alle giocatrici [a casa mia si chiama in un altro modo]: “Ho detto loro che se volevano partecipare alla stagione successiva dovevano accettare l’incognita delle divise diverse, sennò c’era tempo di trovare una nuova squadra. Avevo garantito che non sarebbe stata messa in dubbio la dignità [la dignità di sportive è senz’altro in dubbio, anzi è del tutto calpestata, visto che non potevano sindacare la tua decisione né partecipare in qualche modo alla tua bella idea], avevo incassato i loro consensi e mi sono sentito autorizzato a continuare [quando pongo una condizione da una posizione di potere, io non mi sento autorizzato a continuare, io sto facendo quello che mi pare e basta]”.

Le ragazze però avrebbero voluto dire la loro sulla concezione della nuova tenuta [ma guarda tu queste, aho]: “Gli abbiamo chiesto di vedere il modello, ma lui voleva che fosse una sorpresa [che tenero!]”, dice Valentina Pizzi, tra le ultime ad adeguarsi. La scorsa settimana dopo aver visto le divise le ragazze hanno protestato e minacciato lo sciopero: “Mercoledì ci siamo tutte rifiutate di giocare così e lui ha detto che avrebbe ritirato l’iscrizione al campionato [vedete con quale garbo Fustinoni si senta autorizzato a continuare]. Molte hanno cambiato idea perché vogliamo giocare in A3 dopo essere state promosse [e vedi un po’]”. Alla fine sono rimaste tre ‘disobbedienti’ che sarebbero state messe fuori dalla rosa se avessero saltato l’allenamento di venerdì [mettere tesserat* fuori rosa è l’atteggiamento tipico di chi si sente autorizzato a continuare]: “Ci siamo presentate tutte tranne una, che poi si è adeguata”, continua Pizzi. Per questa stagione, che comincerà il 12 ottobre, le cestiste dovranno giocare con i leggins scomodi e caldi e una gonna che “è inutile, ma è stata promessa allo sponsor tecnico”, dichiara. Alle ragazze non resta che la speranza di avere un po’ più di attenzione: “Avere pubblico solo per le divise? – conclude la ventenne – Sarebbe stato meglio averlo per i meriti sportivi”.

Già tutto questo fa abbastanza innervosire, ma Fustinoni pensa bene di scrivere sul sito della squadra una giustificazione filosofica per la sua decisione, smaccatamente di puro marketing sessista. E attenzione perché arriviamo a qualcosa di fantastico, di meraviglioso, di assolutamente imperdibile.

YIN E YANG E LE NUOVE DIVISE DEL LUSSANA FEMMINILE [sì, avete letto bene]

Perché vi voglio parlare del più importante concetto del Taoismo cinese come lo yin e lo yang? Cosa c’entra con le nostre nuove divise? [dai Fustinoni, facce impazzì]

Il fatto è che le nostre nuove divise non sono solamente “diverse” dalle precedenti, ma rappresentano una vera novità nel concepire il lato esteriore del basket femminile [il lato esteriore, non ‘estetico’, attenzione, è proprio quello di fuori]. Un modo nuovo di approcciarsi al nostro sport che fino ad oggi era stato preso in prestito dal basket maschile senza apportare alcunché che lo caratterizzasse per la sua femminilità [tu pensi a una regola nuova, a un nuovo movimento tattico, a una diversa divisione dei tempi di gioco. Che sciocco]. Insomma, una brutta copia del basket maschile [ma perché brutta copia? Non mi risulta che chi segue la WNBA si lamenti di niente del genere] con conseguente scarso appeal di pubblico che si traduce in pochissimi tifosi e praticanti [quindi invece il grande successo di pubblico del basket maschile è dovuto agli splendidi corpi, alti, grossi, veloci e agili e potenti, dei maschioni che competono? Se con gli stessi corpi giocassero a domino si sarebbe lo stesso pubblico? Fustinoni, che vai dicendo? Vabbè, non anticipiamo].

Il concetto yin e yang viene utilizzato per spiegare tantissime cose del mondo che ci circonda, ma in particolare si concentra sull’energia . Su questo argomento sono stati scritti libri interi e si potrebbe parlare per ore e ore.  [Forse perché è un pochino più complesso di si concentra sull’energia. Forse.]Io voglio limitarmi ad esporvi in poche parole i concetti più importanti per poter giungere velocemente al punto, ossia, aiutarvi a capire il lato positivo di questo nuovo modo di concepire il look del basket femminile mostrandovene i vantaggi più reconditi, e aiutarvi a superare questo grosso ostacolo legato al cambiamento guardando al futuro con energia, fiducia e gioia. [Ricapitoliamo: lui ci spiega yin&yang -> capiamo il bello di cambiare la divisa delle giocatrici di basket -> superiamo IL NOSTRO pregiudizio -> la vita è bella. Voglio provare anche io quello che si cala quest’uomo.]

Tutto ciò che ci circonda é caratterizzato da un dualismo. Per ogni cosa esiste il suo contrario. Se esiste l’alto esiste il basso, per il buon c’è il cattivo, per il bianco c’è il nero per il maschio la femmina per il fuoco l’acqua e così via con infinite coppie di opposti. [Buoni, calmi, è solo l’inizio.]

E grazie a queste forze opposte si genera la cosa più importante dell’universo: L’EQUILIBRIO. [Che cacchio lo danno a fare il Nobel a Higgs? Cinque frasi e abbiamo capito l’universo.]

Il logo qui sopra riportato esprime molto bene il concetto del dualismo. Ma se lo guardate con attenzione noterete che in esso sono contenuti altri due importanti concetti. [Arriva il difficile, attenzione.]

Il primo di questi viene espresso dal puntino nero che sta nel mezzo al bianco e dal puntino bianco che sta in mezzo al nero. Ciò ci dice che niente è mai completamente yang e niente è mai completamente yin. In ogni realtà c’è sempre un pizzico del suo opposto. Niente è mai completamente buono e niente é mai completamente cattivo….e questo vale anche per le nostre divise… [e forse anche per i puntini di sospensione… ma non vorrei portarvi troppo lontano… siamo appena passati dall’universo alle divise della squadra…]

Il secondo concetto espresso da questo logo è la dinamicità dell’equilibrio. Le due aree danno chiaramente l’idea di movimento. Ciò che oggi è bianco domani è nero e alla notte segue sempre il giorno e il regolare alternarsi di queste due opposte energie crea l’equilibrio. [E’ ufficiale, Higgs, Rubbia e Einstein erano proprio delle gran pippe.]

Ed è questo uno dei più importanti concetti taoisti. Il radicarsi su posizioni fisse, avere dei convincimenti inamovibili, restare attaccati alle solite abitudini e comodità non è una cosa buona. [PIGRONI PIENI DI PREGIUDIZI che non siete altro!] Non è una cosa che porta ad un equilibrio duraturo. Si potrà avere un equilibrio momentaneo, statico, ma con il passare del tempo si avranno i normali mutamenti energetici e chi resterà attaccato ad un convincimento inamovibile (come per le vecchie divise) resterà disorientato. [Capito? E’ la legge dell’universo! Tu pensavi di essere antisessista e di non farti sfruttare da un marketing legato a culi cosce e tette? NO, stai contrastando il moto equilibrante dell’universo. Non restare attaccat* ad un convincimento inamovibile, oppure resti fuori rosa e ti opponi all’energia dell’universo.]

L’unica cosa fissa e immutabile deve essere l’obiettivo da raggiungere: l’equilibrio. Il come raggiungerlo varierà di volta in volta. [Ma mica lo decidi tu, il come raggiungerlo: lo decide il tuo presidente Fustinoni. Chiaro? Se no non giochi.]

Per noi occidentali uno dei simboli utilizzati per esprimere la forza è l’albero della quercia. Questa immagine viene utilizzata anche in oriente ed è associata all’immagine dello yang ossia del maschio. Tuttavia la cultura cinese ha sviluppato anche l’esatto opposto: la canna di bambù, la donna. La canna si piega al vento e alle intemperie, ma passata la tempesta torna nuovamente dritta. La canna di bambù anche durante i peggiori uragani non perde di vista l’obiettivo e non appena possibile tornerà al suo equilibrio. Non è fantastico? Cosa preferiste essere? Una quercia secolare forte, fortissima o una canna di bambù? Ognuno darà la sua risposta, certo é che seppur forte una quercia non può resistere alla furia di un uragano…la canna di bambù si! [CAPITO DONNE? VI DOVETE PIEGARE, così dicono i cinesi. Poi – un giorno, domani, la prossima stagione, altrove – tornerete al vostro equilibrio, ma ADESSO VI DOVETE PIEGARE.]

Sono cresciuto sin da ragazzo con il motto insegnatomi dal Prof. Fiumara [antico maestro del pensiero che pochi fortunati hanno conosciuto] che diceva sempre :” Io sono duro… mi spezzo MA NON MI PIEGO” e ancora oggi ne apprezzo la validità [perché sono fatto così: mi faccio stare bene tutto e il contrario di tutto, se mi serve]. Tuttavia ho capito che è assolutamente nobile anche l’esatto opposto:” io mi piego… MA NON MI SPEZZO” [Fustinoni è veramente pieno di risorse, ma come farà?]. Perché sono belle e vere entrambe queste frasi sebbene opposte? Perché la prima è yang e la seconda Yin: due facce di una stessa medaglia. [Quindi va bene tutto: il sessismo e l’antisessismo, la merda e la cioccolata, l’importante è l’equilibrio. Come su due staffe, insomma.]

Continuando nei ragionamenti legati a questo concetto si evince che tutto è fatto da coppie. Quindi se c’è un corpo c’è anche uno spirito e se il corpo é fuori lo spirito é dentro. [V’ha fregato, eh? Io ve l’avevo detto che è bravo. Lo spirito esiste ed è dentro, perché ci sono le coppie: se c’è il corpo fuori, c’è lo spirito dentro. ‘Sti cristiani lì a farsi mille problemi, che ci voleva?]

Il maschio esternamente é forte, muscoloso, duro ma internamente é fragile, delicato e debole. La donna esternamente è fragile, delicata e debole, ma internamente è forte, solida e determinata. [FANTASTICO.] E la durezza esteriore del maschio viene presa e vinta dalla morbidezza della donna proprio come l’acqua spegne il fuoco. [INSUPERABILE. MERAVIGLIOSO. Un vero manuale di pregiudizi sessisti, compendia un mucchio di libri – Fustinoni aveva ragione che ce lo spiegava in poche parole!]

E veniamo a noi: voi siete donne e siete delle atlete. Il fatto di essere in palestra a correre e sudare con tenacia e determinazione mostra il vostro carattere interno, che come detto è forte, solido, determinato. Ma perché tenere nascosto il vostro carattere femminile con indumenti larghi e privi di grazia. Temete che il vostro carattere, carisma e determinazione possa andare perso? Temete di dare un’immagine diversa di quello che siete? Temete di venire confuse con delle smorfiose che pensano solo a trucco e unghie ? Non é rinunciando alla vostra femminilità esterna che potrete convincere gli altri circa il vostro vero spirito. Così facendo non troverete mai il vostro vero equilibrio. [Capito donne? Ve lo dice un uomo che cosa siete, ve lo dice Fustinoni, l’uomo occidentale che fa filosofia orientale. Un’altra coppia. Tutto quadra, è STUPENDO.]

Se avete capito la teoria dello yin e yang, allora capirete che l’energia che si libera da un perfetto equilibrio tra interno ed esterno è infinitamente più grande e di ciò non ne gioverete solo voi ma tutti coloro che vi circondano. L’energia si diffonde senza limiti e pervade le persone. [Non ditemi che non la sentite che m’offendo. In effetti la sento anche io, ma più che energia mi pare la rabbia di quando vengo preso in giro , non mi vorrei sbagliare.] Non sto dicendo niente di strano. Chi potrebbe negare che stare in un ambiente positivo con persone allegre e serene faccia bene alla salute e un ambiente di pessimisti possa portare anche ad ammalarsi? [E chi potrebbe mai? Prima dico baggianate, poi me le faccio garantire da un’evidenza che non c’entra niente.] L’energia entra nei nostri cervelli sotto infinite forme: colori , musica, immagini, onde elettromagnetiche e tante altre ancora [EH? COSA? Allora m’infilo la USB tra le chiappe e mi ci ricarico il cellulare, Fustinoni?]. La “grazia” e la “bellezza” sono forme di energia e chi più delle donne ne è pieno? [Sono iniziati con questo assunto i più tragici atti e commenti sessisti della storia.]Trovando il vostro equilibrio tra lo yang interno e lo yin esterno non solo troverete infinito benessere per voi ma ne procurerete a chi vi sta vicino. [Ci leggo un invito alle donne a stare seminude sempre e ovunque, ma io sono così, cattivo e perverso.]

Le nostre nuove divise si propongono di raggiungere questo obiettivo. Permettere a voi di mostrare il vostro carattere interno yang durante il gioco e contestualmente il vostro carattere esterno yin attraverso la grazia e l’ armonia del vostro corpo. [E io, brutto antisessista, che pensavo servissero solo a far vedere chiappe e tette.]

Rinunciare a questa infinita energia, sarebbe un grosso sbaglio.

Alberto

[Massima solidarietà alle giocatrici del Lussana che devono tenersi questo tipo di “energia”. Maschilista.]

Deconstructing l’impressione

MAMMA MIA CHE IMPRESSIONE_2Mamma mia, che impressione! Era il tormentone di un personaggio pensato e creato da Alberto Sordi in un suo film, giovane imbranato e fessacchiotto che divenne subito popolare più per i suoi tic che per la graffiante carica satirica che aveva, e che avrebbe avuto poi. Questo personaggio, come altri di Sordi, piacque perché tutti si sentivano superiori a lui, senza accorgersi quanto invece gli somiglino. Alla lettura di questo articolo apparso nel ghetto rosa del Corriere, “La 27° Ora”, il titolo mi ha subito suggerito la vicinanza col personaggio di Sordi in quel film: peccato che il contenuto dell’articolo non faccia ridere per niente, anzi.

Che impressione i genitori che baciano sulla bocca i figli

Parlo da spettatrice, non avendo figli [complimenti per l’inizio, da manuale. Già un bel po’ di lettrici e lettori hanno cliccato altrove]. Ma da spettatrice perplessa. Perché va bene l’amore incondizionato dei genitori, va bene la tenerezza infinita che suscitano i bambini, specie se piccoli, va bene anche che i tempi sono cambiati e le abitudini pure [ok, abbiamo capito, evviva i bei tempi andati], ma vedere – sempre più spesso – genitori che baciano sulla bocca i loro piccini, il più delle volte dicendo loro anche un bel “ti amo“, fa scattare in qualcuno (tipo me) un brivido freddo che corre lungo tutta la schiena [la prossima volta copriti. Già che siamo partiti di nostalgia, due parole sulla “maglia di lana”?].

Ora a molti sembrerò crudele e insensibile [e nostalgica, “se stava mejo quanno se stava peggio”], senza contare che non “posso capire fine finché non avrò figli” (jolly preferito da tutti i genitori afflitti da manie obiettivamente sconcertanti [complimenti per l’obiettività della diagnosi]), ma fino a qualche tempo fa le cose non funzionavano così [e questo invece non è un jolly di chi è afflitto da qualcosa?]. Quanti di noi (e per noi intendo gente abbastanza adulta da leggere un blog [sempre grazie per l’elitarismo di fondo]) può dire di aver ricevuto attenzioni simili dai propri genitori [io, per esempio, embè?]? Io grazie al cielo no [Estiqaatzi. Estiqaatsi penserebbe che non è giusto fare di impressione personale regola universale]. Mio papà non mi ha mai baciata sulla bocca e neanche mia mamma e credo che se mi avessero detto “ti amo” mi sarei messa a piangere per la vergogna [certo, perché tu da bambina avevi già un sistema di valori morali e un linguaggio dell’eros sviluppati; tanto da cogliere il contrasto tra etica pubblica, vita sentimentale e rapporto genitoriale, cortocircuitati da una frase apparsa contestualmente deleggittimante il tuo diritto a essere appunto bambina. Invece, semplicemente, di fidarti dell’amore che arrivava da loro, in qualunque forma. Eh sì, i tempi sono cambiati e le abitudini pure, adesso per esempio non ci si rilegge più per controllare bene cosa si va scrivendo].

Come loro facevano anche i genitori dei miei amici [ok, siete tutti un bel gruppo elitario uniti dagli stessi valori nostalgici, complimenti]. E non è che fossero generali prussiani [Estiqaatzi. Estiqaatsi penserebbe che siamo tutti diversi, non si possono mettere a confronto storie di genitori diversi tra loro e farne categorie]. Anche noi (oggi trentenni) eravamo coccolati e i nostri genitori non si limitavano a una vigorosa stretta di mano per farci capire che ci volevano bene [complimenti per l’immaginario affettivo e il lessico simbolico. ‘Na cosa meno militare no? E forse – ma forse, eh – ci sono più di due sfumature per manifestare affetto genitoriale. Forse]. Ci prendevano in braccio, ci abbracciavano, stavamo seduti vicini sul divano… insomma, c’era un discreto corredo di tenerezza [discreto corredo di tenerezza, ma non sarà un’espressione troppo forte per il Corriere? Beh, ma in fondo i tempi sono cambiati e le abitudini pure, adesso si può osare di più]. Ma c’erano anche dei limiti. Limiti che, essendo naturali [i famosi limiti naturali all’espressione dell’affettività, come no], non venivano neanche vissuti come tali [perché si chiamano pregiudizi culturali, ecco perché non venivano e non vengono vissuti come tali] e che ho ritrovato nel candore delle risposte di mia mamma a un paio di domande fatte (da me) a tradimento [la domanda a tradimento alla mamma, altro che “doppio cieco” o CSI per sapere la vera verità] proprio per capire un pochino di più come sono cambiate le cose [e poi in che senso ritrovato, se stai parlando sempre dei tuoi genitori? Che t’aspettavi?]. Ieri al telefono, così, a freddo, le ho chiesto:

Mamma, perché quando ero piccola non mi davi i baci sulla bocca? Una frazione di secondo. Poi lei: “Ci mancherebbe, è anti-igienico [e questo non è un altro jolly preferito da tutti i genitori afflitti da manie obiettivamente sconcertanti? Anche se non hai figli, bastava chiedere a qualcuno che ha avuto figli e diverso da tua madre]”. E perché non mi dicevi “ti amo”? “Ma cosa ti salta in mente?”. Rispondi. “Ti dicevo ti voglio bene, che senso aveva dirti ti amo? … Che poi i bimbi lo ripetono [ecco, non sia mai che i bambini dicono ti amo a qualcuno! ORRORE!]. Era più giusto dire ti voglio bene [era più giusto. Poi la discussione su quale sia questa giustizia non la facciamo, la discussione sul perché in italiano ci sono due espressioni diverse di quello che in altre lingue viene detto con la stessa lasciamola cadere, la discussione sul senso di dire più spesso ti amo proprio lasciamola perdere. Ancora complimenti per le occasioni mancate per fare un articolo interessante]”.

Sono virgolettati testuali, apprezzate la cronaca di un normale scambio madre-figlia [apprezziamo il normale, mi raccomando, e ricordate quanto detto all’inizio: chi bacia in bocca figlie o figli non è normale]. Va bene che è mia mamma, ma io colgo quello che – almeno fino a qualche tempo fa – era un pensiero diffuso (magari con altre varianti) e comune. Sensato, aggiungerei anche [il giorno che la quantità farà la qualità deve ancora sorgere. Hitler è stato eletto a maggioranza, sembrava una cosa molto sensata anche quella]. Non tanto per l’igiene, quello no [e con un poderoso colpo di reni l’estremo difensore sventa in calcio d’angolo!!!]. Ma piuttosto per il fatto che troppo spesso i figli diventano i bersagli di attenzioni un po’ troppo oppressive, asfissianti, quasi una agghiacciante proiezione di quei rapporti invadenti che hanno certi genitori con i figli ormai adulti, ma trattati sempre e comunque come teneri cucciolotti [EH? Dall’abitudine di baciare bambini sulla bocca siamo passati a una storia familiare di oppressione affettiva, ai bamboccioni di Padoa Schioppa? Ma di cosa parla questo articolo? E con quali competenze ci si permette di tracciare linee di demarcazione nette tra sviluppi psicologici, gesti abitudinari e lessico familiare?].

Sento mamme che dicono che il proprio figlio è “il mio fidanzato” oppure “l’unico vero uomo (o amore) della mia vita”. Ma vale anche al contrario. I papà non sono da meno nel travolgere di attenzioni e dichiarazioni d’amore i loro figli. Che è bello e giusto [e se è bello e giusto allora che cacchio stai dicendo?]. Come quando sento un mio amico dire che lui bacia sulla bocca i suoi figli “perché è una bella sensazione. Senza contare che i baci sulla guancia li dai a tutti, quindi darli a loro sulla bocca è come riservare delle attenzioni più esclusive”. Ma senza esagerare [ma esagerare rispetto a cosa? Vuoi dare dei criteri? Vuoi tracciare dei limiti? Perché non dirlo chiaramente, assumerti una responsabilità e invece darli per scontati perché ribaditi dalla tua mamma?]. Che tutto questo derivi dal fatto che molto spesso oggi i figli rappresentano una certezza mentre i rapporti da cui nascono no, può essere una spiegazione [ma sarà una spiegazione per te, che fai psicologia d’accatto. Ma che spiegazione è? Un link, dei dati? Qualcosa che faccia sembrare tutto questo avvicinabile al giornalismo?]. Ma non è meno inquietante [ma sarà inquietante per te, e chissenefrega non ce lo metti?].

Non è riversando sui figli tutte le proprie attenzioni che gli si trasferisce più amore [e non è l’ennesimo jolly pure questo?]. E forse far capire loro che esistono dei limiti, delle forme diverse di manifestare il proprio affetto [è italiano eh: un limite non è una forma espressiva. O c’è un limite – e allora saresti pregata di giustificarlo e comprovarlo in qualche modo, grazie – oppure c’è solo la forma del tuo pregiudizio, ma di quello ce n’eravamo già accorti, grazie], alcune adatte ai figli, altre meno, potrebbe essere un insegnamento utile [a chi? Per che cosa? A parte il parere della tua rispettabile mamma, si può avere dell’altro?]. Per toglierci qualche dubbio su questo cambiamento dell’affettuosità tra genitori e figli, ho chiesto un parere ad Anna Oliveiro Ferraris, psicologa dello sviluppo [ce l’abbiamo fatta: quello che dovrebbe essere all’inizio dell’articolo invece è alla fine, ancora complimenti]. Che ha detto: “Ormai sono i genitori che spesso cercano nei figli un appoggio e l’affetto dei figli diventa un elemento centrale nella loro vita: puntano al loro affetto per sentirsi protetti, cercano sicurezze quando dovrebbero essere loro a darne” [pensiero rispettabile e immagino comprovato da fior di letteratura sull’argomento, ma ancora non ci è stato detto perché baciare sulle labbra un figlio è segno di genitori che cercano nei figli un appoggio e tutto il resto].

Sarebbe bene dunque porsi dei limiti anche nell’affettività con i propri figli o non è necessario [ma cosa c’entra una domanda così generalizzante? Si voleva parlare di un solo gesto come quello che fa impressione, e lo si prende a sintomo e prova di un superare i limiti nell’affettività con i propri figli? Ma che modo di argomentare è?]?

“E’ bene non esagerare per non dare vita a quello che definirei “un incesto emotivo” [UN CHE COSA? Ma sì, spendiamo il parolone della psichiatria per un bacio, via con la diagnosi al volo, dopotutto è lo sport nazionale]. Il compito dei genitori è anche quello di rendere sempre più autonomi i figli, invece ci sono madri a cui sembra normalissimo che i dormano nel lettone con loro. Questo crea una forma di dipendenza molto forte da cui poi è difficile liberarsi, anche da adulti” [di nuovo, tutto vero, ma non è pertinente. Qui non si è descritta una madre o un padre affettivamente invadenti, si voleva parlare, almeno credo, dell’impressione suscitata dal vedere un bacio sulle lebbra tra genitore e figli*].

E che ne pensa dei baci sulla bocca? [Capita la tattica del grande giornalismo? Prima spendo gli psicoparoloni che mettono paura, poi rispondo alla domandina che doveva essere la prima e l’unica – e indovinate un po’ che risposta sarà?] “La bocca è una zona erogena: sarebbe bene che i piccoli capissero che la forma di piacere che si prova quando qualcuno ti bacia in quel punto del corpo non va ricercata con il proprio genitore ma con altre persone [capito? I bambini devono capire le zone erogene – ma non bisogna dirgli ti amo perché se no lo dicono agli altri. Interessante modello educativo] e, soprattutto, quando si è più grandi. Il problema è che i baci sulla bocca, il dire “ti amo”, sono tutte storture degli adulti che trattano i bambini come immagini di loro stessi in miniatura: attribuiscono degli schemi validi tra persone grandi ai bambini [lo fanno gli adulti, tutti, sempre, ovunque – chiaro? NESSUNO di quelli che bacia figlie o figli è immune, TUTTI trattano i bambini come immagini di loro stessi in miniatura, e lo fanno perché non sono come la mamma della giornalista, come i genitori dei suoi amici e come la dottoressa].

Non che esista una morale su questa questione [NOOOOOOO, figurati, la tua mica era una morale, no no]. Ma può essere uno spunto per rifletterci su. Voi che ne pensate?

[Io che ne penso? “Che impressione il giornalismo che si mette sulla bocca un linguaggio ipocrita.”]

Sì vuol dire sì

220px-Margaret_Cho2Grazie a Margaret Cho, a “Yes means yes” e a Drew Falconeer per la sua traduzione.

Mi sorprendo sempre quando penso a quanto sesso ho fatto in vita mia che avrei preferito non fare. Non lo considero propriamente stupro, e nemmeno “date rape”, quanto semmai una specie di stupro dello spirito – una rappresentazione disonesta del mio desiderio per compiacere un’altra persona.

Ho detto di si’ perche’ sentivo troppo complicato dire di no. Ho detto di si’ perche’ non volevo dover difendere il mio “no”, qualificarlo, giustificarlo – meritarlo. Ho detto di si’ perche’ pensavo di essere cosi’ brutta e grassa che dovevo fare sesso ogni volta che me ne offrivano la possibilita’, perche’ chissa’ quando me l’avrebbero offerta di nuovo. Ho detto di si’ a partner che non avevo mai desiderato, perche’ dire di no dopo aver detto di si’ dopo cosi’ tanto tempo avrebbe reso la nostra intera relazione una bugia, cosi’ ho dovuto continuare a dire “si’” per poter conservare il mio “no” come un segreto. E’ un modo veramente incasinato di vivere, e un modo orrendo di amare.

Cosi’ oggi dico di si’ solo quando voglio dire si’. Questo richiede vigilanza da parte mia, per essere sicura che non mi scatti il pilota automatico e le persone facciano quello che vogliono, e mi costringe a essere veramente onesta con me stessa e gli/le altr*. Mi fa ricordare che amare me stessa significa anche proteggermi e difendere i miei confini. Dico di si’ a me stessa.

Margaret Cho, “Sì vuol dire sì”

9781580052573“I am surprised by how much sex I have had in my life that I didn’t want to have. Not exactly what’s considered “real” rape, or “date” rape, although it is a kind of rape of the spirit – a dishonest portrayal or distortion of my own desire in order to appease another person.
I said yes because I felt it was too much trouble to say no. I said yes because I didn’t want to have to defend my “no,” qualify it, justify it – deserve it. I said yes because I thought I was so ugly and fat that I should just take sex every time it was offered, because who knew when it would be offered again. I said yes to partners I never wanted in the first place, because to say no at any point after saying yes for so long would make our entire relationship a lie, so I had to keep saying yes in order to keep the “no” I felt a secret. That is such a messed-up way to live, such an awful way to love.

So these days, I say yes only when I mean yes. It does require some vigilance on my part to make sure I don’t just go on sexual automatic pilot and let people do whatever. It forces me to be really honest with myself and others. It makes me remember that loving myself is also about protecting myself and defending my own borders. I say yes to me.”

Margaret Cho, “Yes means yes”

Deconstructing “la tua opinione”

Copia di emmanuel-mouret-beato-tra-le-donne-nella-commedia-fammi-divertire-147593 I fatti li conoscete senz’altro: Beppe Grillo se ne esce con l’ennesima frase sessista. Siccome in giro c’è ancora molta ignoranza su cosa sia il sessismo, perché a scuola non si fa nessun tipo di educazione alle questioni di genere, perché i media generalisti se ne fregano di contrastare il patriarcato vigente, perché sul sessismo pensano tutti di avere un’opinione autorevole solo in quanto hanno un sesso, e infine perché anche la pagina di wikipedia, ammettiamolo, richiede di voler capire quello che c’è scritto. Vediamo allora di concentrare il nostro deconstructing non su un intero discorso, ma su una sola frase, cari amici sessisti: “in forma ridotta, per venire incontro alle vostre capacità mentali” (cit.)

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