Deconstructing l’assenza della speranza (Zecchi 2)

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Tra le cose più belle dello stare in un collettivo politico è che dopo un po’ gli altri capiscono i tuoi gusti, e si divertono a passarti cose da leggere ben sapendo l’effetto che ti fanno. Alcun* dentro Intersezioni, saputa la mia stima per Zecchi e quanto la cosa mi tocchi sul personale, si sono affrettat* a linkarmi quest’altra perla. Anche in questo caso, che dirvi: non ho saputo resistere.
Vi ricordo che parliamo di un professore ordinario di filosofia in una delle più note e grandi università italiane. Ciascuno ha diritto alla propria opinione, e ci mancherebbe; ma se con quei titoli di studio spari di queste robe sui giornali, siamo andati ben oltre quel diritto, credo. Questa roba fa male. A tutti.

Mai così pochi nati in Italia

E io do la colpa alle donne [il buongiorno si vede dal mattino]

Se andiamo avanti di questo passo, saranno soltanto le coppie gay a volere dei figli, così si darà ancora maggiore sviluppo all’indecente mercato degli uteri in affitto [cominciamo così, con un po’ di sprezzante omofobia tanto per far capire da che parte stiamo. Segnatevi che qui il problema è volere dei figli, e che quello degli uteri in affitto è un mercato già sviluppato, perché riceverebbe un maggiore sviluppo rispetto alla sua dimensione attuale. E non è chiaro perché solo le coppie gay li vorrebbero].

I dati sono sconcertanti: cinquemila nati in meno rispetto all’anno scorso per un totale di 509 mila nascite, il livello minimo dall’Unità d’Italia [il dato che fa sobbalzare il nostro profordinario, da solo, come tutti i dati, non dice niente. Per esempio, la popolazione italiana cresce costantemente; ci sarebbe da riflettere su queste due cose insieme, no? No, a lui basta questo. E che le coppie gay, inspiegabilmente, vogliono figli].

Facile individuare il colpevole di questo record negativo nella crisi economica che stiamo attraversando da troppi anni. E non ci si sbaglia: tuttavia non tutte le colpe sono sue [la crisi non fa fare figli ma fa aumentare la popolazione. Ecco la terribile forza del capitalismo: gli sfruttati li crea dal nulla! Ma cerchiamo il vero colpevole].

Figli significano costruzione di una famiglia, e una famiglia vuol dire casa [sì, magari], ma per avere una casa generalmente c’è bisogno di un mutuo [un generalmente che puzza un po’, ma andiamo avanti – non vi dimenticate le coppie gay eh] che le banche concedono se si ha un lavoro fisso [non è così semplice, ma vediamo tutto questo semplificare a cosa porta]. Un vero e proprio percorso ad ostacoli [ah, questo è il percorso a ostacoli? E chi aspetta un alloggio pubblico? Chi è in affitto? Chi occupa? E chi è una coppia gay?], in cui è arduo arrivare alla meta. La casa, dopo la sconsiderata politica di Monti [il problema del mercato immobiliare italiano, dell’accesso a un alloggio civile per tutte le fasce di reddito, è Monti? Gentile profordinario, vuol proporre questa lettura microeconomica a qualcuno de Il Sole 24 Ore? Vorremmo sentire le risate anche da qui, grazie], sta diventando un miraggio per il suo costo devastante, e un lavoro fisso è un sogno se soltanto si osservano distrattamente i dati sulla disoccupazione giovanile [giovanile: sopra i 35 anni tutti hanno un contratto, e il problema di mantenere dei figli è diverso dal volere dei figli. Lucidissimo come sempre].

La sintesi di questa breve descrizione, con cui metto le mani avanti per sottolineare che non mi sfuggono le questioni economiche che falcidiano le nascite [ah, beh, una sintesi che Federico Caffè le invidierebbe], è che rinunciare ad avere figli sembrerebbe un atteggiamento molto responsabile [sì, se c’hai le pezze al culo. No, se sei un profordinario all’università. Capita l’antifona? E badate bene: quando serve il problema è volere dei figli, oppure costruzione di una famiglia. In entrambi i casi, delle coppie gay non si fa più parola]. Mettere al mondo dei disgraziati, figli di altri disgraziati, che senso ha? Un minimo di responsabilità farebbero pensare che famiglia e figli siano un lusso che non ci si può sensatamente permettere [dell’amore e della volontà che servono, manco una parola, visto che allora dovrebbero pensarci le strutture pubbliche, come da garanzie e princìpi dagli artt. 3 e 4 della nostra Costituzione. Che può non piacere, ma vige anche per i profordinari e i loro deliri classisti – e anche per le coppie gay].

Si guardino anche gli extra comunitari, che filiavano allegramente [ma che bel luogo comune razzista] tanto che qualcuno temeva una rapida diffusione del meticciato [fa bene vedere i profordinari di filosofia avere, tra le loro fonti, la Lega prima maniera]. Anche loro, stando alle ultime statistiche, sono molto contenuti, quasi fossero stati contagiati dal nostro virus della non-natalità [noi, loro, che belle parole – dunque non figliano più manco gli extracomunitari, e allora com’è che siamo sessanta milioni e continuiamo ad aumentare? E parlo di censimento eh, i disgraziati – quelli sì, per davvero – salvati dal mare non contano mica].

Però, chiediamoci adesso se sia soltanto il forte disagio economico ciò che frena o perfino annulla il desiderio di avere figli? [Attenti,  malgrado la sintassi adesso il profordinario ci stupirà.]

Dall’Unità d’Italia ad oggi sono stati numerosi i periodi di crisi economica attraversati dalla nostra gente [la nostra gente, mica gli extracomunitari. Caro profordinario di filosofia, lo sa che S.Agostino era extracomunitario? Così, tanto per dire]. Chi ha un po’ di anni si ricorderà, per averlo vissuto direttamente, il dopoguerra: non erano rose e fiori, eppure si costruivano famiglie, nascevano bambini [mica perché gli adulti erano morti a milioni, no; e mica perché serviva forza lavoro per fare qualunque cosa in un paese distrutto da una guerra persa, devastato dai combattimenti sul suo territorio e svenato da vent’anni di regime economicamente folle]. Allora, credo, che alla base di questo disastro che sta distruggendo la natalità ci sia dell’altro, non solo la mancanza di quattrini [che bel gergo classista: a lui non manca il lavoro, le possibilità, le certezze in un aiuto pubblico: lui parla di quattrini. Ma quanto è sgradevole questa parola? Ma che ne sa di parole lui, è un profordinario di filosofia].

La donna è la prima, fondamentale protagonista della procreazione [ZACCHETE! V’ha preso in contropiede, eh? Voi stavate lì a fare discorsi di economia, e lui bum! Ci piazza la femmina]. Ma essere madre non rappresenta più un valore alto, significativo, centro di sviluppo dell’identità femminile [e te credo, oltre alla guerra ti dovresti ricordare il femminismo e gli anni ’70. O dormivi?]. Sono numerose le riflessioni che intendono affermare come per una donna, il non avere figli sia un peso esistenziale in meno, che consente di stare meglio [no, il discorso è che quella è una scelta, non per forza uno stare meglio, ma una scelta da compiere liberamente. Se ti ricordi il dopoguerra, ti dovresti ricordare pure queste riflessioni, che non erano tanto peregrine].

A questo, si aggiunga che l’idea stessa di famiglia «normale», con un padre e una madre e dei figli, non rappresenta un obbiettivo sociale da perseguire e difendere [a parte lo schifo dell’idea di “normalità”, ma perché una famiglia dovrebbe essere un obbiettivo sociale? Non è che la fai e poi ti fermi lì, mica basta quello – tenendo conto che i figli non escono dal tuo, di corpo, e che non te li smazzi tu per parecchi anni, caro il mio papà che ha vissuto il dopoguerra]. Non c’è una politica della famiglia capace di facilitare economicamente la sua costituzione attraverso asili nido e condizioni lavorative favorevoli per le nuove madri. Non c’è il valore culturale della famiglia [quelli sono diritti delle donne, no politica della famiglia, ipocrita che non sei altro: al nido e alle condizioni lavorative favorevoli si ha diritto anche da sole, e da soli. O per te dovrebbero valere solo per una famiglia “normale”? Complimenti, alla puzza di razzismo s’aggiunge l’afrore di sessismo. Altro?].

Ma ciò di cui sono stati defraudati in modo violento i giovani, è la speranza [beh, se all’università si trovano profordinari come te…]. Manca il sentimento del futuro, l’amore per il progetto perché è prevalsa una visione coercitiva della quotidianità [rammento a tutti che secondo il titolo sarebbe colpa delle donne, della visione coercitiva della quotidianità. Non di chi ragiona solo di quattrini]. Quella responsabilità, di cui parlavo in precedenza, che consiglierebbe molta prudenza nel mettere al mondo i figli, in realtà nasce dall’assenza della speranza [ma se c’hai rotto le scatole per mezzo articolo che il problema è economico! E poi: perché questa assenza della speranza colpirebbe solo le donne?], di quello slancio che porta a credere nel domani [oh, Zecchi, lascia la bottiglia e ragiona: se manca tutto ‘sto slancio che porta a credere nel domani, com’è che la popolazione italiana aumenta? Sono comprati su Ebay tutti ‘st’italiani? O forse il problema è un pochino più complesso, e non andrebbe risolto in un articolo tutto fuffa, razzismi e banalità?] e che rappresenta l’unico vero lievito della vita. Il nutrimento della vita sono i figli [citazione del maresciallo La Palice, immagino], e le statistiche sul disastro della natalità dovrebbero essere il primo, fondamentale problema della politica: se non viene risolto, tutto il resto è solo dettaglio [il razzismo, il sessismo, i luoghi comuni e l’ignoranza economica e sociologica del profordinario sono solo dettaglio].

Ma che ne so io, io c’ho due figli e un mutuo, vedi come sono irresponsabile. Però pieno di speranza.

A Zecchi, ma famme ‘na grossa cortesia.

La grassofobia di Siani non ci fa ridere

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Solo pochi mesi fa, a ottobre 2014, un ragazzino partenopeo è stato stuprato con un tubo ad aria compressa, da alcuni “amici” più grandi di lui, di cui uno già padre. “Guarda come sei grasso, ora ti gonfio ancora un po’” ha detto lo stupratore più che maggiorenne. E’ stato stuprato perché a una persona grassa si può dire e fare qualsiasi cosa, come a tutti i soggetti stigmatizzati. Salvatore, al quale la violenza ha causato gravissimi danni fisici e psicologici, mettendo in pericolo la sua stessa vita, aveva 14 anni, pochi di più di quelli che sembra avere il ragazzino che ieri sera, durante il festival di Sanremo, Alessandro Siani ha bullizzato in mondo visione.
Chissà quante volte quel ragazzino l’hanno preso in giro per il suo aspetto, chissà se ha pianto, se ha urlato, se ha scalciato, se ha pensato di non valere niente perché sovrappeso. Adesso, grazie a Siani, che dopo lo ha anche usato per schermirsi dalle immediate critiche, facendosi fotografare con lui sorridente (capirai, un bambino sorride se un adulto famoso e “simpatico” gli dice: “Facciamo una foto assieme”); adesso grazie a Siani, nessuno potrà dire: lascia stare questo ragazzino, non permetterti di sfotterlo! Lui stesso come si difenderà dai bulli?
Se lo ha fatto Alessandro Siani in televisione, se lo ha fatto uno dei “comici” sicuramente più noti tra i compagni di quel ragazzino, perché qualcuno dovrebbe trattenersi? E quindi Siani gli ha regalato una pioggia di “chiattone” e “pall’e ladr'”,”ci entri nella poltrona?”, in coro a scuola,  a calcetto e in spiaggia, senza provare nemmeno un poco di ritegno. “Te l’ha detto pure Siani che pari una comitiva“. E tra sfottere, spintonare, calare i pantaloni e infilare un tubo nell’ano, quanti passi ci sono? Siani se l’è chiesto mentre bullizzava un bambino?
Scusarsi dopo, dopo una battuta sessista, razzista o grassofobica/ponderalista, non serve a niente, perché la forza della situazione derisoria resta tutta lì, nella cultura di riferimento, nelle menti di chi ascolta e sul corpo della persona presa di mira. Quello che Siani prova per i grassi è odio allo stato puro, li odia e li usa nei suoi spettacoli e nei suoi film, come nota chi li guarda. Oh sì, possiamo dire: almeno si è scusato, ma gradiremmo avere a che fare con persone all’altezza di un palco, qualsiasi palco, televisivo, cinematografico, radiofonico o giornalistico che sia.

E i ponderalisti che sputano dignosi sullo stato di salute di una persona grassa adulta o bambina, dovrebbero chiedersi se, nel caso in cui si trattasse di un problema di salute, troverebbero normale e corretto dire a una persona, un bambino, con un tumore all’occhio “guagliò tiene na patana ‘nfront” (“ragazzo hai una patata sulla fronte”) oppure “te trasene e lent’?” (“riesci a infilarti gli occhiali?”).

10 modi per essere un femminista migliore

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Articolo di Aaminah Khan, apparso originariamente sul suo blog. Traduzione di feminoska, revisione di Eleonora.

Chi dice che sono sempre negativa? Lasciando perdere quello che scrivo sul blog, le dichiarazioni furibonde su Twitter e le arrabbiature quando la mia squadra di calcio non sta vincendo, vi assicuro che sono in grado di essere ragionevole, costruttiva e anche – assicuratevi di essere sedut@ per quello che sto per dirvi – piacevole.

Potreste avere l’impressione che odi gli uomini. Non è così. Gli uomini mi piacciono! (Alcuni uomini mi piacciono davvero tanto, se capite cosa intendo – e sono sicura che abbiate capito, perché la mia frase aveva la delicatezza di un ubriaco ad una serata di gala [ndt: abbiamo evitato l’uso dell’espressione elefante nella cristalleria in quanto ritenuto specista, così abbiamo coniato una nuovo modo di dire]). Quello che mi fa impazzire è la misoginia. Quello che mi fa schiumare di rabbia è l’appropriazione del movimento femminista da parte di uomini che o non sanno cosa stanno facendo o stanno deliberatamente cercando di trarne profitto.
Diciamo che sei un esemplare del primo tipo – ben intenzionato, ma non abbastanza consapevole su cosa comporti essere un femminista. Sei nel posto giusto! Ho intenzione di smettere di urlare per un tempo sufficiente a dirti dieci cose che puoi fare per essere un femminista migliore, un alleato migliore e – diciamocelo – una persona migliore.

1.Lascia perdere i tuoi preconcetti
So che hai un sacco di preconcetti su che cos’è il femminismo e su quale possa essere il tuo ruolo nel grande schema delle cose. È perfettamente normale – tutt@ noi abbiamo dei preconcetti sulla vita basati sulle nostre esperienze precedenti. Ma è necessario lasciarli perdere tutti quando si entra in uno spazio femminista. Il femminismo è un movimento che si basa in gran parte su esperienze vissute dalle donne. Se non sei una donna, puoi provare empatia, ma naturalmente non puoi dire che sai cosa abbiamo passato. E non c’è nulla di male! Sostengo molte cause anche se non mi riguardano o toccano in prima persona. Nessun@ sta dicendo che non puoi essere femminista. Quello che stiamo dicendo è che devi seguirci nel farlo, perché questo movimento riguarda il modo in cui le strutture di potere influenzano la nostra vita in modi che potresti non riuscire nemmeno a percepire dalla tua posizione. Vieni a mente aperta e sii pronto a imparare, e non solo ti troverai di fronte a un mondo completamente nuovo, ma sarai molto più in grado di comprendere ed elaborare quello che vedrai e sentirai.

2. Preparati ad ascoltare. A lungo
Probabilmente hai molte tue idee che desideri condividere. Vuoi dirci perché gli uomini agiscono così come fanno, e come pensi che si possa cambiare questo comportamento. E c’è spazio per fare questo nel contesto femminista… fino a un certo punto. Ma per la maggior parte del tempo, abbiamo bisogno che gli uomini ascoltino. Voglio che pensi a tutte le donne che si vedono negata la possibilità di parlare da uomini di tutto il mondo – donne a cui è impedito di ottenere un’istruzione, donne che subiscono mutilazioni genitali, donne a cui non viene permesso di lavorare, donne vittime di abusi sessuali, donne di colore, trans e queer, lavoratrici del sesso. Non meritano la possibilità di essere ascoltate? Non ti piacerebbe essere la persona che dà loro questa possibilità? Sembra una sciocchezza, ma è davvero, davvero importante. Se vuoi essere un alleato si tratta soprattutto di essere pronto ad ascoltare le nostre storie – e ne abbiamo tante. Così tante. Potresti tirare fuori un bloc-notes e iniziare a prendere appunti. Potrebbe esserci una verifica oppure no, dopo. Ci hanno messo a tacere per così tanto tempo. Lasciaci parlare. Per favore.

3. Non aspettarti un’accoglienza automatica
Sei un uomo di parola, giusto? Eccoti, pronto a rimboccarti le maniche e a sporcarti le mani combattendo per una buona causa. Se solo ci fossero più uomini come te! Il fatto è – non prenderla sul personale – che abbiamo visto un sacco di tipi come te, che parlavano come te, erano entusiasti quanto te… che ci hanno prevaricato nelle discussioni, ci hanno zittite, avvilite e hanno usato il nostro movimento per trarne profitto. Ci vuoi far pesare di essere un po’ preoccupate? Ci vuoi far pesare di essere sospettose quando gli uomini cercano di entrare nei nostri spazi, non importa quanto apparentemente buone siano le loro intenzioni? Sotto le mentite spoglie del “femminismo”, gli uomini hanno molestato sessualmente e violentato donne di cui avevano guadagnato la fiducia, hanno usato le loro posizioni di influenza per intimidire e mettere a tacere le donne (Hugo Schwyzer, ve lo ricordate?) e farla franca addirittura in caso di omicidio. No, probabilmente tu non fai nessuna di queste cose – ma non possiamo esserne sicur@. Quindi preparati a ricevere un po’ di ostilità. Abbiamo dovuto imparare a nostre spese ad essere diffidenti con gli sconosciuti che portano doni. Se lavorerai duro e ti comporterai bene con noi, ti accetteremo col tempo.

4. Non aspettarti un trattamento speciale
Questa è una cosa che molti uomini faticano ad accettare, e a ragione – arrivano da una posizione di privilegio totale, nella quale le loro idee e opinioni hanno automaticamente un peso maggiore in virtù del loro genere. Potresti anche non rendertene conto, ma la tua mascolinità ti dà enormi vantaggi là fuori nel vasto mondo. Se vuoi essere un femminista, devi essere pronto a rinunciarci. È difficile. So quanto è difficile, perché ci sono stati momenti in cui ho dovuto farlo anche io. A volte ti sentirai offeso o maltrattato. Ti troverai a chiederti perché ti stai mettendo in discussione, se le persone non riconoscono i tuoi sforzi. È la tua posizione di privilegiato che parla, e devi imparare a mettere tutto questo da parte se vuoi fare le cose per bene. Benvenuto in un nuovo mondo, amico. Goditi l’uguaglianza!

5. Non parlarci addosso
Un sacco di uomini si offendono per questo, ma devi imparare a morderti la lingua. Questo è il nostro movimento. Siamo liete che tu sia qui al nostro fianco, ma devi accettare che non sarai mai al centro della scena. Quello spazio è riservato alle donne con reali esperienze vissute da condividere. Se ti viene voglia di parlare mentre una donna condivide la sua storia… non farlo. Non c’è modo più semplice di far arrabbiare una femminista che cercare di raccontare la sua storia per lei, o presumere di conoscerla meglio di lei. Ti assicuro che, non importa quale sia la situazione, non ne saresti in grado. Non hai vissuto la sua vita, non hai visto quello che ha visto o sentito quello che ha sentito, e non è possibile che tu, un uomo, possa capire al 100% cosa vuol dire essere una donna. Non sto dicendo che non ti è permesso di parlare. Sto dicendo che devi aspettare il tuo turno. Negli spazi femministi, l’esperienza vissuta di una donna ha la precedenza sulle tue idee di uomo. Siamo naturalmente esperte nel campo, sai? Lasciaci parlare.

6. Non restare in silenzio di fronte al sessismo
I tuoi amici scherzano sullo stupro. Ti fanno sentire a disagio, ma non dici nulla, perché non vuoi essere ”quel tipo d’uomo” – quello che non ha senso dell’umorismo, che fa il censore tutto il tempo. Sorridi goffamente quando il tuo migliore amico dice alle donne di andare in cucina, anche se pensi che non sia poi così divertente, e ti lasci trascinare in discussioni che disprezzano le donne, anche se non era tua intenzione. Ecco, questa cosa deve finire. Se vuoi fare qualcosa di concreto – e immagino tu lo voglia fare – questo è il modo migliore per iniziare. Combattere il sessismo quando lo vedi. Dì ai tuoi amici che quegli scherzi sullo stupro non sono divertenti. Alza gli occhi al cielo alle battute del tuo amico sulla cucina e digli che sta facendo lo stronzo. Quando vedi delle molestie per strada, fatti avanti e dì qualcosa. Sii l’uomo che non lascia che altri parlino male delle donne alle loro spalle. Sii l’uomo che non accetta il “se l’è cercata”. Non riesco a sottolineare abbastanza quanto tutto questo sia importante. Le tue intenzioni non significano nulla se non le sostieni coi fatti. Aiutaci, amico. Usa la tua voce per qualcosa di buono.

7. Non proporci mai, mai, la “spiegazione virile”
Stai parlando ad una sex worker, che ti sta raccontando la sua versione di come sia la sua attività professionale nel posto in cui vive. Ti sembra che vi siano alcuni dettagli sbagliati – forse hai capito una certa legge in maniera differente da lei, o fatichi a credere che la polizia sia così ostile. Le dici che non pensi che le cose stiano così, e procedi a spiegarle la realtà nel modo in cui la vedi tu. Questo è un esempio di “spiegazione virile”, e non dovrebbe sorprenderti se in tale occasione la reazione della sex worker sarà più che irritata. So che alcuni di voi lo fanno involontariamente, ma è necessario che vi accorgiate quando lo state per fare e che vi fermiate. La “spiegazione virile” fa deragliare le discussioni, banalizza le esperienze vissute delle donne ed è semplicemente maleducata. Pensi davvero di saperne di più sulla realtà del lavoro sessuale della donna che te ne stava parlando? Lei lo vive. Tu hai solo visto un documentario in TV. Non ha bisogno che le spieghi com’è la sua vita realmente.

8. Non dirci che dobbiamo calmarci
Penso di aver mantenuto un tono abbastanza pacato finora, ma il più delle volte, se sto parlando di giustizia sociale, sono abbastanza incazzata. Questa è la risposta naturale all’essere stata discriminata in quanto donna nel corso di tutta la mia vita. So che la rabbia può essere molto dura da affrontare e un po’ scoraggiante, ma ha le sue ragioni, ovvero che a) la realtà dell’esistenza in quanto donna nella nostra società è piuttosto dura, e b) essere messi di fronte a verità spiacevoli e brutali è molto scoraggiante per forza. Potresti essere tentato di dire qualcosa come ad esempio che indorare la pillola aiuta ad ingerirla. Il fatto è che non stiamo cercando di farti ingerire alcuna pillola. Stiamo cercando di cambiare il mondo, e non si cambia il mondo con la dolcezza (credimi, anche Gandhi era un vecchio stronzo manipolatore – nessun attivista è mai pacifico quanto può sembrare). Come mio padre amava dire: la persona ragionevole si adatta al mondo, la persona irragionevole adatta il mondo a sé; quindi, ogni progresso dipende dalla persona irragionevole. Siamo donne irragionevoli, e stiamo adattando il mondo a noi stesse, perché è così che si ottengono le cose. Chi ci dice di calmarci si comporta da ‘censore dei toni’, e se desideri una spiegazione del perché questa sia una cosa terribile da fare, clicca su questo link e preparati a sentirti come se venissi schiaffeggiato ripetutamente da diverse donne arrabbiate contemporaneamente. Oppure prendi per buona la mia parola e lasciaci essere arrabbiate quando abbiamo bisogno di esserlo. Fidati di me, è meglio così.

9. Amplifica, empatizza
Se su un blog trovi un bel post sui diritti delle sex worker in India, condividilo con i tuoi amici. Se qualcuno che conosci sta condividendo le proprie esperienze in quanto donna trans che affronta il sistema medico, ritwitta senza pietà e incoraggia le persone a seguirla. Se, per esempio, una giovane donna musulmana coraggiosa che conosci scrive sul suo blog un post meraviglioso che trovi davvero utile, diffondilo a tutte le persone che pensi possano trovarlo interessante. Gli alleati sono grandi amplificatori – contribuiscono a diffondere il nostro messaggio in modo che raggiunga il pubblico che potremmo non essere in grado di raggiungere in altro modo. È qualcosa di molto prezioso. E anche se potresti non essere in grado di capire quello che abbiamo passato e che cosa vuol dire essere quelle che siamo, quando condividiamo le nostre esperienze ascoltale empaticamente. Significa molto sapere che, anche se probabilmente non sai come ci sentiamo, ti interessa sapere che abbiamo sofferto e persino ti addolora. Sii lì per noi. Marcia con noi. Ascoltaci parlare. Vieni ai nostri seminari e dì a tutti i tuoi amici di venire. Partecipa alla creazione di spazi sicuri per noi perché ti interessano veramente la nostra sicurezza e il nostro benessere. Sii la grande persona che sono sicura sei in grado di essere. Questo è quello che fanno gli alleati.

10. Non mollare quando il gioco si fa duro
Non se: quando. Perché sarà duro, te lo posso assicurare. Sarai costretto a rivalutare quasi tutto quello che hai sempre creduto di sapere sulle donne e sul femminismo. Imparerai a conoscere esperienze che ti sono totalmente estranee. Probabilmente ti sarà chiesto di abbassare la cresta qualche volta quando farai qualche casino. (Non preoccuparti, siamo tutt@ incasinat@, ma dobbiamo ingoiare il boccone amaro. Per fortuna, Internet ha una memoria molto corta). E una volta che avrai cominciato non potrai smettere, perché anche se lo vorrai non potrai più chiudere gli occhi di fronte alla realtà, dal momento che li avrai aperti. Questa è una guerra che molte di noi non avrebbero voluto intraprendere. Non posso dirti quanto sia faticoso per me combattere per i miei diritti umani fondamentali giorno dopo giorno dopo giorno. È stremante e faticoso e, ad essere oneste, dannatamente demoralizzante a volte. Non sperimenterai sulla tua pelle tutto questo, ma potrai sperimentare abbastanza da farti chiedere perché ti ci sei buttato, in primo luogo. Ecco perché: perché l’uguaglianza conta. Questa roba non è una sorta di astratto dibattito accademico. Questa roba riguarda il modo in cui circa il 50% del mondo è costretto a vivere a causa di un sistema che ci considera cittadine di seconda classe. Non è sbagliato? Non è odioso? Non dovrebbe cambiare? E non vorresti essere una delle persone che realizzano il cambiamento?

Il femminismo è un compito di importanza vitale. E’ difficile, è incasinato e spesso ingrato, ma è anche molto, molto necessario. È necessario per tutti i motivi che ho detto e ridetto su questo blog decine di volte. È necessario, perché quando non ci dedichiamo a questo compito, le persone non solo soffrono – ma muoiono a causa della nostra inerzia. E non sono solo le donne a venirne colpite – ma ogni uomo criticato per aver scelto di stare a casa con i suoi figli, ogni uomo che ama i lavori artigianali più dello sport, ogni uomo che abbia mai pianto in pubblico, ogni uomo che non è arrogante e sicuro di sé abbastanza da spianare la propria strada nella vita come se fosse il padrone di tutto ciò che vede. Potresti essere uno di quegli uomini.
Se lo sei, tutto questo non riguarda solo noi, riguarda anche te. Riguarda un mondo in cui tutt@ possiamo essere liber@ di esprimere i nostri generi come vogliamo, senza affrontare il giudizio o la discriminazione per essere semplicemente quello che siamo. Voglio vivere per vedere quel mondo. Sono sicura che anche tu lo vuoi. Quindi benvenuto a bordo, amico. Sono contenta che tu abbia deciso di unirti a noi. Insieme salveremo il mondo.

Aaminah Khan opera a supporto dei rifugiati, è scrittrice e appena può attivista per i diritti umani. Vive nel Queensland settentrionale. 
Segui Aaminah Khan su Twitter: www.twitter.com/jaythenerdkid

Guida al porno indipendente Volume 1

Il movimento sex-positive e quello porno-femminista promuovono una forma responsabile e inclusiva di fare e commercializzare porno, e si definiscono per le seguenti caratteristiche:
♥ A differenza dell’industria del porno mainstream tengono in conto le donne come spettatrici, produttrici e registe. Per questo hanno un punto di vista diverso sul desiderio, il corpo e il piacere.
♥ E’ un’industria che si comporta responsabilmente con le proprie ‘star’, non sfrutta e non obbliga nessuna persona a realizzare atti sessuali, le/gli attor@ ele altre persone coinvolte hanno il controllo su ciò che desiderano fare, per questo motivo il sesso che si vede in questi film è reale.
♥ Il piacere è multiforme e promuove la libertà, includendo diversi tipi di corpo, etnie e preferenze sessuali.
Militancia erótica si è dichiarata contraria al porno mainstream:
“Odiamo il porno mainstream perché è sessista, misogino e falso. Odiamo guardare corpi deformati dalla chirurgia estetica che fingono orgasmi. Vogliamo vedere produzioni pornografiche con contenuti artistici forti”.
Per questa ragione abbiamo voluto pubblicare una guida relativa ad alcune delle maggiori produzioni di porno indipendente legate alle suddette caratteristiche:

1 Mili-especial♥ Trouble Films: è una società di produzione di film per adulti guidata da Courtney Trouble, incredibile pornografa e attrice che ha rivoluzionato la scena del porno indipendente. Vincitrice di premi quali il Feminist Porn Award, il Trans Awards e il BBW Fan Fest Awards tra gli altri, Courtney è la nostra eroina per aver diretto e appoggiato numerosi progetti che ci rendono felici, dando l’avvio a quella che lei definisce “la nuova epoca del porno”.
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♥ Lesbian Curves: una serie di film che hanno per protagoniste ragazze voluttuose che vivono romantiche storie lesbiche, le situazioni variano in un ampio gioco di fantasie, ovvero è possibile spaziare dalla relazione intima all’interno del tipico dormitorio con elementi molto femminili ad un complesso gioco BDSM in uno scenario fantastico. Le ragazze rappresentate sono molto diverse tra loro, alcune molto femminili e altre molto maschili. Anche Lesbian Curves è un progetto di Courtney Trouble.

2♥ Indie Porn Revolution: è probabilmente la casa di produzione pornografica più variegata e famosa di porno Queer, fondata da Courtney Trouble nel 2002 come NoFauxxx.Com, un progetto personale che ha finito col coinvolgere molte persone in un ulteriore sforzo per la rivoluzione sessuale. Indie Porn Revolution è un progetto che definisce con maggiore chiarezza gli ideali del movimento Sex-positive nell’industria del porno. Di nuovo grazie alla ragazza “problematica” (n.d.T.:gioco di parole con il nome Courtney Trouble).

sd♥ QUEERPORN.TV: nel 2011 ha vinto il premio attribuito dai Feminist Porn Awards come miglior sito web. Questo progetto riunisce molte delle stelle del porno undergound, è un sito davvero adorabile perché condivide pubblicamente produzioni di ottima qualità, si può anche diventare membri e trovare una vasta collezione di documentari, interviste, film e fotografie.

queer
♥ A Four Chambered Heart: è uno studio cinematografico dedicato alla produzione di cortometraggi pornografici non convenzionali. I suoi video integrano elementi naturali e fantasie sessuali, con edizioni digitali, effetti sonori e un accurato lavoro di ripresa e scenografia. Questo collettivo inglese esplora le nuove forme della sessualità, dell’arte e della pornografia, attraverso una proposta differente che combatte la banalità del porno commerciale.

http://vimeo.com/104864285

♥ Comstock Films: questi film integrano interviste documentali con sesso reale e intimo. Non si tratta di coppie di attori, ma di persone che realmente si amano e celebrano la propria sessualità. E’ bello, elegante, eccitante, erotico e sexy, le coppie sono di tutti i tipi: eterosessuali e omosessuali, di età e culture diverse. Amiamo questo progetto del regista Tony Comstock, perché è una potente fonte di ispirazione, dato che non separa l’erotismo dalla pornografia.

porno femminista

♥ Pink & White Productions: diretta da Shine Louise Houston, un’altra delle sorprendenti donne registe e produttrici di porno che ci piacciono. I suoi film sono sexy e ben prodotti, cioé, i suoi film integrano la bellezza del cinema, fatta di effetti sonori e di ripresa, con il sesso reale ed esplicito. Oltre a ciò questa produttrice si preoccupa di insegnare “come fare un buon porno” – con tutta la parte tecnica e i suoi segreti – come commercializzarlo e distribuirlo responsabilmente. Legati a questa produttrice potrete trovare prodotti come: Crash Pad Series, Heavenly Spire y Pink Label.porno femminista 1

♥ Bleu Productions di Maria Beatty: continuando sulla scia del buon cinema porno incontriamo questa regista newyorchese, i suoi film sono eleganti, con scene surrealiste, oniriche e affascinanti, alcune in bianco e nero e con musiche di grandi artisti del jazz come John Zorn. Maria Beatty ha esplorato la sessualità femminile nel cinema come nessun’altra donna fino a ora. Il suo film icona è The Black Glove filmato nel 1997, un bel film che pare una fotografia di Helmut Newton che prende vita propria per animare la sua fantasia, le sue protagoniste sono donne incredibilmente belle e fatali.

porno femminista 2

♥ Dirty Diaries: è una collezione di 12 corti di porno femminista prodotti nel 2009 da Mia Engberg. E’ uno dei prodotti più rilevanti del movimento Sex-Positive e Porno femminista, poiché si tratta sia di un progetto artistico che politico. Dirty Diaries aspirava a stabilire delle regole per la creazione di pornografia che rispondesse a le necessità delle donne. Dobbiamo confessare che questo progetto è stato davvero la miccia per la creazione di Militancia Erótica. Potete vedere qui uno dei 12 corti (completo) intitolato Skin.

http://muvi.es/w1512

E per finire, come un orgasmo molto forte, presentiamo con un rombo di tamburi, ta!ta!taaaa! la bellissima, incredibile e spettacolare ♥Annie Sprinkle♥

ann porno femminismo militanza erotica♥ Annie Sprinkle: questa artista newyorchese è una sacerdotessa dell’erotismo, una conoscitrice dei sacri segreti del sesso. Lei è la grande promotrice del movimento Sex-Positive dagli anni ’80. Attraverso bellissime performance ci ha illustrato il potere che hanno i nostri corpi e la magia del sesso. E’ un’attivista per la libertà di espressione, per i/le lavorator@ sessuali e a favore di un sesso sano e forte. Annie Sprinkle ha anche diretto ed è stata protagonista di film pornografici legati ai movimenti Post-Porno, Sex-Positive, Porno Femministi, Eco-Porno e altre correnti: lei è la regina della rivoluzione sessuale.

Con amore, Militancia Erótica

Testo originale Guía de Porno Independiente Vol. 1, di Militancia Erótica. Traduzione di Serbilla, revisione di feminoska.

 

Deconstructing la replica delle Malmaritate. Il marketing rosa e il ciuccio che vola

Asino perlesso.
Asino perplesso.

Riportiamo di seguito la replica delle Malmaritate alle critiche che abbiamo mosso loro in questo post. Di questa replica vi ringraziamo. Da parte nostra vogliamo rispondere con una decostruzione del testo, al fine di chiarire punto per punto la nostra posizione. In corsivo le parole di Serbilla [tra parentesi quelle di Lorenzo].

Facciamo seguito ad alcune critiche che ci sono state rivolte negli ultimi giorni.
Questa la nostra replica.

“Carissime amiche contrariate,

Neanche noi abbiamo mai avuto intenzioni belligeranti. Abbiamo mosso una critica politica a delle pubbliche affermazioni, riguardanti un lavoro pubblicato che ricade, per intenzione delle artiste, in questioni politiche di cui ci occupiamo. Di questo si tratta. Preciso che il mio articolo appartiene al collettivo e al collettivo appartengono più generi. Soprattutto, non sono contrariata, non dovete certo corrispondere a delle mie aspettative; le vostre dichiarazioni sono sconfortanti, preoccupano perché si inseriscono nel solco della retorica istituzionale che usa la vittimizzazione delle donne per opprimere e reprimere. La vostra azione – come quella di tanti soggetti che quotidianamente usano il brand “violenza contro le donne” – svuota di significato la lotta, che è una lotta politica. Politica, di impegno politico, di chi abita la polis per intenderci. Voi la abitate? se la abitate non potete sottrarvi dall’agire politico. Potete dichiararvi non femministe, ma questo è un posizionamento politico.

[«Amiche», perché se sei uomo non ti può neanche dare fastidio che qualcuna usi le parole a casaccio e te lo venga a dire, quando lo fai. Cominciamo bene.]

non essere femministe (sostantivo)

sostantivo

– non vuol dire ignorare, o peggio, disprezzare il femminismo (di cui tutte conosciamo i valorosi ed encomiabili trascorsi);

Non essere femminista significa non riconoscersi in nessun femminismo (diamo per scontato che attribuiamo a questa parola lo stesso significato), quindi non riconoscerli come validi strumenti di analisi e azione. Dunque come fate a parlare di encomiabili trascorsi? Ma, poi, trascorsi? Ora, adesso, in questo momento, ci sono nel mondo milioni di femminist@ che agiscono da femminist@ anche per voi. Chiaramente non essere femminista è una posizione legittima, che andrebbe però argomentata, data la volontà espressa di volersi impegnare nella lotta alla violenza contro le donne, cosa femminista.

– non vuol dire esimersi dal compiere azioni femministe (aggettivo)

..e aggettivo. Questa è un’arrampicata sugli specchi spaventosa. Non siete femministe ma fate cose femministe. E’ come dire: compio azioni antirazziste,  ma non sono antirazzista. Oppure: compio azioni antifasciste, ma non sono antifascista. Ti dissoci dall’antifascismo ma, allora, perché compi azioni antifasciste?  Potete anche esimervi dal compiere azioni femministe, se non vi riconoscete nel femminismo.
Va be’ io ho capito però, la traduzione sarebbe: noi siamo contrarie alla violenza contro le donne, però non ne capiamo niente ed è meglio che diciamo di non essere femministe. Sbaglio?

[Il duck test è un metodo di ragionamento molto semplice: se parli come una femminista, fai cose femministe e agisci per lotte femministe, sei femminista. Però le Malmaritate vogliono sovvertire anche la logica più elementare. Perché?]

– non vuol dire fare SCIACALLAGGIO sulle disgrazie altrui.

Parlate di violenza contro le donne e lo fate il 25 novembre, due cose femministe che non riconoscete come tali. E’ un’azione di marketing come lo sconto dal parrucchiere l’otto marzo. La musica nutre l’animo e l’intelletto, il taglio di capelli nuovo ti fa sentire più carina. Approfittare della festa della donna e del 25 novembre per vendersi alle donne è marketing, il marketing non è filantropico.
Immagino a questo punto che non abbiate nessuna consapevolezza di ciò che fate, sempre parlando di dichiarazioni e tempistica.
[Come detto sopra, se fai una cosa “per le donne” il 25 novembre, fai marketing. Che si può chiamare sciacallaggio anche se il vostro CD costa “solo” dieci euro.]

Detto ciò, dire di essere femministe, dal nostro punto di vista, significherebbe appropriarsi indebitamente di un ruolo che non svolgiamo al 100%, sminuendo e strumentalizzando di conseguenza il lavoro quotidiano di chi in questo “dignitosissimo movimento” impiega infinite risorse ed energie.

Avete presente quella volta in cui qualcuno vi ha fatto sentire a disagio, perché dedicavate troppo tempo allo studio del vostro strumento musicale e non abbastanza alle pulizie di casa? Avete presente quel senso di frustrazione? Quella rabbia perché voi volevate seguire la vostra passione e, maledizione, i piatti nella vaschetta possono pure aspettare! E se proprio nonno, papà, zio, li vogliono puliti, possono anche lavarseli da soli, che non ce le avetele mani?! Avete presente? Ecco, quella è rabbia femminista. Se avete pensato una sola volta “non è giusto che debba fare io questa cosa/debba rinunciare a questo, solo perché sono nata con la vagina” complimenti, dentro di voi siete femministe – ma non ve ne eravate accorte, a tutt@ capita così in principio, anche a chi non è nat@ con la vagina, ma è femminista lo stesso.
Essere femministe non è un “ruolo”, non c’è una patente che qualcuno vi dà dopo aver superato delle prove. Non c’è un partito, non c’è una chiesa. Si è femminista quando ci si comporta da femminista. Un’azione può essere oggetto di critica, ma nessuno può dirvi “non sei femminista”, perché la regola numero uno è: siete voi che vi dite femministe. Voi invece vi siete dette non femministe, per rispetto. Se vi dico che sapevo già che avreste risposto così, mi credete?

Il lavoro quotidiano di cui parlate, forse, è quello delle operatrici dei centri antiviolenza. Per quello ci vuole una formazione, ovviamente, ma essere femminista non si conclude in quello. I centri antiviolenza sono una delle espressioni del femminismo. Il femminismo non è un lavoro, è un modo di essere, questo modo di essere lo si porta in ogni azione quotidiana.

[Solo io noto che «appropriarsi di un ruolo» è una espressione molto “economically correct”? No, non solo io. E ci sarebbe sempre quell’anatra da sistemare: quel ruolo lo state svolgendo, se proponete qualcosa che andrebbe contro la violenza di genere.]

Ma forse questo è semplicemente un rispettoso scrupolo linguistico che ci siamo poste sin dall’inizio e che umilmente ci siamo adoperate a sottolineare in seguito.
Il nostro impegno si traduce
– nella lotta contro ogni tipo di violenza sugli esseri umani (e non)

Sì siete buone, anche se in questo momento non vi sembra così, pure noi lo siamo. Davvero!

– nel sostegno che, con non trascurabili sacrifici, offriamo incondizionatamente.

Mi fa sapere Jinny Dalloway che Thamaia, l’unico Centro Antiviolenza di Catania, è a rischio chiusura, potete devolvere il ricavato del cd a loro, questo sarebbe un gesto di sostegno concreto.

Forse ci sentiamo più genericamente FEMMINE UMANISTE, simpatizzanti femministe, irriducibili animaliste, inguaribili musiciste.

Io mi auguro che ci stiate perculando.  Perché “simpatizzante femminista” non si può sentire. Io simpatizzo blandamente per il Napoli perché sono napoletana, anche se non seguo molto il calcio. E sono antispecista, sempre perché mi posiziono. La mia non è una critica alla vostra musica, non mi permetterei. Da femmine+umaniste si genera facilmente femministe, state attente, non sia mai!

[Ciao, io sono molto trendy uscendomene il 25 di novembre con un CD e un progetto contro la violenza sulle donne, ma siccome c’è chi se ne occupa da qualche decennio e potrebbe vagamente sentirsi presa in giro, allora mi metto un bel nome nuovo che non significa niente così faccio vedere la mia unicità – delimitando perbene il territorio che non voglio spartire con nessun altr@: femmine umaniste. Che vuol dire? Niente! «Femmine» lo siete per forza, «umaniste» pure – e che volete essere “disumane”? “Non umaniste”? L’importante è che “femministe” no, mai, per carità.]

Con molta sorpresa e sgomento constatiamo un accanimento, forse un po’ esagerato, verso ciò che facciamo col cuore.

Due articoli non sono accanimento, sono niente rispetto all’eco delle vostre parole. Parole che viaggiano molto di più e molto più velocemente, accostate al nome di Carmen Consoli. Vi pare troppo severa la critica? voi fate le cose con il cuore, nessuno lo mette in dubbio, ma non basta.
Sottolineare più e più volte che non si ha niente a che fare col femminismo quando si tratta di violenza contro le donne produce l’effetto di delegittimare quelle persone che di antiviolenza si occupano da sempre, anche qunando il 25 novembre finisce. E questo crea un’onda di ritorno devastante, laddove è unicamente il femminismo che può fare qualcosa di concreto per risolvere definitivamente la questione.

[Le Malmaritate di femminismo forse sanno poco, ma di tattica politica sì: gli fai notare che stanno usando un linguaggio insensato, e loro chiamano le tue critiche «accanimento». A me pare lo stesso giochetto di certe sentinelle che, mentre vogliono soffocare i diritti altrui, gridano di essere in grande pericolo.]

Vi invitiamo a capire ed approfondire in maniera più appropriata la natura del nostro progetto e del nostro impegno prima di giungere (pubblicamente) a conclusioni affrettate e denigratorie.

Appare chiaro che non siamo noi a dover approfondire e riflettere. Nel momento in cui dite qualcosa pubblicamente, il pubblico che ascolta si fa un’idea ed esprime la propria opinione. Dato che qui ci occupiamo proprio di quello su cui vi siete espresse, noi abbiamo sentito il dovere di puntualizzare che depoliticizzare la tematica e fare marketing sulla violenza (anche involontario o “suggerito”), crea un danno. Dalla vostra risposta troviamo solo conferme.

[Ah, voi v’inventate definizioni e noi dovremmo «capire e(d) approfondire»? E come lo si dovrebbe fare poi, se non valutando quello che dite in pubblico? Complimenti. A proposito, c’è uno che sostiene che la d eufonica si mette solo tra due vocali identiche. Forse pure lui dovrebbe capire e approfondire?]

Vi aspettiamo, dunque, numerose al nostro fianco per continuare, ognuno con i propri mezzi e capacità, a camminare insieme come è giusto che sia.”
Malmaritate

Anche noi vi aspettiamo, gli strumenti sono a disposizione di tutt@. Ci auguriamo di trovarvi più consapevoli al prossimo giro.

[Numerose perché noi gli uomini proprio non ce li vogliamo, non siamo femministe, solo femmine umaniste e i maschi no, non possono continuare a camminare insieme.]

Serbilla e [Lorenzo]

Le sconfortanti dichiarazioni delle Malmaritate

prova2Qualche settimana fa mi sono trovata a parlare con l’ennesima donna che si è dichiarata “non femminista”, perché lei è “per tutte le persone”.
Sono sicura che a tant@ è capitato di sentirsi dire dalla propria interlocutrice, spesso una laureata, a volte addirittura una persona “di sinistra”, che lei non è femminista perché …il femminismo è un estremismo/è roba vecchia/non odio gli uomini.
Ho cercato di spiegarle che il femminismo è un movimento a favore di quella parte di persone che subisce una discriminazione (violenza fisica, psicologica, economica) in base al genere.  Che il femminismo, oggi, è per molte persone transfemminismo intersezionale. Non era convinta. Ho cercato di dire che prima del femminismo noi due non avremmo potuto fare tante delle cose che facciamo e diamo per scontate e, spesso, ci vengono ancora negate. Mi ha detto che il femminismo è una cosa del passato e non ha più senso. Ho pensato ai femminicidi, agli abusi sessuali e psicologici, alla femminilizzazione del lavoro, alla disparità economica, allo slutshaming, alla legge 194 distrutta, al mammismo senza diritti dell’Italia, all’impossibilità di dirsi serenamente felici di non essere madri, alla difficoltà che le donne continuano a incontrare in ambiti “tradizionalmente” occupati dagli uomini – rubati da molti di essi (mi ha anche detto che lei è per la meritocrazia). “Capisco – le ho detto – Forse tu non hai mai subito nessun tipo di violenza, forse non sei mai stata discriminata”. Si è colorata e ha risposto: “Certo che sono stata discriminata!”. E allora?

Soprattutto dopo il bailamme creato da Women against feminism, il tentativo di capire dov’è che si è sbagliato nella trasmissione dell’idea di lotta femminista ha condotto a numerosissime riflessioni sui movimenti femministi. In Italia, c’è chi dice che è colpa del femminismo della differenza, c’è chi dice che è colpa di SNOQ, c’è chi dice che è colpa del patriarcato, c’è chi accusa la mancata trasmissione generazionale o la scarsa attenzione istituzionale, anche l’eccessiva attenzione istituzionale che tutto ingloba o strumentalizza. La scuola, i media soprattutto. C’è stato anche il tentativo di accogliere ed ascoltare alcune delle critiche mosse. Personalmente non so di chi sia la responsabilità ultima, probabilmente è frammentata. Di certo c’è stato un fraintendimento colossale, derivante spesso dall’ignoranza o dall’adesione a una visione del femminismo figlia delle politiche di delegittimazione delle lotte sociali, specialmente quelle delle donne. Per alcun@ si tratta del rifiuto globale, più o meno consapevole, del più originale e fruttuoso schema di interpretazione della realtà storica passata e contemporanea, che ha messo in discussione una cultura basata su più forme di discriminazione ed esclusione. E’ complesso, indubbiamente, ma il femminismo ha il pregio di essere una forma di lotta che può generarsi anche dove una libro di storia del femminismo non è mai stato aperto. Anche in quel caso, però, è un atto politico, di messa in discussione radicale.
Molte di quelle persone che si dichiarano “non femministe”, poi si dichiarano contrarie a ogni forma di discriminazione.
Ma può esistere un femminismo non pensato e vissuto come tale? Può esistere antiviolenza senza biasimare la violenza? Può esistere antirazzismo senza il rifiuto del razzismo? Per alcune persone sembrerebbe di sì. Alcune persone riescono addirittura a dirsi dalla parte delle donne, a parlare di violenza contro le donne, dichiarandosi assolutamente “non femministe”. Onestamente non credo che possa esistere una lotta contro la discriminazione che non tenga conto della storia di quella lotta, dei suoi strumenti concettuali, a meno di non essere ingrat@ e di usare le questioni di genere per farsi pubblicità.
Per alcune persone si tratta di scarsa consapevolezza, la quale cosa atteaversa la nostra società, abita soggetti di varia estrazione sociale e formazione culturale e professionale. Questa scarsa consapevolezza è molto comoda per chi non ha nessuna intenzione di accogliere le richieste dei femminismi, richieste di diritti fondamentali, richieste economiche e di legittima libertà personale. E’ per questo motivo che ogni personaggio pubblico portatrice o portatore di questa scarsa consapevolezza danneggia tutta la società e, nello specifico, le persone che della discriminazione di genere sono vittime.
Per altre persone si tratta, invece, di depoliticizzare le questioni di genere, per non urtare la sensibilità di nessuno e poter vendere al meglio il proprio prodotto, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Anche qui, quindi, non dobbiamo confondere le ipocrite con le ignoranti.

Questo sembra essere proprio il caso, decisamente grave, delle dichiarazioni di un gruppo di musiciste che porta avanti un progetto musicale “a favore delle donne vittime di violenza”, dichiarando a destra e manca che non si tratta di femminismo.
Il progetto si chiama “Le Malmaritate” e, nato in seno all’etichetta discografica di Carmen Consoli, ne fanno parte Gabriella Grasso (voce e chitarra), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburi), Emilia Belfiore (violino) e Concetta Sapienza (clarinetto). Un progetto che si pone, addirittura, come luogo di ascolto per donne vittime di violenza. Dichiara Valentina Ferraiuolo, indicata come curatrice di progetti sociali:”Non c’è femminismo in questo (…) ma una grande autostima, reale; dei valori che abbiamo il dovere morale di divulgare”.
Vorrei chiedere alla cantante e tamburellista cosa significa “autostima reale”. Esiste un’autostima irreale? come si configurano e differenziano? Vorrei anche sapere quali sono questi valori, dei quali  il femminismo (quale femminismo?) non è portatore, ma che lei sente di dover divulgare, in contrasto con esso.
Ancora, in questo articolo, Gabriella Grasso dichiara che il loro è “Un viaggio nell’universo femminile (…) non uno spettacolo femminista”.
Quando la stessa Grasso fa riferimento ai matrimoni di interesse, ha presente che può mettere in discussione il contratto di matrimonio e il modello di famiglia sul quale si fonda, esclusivamente grazie al femminismo?
Rilasciato il 25 Novembre, la giornata mondiale in cui si celebrano i volti tumefatti e le false soluzioni a problemi purtroppo reali, appare come un’azione di marketing in rosa, in linea con le politiche “femminili” (appunto, non femministe, non radicali, non volte alla soluzione dei problemi) degli ultimi anni.
Il colpo di grazia viene dalla copertina. Una donna velata messa dietro un recinto, una di quelle in nome delle quali si imprigiona, tortura e bombarda secondo politiche di sovradeterminazione proprie della destra e sinistra islamofoba e neocolonialista, politiche che mai e poi mai metteranno in discussione la radice della violenza sulle donne, perché è proprio sulla discriminazione che fondano il proprio potere.
Quando vi dichiarate “non femministe”, delegittimando il movimento politico che ha portato in luce la lotta alla violenza contro le donne, rendetevi conto che danneggiate la società intera, prima di tutto le donne alle quali vi rivolgete.

Grazie a Jinny Dalloway per aver condiviso e discusso l’articolo che tratta del disco sulla propria bacheca Facebook.

Il poliamore è il nuovo nero

Jeffrey Alan Love polyamoryTraduzione di questo articolo di feminoska. Revisione di lafra e Serbilla.

Ora che il dibattito sulla monogamia è entrato nelle assemblee, non esiste spazio antagonista, libertario, postmoderno o femminista che non sbandieri la propria poliamorosità. La rottura – formale – dalla monogamia, incarnata in questo concetto sfuggente che è il poliamore, promette di liberarci da tutti i mali, come per magia: ci piace credere che dovunque passi il poliamore non crescano più le malerbe. Invece crescono, e quanto! Non bastano nomi nuovi o gesti grandiosi per far cadere un sistema: partiamo da ciò che siamo per sognare nuovi mondi, ma i nostri sogni si nutrono di sedimenti che ci trasciniamo dietro. Per la materia inevitabile che ci costituisce.

La costruzione di amori non-monogami è fatta di concetti, emozioni e sguardi ereditati dalla monogamia. Le riflessioni di Monique Wittig sull’eterosessualità come sistema di pensiero sono parimenti utili per la costruzione emozionale dell’amore:
“Questi discorsi dell’eterosessualità ci opprimono, nel senso che ci impediscono di parlare a meno che non si parli nei suoi termini. Tutto ciò che la mette in questione viene immediatamente squalificato come elementare. Il nostro rifiuto delle interpretazioni totalizzanti della psicoanalisi fa dire ai suoi teorici che trascuriamo la dimensione simbolica. Questi discorsi ci negano la possibilità di creare le nostre proprie categorie. Ma la sua azione più feroce è la tirannia inflessibile esercitata sul nostro essere mentale e fisico”.

Il sistema monogamico è una tirannia. E non è un’opzione: è un obbligo, ed è la violenza simbolica inscritta in questo obbligo che ci impedisce di scegliere percorsi diversi, anche quando crediamo di sceglierli. A volte vinciamo la lotteria e gli obblighi ci risultano opportuni, comodi, ma questo non li rende opzionali. Come spiega Pierre Bourdieu: “Di tutte le forme di persuasione nascoste, la più spietata è quella esercitata semplicemente dall’ordine delle cose.” La monogamia è un sistema di oppressione così ben codificato che ci ritroviamo lacerati di dolore ogni volta che cerchiamo di opporvi resistenza.

Abbiamo vinto la morale, la vergogna e le leggi che ci vogliono docili e cast@. Ma il mal di pancia di fronte alla rottura dalla monogamia non si cura con manifestazioni o striscioni. Lo straordinario apparato di propaganda e infiltrazione del sistema ci insegna fin dalla nascita che l’amore è a due, che la vita senza la coppia è un fallimento, e la vita a più di due è sospetta. Che se sei single, o se hai più di un amante, è perché hai delle mancanze. Ci insegna a sentirci minacciat@ da ciò che ci circonda, a passare da un amore all’altro per la pura incapacità di amare più di una persona, o ad amarne più di una per semplice incapacità di impegnarsi. La monogamia ci vuole limitat@, cup@, spaventat@, egoist@, divisi in coppie, in duetti. E tutti i disastri amorosi che accumuliamo nella maggior parte della nostra vita, tutte le volte che abbiamo sofferto per amore, tutti gli amori che son diventati battaglie, tutte le cicatrici che ci attraversano sono la prova che il sistema funziona bene e impregna di miseria il nostro potenziale più grande: la capacità che abbiamo, dopo tutto, di amare.

La lunga notte dei secoli
La monogamia non esige da tutt@ allo stesso modo. Le più grandi limitazioni e l’esclusività sono toccate storicamente all’identità femminile. Silvia Federici in Calibano e la strega, parla del controllo del corpo e della sessualità come di un prerequisito per l’attuazione dello strumento del capitalismo durante il Medioevo europeo. Un controllo che viene esercitato su tutti i corpi, ma che ha riservato alle donne l’orrore della caccia alle streghe.

“I processi alle streghe forniscono un elenco che fa riflettere sulle forme di sessualità vietate nella misura in cui erano ‘non produttive’: l’omosessualità, il sesso tra giovani e anziani, il sesso tra persone di classi diverse, il rapporto anale, il rapporto da dietro (si credeva che risultasse in rapporti sterili), la nudità e la danza. Venne anche vietata la sessualità pubblica e collettiva che ha prevalso durante il Medio Evo, e nelle feste di primavera di origine pagana che, ancora nel XVI secolo, si celebravano in tutta Europa. (…) La caccia alle streghe – che condanna la sessualità femminile come fonte di tutti i mali – ha rappresentato anche il principale strumento per effettuare una ristrutturazione globale della vita sessuale che, adeguata alla nuova disciplina del lavoro capitalista, criminalizza qualsiasi attività sessuale che minaccia la procreazione, il trasferimento di proprietà all’interno della famiglia o sottragga tempo ed energia al lavoro.”

Ancora più anticamente, in Europa, la monogamia implicava un patto di fedeltà sessuale delle donne agli uomini, ma non necessariamente il contrario. Michel Foucault ne scrive nella sua ‘Storia della sessualità’, a partire dai tempi della Grecia antica: “L’uomo, in quanto uomo sposato, ha l’unico divieto di contrarre un altro matrimonio; nessuna relazione sessuale gli è vietata per il solo fatto di essersi sposato; può avere avventure, uscire con prostitute, essere l’amante di un ragazzo, senza contare gli schiavi, maschi o femmine, che ha in casa. Il matrimonio di un uomo non lo lega sessualmente. All’interno del sistema giuridico, ciò comporta che l’adulterio non è considerato una violazione del vincolo del matrimonio da parte di uno qualsiasi dei coniugi; Non è considerato una violazione se non nel caso di una donna sposata che fa sesso con un uomo che non è suo marito; è lo stato civile della donna, mai dell’uomo, che consente di definire una relazione come l’adulterio. E, secondo l’ordine morale, si comprende come non vi sia stata per i greci questa categoria della “fedeltà reciproca”, che sarebbe poi entrata più tardi nella vita coniugale come una sorta di “diritto sessuale” con valore morale, effetto giuridico e componente religiosa.”

Il principio di un doppio monopolio sessuale, che rende la coppia di sposi compagni esclusivi, non è richiesta in una relazione matrimoniale. Ma mentre lei appartiene a tutti gli effetti al marito, il marito appartiene solo a sé stesso. La doppia fedeltà sessuale, in quanto dovere, impegno e sentimento ripartito in parti uguali, non costituisce la garanzia necessaria né l’espressione più alta della vita coniugale.
Il modello diffuso di rapporto eterosessuale poliamoroso in cui l’uomo è molto più prolifico e promiscuo nei rapporti rispetto alla propria compagna è erede di questa disuguaglianza sistemica. Così come il pubblico disprezzo che ricevono gli uomini dissidenti di un sistema che li vuole tuttora “macho”. Un paio di anni fa, alla radio, un compagno affermò che l’uomo che accetta il poliamore è quello che definiremmo un povero succube. E proferì queste parole senza battere ciglio.

Il privilegio etero, il privilegio maschile, il privilegio cisgender e tutti gli altri contribuiscono al grande terno al lotto poliamoroso. Non è una questione di differenze personali, ma di categorie inscritte nelle persone. La libertà simmetrica di decidere sulle nostre vite è una rozza illusione utilitaristica, in un mondo in cui ogni dissenso paga il suo prezzo, e nel quale l’amore è attraversato dal genere e dalle sue manifestazioni identitarie: classe, razza, capacità, identità sessuale e tutte le altre categorie di oppressione che possiamo aggiungere. Veniamo, quindi, alla lunga notte dei secoli. La domanda è: Dove stiamo andando? Dove desideriamo andare?

La riproduzione delle dinamiche di oppressione
Possono gli strumenti del padrone smantellare la casa del padrone? Può essere smantellata un’imposizione imponendone una nuova? Cosa intendiamo quando parliamo di liberare i nostri corpi, i nostri piaceri, la nostra sessualità e i nostri amori? La libertà ha una forma specifica e definita o è un concetto che si riferisce alla molteplicità di opzioni equivalenti tra cui scegliere senza costrizione? Se la monogamia è un obbligo, la sovversione è contro la naturalezza dell’obbligo stesso, contro l’inevitabilità dell’ordine delle cose. Il lavoro fondamentale che dobbiamo compiere è contro l’imposizione di un sistema che definisce i nostri desideri, i nostri spazi corporali, le nostre possibilità e proiezioni emotive, e che ci costringe a rimanere ancorat@ ad una singola opzione. Se la rottura della monogamia ha qualcosa di sovversivo, è l’aprirsi della possibilità di alterare il sistema imposto, di ripensare come e perché amiamo come facciamo. Costruire nuove possibilità tra cui scegliere.

Avere più relazioni sessual-affettive contemporaneamente è solo un aspetto formale e visibile di una vasta trama che, se non smantellata, riproduce sempre lo stesso sistema, ma con un altro nome. Nel suo libro “Transessualità. Altri sguardi possibili”, Miquel Missé racconta un aneddoto personale. Parte da una riflessione sull’autenticità che esprime il personaggio di Agrado in ‘Tutto su mia madre’ di Pedro Almodovar. Scrive Missé: “Diversi anni fa, una delle mie zie, che non aveva capito molto di questa storia della transessualità, mi regalò una cartolina su cui era scritto: “La saggezza della vita è quella di accettare i limiti”. Ero veramente arrabbiato, sentivo che era un modo per dirmi che il mio problema è che non mi accetto come donna, che accettare i limiti implicava il vivere come non volevo. Ma un paio di mesi fa ho trovato di nuovo la cartolina, persa in un cassetto, e improvvisamente ho pensato ad Agrado e all’autenticità che proclama nel film, e ho compreso maggiormente la frase che mi aveva fatto male al momento. Ora, a mia zia, direi che la saggezza della vita è ugualmente quella di accettare che i limiti sono costruzioni sociali, ma che, probabilmente, aveva in gran parte ragione: ciò che ci rende autentic@ non ha nulla a che fare con l’evitarli, ma con l’essere consapevole di dove sono e a che servono.”

E’ ingenuo pensare che tutta questa vasta trama del sistema monogamico si possa risolvere avendo più di una relazione. Ed è violento costringere le/gli altr@ ad accettarlo perché si ‘liberino’ di tutta questa sovrastruttura, con argomenti che si rifanno ai massimi sistemi senza comprendere i dolori e le difficoltà. Predicare la liberazione altrui ignorandone volutamente il prezzo è un altro dei discorsi infiniti che usano la libertà a fini neoliberali. Ogni volta che qualcuno si vanta della propria modernità e libertà di avere più partner non è cosa da poco, perché muore un futuro possibile: nessun@ può uscire da un sistema oppressivo con un click, firmando una petizione o leggendo un libro. L’unica via di fuga è quella di boicottare le dinamiche oppressive. Dalla rottura formale dalla monogamia alla costruzione di relazioni non monogame c’è un abisso. Ed è in questo divario il potenziale del movimento: nei dubbi, nei limiti, nelle paure, nei piccoli passi avanti e salti all’indietro. La sua carica eversiva, se ne ha, verrà dai gesti quotidiani e non dalle grandi gesta eroiche che devono il proprio immaginario a tempi gerarchici e individualisti che vogliamo lasciarci alle spalle, che appartengono a un mondo in cui il dolore, la vulnerabilità, la cura, il legame, l’empatia, non esistono neppure. Ci hanno imposto per secoli tali modelli, con risultati deplorevoli. Sapere dove sono i nostri limiti, i nostri dolori, le nostre speranze, i nostri sogni, e sapere a cosa sono funzionali fa parte del mondo nuovo. Unitevi a noi sul nostro cammino, nei nostri piccoli passi e balzi in avanti, amateci a partire dai piccoli gesti e costruiamo duetti, trii, o reti verso altri luoghi che siano liberatori; spazi amorosi in cui possiamo permetterci di cadere, aver paura, soffrire e comprendere, trasformarci e costruirci: è forse la nostra scommessa più radicale.

Non credo più in una solidarietà femminista transnazionale in sé

ochy-

Articolo originale qui, traduzione di feminoska, revisione di lafra.

Per molte persone il nome di Ochy Curiel suona esotico, per altre è un simbolo del cosiddetto ‘altro femminismo’. Non per niente è donna, nera, lesbica, femminista, intellettuale, attivista, artista, antirazzista, antisessista, radicale e critica. Ochy incarna tutto ciò che è antiegemonico. Con un piede nel mondo accademico e uno sulla strada, sono oltre 30 anni che lotta, come lei ama ricordare. Ritiene che far riflettere le persone sia essenziale, per questo ci invita a dare una svolta alle nostre pratiche politiche e rivedere i nostri privilegi a partire dal femminismo decoloniale.

Qual è l’origine del femminismo decoloniale? È una critica del femminismo egemonico? Come direbbe Sueli Carneiro, vuol dire femminilizzare la lotta antirazzista e rendere negra la lotta femminista?
Prima di tutto bisogna capire come è nata la geopolitica e il colonialismo come fatto concreto – che ha voluto dire porre l’Europa al centro della modernità e a partire da ciò l’esistenza di altri paesi, i barbari, quelli che devono essere civilizzati, studiati, modificati e sviluppati. Le donne nere o mulatte sono una costruzione razziale a partire dal ‘bianco’ considerato come paradigma. Il femminismo decoloniale critica non solo il femminismo egemonico, ma anche i movimenti e le teorie sociali che credono che agendo esclusivamente sulla classe si possa trasformare il mondo, e quei maschi di sinistra che ancora credono che la questione della donna debba essere affrontata in un secondo tempo, ma includono le questioni di genere per apparire politicamente corretti. 

Non si tratta di includere o meno le donne: questa è una strategia molto neoliberista, la diversità include ma non modifica o problematizza. Per questo non si tratta solo di femminilizzare la lotta antirazzista e rendere negra la lotta femminista, non significa accorgersi dell’esistenza di donne nere e povere, ma qualcosa di più complesso, ovvero capire perché ci sono donne nere e povere. E questa è la nostra più grande differenza rispetto alla tesi dell’intersezionalità, che afferma che la somma delle identità possa spiegare la subordinazione delle donne. Non è importante includere le altre oppressioni, ma vedere e capire l’oppressione, come si dispiega e analizzare come ciascuna di noi e tutte noi e negli altri movimenti sociali stiamo o meno riproducendo questa logica. E questo significa comprendere i nostri stessi privilegi. 

Questo è ciò che chiami “problematizzare la questione femminista”? Sarebbe a dire, realizzare una genealogia del proprio pensiero?
Certamente. Problematizzare significa distaccarsi, ridefinire tutto. Comincia da una rilettura di tutto quello che ci hanno raccontato in un determinato modo. E si comincia da sé stesse, con l’essere consapevoli delle proprie intersezionalità, sapere di trovarsi all’incrocio di molte oppressioni, ma senza guardarsi troppo l’ombelico… abbiamo bisogno di guardare il contesto generale perché questo è un problema sistemico che ovviamente attraversa le esperienze personali. E questo è il vantaggio del femminismo in cui credo, comprendere come ciò che chiamiamo ‘il personale è politico’ entri in relazione con tutto il resto. Ha a che fare con quello che hanno fatto molte femministe in tutto il mondo quando hanno smesso di credere nella storia di sesso maschile che era stata raccontata loro. Significa affermare che le schiave nere violentate dal proprio padrone o costrette a lavorare, organizzarono una serie di azioni di resistenza, quello che Celsa Ares definì ‘cimarronaje domestico’ (azioni di resistenza, nascoste o palesi, intraprese dalle schiave che lavoravano nella casa padronale). Se non recuperiamo questi aspetti, se non ci distacchiamo dalla storia lineare per osservare altre storie, continuerà ad esistere solamente la storia occidentale bianca, e se oggi definiamo il femminismo come le molte lotte delle donne in tutto il mondo, allora non è iniziato tutto nel 1789 con la rivoluzione francese e Olympia de Gouges. I privilegi implicano una reinterpretazione, una presa di posizione rispetto al modo in cui la storia è raccontata. Quali sono i racconti? Da dove partiamo per interpretarli?
È sistemico e contestualizzato. Come risolviamo la tensione che esiste tra locale e globale? Come articoliamo una strategia che tenga conto di entrambi?
È sistemico, però il capitalismo e la globalizzazione non ci danneggiano tutte allo stesso modo, ed è lì che sta il problema. Io non credo più nella solidarietà femminista e nemmeno credo in una solidarietà femminista transnazionale in sé. I cambiamenti non avvengono perché siamo tutte splendide donne meravigliose, ma perché si lavora sulle relazioni di potere che ci sono. Perché egemonicamente “le altre”, quelle del terzo mondo, le indie, le nere, le migranti, sono materia prima delle ricerche o delle pubblicazioni delle persone privilegiate? Questo sembra impossibile da mettere in discussione, lo diamo per scontato e, inoltre, ci sentiamo politicamente corrette, quando è invece uno sfruttamento dell’esperienza culturale e sociale delle donne. Ovvio che dobbiamo stringere alleanze come femministe, anche se non con tutte le femministe, perché alcune sono complici del patriarcato e del razzismo.
Una radicale messa in discussione, l’emergere di nuovi femminismi… non stiamo frammentando il movimento femminista? 
Dipende. Penso che i punti di rottura siano importanti, sono quelli che danno nuovi stimoli. Siamo uman*, ma siamo situat*. Questo modo di pensare, che dobbiamo per forza stare unite per rafforzare il movimento… non è così. Ci siamo rese conto che questa presunta solidarietà articolata è basata sullo sfruttamento e la subordinazione di altre, e alcune di noi non sono più disposte a sopportarlo. Per la propria salute mentale e perché non abbiamo tanto tempo nella vita, è necessario agire con coloro con cui abbiamo il piacere di agire. Io credo maggiormente agli affetti e alla fiducia costruita passo passo.
Parlando di affetti, fiducia e fratture… Questo mese di ottobre si svolgerà l’incontro lesbico femminista di Abya Yala in Colombia e ho sentito che le e i trans non vi troveranno spazio.
E’ una questione dibattuta. Non esiste una posizione condivisa. Infatti ha rappresentato un punto di disaccordo molto importante. Credo nel separatismo come questione di salute, non in negativo, ma piuttosto definendolo come autonomia. Non significa tu di là e io di qua, penso che debbano esistere spazi esclusivi per ner*, indigen* e – perché no? – anche per bianch*.
Non è il loro posto? Vuoi dire questo?  
Quando diciamo che donna non si nasce, si diventa – come diceva Simone de Beauvoir – significa affermare che le identità si costruiscono. E il risultato è che ora, con tutta la problematizzazione che abbiamo messo in campo, stanno venendo fuori una serie di nuove identità, come ad esempio quella transfemminista. Come faccio oggi a dire ad una compagna transfemminista che non può partecipare ad un incontro lesbofemminista? Si presume che le femministe lesbiche dicano: lesbica non è quella che dorme con le donne, lesbica è la messa in discussione del regime politico di eterosessualità. La domanda è: Quali sono i corpi che costruiscono il soggetto lesbico?  Penso che il movimento LGBT sia quasi l’opposto di quello femminista lesbico. Originariamente, Gayle Rubin disse che tutti i soggetti che si riconoscevano nella sessualità dissidente dovevano strutturarsi in qualche modo, però questa non rappresenta ununione, è una specie di comunità fittizia… possono esserci gay, trans, lesbiche, ecc. con una sessualità e identità di genere dissidenti, che non necessariamente mettono in discussione il regime eterosessuale. Per noi metterlo in discussione significa abolire il matrimonio e non rivendicare il matrimonio omosessuale, significa decostruire la famiglia come fondamento della società perché sappiamo come influisce sulla femminilità… Esistono alleanze tra le femministe e la comunità LGBT, ma sono cose diverse. Le uniche invitate alle riunioni in Colombia sono le femministe lesbiche, che cosa significa? Ci sono molte interpretazioni, perciò la questione verte sul modo in cui intendiamo l’essere una lesbica femminista e penso che ci vorranno anni per comprenderlo. Se ci si situa come identità politica lesbofemminista allora potranno essere presenti anche le trans. A me la figa non interessa, ho a cuore le persone che vogliono sfidare, rifinire e rimuovere il regime eterosessuale.
E a proposito di nuove identità… che ne pensi di quella queer?  
Il Queer è qualcosa di interessante dal punto di vista della messa in discussione delle identità essenziali, però credo anche che esistano concetti che vanno di moda … In America Latina, le poche persone queer che conosco partono da una posizione del tutto individualista; ‘Sono io, la mia identità, non voglio etichette’, dicono, oggi desidero essere donna e domani mi metto una cravatta e sarò un uomo, e andrò avanti così, plasmando la mia identità. Questo è un ragionamento decisamente bianco. Quant@ queer ner@ conosciamo? A livello teorico è qualcosa di interessante, perché mette in discussione l’identità, come ho detto, rompe il binomio … ma in pratica si scopre che non tutt@ al mondo possono farlo. Una persona nera non può giocare con la propria identità con tanta semplicità, poiché è attraversata dal proprio colore, dalla interpretazione sociale che viene fatta del suo colore, un colore politico. Solo le persone privilegiate possono essere queer. In breve, è molto teorico, molto individualista e molto ingenuo in un certo senso, ma lo si deve porre in relazione con la classe e la razza.

Uno dei fattori che più colpiscono le donne sono gli effetti della globalizzazione e del capitalismo. Pensi che il femminismo debba approfondire di più questo aspetto?  Le questioni relative alla globalizzazione non sono una categoria a parte: alcune ci stanno lavorando, ma non è un aspetto forte del femminismo, nè del nord nè del sud. Il femminismo è molto centrato sull’identità della donna. Il problema del partire dall’identità è di pensare che l’oppressione di genere, in questo caso, sia un problema da affrontare su base individuale e in termini di maschio o femmina, e credere che non sia legato al sistemico, alla classe o alla razza. Se non cerchiamo di comprendere in maniera più profonda come mai siamo fottute, allora esistiamo in un microcosmo e solo lì si verificano le oppressioni. E non è un caso che questa proposta di femminismo decoloniale provenga dal terzo mondo, penso che per poter mettere in discussione i privilegi sia necessario comprendere e avvicinarsi ad altre realtà: ma non è necessario andare in America Latina, né occupare gli spazi delle femministe europee,  quello che è interessante è domandarsi: Qual è il posizionamento femminista qui?

Il rigurgito femminista

Questa è una cosa inverosimile che è stata scritta davvero. Ieri mi trovavo a navigare il sito del Comune di Napoli, nella sezione eventi, e la mia attenzione è stata richiamata dalla pubblicità di un evento intitolato “Mondo Donna”, promosso dalla Clinica Mediterranea, un centro polispecialistico privato, convenzionato con il SSN.

Come persona di sesso femminile, come napoletana e come femminista, ho cliccato per saperne di più. Mentre leggevo, ho notato la cosa inverosimile. Vi incollo qui sotto il testo che pubblicizza l’evento, quello che suppongo essere un comunicato stampa della clinica stessa, eccolo qui:

La Clinica Mediterranea il 27 ottobre, per il terzo anno consecutivo, avvia il percorso di sensibilizzazione MONDO DONNA che vuole far crescere la consapevolezza delle donne sui temi della modernità per renderle protagoniste di ideali e valori.
Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista, ma chiacchierate con le associazioni del territorio e con coloro che tutti i giorni sono a contatto con questi temi.
L’obiettivo è quello di fare in modo che sempre più e sempre meglio si sappia stimolare la motivazione e la capacità di fare scelte di benessere, specialmente dove sono in causa comportamenti (alimentazione, attività fisica, consumo di alcol e tabacco, malattie a trasmissione sessuale, abuso di farmaci, ecc.) che possono difenderlo, prevenire le malattie e migliorare la qualità della vita.
Noi vogliamo andare lontano sulla strada della consapevolezza con tutti VOI e per questo vi consideriamo invitati d’onore al nostro percorso MONDO DONNA.

Rigurgito femminista. Ph unknown
Rigurgito femminista.
Ph unknown

L’avete notato pure voi?
“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
E’ il terzo anno, si dice, che la clinica promuove questo percorso di sensibilizzazione rivolto alle donne.

“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Per “far crescere la consapevolezza delle donne sui temi della modernità per renderle protagoniste di ideali e valori“.

“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Questi temi e questi valori  sarebbero legati alla salute, al benessere; vogliono andare “lontano sulla strada della consapevolezza“.

E però tra una cosa e l’altra si sono persi la consapevolezza della lotta e dell’impegno proprio di quelle persone che, notando una disparità tra i generi, hanno creduto di doverla colmare, modificare, aggiustare, perché ingiusta. Le persone, appunto, femministe, mediche anche.

“Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”
Avete notato il refuso? come se qualcuno avesse tagliato un pezzo e avesse incollato il pezzo successivo a un punto. Chissà cosa c’era dopo quella virgola e prima della seconda maiuscola. All’editor interessava che restasse un solo concetto, ossia che durante questa giornata dedicata alla salute e al benessere delle donne, non ci sarà “Nessuna lezione, Nessun rigurgito femminista”.

Cosa?

Uno stare totalmente al di fuori del mondo contemporaneo, dai pop discorsi di Emma Watson al Gender Gap e i femminicidi. Ma voi dove vivete?
Una completa delegittimazione della lotte femministe e la totale cecità sul panorama contemporaneo dei femminismi che si occupano di medicina di genere e biopolitica.

Il corpo rigurgita ciò che gli fa male. Noi rigurgitiamo la vostra misoginia.

Quanto vi fanno paura le donne come soggetti attivi dei cambiamenti che le riguardano? quanto avete paura del femminismo come agente di cambiamento sociale?

Loro vogliono andare lontano “con tutti VOI e per questo vi consideriamo invitati d’onore” ma non con le femministe che sono roba vecchia. Cos’è questo reflusso d’altri tempi?! Non ve le riproponiamo come i peperoni di ieri, tranquilli VOI.

Ma voi partecipereste a un evento organizzato da tali ignoranti? Persone che della modernità e della contemporaneità non hanno capito assolutamente niente?

Depilarsi le gambe non è femminista (ma puoi comunque essere femminista e depilarti)

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Articolo originale qui, traduzione di feminoska.

Ho pubblicato questo disegno (di Natalya Lobanova) sulla mia pagina facebook ieri, e le reazioni sono state molto varie. Alcune persone l’hanno apprezzata. Molte l’hanno condivisa. Ma altre l’hanno trovata insultante e giudicante, e l’hanno considerata una critica rivolta alle donne che si depilano. Si sono sentite offese dalla parola “mutilare”, la quale, sebbene attenuata da quel “leggermente”, sembrava loro comunque troppo forte. Come ogni volta che qualcosa scatena una accesa discussione, mi ha incuriosito molto la reazione delle persone e le loro motivazioni. In verità a me quest’immagine piace molto, e mi ha sorpreso l’offesa che  ha causato ad alcune persone. Ritengo che parlare delle cose assurde che facciamo per sentirci belle sia molto importante, anche se a volte ci fa sentire a disagio.

Per essere chiara, una volta per tutte: io mi depilo le gambe. Mi depilo anche le ascelle, la zona bikini, e la bizzarra scia di peluria scura che parte dall’ombelico e arriva ai peli pubici. A otto anni mi sono fatta bucare le orecchie perché morivo dalla voglia di indossare orecchini veri. Mi trucco quasi sempre prima di uscire di casa. E sappiatelo, mi piace fare tutte queste cose, perchè mi fanno sentire carina e più a mio agio nella mia pelle. Ma sono anche consapevole di essere cresciuta in una cultura che mi ha insegnato, dal primo giorno, ad associare a queste piccole modifiche arbitrarie a cui mi sottopongo il concetto di bellezza.

Ho sentito diverse persone affermare che il femminismo è basato sulla libertà di scelta, e che pertanto l’idea di fondo è che le donne dovrebbero essere messe in condizione di scegliere per le proprie vite. Per la cronaca, sono completamente d’accordo con quest’idea. Ma penso comunque che sia importante parlare del fatto che le scelte non avvengono a caso, e che alcune scelte non sono femministe. Depilarsi, ad esempio, non è un gesto particolarmente femminista. E non sto dicendo che non ci si possa depilare le gambe ed essere comunque femminista, ma penso che sia comunque importante poter parlar di aspetti come questo senza saltare immediatamente alla conclusione “bè, ma il femminismo riguarda la scelta, io la mia scelta l’ho fatta, e questo è quanto”.

Prima di tutto, non sono per niente sicura che la maggior parte delle donne sentano davvero di avere una scelta quando si parla di depilazione. Voglio dire: certo, tecnicamente, possono scegliere cosa fare dei propri corpi, ma è abbastanza difficile sentirsi libere e non influenzate nelle proprie scelte quando le opzioni si riducono a: 1) depilarsi e godere dell’approvazione generale 2) non depilarsi e diventare il bersaglio di scherzi idioti, insulti e persino molestie a causa di questa scelta. E’ decisamente difficile definire questa una “scelta” quando la società approva senza riserve una delle opzioni e punisce sistematicamente l’altra. Dobbiamo essere consapevoli di giocare con dadi truccati.

La verità è che mi adeguo a standard di bellezza patriarcali ogni giorno. Indosso vestitini graziosi e mi spalmo robe appiccicose in faccia per “evidenziare i miei tratti” e rendere il colore della mia pelle “più uniforme”. Indosso scarpe con i tacchi perché mi fanno sembrare più alta e le mie gambe appaiono più snelle. Infilo sottili barrette di metallo attraverso buchi creati nei lobi delle mie orecchie perché penso che mettermi orecchini mi renda più gradevole. Rimuovo con cura dal mio corpo ogni pelo potenzialmente visibile quando indosso solo l’intimo.  Ed è tutto accettabile, e non mi rende meno femminista ma allo stesso tempo queste sono tutte scelte anti-femministe. Perché sono scelte che non avvengono a caso. Non avvengono perché un giorno mi sono svegliata e ho pensato “mmmh, ho davvero voglia di prendere un rasoio e depilare tutte le parti più sensibili del mio corpo e sopportare l’irritazione da rasoio nei prossimi giorni, mi pare una roba proprio divertente!” Non avvengono perché mi sono trovata a sperimentare vari colori sulle mie labbra, e ho deciso che rosso e rosa erano i miei colori preferiti. Avvengono perchè sono cresciuta in una cultura tossica che mi ha insegnato che per essere bella devo modificare il mio corpo, e ogni volta che mi adeguo a quell’idea di bellezza, sto rinforzando e avallando quella cultura tossica. Ogni volta che indosso i tacchi e una bella minigonna, sto rendendo le cose molto più dure per tutte le donne che vorrebbero lasciarsi alle spalle questo fottuto ideale nel quale siamo costrette. E anche se non vorrei, devo essere consapevole della mia responsabilità.

E’ uno schifo che le donne debbano modificare il proprio aspetto per essere considerate belle, o persino solamente accettabili. Abbiamo i peli – durante la pubertà ci crescono naturalmente. Ce li abbiamo tutt@. Dunque perché devono essere qualcosa di disgustoso?  Perché in generale l’intimo e i costumi da bagno sui manichini sono normali, ma questi di American Apparel sono considerati spassosamente osceni?

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Voglio dire, questo è letteralmente il mio aspetto quando non mi depilo. Forse sono ancora più pelosa di così. Questo è l’aspetto del mio corpo. Perché è così disgustoso per così tante persone?

Noi tutte facciamo delle scelte circa il nostro aspetto, e nessuna di queste scelte ci faranno requisire la tessera di femministe dalla polizia femminista. Ma a volte queste scelte rafforzano lo status quo e contribuiscono quindi alla difficoltà che altre donne sperimentano quando il loro aspetto non si adegua alle rigide norme dettate dalla società. E questo non significa che non dovremmo mai indossare vestiti o trucco o gioielli, ma piuttosto che dobbiamo parlare del perché facciamo queste cose. E abbiamo bisogno di smetterla di fingere che questo e quello sia una scelta femminista, perché il femminismo è libertà di scelta e se io sono femminista, allora tutto quello che faccio è automaticamente femminista. No. Non è così che funziona. Indossa vestitini se ti va. Indossa belle scarpe e orecchini e rossetto rosso brillante. Depila tutti i peli del tuo corpo, se questo è ciò che ti fa stare bene. Ma per favore, ammetti che non fai nessuna di queste cose perché casualmente ti piace farle. Per favore, ammetti che la tua scelta è stata fortemente influenzata dalla fottuta cultura misogina in cui viviamo. Accetta il fatto che a volte le tue scelte sono anti-femministe, non perché sei una cattiva femminista, ma perché questo è il mondo in cui viviamo oggi. E una volta che hai fatto tutto questo, cerca di trovare un modo per cambiare le cose, di modo che le ragazze giovani non debbano più essere convinte che i loro corpi non vanno bene così come sono.