Un compagno ha bisogno di aiuto

È un bel po’ che di questo blog non rimane che un archivio. Ma vi chiediamo un ultimo sforzo finale per uno di noi che se la sta passando molto male, e che ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fare altro che linkarvi il crowdfunding messo su dalle persone a lui più care e sperare nella solidarietà militante di cui ci facciamo parecchio vanto.

Salve a tutti. Siamo Elena, Varxh e Chiara, tre persone molto vicine a Den. Abbiamo deciso che quest’ultima se la cavava meglio con le parole, e le abbiamo chiesto di parlarvi di lui. 

È sempre strano cercare di strizzare in qualche riga tutto quello che si dovrebbe sapere di un essere umano, ma per amor di sintesi tenteró. Conosco Den da qualche anno, e mi è sempre sembrato una persona fantastica. È comprensivo, pirotecnico, folle il giusto, e curioso di tutto. In un giornata tipo lo si trova a divorare (metaforicamente) libri di Hawking o di qualunque altro astrofisico conosciuto (la grande passione), o variegati pezzi letterari e non di scibile umano, solitamente circondato da palle di pelo miagolanti. Ha solo 21 anni, e giá ha all’attivo vari articoli su giornali online (argomenti: intersezionalità, femminismo, critica sociale), unapartecipazione mensile su Radio Onda Rossa, vari interventi in eventi di centri sociali romani. Insomma, oltre a essere un umano fantastico è anche molto coinvolto socialmente, cosa che gli riesce benissimo. Scrittore insonne, ha anche un blog, dove trovate poesie e pezzi suoi, scritti probabilmente alle 4 del mattino in raptus creativi improvvisi (con immancabile essere micioso annesso). Beh, immaginate un Baudelaire giovane e post-moderno che al chiaro di luna batte a macchina fantasie meravigliose e avete piú o meno l’immagine che cerco di trasmettere (togliete l’assenzio e rimpiazzatelo con camomilla fumante). Qui e qua troverete il resto che fa. 

Venendo al punto saliente: perché aiutarlo? Se le immagini accattivanti descritte prima non bastassero come motivazione, ne aggiungerei una ulteriore. La vita, giá prima ma recentemente peggio, lo ha preso a sassate innumerevoli volte in molti ambiti diversi. È una persona che, con le adeguate risorse e possibilità sará grandi cose, senza dubbio. E il fatto che per casualità lui non le abbia non mi sembra un buon motivo per cui non dovrebbe riuscire a fare qualcosa di meraviglioso nella vita. Tutti noi quindi abbiamo deciso di aiutarlo, creando questa campagna, con un piccolo contributo da ognuno la situazione migliorerà di sicuro. Spero di avervi fatto conoscere almeno un pó la persona che conosco io.

Ritorniano a noi: aprire un crowdfunding implica avere una posizione precisa. È l’idea che il singolo non debba essere abbandonato a se stesso, che la partecipazione collettiva non debba ridursi a sporadici atteggiamenti di elemosina e pietismo, ma essere un sostegno attivo, permanente, reciproco, umanizzato, solidale: responsabilità verso gli altri. Vogliamo che gli scogli, gli ostacoli di ogni giorno non siano solo un problema di Den e le persone a lui immediatamente vicine.

Da molti anni soffre di gravi forme ansiose e depressive, non trattate perché nessuno si è mai accorto e in ogni caso, nessuno aveva risorse per farlo, ormai diventate ingestibili e pericolose. C’è urgentemente bisogno di un intervento immediato.  Si trova a venire a patti con varie problematiche fisiche – tra cui dolori neuropatici mai arrivati a attenzione medica – che uniti alla sua condizione di autistico annullano drasticamente le possibilità di spostarsi da casa senza un mezzo di trasporto idoneo, non posseduto. Non siamo più disposti a tollerare la marginalizzazione, l’indifferenza, il rimando, l’abilismo di servizi che si sottraggono al prenderlo in carico, individuando nel suo sostegno qualcosa di accessorio e in cui non investire: chiediamo partecipazione di tutti nel garantirgli una psicoterapia, un sostegno medico, mezzi di trasporto idonei, un computer che è l’unico mezzo con cui può lavorare. Tutte cose che non si può permettere viste le disastrose condizioni economiche della sua famiglia.

Speriamo vivamente nella vostra solidarietà <3 

Per Riccardo

Louis_XIV_of_FranceE’ finita: Riccardo Venturi, autore solitario di un preziosissimo blog, ha finito la sua assurda avventura processuale nel migliore dei modi: assolto perché il fatto non sussiste.

Quale fatto?

Per avere infranto gli articoli 278 e 99 del codice penale; il 99 è la recidiva, il 278 è il cosiddetto Attentato all’onore e al prestigio del Capo dello Stato. Il tutto è dovuto a un articolo da me scritto su questo blog sabato 20 aprile 2013 e intitolato Sfrizzola il vilipendulo.

Un classico reato d’opinione – che tra l’altro non dovrebbe neanche esistere. Eppure, esiste, giustificato dall’errore di confondere l’opinione con l’offesa. “Questo reato”, ci direbbero alcun*, “serve a tutelarci dalle calunnie, dalle diffamazioni” ma chissà perché è sempre usato per colpire chi esprime pareri contrari al governo e ai/lle loro rappresentanti e mai per impedire che pensieri discriminanti vengano alimentati, vedi le manifestazioni delle sentinelle – la cui violenza è fatta passare come opinione.

Ma si sa, viviamo in un mondo dove le parole si svuotano e si riempiono a piacimento dei capi e dei potenti. Il bispensiero orwelliano è tra noi. Questo reato, credo sia chiaro a tutt*, è un avviso, un’intimidazione, un modo come un altro che lo stato ha per ricordare a noi tutt* che alle autorità va garantito il rispetto, un po’ come fanno i/le professori/resse a scuola quando intimoriscono/ricattano i/le alunn* per assicurarsi un “rispetto” che è solo e soltanto paura. Se non si accetta la gerarchia e lo stato/padre/padrone, allora si subiscono le conseguenze che, “se tutto va bene”, si risolvono con una sentenza di assoluzione dopo almeno un paio di anni di ansia e angoscia per un processo interminabile e se va male si tramutano in una condanna. Chiamatela, se riuscite, democrazia.

Per Riccardo è valsa questa prima ipotesi, con nostra grande gioia, ma questo lungo percorso giudiziario ha avuto dei costi che non possono essere trascurati. Siamo qui, dunque, non solo per rallegrarci dell’assoluzione di Riccardo ma anche per dare inizio, come collettivo Intersezioni assieme ad altr* compagn*, a una raccolta fondi per sostenere Riccardo nelle spese processuali che ha affrontato. 

Su Paypal.com inviate quanto volete all’indirizzo aprilsonorganizer(at)anche.no

Per Baruda

ANTI-SFRATTO2

La verità oggettiva, ormai lo sappiamo da un pezzo, è un’invenzione valida solo per le scienze più astratte. Non appena c’entrano le storie, i corpi, le vite, la verità è sempre parziale, e per fortuna, perché è la parzialità a spazzare via l’ipocrisia delle violenze, dei fascismi, delle varie forme di oppressione, che vorrebbe sempre imporsi come unica verità assoluta.

Il blog di Baruda, Polvere da sparo, è una di queste verità. Da molti anni racconta verità scomode, ricorda fatti che molti ipocriti fanno finta di dimenticare, parla chiaro a quei sordi che non vogliono sentire, urla quello che tante oppressioni vorrebbero silenziare.

E, come sempre, Baruda parla di una storia che ha vissuto sulla sua pelle, quando racconta l’assurda vicenda del suo sfratto. Storia che chi vive il dramma della casa in Italia – una casa non di proprietà – conosce bene, soprattutto a Roma dove le speculazioni edilizie e la collusione con i sistemi di potere che appoggiano i proprietari riescono anche, come si dice da queste parti, “a manna’ l’acqua all’incontrario”.

Leggete Baruda sotto sfratto: storia di una truffa per capire di cosa stiamo parlando.

Udienza fissata per il prossimo 10 giugno 2015, presso il tribunale civile di Roma.
Il 3 giugno, invece, si presenterà alla nostra porta un ufficiale giudiziario accompagnato da un fabbro, per il rilascio dell’appartamento.
Batte un bel sole su questo terrazzo, che ancora per molto mi ospiterà visti i guai in cui mi ha cacciato il padrone di casa.
Il 3 giugno si presenteranno alla nostra porta, alle 8 di mattina.
Vi aspetto quindi per una festosa colazione antisfratto.

Intersezioni, in qualche modo, quella mattina ci sarà.

Solidarietà al Rojava e ai/alle compagn* in stato di fermo

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Stasera ore 18:00 a Torino in Piazza Castello presidio in solidarietà con il Rojava e contro le frontiere che uccidono!

Ancora una volta viene confermata l’ipocrisia turca di una difesa di confini utili a tutelare i poteri forti, sfruttando lo spauracchio dell’avanzata dell’ISIS per continuare un embargo vergognoso nei confronti del popolo Curdo.

Ancora una volta viene legittimata una pratica repressiva collaudata nei decenni, silenziosamente mutuata dall’opinione pubblica europea e italiana.

Di seguito un resoconto di quanto accaduto.

Rompiamo l’embargo da parte del governo turco che accerchia il Rojava!
LIBERTÀ PER LE/I COMPAGN*!
BIJI KOBANE!

Quando l’unico aborto legale è quello accidentale

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Se l’unico aborto legale è quello accidentale, allora procurarsi un accidente è l’unico modo che una donna ha per terminare una gravidanza, che sia indesiderata o pericolosa per la sua vita e quella del feto.
Questo è il provocatorio, ma non nuovo, concetto di fondo della campagna per la depenalizzazione dell’aborto promossa da Miles, un’organizzazione non governativa che si occupa dei diritti sessuali e riproduttivi in Cile, dal 2010.
L’organizzazione si fa promotrice di una proposta di legge, che si può leggere qui, nel quale si chiede la depenalizzazione dell’aborto terapeutico e volontario in caso pericolo di vita per sé e per il feto (o grave malformazione strutturale di quest’ultimo), con la predisposizione degli strumenti atti all’accertamento di questi pericoli, e in caso di stupro, ponendo l’attenzione anche alle minori di 14 anni. Nel quadro di riferimento del diritto alla salute e a una vita degna, puntualizzando i dati del ricorso all’aborto clandestino e della mortalità materna e neonatale.

L’obiettivo è quindi parziale, non si chiede la depenalizzazione completa dell’aborto volontario. Nel progetto di legge si contempla anche l’obiezione di coscienza per quei medici che non vogliono praticare l’intervento abortivo, previa dichiarazione scritta. Pratica alla quale non possono però sottrarsi in caso di immediato pericolo per la paziente.

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Sono stati prodotti tre tutorial che spiegano come provocarsi un aborto accidentale, in tutti e tre la donna rischia la vita per mettere fine alla gravidanza. Se rischio di morire a causa della gravidanza, perché non rischiare di morire a causa dell’aborto?

Una logica che, in fondo, è condivisa da tutte le donne che rischiano la vita con un aborto clandestino.

I video sono semplici, diretti e agghiaccianti.

Nel primo viene spiegato come abortire, lanciandosi nel traffico di un incrocio.

Nel secondo si spiega come procurarsi un aborto rompendo il tacco di una scarpa e sbattendo contro un idrante.

Nel terzo la protagonista spiega come provocarsi un aborto cadendo dalle scale.

Non è la prima campagna provocatoria realizzata in Cile, alcuni anni fa un’altra associazione, rintracciabile presso questo sito internet donaporunabortoilegal.wordpress.com,  aveva promosso una campagna di donazione per consentire alle donne un aborto illegale.

Deconstructing ProVita

sir-john-cc-LGBT-History-monthDi quello che sta combinando ProVita, sedicente iniziativa che “vuole promuovere i valori della Vita, dal concepimento fino alla morte naturale, e della Famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna” (il link ve lo trovate, hanno fin troppa pubblicità) hanno scritto benissimo su Narrazioni Differenti. Per quanto riguarda la propaganda dell’invenzione chiamata “teoria del gender”, ho scritto già a lungo qui.

Dunque, che altro dire di fronte a questo incredibile spot, nato per combattere qualche cosa che non esiste? Ci vengono in aiuto gli stessi di ProVita, che del loro video scrivono quanto segue. Divertiamoci con loro e con altri. Vi chiedo la pazienza di cliccare su ogni link proposto, ricordandovi che sono solo alcuni degli esempi che è possibile scegliere in rete.

Il video di ProVita sul gender impazza sul web

Il breve e incisivo spot, creato da ProVita per sensibilizzare sul problema del gender nelle scuole e diffondere la petizione sull’educazione sessuale e affettiva, diventa virale e in poco più di 24 ore raggiunge le 300 mila visualizzazioni e oltre 2000 condivisioni. [Si comincia con un po’ di empowerment. I numeri dicono una cosa chiara: noi ce l’abbiamo grosso. La retorica è quella.]

Naturalmente ciò non poteva che far infuriare il mondo LGBT che ha scatenato un attacco su vasta scala, dimostrando così che alla teoria gender ci tiene per davvero. [Il mondo LGBT, notoriamente compatto e con una struttura decisionale solida e unita, dimostra che la teoria del gender esiste perché reagisce a una mera invenzione calunniatoria. A ProVita piacerebbe molto che non si rispondesse niente, lasciando il campo libero a loro; invece esistono questi brutti ceffi organizzatissimi che rispondono pure.] Il video, anche grazie ai duri attacchi di cui è stato oggetto, ha avuto una risonanza enorme e ha ottenuto il suo scopo: far parlare del problema del gender nelle scuole, aprire gli occhi ad alcuni, stimolare il dibattito. [Nelle scuole non si parla del problema del gender, perché il problema del gender non esiste. Si parla da parecchio di educazione sessuale; adesso che la si sta unendo intersezionalmente alla lotta all’omofobia e al bullismo, allora SOLO ADESSO ProVita e simili passano – loro – all’offensiva. Hanno capito che sotto silenzio non si può più far passare niente, quindi provano a fare la parte delle vittime. Adinolfi, Miriano e sentinelle fanno lo stesso.] Non possiamo che ringraziare i nostri “oppositori” per tutta la visibilità e l’attenzione che ci stanno dando. [Vero: ci contavano, ed è arrivata. Solo, non la chiamerei attenzione, userei una parola più marrone.] Gayburg parla di “spot omofobo” e di “istigazione all’odio” omofobico: l’accusa è un po’ ridicola ma non ci sorprende per nulla visto che, come abbiamo recentemente spiegato, quasi tutto può essere considerato “omofobia”. [Tattica numero uno: chi ci dà contro esagera, non è possibile che tutto quello che diciamo sia omofobia. Qualcosa, anche per sbaglio, sarà giusto, no? Proprio il tipico atteggiamento di chi sa di avere ragione… il loro sito si trova facilmente, andate e vedete.] Gay.it ci accusa di “terrorizzare i genitori” [Vero: andate a rileggervi il famigerato decalogo. Articolo sei: “Date l’allarme!”], di scagliarci contro l’”inesistente teoria del gender” (ma allora, se ci battiamo contro qualcosa che non esiste, perché alcuni gruppi si sentono così chiamati in causa e offesi?) [Capito la finezza? Se la comunità LGBT reagisce alle calunnie, per esempio “insegnate ai bambini a essere gay”, allora la “teoria del gender” esiste. Se io dico che sei un ladro e un truffatore e tu reagisci, allora è vero. Complimenti per il vostro concetto di “accusa fondata”.], di promuovere una “campagna di disinformazione” [come vuoi chiamare uno spot nel quale sono messe in bocca a serie organizzazioni educative frasi che non ha mai detto nessuno? Infatti, per farle dire, ProVita ha dovuto usarle lei. Volantini, pubblicazioni, registrazioni fatte con quelle parole da parte di questi “educatori al gender” non ne esistono. Ovviamente.], ecc.

L‘Espresso parla di “lavaggio del cervello” e fa un po’ di confusione riferendo tutte le immagini forti del video ai “gay” (la normalizzazione della transessualità e di identità di genere “indefinite” è cosa ben diversa). [Altro vecchio trucco retorico: prima generalizzo io, e quando mi si risponde con analoghe generalizzazioni allora entro nello specifico e dò dell’ignorante a chi mi contesta.] Altri gruppi LGBT hanno pensato di chiedere a Facebook di togliere il video per “oscenità/nudità”, in riferimento ad una immagine in cui, per una frazione di secondo, si vede un uomo, di schiena, “nudo”. [Com’è noto a chi usa Facebook, tutto ciò è indimostrabile oggettivamente proprio per la politica di FB.] Per fortuna, Facebook non ha ritenuto valide le segnalazioni e il video rimane. Ma il fatto è quantomeno paradossale: l’immagine infatti, a parere nostro, mostra effettivamente una cosa oscena. [Fate pace col cervello, e non scaricate agli altri le vostre evidenti contraddizioni.] Peccato che la maggior parte delle immagini (tra cui quella dell’uomo “nudo”) siano state prese da un “gay pride” piuttosto importante. [Le immagini di un gay pride prese a esempio di quello che si direbbe a scuola. Se non è la costruzione di una calunnia questa, cosa lo è?] Questo per soddisfare la curiosità di chi accenna ad immagini prese “chissà dove”. Insomma gli LGBT permettono le “oscenità” nelle loro parate, [non le permettono affatto: sono libertà, è ben diverso] ma poi si lamentano accusando di “oscenità” chi osa mostrare cosa succede durante i gay pride. [Sì, se lo si mostra per definire ciò che verrebbe detto nelle scuole. Si chiama, appunto, calunnia.] Quanto all’immagine di “bambini che inseriscono profilattici su paletti di legno”, anche questa non ce la siamo inventati: si tratta di una lezione di educazione sessuale in un “civilissimo” paese europeo. [Mai svolta da nessuno, in Italia, né presente nei programmi di nessuna associazione che lavora con i bambini. Quindi? Questo non è terrorizzare le famiglie?]280px-Rainbow_Dash

La rabbia arcobaleno [vi dirò, questa espressione non mi dispiace, mi fa pensare a Rainbow Dash] è però andata oltre, non accontentandosi di esprimere accuse infondate: [ovviamente, quelle infondate sono quelle dell’avversario] il nostro sito è stato oggetto di continui e ripetuti attacchi di hacker (non è la prima volta) che hanno cercato di mettere in ginocchio i nostri sistemi informatici. [I famosi hacker LGBT, che invece del mouse usano joystick fallici e hanno le tastiere in pelle nera.] Questo non può che stimolarci a andare avanti, per la Vita, per la famiglia e per i bambini! Intanto le visualizzazioni continuano ad aumentare rapidamente, essendo ormai più di 350 mila le persone raggiunte, [cinquantamila si sono aggiunti mentre avete letto: che siano tutti hacker?] così come crescono velocemente le sottoscrizioni alla nostra petizione contro la teoria gender nelle scuole. Un successo insomma, grazie anche ai nostri amici LGBT.

Ecco, così “se la cantano e se la suonano”. Ed evidentemente fanno bene, se poi certa gente riempie i cinema di folle acclamanti, mentre chi lavora seriamente come Scosse no. Ma l’ideologia al potere sarebbe quella LGBT. Ricordiamoci che stiamo parlando di persone così abituate a inventare cose che non si accorgono di chi gli propina statistiche fantasiose per prenderli in giro, e ad esempio ritwitta tutto senza controllarne la coerenza (qui sotto una bufala suggerita da due mie amiche su twitter e che loro si sono bevuta senza battere ciglio):

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E’ gente che pur di mettersi in una posizione politica inattaccabile, è pronta a sostenere – approfittando di un generale clima di “contestazione” – che è lo stato a voler propagandare la teoria che loro stessi si sono inventati, perciò ad esempio invitano insegnanti a un convegno di chiaro stampo omofobo. Omofobia che viene fomentata anche spiegando il “corretto” uso del lessico e imponendo la lettura di alcuni messaggi e discorsi in chiave omofoba, come se il variegato e spesso inconciliabile mondo non eterosessuale avesse ordito un complotto linguistico organizzato su tutti i media mondiali.

E tutto questo concerto di fuffa sarebbe ciò che è “naturale”.
E lasciare chiunque libero di decidere del suo corpo, invece, no.

Una risata li seppellirà.

L’archivio della Primavera Queer 2014

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Ci raccontavamo in quei giorni a Chieti, con Laura Corradi, che in Italia una cosa come la Primavera Queer non s’è mai vista.

Un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcun* dei quali già attivisti nei collettivi Laboratorio Le Antigoni e La Mala Educacion) ha promosso a Chieti la Primavera Queer come momento di autoformazione, incontro e discussione intorno alla teoria queer. Il progetto è stato presentato al bando 2013 per le attività socio-culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, selezionato e finanziato. Docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in sei giorni di seminari e laboratori.

Non nel senso che in Italia non s’è mai fatto nulla di queer, ci mancherebbe: ma non ci ricordavamo di nulla che durasse una settimana, che sia stato voluto e costruito dagli studenti e finanziato da un ateneo italiano. Speriamo di essere smentiti, ovviamente.

Adesso in questa pagina stanno raccogliendo tutti i materiali completi di quei giorni, per costruire un archivio più che utile in un paese che ha difficoltà anche solo a sapere che esiste la parola “queer”. E’ importante diffondere il più possibile le parole di tutti quelli che sono intervenuti, in presenza o connessi dalle loro sedi, e conservarli, perché in giro su questi argomenti c’è ancora molto poco; e perché realtà molto efficaci sul territorio ancora conoscono poco di quello che si fa di buono anche a pochi chilometri di distanza.

Il video del mio intervento, Il linguaggio sessista: riconoscerlo, neutralizzarlo, decostruirlo dura quasi un’ora e venti quindi vi consiglio di non sorbirvelo tutto insieme perché potrebbe farvi male 🙂 aggiungo però il file ODP con le slide che ho usato; questo invece è l’abstract del mio discorso. Qualsiasi domanda o commento vogliate fare mi sarà molto utile e ve ne ringrazio fin da adesso.

Spero che ci siano presto altre Primavere Queer in tante altre città.

Sesso dell’orrore – Intervista a Diana Pornoterrorista

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“Là fuori c’è una guerra”, dichiara il manifesto Pornoterrorista sottoscritto da Diana J. Torres: una guerra contro l’ordine sessuale e l’imposizione di genere, nella quale si vince solamente combattendo il nemico con la stessa violenza. La performer spagnola, oltre a dire questo e molto altro nel suo libro Pornoterrorismo, ci mette il corpo, per chi desidera vederlo e anche per chi non vuole.

di Laura Milano e Nico Hache, (traduzione di feminoska, revisione di Lafra e Serbilla. Articolo originale qui).

La donna nuda con il passamontagna in testa e la granata-dildo in mano non esita ad affermare che “quando dall’altra parte non hai nessuno con cui dialogare, ciò che resta è il terrorismo. Il pornoterrorismo attacca la violenza contro ciò che è fuori dalla norma. Cioè, mette in scena – come tutta la postpornografia – sessualità sovversive. Questo è terrorista”. Lei è Diana Pornoterrorista, un mostro sessuale meraviglioso e inquietante dalla testa ai piedi (o, per meglio dire, dagli anfibi alla cresta). Il suo lavoro come artista di performance iniziò dieci anni fa nella nativa Madrid, con il gruppo di cabaret gore-porno-trash Shock Value e oggi è uno dei punti di riferimento del postporno in Spagna. Attualmente risiede nella città di Barcellona, ​​da dove gestisce la sua centrale operativa postporno e di attivismo queer con un collettivo di artisti locali.

Diana è una guerriera esperta ai margini del genere, una donna che ama pensarsi come costruita alla periferia di quello che è il prototipo di donna (e anche di uomo). E’ un’esibizionista dichiarata, che sale sul palco per recitare le proprie poesie al ritmo di orgasmi terrificanti. Un corpo e una voce determinata a combattere per la liberazione dei corpi, la riappropriazione e il riscatto dei loro desideri più profondi.

Che ruolo ha il corpo nel pornoterrorismo?
-Ne è l’anima. Non si può ignorare il corpo nel pornoterrorismo. Questa è politica del corpo e perciò non considero nessun altro modo di fare politica. I nostri corpi non normativi dimostrano che esistono altre opzioni e stanno anche terrorizzando un pochino. Per questo preoccupano.

Perché hai scelto di lavorare attraverso la performance e la poesia?
-Sul palco mi sento al sicuro, non ho paura di nulla. E mi sembra assai preziosa la possibilità di metterci la faccia. Mi sento più insicura nello scrivere un post sul mio blog, dietro allo schermo. La stessa cosa è successa quando ho scritto il libro, Pornoterrorismo; mi è piaciuto molto farlo, ma mi sento decisamente più a mio agio quando vedo le reazioni delle persone contemporaneamente a quello che sto facendo.

Nelle tue performance sono sempre presenti elementi di S/M, fist-fucking, squirting. Perché queste pratiche sessuali sono terroriste secondo te?
-Non considero il fist-fucking sovversivo perché non è doloroso. Per quanto sia visivamente forte, non fa male. Il BDSM, invece, è terrorista, sovversivo, perché mette in gioco il dolore come piacere.

Il dolore però non è necessariamente presente nelle pratiche BDSM.
-Questo è vero, però c’è sempre una situazione di dominazione. E metterla in discussione è sovversivo. Non sono importanti in quel contesto le questioni economiche, etniche, culturali o altro. Chiunque può dominare chiunque, i rapporti di potere consolidati si trasformano. Il dolore è di solito una punizione; trasformarlo in un premio, in piacere, è sovversivo. Allo stesso modo lo squirting è terrorista, e lo uso per mostrare l’orgasmo femminile, negato dalla medicina e anche dal porno. Quello che non si vede non esiste.

IL CORPO E’ IL MESSAGGIO
Sale sul palco una persona ingessata dalla testa ai piedi, a passo molto lento. Sul suo corpo possono leggersi gli insulti che il pubblico ha scritto su richiesta della performer. Il silenzio carico di tensione che avvolge la sala è bruscamente interrotto dal suono delle furiose sculacciate ricevute da questo corpo ingessato. Grida, dà voce agli insulti stampati sul corpo, si lascia cadere a terra mentre rompe le fasce e invita il pubblico a spogliarsi. Dopo aver recitato le sue poesie, si rimuove gli aghi infilati in fronte, leccandosi il sangue che cade dalle ferite, si fa penetrare dal pugno di una collaboratora. Diana usa il proprio corpo come arma da guerra in ogni performance, non solo come mezzo ma come fine in sé.

Hai affermato di usare il piacere come cavallo di Troia per trasmettere il messaggio. Qual’è questo messaggio? Il piacere è solamente uno strumento?
-Non è solo uno strumento, il piacere è parte di quel messaggio. Quando le persone sono sedute di fronte a un palco a guardare uno spettacolo che sanno chiamarsi Pornoterrorismo, alcune sono già aperte alla proposta. Ma altre vengono solo per la parola “porno”, non per la parola “terrorismo”, capisci? E alcune persone vengono perché sanno che ci saranno tette, culo e sesso dal vivo. Quindi penso che il piacere sia come un amo di modo che, quando il pesciolino abbocca per bene, lì nel teatro può liberarsi di tutto il resto.

E che cosa è che vuoi liberare nello spettatore?
-Questa è la violenza di cui ci nutriamo ogni giorno col telegiornale, che ci circonda. Durante l’ultima performance ci sono stati alcuni momenti molto violenti, come il numero dei peccati della Chiesa, dove faccio un elenco dei suoi peccati, che potrebbero anche essere definiti crimini. E sono argomenti che la gente non manda giù facilmente. Quindi penso che arrivare con una predisposizione per l’eccitazione sessuale ti metta in uno stato di vulnerabilità. Questo l’ho capito una volta che stavamo guardando il telegiornale allo scoppiare della guerra in Iraq: era un vero massacro. E ho cominciato a pensare che non è un caso che i telegiornali vengano trasmessi proprio all’ora dei pasti, li trasmettono proprio in quel momento nel quale inghiotti tutto. Così ho pensato, “perché non utilizzare queste strategie – che sono manipolatorie – per il mio stesso messaggio?

Che impatto credi abbiano le tue performance sul pubblico?
-Spero di aiutare le persone che assistono al mio lavoro a scoprire le diverse forme della propria sessualità. Ho scelto di non lavorare otto ore al giorno per dedicare tutto il mio tempo a studiare questo. Leggo molto, penso e poi lo restituisco masticato e facile da capire. Ci sono intellettuali che lavorano in questo campo da un altro punto di vista, leggono Judith Butler e poi spiegano la teoria di genere, ma davvero poch* l* capiscono. Io cerco invece di renderla accessibile a tutti, e qui, naturalmente, ha luogo a volte una certa discriminazione intellettuale, dove il discorso accademico cerca di legittimarsi sugli altri modi di affrontare la sessualità.

Nel tuo libro affermi che “scoprire la propria sessualità è anche scoprire come il nostro sesso non ci appartiene affatto.” Chi ci ha derubato della nostra sessualità? Come possiamo riprendere il controllo dei nostri corpi e dei piaceri?
-In primo luogo, il patriarcato. Poi la Chiesa. Poi la scienza, con la medicina come strumento. E infine il capitalismo. Questa è la catena di istituzioni che hanno tentato di applicare il controllo su corpo e sessualità. E dobbiamo uscirne, dobbiamo poter scopare con il culo senza avere il prete nella stanza a dirci che è peccato. Non è facile, perché è qualcosa che abbiamo dentro di noi da quando siamo molto piccol*, dal momento che ci assegnano un genere biologico. Ma si realizza con l’attivismo, con una vita attiva basata sul lavoro sul corpo.

Nell’ambito di questo attivismo, vedi nel femminismo il percorso corretto per la liberazione del corpo e della sessualità?
-No, perché in molti casi il femminismo è reazionario ed escludente; io stessa mi sento esclusa dal femminismo, nelle sue categorie non c’è posto per me. Il femminismo è per la liberazione delle donne, ma respinge la prostituzione, il porno, il sado, considerandoli forme di violenza contro le donne. Io sono a favore della prostituzione e del sado e faccio porno. Respingo il femminismo perché lascia fuori uomini e trans. Di fronte al rifiuto del maschile, per esempio, propongo l’appropriazione del fallo, ossia di appropriarsi in maniera autodeterminata dei simboli del patriarcato piuttosto che distruggerli.

Perché ti identifichi con il transfemminismo ? Quali sfide implica l’etica transfemminista contro l’ordine sessuale normativo?
-La sessualità, il genere, le rappresentazioni del corpo, non possono essere isolate dal contesto economico globale, politico e istituzionale in cui si svolgono. E questo contesto è il capitalismo. Il transfemminismo implica coerenza con la lotta anti-capitalista. Io mi schiero contro il femminismo che proclama la liberazione delle donne, ma allo stesso tempo utilizza Windows invece di un software libero. Le lotte che si instaurano nel campo della sessualità non possono essere separate dalla lotta contro il capitalismo, la coerenza è necessaria a questo proposito. Lo stesso accade al contrario, quando l’attivismo anti- capitalista non include il lavoro sul corpo. Questo è ciò che accade con il movimento 15 -M qui in Spagna, le/gli indignat* che vogliono la rivoluzione, ma poi tornano a casa e non sanno scopare se non nella posizione del missionario. Senza una politica del corpo e del genere nessuna rivoluzione è possibile, né ha senso la sovversione sessuale staccata dalla lotta contro il capitalismo.

Quali azioni specifiche possono essere adottate per attuare una politica del corpo e di genere?
-Attraverso il transfemminismo, ad esempio, portiamo avanti la campagna STOP Transpatologización, con la quale reclamiamo la necessità di rimuovere il transessualismo dal DSM IV e dagli altri manuali internazionali di diagnosi mediche. Il transessualismo è definito come un disturbo della personalità. Recentemente abbiamo esaminato il nuovo progetto e non appare più, è stato rimosso, ma invece la sindrome premestruale è stata inclusa in quanto condizione temporanea. Pensa! Una volta al mese tutte le donne sono pazze.

In Argentina è ora in corso un dibattito sulla legge sull’identità di genere, che permetterà alle persone trans di cambiare ufficialmente il proprio nome e sesso senza spiegazioni.
-Beh, sono più avanti di noi. Qui si deve ancora passare attraverso un processo medico-psichiatrico di due anni, dopo di che l’istituzione medica decide se sì è o meno in grado di prendere questa decisione.

LA RETE POSTPORNO
Se il postporno funziona principalmente a partire dai collettivi e dall’autogestione nella produzione, il lavoro di Diana è come un filo in questa rete di volontà interessat* a creare nuove e sovversive rappresentazioni della sessualità. In questo senso la proposta Pornoterrorista trova nel postporno il proprio inquadramento e la propria rete di alleanze a partire dalla quale scagliarsi in modo transfemminista, creativo e al di fuori della logica commerciale contro il porno mainstream. Una di queste linee di azione e di lavoro collettivo trova la propria sintesi nella Muestra Marrana, un festival porno non convenzionale autogestito e organizzato da Diana, Claudia Ossandón e Lucia Egaña che ha luogo ogni estate nella città di Barcellona. Il festival è un’occasione non solo per presentare le produzioni audiovisive legate al postporno, ma anche per creare uno spazio di scambio e di dibattito sulle molteplicità sessuali sovversive e sulle pratiche che stanno ai margini del sistema eteronormativo. “La pornografia è fatta per vendere certe pratiche e certi corpi. La differenza fondamentale è che nel postporno possono comprendersi tutte le pratiche. Se ti eccita metterti una fragola nel culo o se mangiando una banana hai un orgasmo, così sia. Per la pornografia sarebbe un’aberrazione o una di quelle pratiche che si inseriscono nel genere ‘crazy and funny’. E la cosa più importante del postporno è che include le donne come produttore, registe, attore”, dice Diana. Pensando a queste ultime, la questione degli assenti è inevitabile.

Dove sono gli uomini nel postporno?
-Davvero non lo so. Li aspettiamo. Non ho alcun problema a fare dei laboratori con i ragazzi, fare postporno o qualsiasi altra cosa. Ma non vengono. C’è molta più paura nei ragazzi in generale, e il fattore problematico è dato dal fatto che le donne e gli uomini con i quali si relazionerebbero non gli piacciono, perché siamo corpi poco normativi. Sto aspettando questo momento, adesso mi piacerebbe giocare con più uomini, ma è molto difficile. L’ultima volta che ho giocato con gli uomini erano completamente impenetrabili, esseri pieni di paure e frustrazioni. In questo senso penso che la pornografia abbia fatto molto male agli uomini, danni soprattutto interiori. Molte donne non hanno mai visto porno nella loro vita, al contrario è quasi un insegnamento culturale che i ragazzi vedano i porno. E questo ti rimane dentro. Poi improvvisamente scoprono le pratiche postporno che sono diverse da ciò che vedono nel porno, che non confermano quello che era apparentemente così importante e chiaro, si sentono come nudi.

In questo senso, gli uomini hanno molto più lavoro da fare. Non che tra noi non si parli di sesso, ma lo facciamo in modo diverso.
-È vero, la pornografia e le modalità di acculturazione della sessualità maschile sono frustranti perché non sono reali. Né il tuo corpo è così, né le tue pratiche sono così, né ciò che ti piace è così. Questo dovrebbe indurre gli uomini a fare postporno, ma non succede. Temono che arrivi una tipa punk con la cresta a scoparli nel culo.

Sembra che ogni contatto con il culo dell’uomo, qualsiasi tipo di penetrazione si riferisca ad una identità omosessuale.
-Certo, si parte dal presupposto che le donne non penetrano e gli uomini non sono penetrati. Quindi, se ti penetrano e soprattutto se lo fa una donna, smetti di essere un uomo e diventi un finocchio. E’ come una regola matematica di base alla quale tutt@ hanno creduto e che è come un fantasma che informa gli ani di mezzo mondo. C’è un testo molto interessante di Beatriz Preciado chiamato Terrore Anale, che parla di queste paure dell’analità e della penetrazione.

Cosa credi manchi al postporno?
-Il postporno è considerato una forma di rappresentazione artistica della sessualità, ma non commerciale. In sintesi, è considerato come un movimento. Perché alla fine siamo come topolini che lavorano sempre ai margini. Sarebbe bello se ci fosse un riconoscimento per la gente che ha lavorato per anni su questo. Sono dieci anni che lavoro come artista e finora non ho visto alcun frutto a livello istituzionale, artistico e nemmeno di pubblico.

Questo riconoscimento di cui parli significherebbe entrare nel circuito dell’arte istituzionale. Pensi che un ampliamento del territorio di influenza del postporno significherebbe una perdita del proprio potere sovversivo?
-Mi piacerebbe vendere la mia arte ai musei, ma non credo sia possibile. Sempre che questo non implichi auto-censura, non vedo nulla di male nel raggiungere più persone e ottenere soldi dallo Stato. L’anno scorso, per esempio, abbiamo organizzato nel Museo Reina Sofia di Madrid un evento chiamato La Internacional Cuir, dove abbiamo fatto le nostre performance. Ma è un’eccezione, perché di solito non viene comprato. Il postporno e il pornoterrorismo sono periferici, marginali.

Dunque che cosa si è raggiunto finora con il postporno?
-Si è ottenuto che il femminismo sia più divertente e arrapato rispetto a prima, che sia anche più inclusivo e meno discriminatorio. Penso che sia uno dei migliori risultati del postporno: trasformare il femminismo in una cosa sexy. Anche a livello artistico è molto importante, infatti il postporno sta rimodellando il mondo dell’arte. In sintesi, i risultati sono sessualizzare il femminismo e sessualizzare il mondo dell’arte. E farlo in modo politico, etico.

Scopri il sito di Diana qui.

Finalmente anche in Italia, l’artista e performer Diana J. Torres presenterà ad Aprile, nel corso di un indimenticabile tour, il suo libro Pornoterrorismo.
Il tour di presentazione si terrà tra il 9 e il 21 di aprile 2014.
Le città che ospiteranno l’evento saranno:

9 aprile: PALERMO
10 aprile: NAPOLI
11, 12, 13 aprile: ROMA
14 aprile: BOLOGNA
15 aprile: GENOVA
16 e 17 aprile: MILANO/RHO
18 e 19 aprile: TORINO

ADOTTA UNA PORNOTERRORISTA!
Sul sito di crowdfunding Verkami puoi acquistare Pornoterrorismo in prevendita, e sostenere così il tour di Diana in Italia.
Aderisci, diffondi e PARTECIPA!
Evento Facebook qui.

Di alcune forme di stronzaggine

1964957_10202740464326669_1264403541_n Tra le cose che produciamo come collettivo politico ci sono le “traduzioni militanti”. Fuori dell’Italia si producono cose ottime, e in grande quantità, riguardo questioni di genere e temi che in questo paese sono ancora tabù. Ci è sempre sembrato un lavoro di per sé quasi rivoluzionario prendere qualche testo e farlo conoscere nella nostra lingua, rendendone possibile l’accesso a un pubblico che altrimenti non ha e non avrà la minima speranza di leggerlo mai.

Si tratta quindi di un’operazione strettamente politica, per molti versi considerabile come sovversiva. Cerchiamo di suscitare interesse, coltivare dibattiti, aumentare la diffusione di linguaggi che trovano grandi difficoltà di circolazione a causa dei limiti culturali della nostra opinione pubblica.

Le nostre traduzioni sono “militanti”, realizzate cioé nell’urgenza della trasmissione politica, i contenuti del testo, di norma, prevalgono sugli aspetti di stile. Ciò non significa che evitiamo di porci questioni di questo genere, solo che le risolviamo più velocemente di quanto faremmo se la nostra traduzione avesse un tempo di elaborazione simile a quello che si dedica a un testo pagato.
Siamo comunque molto orgoglios@ di ciò che facciamo che resta, nel confine del suo scopo, accurato. D’altra parte ci capita di ricevere anche qualche complimento, ma soprattutto i ringraziamenti di chi a quel testo, in lingua originale, non avrebbe mai avuto accesso.

Sarebbe scontato poi puntualizzare che le nostre traduzioni non sono un testo sacro, come non lo è nessuna traduzione, e chi le legge può farci quello che vuole, tra cui anche dire e dimostrare che sono imprecise, o sicuramente perfettibili. Ma se evidentemente siamo stati lo spunto per farvi fare qualcosa – pensare, scrivere, ritradurre, interessare – quello era il nostro scopo, ed è appunto uno degli scopi politici della traduzione militante. Noi mettiamo sempre il link alla fonte originale, così che le nostre scelte di traduzione siano sempre confrontabili e affinché ciascuno/a, se vuole, possa tradurre per conto suo.

Siamo ben felici se qualcuno/a prende spunto dalla nostra traduzione per farne una sua; è prassi corretta e civile, se questa traduzione diversa è riportata in qualche sito, linkare anche noi, in modo che lo scopo principale della traduzione militante – allargare la base della discussione politica su un certo testo – sia raggiunto.

Ritradurre significa entrare in relazione con le traduzioni già esistenti e, sopratutto, non significa copiare una traduzione già fatta – che rappresenta la risposta di quel traduttore ai problemi linguistici e di mediazione culturale del testo – cambiando qualche parola per non farsi sgamare.

Se quindi, dopo averlo letto qui, tu prendi il nostro link, le nostre parole, fai una tua traduzione e non dici una parola su chi ti ha dato l’idea o dove l’hai presa, sei semplicemente ed evidentemente un/a stronzo/a.

Ovviamente non c’entrano nulla questioni di “diritti d’autore”, plagio, o cose del genere. Comportarsi in quel modo significa stroncare la possibilità di un dibattito politico, perché noi non sapremo mai cos’hai fatto né avremo la possibilità di confrontarci sul testo. Quindi lo scopo politico di tutta l’operazione sparisce nel tuo (finto) originale tentativo, per il quale raccogli complimenti magari meritati – per la traduzione tua –  ma rubati – per l’idea del testo, che hai preso da noi. Proprio un modo di fare da stronzo/a, che è un attributo personale e non politico.

Se togli lo scopo politico a tutta l’operazione, rimane solo una vanagloria raccolta per mero narcisismo personale. Dovrebbe essere eticamente conseguente accennare a chi ti ha fatto venire in mente l’argomento, il testo da tradurre, le critiche a noi che pubblichi da te; invece la tua etica non ti ha suggerito nulla del genere. E non l’ha fatto perché è l’etica di uno/a stronzo/a.

Lorenzo Gasparrini per il collettivo Intersezioni.

Hackeriamo i fondamentalisti misogini contro la maternità obbligatoria

ph eldiario.es

Ieri, attorno alle 19.30, un hacker parte del movimento #Anonymous, ha avuto l’idea di hackerare il sito dell’Arcivescovo di Granada, inserendo nel sito il video dell’artista e attivista colombiana Nadia Granados, in arte La Fulminante Roja, nella performance Maternidad Obligatoria [Maternità obbligatoria], accompagnandolo all’hashtag #NiDevotaNiSumisa.
Nel video, realizzato nel 2011 e recentemente rimosso da youtube, La Fulminante interpreta un monologo sulla libertà sessuale e di aborto, giocando con un preservativo pieno di sperma.

L’azione di #Anonimous è una risposta diretta alle posizioni antiabortiste e misogine dell’arcivescovo Martínez, diventato famoso, in novembre, per aver promosso la pubblicazione in Spagna del libro di Costanza Miriano “Sposati e sii sottomessa” (in spagnolo “Casate y sé sumisa”) e noto per le sue dichiarazioni su aborto e stupro. Secondo l’arcivescovo Martínez quando abortisci non puoi lamentarti se qualcuno ti stupra: “no podían quejarse si abusaban de ellas”. L’azione è diretta anche al PP di Gallardón, il Partito Popolare spagnolo che ha modificato la legge sull’aborto, rendendola molto più restrittiva e riportando il paese alla condizione degli anni Settanta, cancellando il diritto all’autodeterminazione delle donne. L’anonim@ hacker mette in relazione le alte sfere del PP con la setta cattolica dell’ Opus Dei.

MATERNIDAD OBLIGATORIA di LaFulminanteRoja

http://www.dailymotion.com/video/xl1bm0_maternidad-obligatoria_webcam

Maternità Obbligatoria di La Fulminante Roja, traduzione di Serbilla.

La copula ci permette di trascendere i limiti del nostro corpo fisico. Necessario incontro orgasmico e libertario!! Fonte illimitata di forza emancipata!! Ci sono milioni di ragioni per voler copulare, sono personali e intime e tanto diverse per quante persone sono sulla terra. Di solito godiamo senza fine riproduttivo, piacere fine a sé stesso.

Prendere una gravidanza accidentale e trasformarla in maternità è un diritto e non un obbligo, come dovrebbe esserlo interromperla nel caso in cui non la si possa accettare. Quando i moralisti affermano che “La vita inizia con il concepimento” stanno mettendo sullo stesso piano l’ovulo fecondato e una persona con diritti e libertà. Agli spermatozoi con cinque ore di vita dentro questo preservativo non è stato permesso di fecondare ma, se questo cappuccio si fosse rotto, tutto questo seme sarebbe dentro il mio grembo fertile e potrebbe essere un piccolo zigote “Figlio di Dio” e, nel caso volessi tirarlo fuori dal mio corpo, si direbbe che questo è un delitto, perché è mio obbligo trasformarlo in bambino.

La “voce” di questi anziani cattolici e misogini, che mai correranno il rischio di restare incinti senza desiderarlo, incide maggiormente sulle leggi della voce di milioni di donne in età riproduttiva molte volte obbligate a procreare, soprattutto le più povere, le più indifese. Perché, nonostante si dica che è “illegale”, se una donna lo può pagare, può procurarsi un aborto, può prendere del Cytotec. E se vuole abortire ma non ha soldi? Se non ha nemmeno di che mangiare? Allora questa donna, che non ha alcuna garanzia di vita degna, come la si può obbligare a essere madre? A essere madre?

La maternità non può essere considerata un dovere, è una decisione personale.
Mai più crocifissi nei nostri uteri!!
Vogliamo il diritto a decidere sul corso delle nostre vite!!